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25/11/201
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   mercoledì 17 gennaio 2007

LAVORATORI SOCIALMENTE UTILI

CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE - SENTENZA 3 gennaio 2007, n. 3

LAVORATORI SOCIALMENTE UTILI












CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE - SENTENZA 3 gennaio 2007, n. 3




MASSIMA







Nei lavori socialmente utili (LSU) non può configurarsi l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato pubblico dovendosi, più correttamente, rinvenire un rapporto giuridico previdenziale, disciplinato da una legislazione volta a garantire al lavoratore diritti che trovano il loro fondamento nel disposto dell’articolo 38 Costituzione; il che impedisce al suddetto lavoratore, impegnato in attività presso le amministrazioni pubbliche, la rivendicazione nel confronti di un rapporto di lavoro subordinato e dei consequenziali diritti. Il lavoratore socialmente utile, svolgendo la sua attività per la realizzazione di un interesse di carattere generale, ha diritto ad emolumenti, cui non può riconoscersi natura retributiva, ma come si è già detto natura previdenziale.









CASUS DECISUS







Carmine Cicchetti, Carmelo De Luca ed altri, espongono che l’amministrazione comunale di Castrovillari, con atto deliberativo reso dall’organo esecutivo il 30 novembre 1995, aveva disposto il loro impiego per la realizzazione del "progetto per lavori socialmente utili" relativo alla predisposizione del servizio parcheggi a pagamento per l’iniziale durata di dodici mesi,successivamente prorogato con delibera del 20 novembre 1997 per ulteriori dodici mesi. Precisano di avere beneficiato dell’emolumento mensile pari a lire trecentomila erogato dalla Regione Calabria, al sensi dell’articolo 4 della legge regionale 18/1996 sino al maggio 1997; di non aver ricevuto più nulla per la stessa causale. Chiedono, pertanto, al giudice del lavoro, ritenendo la giurisdizione dello stesso, la condanna della suddetta Regione al pagamento degli emolumenti mensili non corrisposti sino al mese di dicembre 1998, corrispondente alla durata del progetto ovvero, in subordine, ricorrono perché al pagamento delle suddette somme venga dichiarato tenuto il Comune di Castrovillari, con conseguente sua condanna al relativo pagamento. Dopo la costituzione del contraddittorio, il Tribunale di Castrovillari rigetta il ricorso e compensa le spese. Avverso tale sentenza propongono appello gli originari ricorrenti; la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 29 gennaio 2004, rigetta il gravame e compensa le spese. Nel pervenire a tale conclusione la Corte territoriale rileva in primo luogo che doveva riconoscersi la giurisdizione del giudice ordinario per non configurare il rapporto dei lavoratori socialmente utili un rapporto di pubblico impiego. Avverso la decisione di secondo grado ricorrono i lavoratori. Correttamente, quindi, la dottrina giuslavoristica ha parlato nel, caso in esame, di un rapporto giuridico previdenziale, che viene disciplinato da una legislazione volta a garantire al lavoratore diritti, che trovano il loro fondamento nel disposto dell’articolo 38 Costituzione; il che impedisce al suddetto lavoratore, impegnato in attività presso le amministrazioni pubbliche, la rivendicazione nel confronti di dette amministrazioni di un rapporto di lavoro subordinato, e del suoi consequenziali diritti. In altri termini il lavoratore socialmente utile, svolgendo la sua attività per la realizzazione di un interesse di carattere generale, ha diritto ad emolumenti, cui non può riconoscersi natura retributiva, ma come si è già detto natura previdenziale.









PRECEDENTI











Conforme


Difforme


Cass. civ., 10651/2003; Cass. civ., Sez un., 11346/2005.










ANNOTAZIONE







Come rimarca il Collegio di Piazza Cavour, per la dottrina il lavoro socialmente utile va equiparato ad un modello’ di matrice nordamericana definito di workfare, basato sull’idea che la tutela sociale al disoccupato costituisce un diritto condizionato ad una prestazione di lavoro “fuori mercato” in attività socialmente utili, oltre che ad un dovere di attivarsi personalmente per uscire dall’assistenza. Per la giurisprudenza, precisa inoltre il Collegio di legittimità, lo stesso istituto si colloca a valle dei cd. ammortizzatori sociali (messa in mobilità dei lavoratori in esubero; collocamento in cassa integrazione; trattamento di disoccupazione) e rappresenta uno strumento innovativo per fronteggiare la disoccupazione soprattutto (ma non esclusivamente) giovanile, si da nascere con una connotazione marcatamente previdenziale assistenziale, tendenzialmente volta però verso forme di tirocinio giovanile e di praticantato, collocate a ridosso dell’apprendistato e del contratto di formazione e lavoro, che si collocano a loro volta a pieno titolo nell’ambito del rapporto di lavoro . Richiamato il substrato normativo sotteso all istituto in esame, reputano le Sezioni Unite che "la declaratoria della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo non può essere riconosciuta sul presupposto della natura pubblica dell’ente utilizzatore o dei soggetti promotori dei progetti di lsu perché “beneficiari” delle prestazioni dei lavoratori; ne a conforto di tale soluzione può addursi che la materia dei lavori socialmente utili assume rilevanza pubblicistica perché la relativa disciplina tutela non solo gli interessi particolari dei lavoratori direttamente impegnati, ma anche e soprattutto gli interessi della collettività per rappresentare una offerta di opportunità d’inserimento professionale per fasce deboli di lavoratori".









TESTO DELLA SENTENZA








CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE - SENTENZA 3 gennaio 2007, n. 3 - Pres. Carbone – est. Vidiri






Svolgimento del processo




Con ricorso depositato in data 2 febbraio 2002 Carmine Cicchetti, Carmelo De Luca e gli altri litisconsorti in epigrafe esponevano che l’amministrazione comunale di Castrovillari, con atto deliberativo reso dall’organo esecutivo il 30 novembre 1995, aveva disposto il loro impiego per la realizzazione del « progetto per lavori socialmente utili » relativo alla predisposizione del servizio parcheggi a pagamento per l’iniziale durata di dodici mesi,successivamente prorogato con delibera del 20 novembre 1997 per ulteriori dodici mesi. Aggiungevano di avere beneficiato dell’emolumento mensile pari a lire trecentomila erogato dalla Regione Calabria, al
sensi dell’articolo 4 della legge regionale 18/1996 sino al maggio 1997, mentre successivamente non avevano ricevuto più nulla per la stessa causale.


Chiedevano, pertanto, al giudice del lavoro, ritenendo la giurisdizione dello stesso, la condanna
della suddetta Regione al pagamento degli emolumenti mensili non corrisposti sino al mese di dicembre 1998, corrispondente alla durata del progetto avvero, in subordine, instavano perché al pagamento delle suddette somme venisse dichiarato tenuto il Comune di Castrovillari, con conseguente sua condanna al relativo pagamento.


Dopo la costituzione del contraddittorio, il Tribunale di Castrovillari rigettava il ricorso e compensava le spese.


Avverso tale sentenza proponevano appello gli originari ricorrenti e, dopo la costituzione della Regione Calabria e del Comune di Castrovilari, la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 29 gennaio 2004, rigettava il gravame e compensava le spese. Nel pervenire a tale conclusione la Corte territoriale rilevava in primo luogo che doveva riconoscersi la giurisdizione del giudice ordinario per non configurare il rapporto dei lavoratori socialmente utili un rapporto di pubblico impiego.
Nel merito osservava poi che la legge regionale 18/1996 prevedeva all’articolo 2 la concessione di contributi alle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1 del D.Lgs 29/1993, che predisponevano progetti per l’impiego in lavori, socialmente utili di determinate categorie di lavoratori, al fine “di conseguire le finalità di cui alla presente legge”. Il contributo di cui all’articolo 4 della stessa legge era poi finalizzato all’ incremento della attività lavorativa del singolo lavoratore. Le norme regionali non prevedevano affatto che i contributi dovevano essere concessi alle amministrazioni pubbliche ovvero all’ente proponente detti contributivi non entravano poi affatto a far parte del compenso spettante al lavoratore, non essendo in alcun modo collegati all’espletamento di attività lavorativa ulteriore rispetto a quella originariamente stabilita ; viceversa di detto compenso facevano parte integrale le somme di cui al comma 2 dell’articolo 8 della legge 468/97, volto a prevedere “nel caso di impegno per un orario superiore, entro il limite del normale orario contrattuale” un “importo integrativo corrispondente alla retribuzione oraria relativo al livello retributivo iniziale, calcolato detraendo le ritenute previdenziali ed assistenziali previste per i dipendenti che svolgono attività analoghe presso il soggetto utilizzatore”. In relazione però a tale compenso i lavoratori non avevano formulato alcuna espressa domanda nel ricorso introduttivo e, conseguentemente, la produzione documentale allegata in appello doveva ritenersi assolutamente inconferente.
Avverso tale sentenza Carmine Cicchetti e gli altri litisconsorti propongono ricorso per cassazione, affidato ad un unico articolato motivo.


Resistono con controricorso il Comune di Castrovillari nonché la Regione Calabria, che spiega anche ricorso incidentale deducendo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.




Motivi della decisione




Ai sensi dell’articolo 335 Cpc il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti perché proposti ambedue avverso una medesima sentenza.


Con ricorso principale il Cicchetti e gli altri litisconsorti deducono violazione della legge regionale 18/1996, dell’articolo 14 comma 4 del Dl 299/94, convertito nella legge 451/94, nonché carente ed insufficiente motivazione in relazione all’articolo 360 nn. 3 e 5 Cpc In particolare lamentano che il giudice d’appello è incorso in un palese errore nel reputare il contributivo integrativo reclamato, e di cui alla legge regionale 18/1996, cosa diversa dal compenso indicato dal comma 2 della legge 468/97, “laddove il suddetto contributo era previsto dall’articolo 14, comma 4, del Dl 299/94, convertito nella legge 451/94, di cui la legge regionale era solo momento di attuazione”. Normativa quest’ultima che, rapportando il contributo integrativo dell’assegno mensile di lire 800.000 ad una maggiore quantità di lavoro espletato, induceva a configurare la posizione del lavoratore come integratrice di un diritto soggettivo nei confronti dell’ente proponente (o utilizzatore del progetto) dei lavori socialmente utili nonché nei confronti dell’ente che ope legis assume l’onere dell’erogazione.
Con il primo motivo del ricorso incidentale la Regione Calabria lamenta violazione degli articoli 1, 112, 409 e 360 comma 1, nn. 1, 4 e 5 Cpc ; articoli 63 e 69 D.Lgs 165/01 ; articoli 29 Rd 1054/24 e 2 e 7 legge 1034/71, e legge regionale 18/1996, assumendo al riguardo che detta legge ascrive esclusivamente in capo alle amministrazioni la facoltà di chiedere il finanziamento sicchè risultava evidente che i lavoratori non vantavano alcun diritto soggettivo nei riguardi dell’ente regionale ma solo interessi legittimi, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo circa la legittimità della condotta di detto ente anche in relazione all’avvenuta esclusione del progetto da quelli finanziabili.
Con il secondo motivo il ricorrente incidentale ribadisce la infondatezza nel merito della pretesa dei lavoratori sul presupposto che la domanda stessa non aveva avuto ad oggetto l’importo integrativo previsto dalla legislazione statale di settore succedutasi nel tempo e che la legislazione regionale non riconosceva affatto ai lavoratori un diritto soggettivo all’emolumento.
Per evidenti motivi di antecedenza logica deve esaminarsi il primo motivo del ricorso incidentale, che va rigettato perché infondato dovendosi dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario nella presente controversia.


Per la dottrina il lavoro socialmente utile, che presenta peculiarità ben distinte dai tradizionali modelli di tutela sociale, previdenziali ed assistenziali, della disoccupazione, va equiparato ad un modello’ di matrice nordamericana definito di workfare, basato sull’idea che la tutela sociale al disoccupato costituisce un diritto condizionato ad una prestazione di lavoro “fuori mercato” in attività socialmente utili, oltre che ad un dovere di attivarsi personalmente per uscire dall’assistenza.
Per la giurisprudenza, inoltre, lo stesso istituto si colloca a valle dei cd. ammortizzatori sociali (messa in mobilità dei lavoratori in esubero; collocamento in cassa integrazione; trattamento di disoccupazione) e rappresenta uno strumento innovativo per fronteggiare la disoccupazione soprattutto (ma non esclusivamente) giovanile, si da nascere con una connotazione marcatamente previdenziale assistenziale, tendenzialmente volta però verso forme di tirocinio giovanile e di praticantato, collocate a ridosso dell’apprendistato e del contratto di formazione e lavoro, che si collocano a loro volta a pieno titolo nell’ambito del rapporto di lavoro (cfr. al riguardo: Cassazione 10651/03 ed, in epoca più recente, Cassazione, Su, 11346/05; Su 22276/04).


E una tale complessa ed articolata finalità, caratterizzante le attività socialmente utili, è attestata sotto altro versante dal trattamento economico, riconosciuto ai lavoratori, cui viene corrisposto un emolumento, prima denominato sussidio (che evoca la matrice assistenziale dell’istituto) e di poi l’assegno” (che mostra invece l’evoluzione verso una forma di tirocinio/praticantato). Nell’ambito della ricca normazione sui lavori socialmente utili, ed in una ottica volta ad esaminare solo le disposizioni funzionali alla presente decisione, va ricordato come una prima tipologia di lavori socialmente utili viene regolata dall’articolo 1bis del Dl 244/81 (convertito con modificazione nella legge 390/81), che prevede l’impiego temporaneo in attività di pubblica utilità di lavoratori titolari di un trattamento di integrazione salariale, stabilendo anche che ai lavoratori “è dovuta a carico delle amministrazioni pubbliche interessate una somma pari alla differenza tra somma corrisposta dall’Inps a titolo di integrazione salariale e il salario o stipendio che sarebbe stato percepito in costanza del rapporto di lavoro e, comunque, non superiore a quello dei lavoratori che nell’amministrazione pubblica interessata svolgono pari mansioni”. Successivamente con l’articolo 14 Dl 299/94, convertito in legge 451/94, si tracciano in maniera più compiuta i connotati essenziali dell’istituto, che trovano infine un ulteriore assestamento con il D.Lgs 81/2000, che integra, appunto, la disciplina previgente, mirando soprattutto ad incentivare l’avvio dei soggetti l’utilizzati” verso forme di impiego stabile ‑ anche attraverso una restrizione del campo di applicazione dell’istituto ai soli soggetti già impegnati in progetti di l.s.u. (con abrogazione dell’articolo 4 del precedente decreto 468/97) ‑ e definendo gli enti utilizzatori dei lavori con espresso rinvio ai soggetti promotori dei progetti individuati dall’articolo 3, lo comma, D.Lgs 468/97. Tra tali soggetti sono inclusi (oltre gli enti pubblici economici, le società a totale o prevalente partecipazione pubblica, le cooperative sociali e loro consorzi, le aziende speciali e i consorzi forestali) le amministrazioni pubbliche e tutti gli enti pubblici non economici (nazionali, regionali e locali).
Orbene, la declaratoria della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo non può ‑ alla stregua di quanto sinora detto ‑ essere riconosciuta sul presupposto della natura pubblica dell’ente utilizzatore o dei soggetti promotori dei progetti di lsu perché “beneficiari” delle prestazioni dei lavoratori; nel a conforto di tale soluzione può addursi che la materia dei lavori socialmente utili assume rilevanza pubblicistica perché la relativa disciplina tutela non solo gli interessi particolari dei lavoratori direttamente impegnati, ma anche e soprattutto gli interessi della collettività per rappresentare una offerta di opportunità d’inserimento professionale per fasce deboli di lavoratori. Ed invero, sulla base della normativa dettata dal D.Lgs 468/97 ‑ poi modificata come detto dal D.Lgs 81/2000 ‑ le attività socialmente utili possono essere svolte per l’esecuzione di progetti attuati da enti pubblici(oltre che da soggetti privati e società miste); progetti affidabili per la loro realizzazione ad altri enti attraverso il coinvolgimento di soggetti inoccupati e disoccupati, cui vengono riconosciuti alcuni emolumenti (condizionati alla prestazione di attività lavorative), espressamente regolati dalla legge, non in quanto oggetto di un contatto di lavoro subordinato ma come obblighi dell’ente pubblico scaturenti da un rapporto giuridico di carattere previdenziale che, come è stata evidenziato, trova fondamento nell’articolo 38 Costituzione perché diretto alla soddisfazione di un interesse sociale, quale quello della tutela contro la disoccupazione. E che non possa nella fattispecie in esame configurarsi l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato pubblico si evince con certezza dal complesso della legislazione in materia. Ed invero l’utilizzazione dei lavoratori socialmente utili non comporta la sospensione o la cancellazione dalle liste di collocamento o di mobilità (articolo 8 D.Lgs 469/97); il trattamento economico consiste in un emolumento che, non commisurato ex articolo 36 Costituzione, alla quantità e qualità del lavoro svolto, è stato predeterminato in maniera fissa, dapprima, in una indennità oraria (qualificata sussidio ex articolo 1, comma 3, Dl 232/95, pari a lire 7.500, con un massimale di ottanta ore mensili per non più di dodici mesi; poi elevate a lire 8. 000 orarie per un massimo di cento ore mensili) e di poi in una prestazione mensile(non superiore a lire 800.000 con la possibilità di un importo integrativo di questo trattamento “per le giornate di effettiva esecuzione della prestazione”,); il finanziamento dei lavori socialmente utili è stato posto sin dall’inizio a carico del Fondo per l’occupazione (articolo 14 Dl 299/94; articolo 11 D.Lgs 469/97; articolo 8 D.Lgs 81/2000), la cui quota viene ripartita tra le Regioni (secondo criteri variati nel tempo) e che in caso di rinnovo di un rapporto, che è a termine (articolo 14 Dl 299/94; articolo 4 D.Lgs 81/2000) fa carico sullo stesso Fondo nella misura del 50%, restando l’altra metà a carico dei soggetti
utilizzatori (articolo 4 D.Lgs 81/2000). Correttamente, quindi, la dottrina giuslavoristica ha parlato nel, caso in esame di un rapporto giuridico previdenziale, che viene disciplinato da una legislazione volta a garantire al lavoratore diritti, che trovano il loro fondamento nel disposto dell’articolo 38 Costituzione; il che impedisce al suddetto lavoratore, impegnato in attività presso le amministrazioni pubbliche, la rivendicazione nel confronti di dette amministrazioni di un rapporto di lavoro subordinato, e del suoi consequenziali diritti. In altri termini il lavoratore socialmente utile, svolgendo la sua attività per la realizzazione di un interesse di carattere generale, ha diritto ad emolumenti, cui non può riconoscersi natura retributiva, ma come si è già detto natura previdenziale.
Consegue da quanto sinora detto che la giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo deve essere in concreto identificata non già in base al criterio della soggettiva prospettazione della domanda (ossia in base alla qualificazione compiutane dall’interessato) ma alla stregua del petitum sostanziale”, individuato dagli elementi oggettivi che caratterizzano la sostanza del rapporto posto a fondamento delle pretese in base al quale i lavoratori in epigrafe hanno avanzato in questo giudizio pretese economiche nei confronti del Comune di Castrovillari e della Regione Calabria (cfr. per il criterio del petitum sostanziale ex plurimis : Cassazione, Su, 10180/04; 10243/03).
È stato al riguardo puntualmente osservato come nella materia previdenziale ‑ ma, anche in, alcuni, rapporti aventi ad oggetto prestazioni di natura assistenziale (cfr. Corte Costituzione 209/95) ‑ l’atto di riconoscimento della prestazione non ha carattere autoritativo, non costituisce cioè un provvedimento amministrativo in senso tecnico, perché non implica alcuna disponibilità del bene della vita che forma oggetto della situazione giuridica soggettiva del privato e non può essere definito, pertanto, che mero l’atto amministrativo dichiarativo della situazione giuridica vantata dall’interessato perché è diretto ad enunciare la sussistenza di un diritto, la cui
nascita è preesistente alla sua dichiarazione”.


Consegue da quanto sinora detto che ‑ conformemente a quanto già statuito da queste Su (cfr. Cassazione, Su 11346/05; 3508/05; 22276/04) ‑ va dichiarata in relazione alla presente controversia la giurisdizione del giudice ordinario.


Ai sensi dell’articolo 142 disp. att. Cpc gli atti vanno trasmessi alla Sezione lavoro di questa Corte di cassazione per l’ulteriore corso del giudizio e specificamente per l’esame del ricorso principale e del secondo motivo del ricorso incidentale.






P.Q.M.




La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il primo motivo del ricorso incidentale, dichiarando la giurisdizione del giudice ordinario, e rimette la controversia per l’ulteriore esame alla Sezione Lavoro di questa Corte.










 
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