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11/11/2016
I DOCENTI E GLI ATA PRECARI O GIA´ DI RUOLO POSSONO OTTENERE PER INTERO IL RICONOSCIMENTO DEL PERIODO PRERUOLO
La sentenza n. 22558/2016 della Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro del 07.11.2016 è una sentenza storica per il mondo della SCUOLA PUBBLICA.
A partire da oggi qualunque precario per i dieci anni precedenti può chiedere con un ricorso al Giudice del Lavoro il riconoscimento giuridico della m...


10/04/2016
CHI ISCRIVE IPOTECA PER UN VALORE SPROPOSITATO PAGA I DANNI
E’ di questi ultimi giorni la decisione della Suprema Corte di Cassazione che ha stabilito una responsabilità aggravata in capo a chi ipoteca il bene (es. casa di abitazione) del debitore ma il credito per il quale sta agendo è di importo di gran lunga inferiore rispetto al bene ipotecato....


19/05/2015
Eccessiva durata dei processi: indennizzi più veloci ai cittadini lesi
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26/11/2014
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02/04/2014
Previdenza - prescrizione ratei arretrati - 10 anni anche per i giudizi in corso
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27/11/2013
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Come è noto, la Gestione Separata dell’INPS è stata istituita dalla legge 335/1995 al fine di garantire copertura previdenziale ai lavoratori autonomi che ne fossero sprovvisti....


25/11/201
Pubblico dipendente, libero professionista, obbligo d´iscrizione alla Gestione Separata Inps
Come è noto, la Gestione Separata dell’INPS è stata istituita dalla legge 335/1995 al fine di garantire copertura previdenziale ai lavoratori autonomi che ne fossero sprovvisti.
...


05/05/2013
L´interesse ad agire nelle cause previdenziali. Analsi di alcune pronunce
Nell´area del diritto previdenziale vige il principio consolidato a livello giurisprudenziale, secondo il quale l’istante può avanzare all’Autorità Giudiziaria domanda generica di ricalcolo di un trattamento pensionistico che si ritiene essere stato calcolato dall’Istituto in modo errato, senza dete...









   mercoledì 3 gennaio 2007

RAPPORTO SULLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE NEL SETTORE PUBBLICO CONTRATTUALIZZATO

SPECIALE LavoroPrevidenza.com



Rapporto sulla previdenza


complementare nel settore


pubblico contrattualizzato*.


Osservatorio Nazionale Bilaterale sui Fondi Pensione


del Pubblico Impiego.


Luglio 2006



*PREMESSA DELLE PARTI


L’Osservatorio presenta il primo rapporto sulla previdenza complementare nel


pubblico impiego, nel convincimento di dare un costruttivo contributo al definitivo


decollo di questo settore.


Il presente rapporto rappresenta altresì, il primo studio realizzato in comune su un


tema particolarmente interessante delle relazioni sindacali che ha visto l’attiva


partecipazione di DFP, COVIP, INPDAP ed Espero.


Lo studio è frutto del coinvolgimento dialettico dei rappresentanti dell’ARAN e delle


Confederazioni Sindacali ed ha trovato il momento di sintesi nell’opera del dott.


Michele De Giacomo (Servizio Studi e Documentazione ARAN), che ha tradotto con


imparzialità e professionalità tutti gli argomenti trattati.


I componenti dell’Osservatorio, che si è avvalso anche della collaborazione del dott.


Maurizio Sarti, esprimono l’augurio che altri lavori possano fare seguito, sempre con


lo stesso spirito e con la medesima volontà realizzatrice.


Roma, 27 luglio 2006



L’Osservatorio


Dott. Sergio Gasparrini (ARAN) firmato


Avv. Arturo Parisi (ARAN) firmato


Dott. Pierluigi Mastrogiuseppe (ARAN) firmato


Dott. Michele De Giacomo (ARAN) firmato


Dott. Michele Gentile (CGIL) firmato


Dott. Giorgio Grasso (CISL) firmato


Dott. Antonio Foccillo (UIL) firmato


Prof. Achille Massenti (CONFSAL) firmato


Prof. Lucio Casalino (CISAL) firmato


Dott. Carlo Sizia (COFEDIR) firmato


Dott. Luciano Dionisi (CIDA) firmato


Dott. Claudio Testuzza (COSMED) firmato


Dott. Leopoldo Guidi (USAE) firmato


Dott. Angelo Chiavarini (CGU) firmato


Dott.ssa Nicoletta Morgia (CONFINTESA) firmato



Rapporto sulla previdenza complementare nel settore pubblico contrattualizzato.


SOMMARIO: PARTE I - § 1. Premessa; § 2. La genesi della previdenza complementare nel P.I. ; §


3. Dalle indennità al trattamento di fine rapporto; § 4. Effetti contrattuali; § 5. Il calcolo del TFR:


comparazione dei regimi contrattuali; § 6. Il ruolo dell’INPDAP: Il meccanismo figurativo


(virtuale). § 7. Il finanziamento della previdenza complementare; PARTE II – § 1. suggerimenti


operativi; § 1.1. Fondo Scuola Espero; § 1.2. Fondo Regioni, Enti Locali, Sanità; § 1.3. Ministeri,


Enti Pubblici non Economici, Agenzie Fiscali, P.C.M., Enac, Cnel; § 1.4. Fondo Università,


Ricerca; § 1.5. Fondo Medici. § 2. La riforma della previdenza complementare: cenni applicativi e


rilievi di armonizzazione.


PARTE I


§ 1. Premessa


La previdenza complementare, intesa come forma di integrazione delle prestazioni


obbligatorie, nasce e si sviluppa nei Paesi a legislazione sociale di origine


beveridgiana collateralmente e contestualmente al sistema di sicurezza sociale di


base. La sua funzione era ed è quella di integrare le prestazioni minime riconosciute


indistintamente a tutti i cittadini.


Diversamente, in Italia, come negli altri paesi di pari tradizione sociale, la previdenza


complementare assume un ruolo assolutamente differente, risultato prevalente della


necessità di integrare la riduzione del tasso di sostituzione salario/pensione garantito


dalla previdenza obbligatoria.


La capacità dell’attuale apparato previdenziale pubblico di affrontare le necessità


della sicurezza sociale, risulta fortemente compromessa dallo stato di crisi del sistema


finanziario del settore previdenziale.


Tale crisi, generata da un momento ciclico congiunturale di recessione, si è ormai


definitivamente consolidata sul piano strutturale tanto che la crescita esponenziale del


deficit previdenziale rischia di gravare in maniera eccessiva sui futuri pensionamenti


conducendo, secondo alcune pessimistiche ma pur sempre realistiche ipotesi, ad un


conflitto intergenerazionale.


Nell’intento di individuare forme di gestione che consentano di ripristinare in qualche


modo l’equilibrio economico-sociale, gli ordinamenti di vari paesi hanno optato per


la scelta del rafforzamento della previdenza complementare.


4


Negli ultimi anni, invero, diversi organismi economici internazionali hanno


raccomandato con insistenza ai loro aderenti di ridurre la spesa del sistema


pensionistico puntando sull’ampliamento delle forme alternative complementari1.


A molti, però, non è sfuggita la considerazione che la previdenza complementare


comporta lo sviluppo di forme di tutela del risparmio pensionistico, anche attraverso


il crescente impegno di tutti gli organismi di supervisione.


Si desume, da quanto appena detto, che gli attuali impianti strutturale, normativo e


finanziario, necessitano di una revisione accorta che sancisca in modo inequivoco


competenze e procedure.


In Italia, come in altri paesi, la spinta riformatrice del modello di welfare state ha


fatto affidamento sulla istituzionalizzazione e razionalizzazione della previdenza


complementare e sulla costruzione di un modello che si fonda sui tre pilastri: della


previdenza generale obbligatoria, di quella complementare collettiva e di quella


individuale.


Il complesso dei tre pilastri trova riferimento normativo preminente nell’art. 38 della


Costituzione2 il quale non ha mancato di scatenare ed alimentare un corposo dibattito


dottrinale e giurisprudenziale che vede contrapposte due ipotesi interpretative tuttora


in conflitto.


Occorre a tal punto fare un sia pur breve e certamente incompleto richiamo al


dibattito testé citato in quanto da esso si dipartono le varie filosofie interpretative del


complessivo impianto previdenziale.


In passato le due concezioni si confrontavano in particolare sull’esistenza o meno di


una supposta differenziazione, non meramente terminologica, contenuta nell’art. 38


Cost., tra il concetto di previdenza e quello di assistenza sociale.


1 Cfr ad es. OCSE, Manteining prosperity in an Ageing Society, 2000.


2 Art. 38 Costituzione: “ Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al


mantenimento e all assistenza sociale.


I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di


infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.


Gli inabili ed i minorati hanno diritto all educazione e all avviamento professionale.


Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.


L assistenza privata è libera”.


5


La prima delle due opinioni3 inquadra l’art. 38 Cost. in un modello dicotomico che


nettamente distinguerebbe tra previdenza, intesa come complesso degli istituti


destinati a proteggere i lavoratori dalle eventuali situazioni di bisogno dovute a


infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria, ed assistenza


sociale che, invece, si rivolgerebbe al cittadino inabile.


La seconda4, invece, ricostruisce in modo unitario il sistema della sicurezza sociale


che assolverebbe, contestualmente, al compito previdenziale ed a quello assistenziale.


A queste diverse impostazione dottrinali, in apparenza non strettamente connesse con


l’ambito oggetto della presente trattazione, si accosta, però, la contrapposizione tra


gli autori sostenitori della tesi della cd. funzionalizzazione della previdenza


complementare agli scopi del comma 2 dell’art. 38 Cost., i quali sostengono,


confortati da alcune sentenze della Corte Costituzionale5, la necessità di considerare


che la previdenza complementare oramai “…viene in parte a sostituirsi ai compiti


specifici della previdenza pubblica”6 per cui “l’area della previdenza pensionistica


complementare risponde alla medesima tipologia di eventi protetti della previdenza


pensionistica di base”, evidenziandosi così tra le due l’esistenza di una “identità di


funzione, ancorché destinata a realizzarsi con strumenti di natura giuridica diversi”7,


e parte autorevole della dottrina per la quale il sistema della previdenza


complementare va ricondotta esclusivamente all’alveo dell’autonomia privata


(ancorché collettiva) in quanto realizza “…esclusivamente la soddisfazione di


interessi privati, mediante la destinazione a fini previdenziali di un quota della


retribuzione”8.


La dimostrazione della sussistenza di un elemento unificatore tra i due dibattiti si


rinviene nella constatazione che, se l’ipotesi della riconduzione della previdenza


3 Tra gli altri: Cinelli M., Problemi di Diritto della Previdenza Sociale, Torino 1999; Pessi R., Lezioni di diritto della


previdenza sociale, Padova 2001.


4 Persiani M., Diritto della previdenza sociale, Padova 2002 pag. 25 e ss .


5 Corte Costituzionale sentenza n. 393, del 13 luglio 2000, sentenza n.421 del 13 settembre 1995 in Mass. Giur. Lav.,


1995 pag 535 con nota di Sandulli P.


6 Pessi R., Corrispettività e solidarietà nel nuovo sistema previdenziale, in La riforma del sistema previdenziale,


Padova, 1995.


7 Sandulli P., Il decreto legislativo n. 124/93 nel sistema pensionistico riformato, in Dir. Prat. Lav., 1993, supplemento


al n. 35; ID., Riforma pensionistica e previdenza integrativa, in Dir. Lav. Rel. Ind., 1991, 201 ss.


8 Persiani M., Previdenza pubblica e previdenza privata , relazione al XIII convegno dell’AIDLASS, Ferrara 11-13


maggio 2000.


6


complementare alla disposizione dell’art. 38, comma V Cost. fosse accolta, di


conseguenza, “…perderebbe probabilmente nitidezza la distinzione fra previdenza


ed assistenza”9 in quanto non può escludersi che alla previdenza complementare ed


integrativa vengano attribuiti compiti tipicamente assistenziali riferibili ad esempio


alle indennità di disoccupazione, di malattia, di maternità e ad ogni ulteriore


intervento atto a contrastare il bisogno ed il rischio di marginalità sociale che non


sempre sono riservati ai soli lavoratori. Di converso, ed altrettanto coerentemente, la


distinzione tra previdenza ed assistenza conduce a considerare che funzione della


previdenza è quella di assicurare ai soli lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze di


vita indifferentemente per mezzo del sistema pubblico o tramite quello privato di


promanazione collettiva.


Nonostante questa apparente ferrea logica però, nessuna delle due contrapposte tesi


resiste, senza ombra di dubbio, ad alcune critiche incrociate. Si può ad esempio


contestare alla ipotesi della funzionalizzazione che alla previdenza possono appunto


essere attribuite anche funzioni di natura assistenziale. Altrettanto dicasi per la teoria


contraria allorché si consideri che tutta la normativa attuale individua come


destinatari esclusivi della previdenza complementare collettiva, rectius negoziale, i


soli lavoratori10.


In tale contesto va oggi ad affluire la struttura previdenziale riformata alla luce della


legge 243 del 23 agosto 2004 (G.U. 223 del 21 settembre 2004) ed attuata, per il solo


settore privato, dal d.lgs. 252 del 5 dicembre 2005, (G.U. n. 289 del 13 dicembre


2005, S.O. n. 200).


La rilettura normativa, pur sostanzialmente accogliendo e proseguendo nel solco già


tracciato dalla legge 335 del 1995 (riforma Dini) e consistente nella realizzazione di


una tripartizione con implicazioni di rango costituzionale, che vedeva disporsi su


piani distinti la previdenza generale obbligatoria, quella complementare di origine


negoziale e quella privata basata su strumenti di tipo finanziario ed assicurativo,


9 Dondi G., Zampini G., previdenza pubblica e complementare privata nella riforma del titolo V, parte II, della


Costituzione, L.P.A., vol. V, gennaio-febbraio 2002, supplemento al fascicolo 1.


10 D.lgs. n. 124, del 21 aprile 1993, art. 2


7


afferma nei suoi principi essenziali una riorganizzazione della previdenza pubblica e


complementare incidendo anche sull’assetto formale.


La novella legislativa, infatti, prevede l’equiparazione tra forme complementari


negoziali e individuali (art.1, comma 2, lettera e, punto 4). Proprio l’assimilazione exlege


delle forme pensionistiche, in combinazione univoca con l’applicazione


dell’istituto tecnico giuridico del conferimento tacito, attenua le critiche di chi


riteneva corretto sostenere la sussistenza di livelli “gerarchici” ben delineati,


inducendo maggiori certezze nel promuovere al “rango superiore”, di cui al II comma


dell’art. 38 della Costituzione, almeno l’intero sistema negoziale della previdenza


complementare.


Quest’ultimo condividerebbe con l’Assicurazione Generale Obbligatoria un’identità


di funzioni e di obiettivi11 dalla quale, in considerazione della dichiarata tutelabilità


parificata, non verrebbero esclusi i fondi privati, svuotando sostanzialmente di


contenuti il V comma dello stesso art. 38 Cost.


L’attuazione ex d.lgs.252/2005 ha in parte ridimensionato il processo di parificazione


sostanziale; il favor riconosciuto al momento genetico negoziale rispetto all’atto


contrattuale privatistico, determina una correzione di rotta rispetto alle prime


paventate ipotesi.


L’applicabilità della riforma al lavoro alle dipendenze di una P.A. è subordinata a


successive necessarie armonizzazioni da definire previo confronto con le


organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori e dei


prestatori di lavoro, con le regioni, gli enti locali e le autonomie funzionali.


Prima di quel momento, nel sistema previdenziale del pubblico impiego non saranno


introdotti i nuovi meccanismi di adesione (silenzio-assenso), di portabilità e di


trasferibilità della contribuzione e della prestazione pensionistica complementare


permanendo, per il settore in parola, una sostanziale ultrattività delle norme


emendate.


11 Vedi anche Corte Costituzionale, ordinanza n. 319/2001.


8


Infatti, il rinvio al confronto con le organizzazioni sindacali operato dall’art.1 comma


2, lett. p) della legge di delega rimanda alla definizione dell’iter concertativo adottato,


l’applicabilità dei primi due commi della norma e le disposizioni relative agli


incentivi per la permanenza in servizio oltre termine minimo di acquisizione del


diritto al pensionamento (cd. bonus).


Per una trattazione più approfondita in merito alla attuazione nel settore pubblico


contrattualizzato della legge 243/2004 e dei relativi decreti attuativi, l’Osservatorio


Nazionale Bilaterale dei Fondi Pensione del Pubblico Impiego si riserva di disporre


uno studio apposito in corso di definizione.


9


§ 2. La genesi della previdenza complementare nel pubblico impiego.


Il sistema normativo italiano della previdenza complementare si caratterizza


certamente per il fatto di essersi formato e strutturato in sincronismo con le


progressive tappe di avvicinamento tra il settore pubblico e quello privato.


Accanto allo sviluppo degli strumenti previdenziali di origine pattizia in ambito


privato, si sono create le condizioni per la realizzazione di un sistema previdenziale


integrativo anche per i pubblici dipendenti, grazie ad una graduale assimilazione delle


due posizioni lavorative.


Non a caso, anche il sistema previdenziale del settore pubblico, contestualmente con


quanto accaduto nell ambito privato, è stato interessato al progetto di riduzione della


spesa pubblica formulato nel provvedimento di delega legislativa n° 421 del 23


ottobre 1992.


La necessità di porre un freno al debito dello Stato spinse, infatti, il legislatore ad


intervenire congiuntamente sui centri di costo più macroscopici: sanità, pubblico


impiego, previdenza e finanza territoriale.


Tutti i provvedimenti delegati successivi hanno seguito come filo conduttore unico il


tentativo, riuscito o meno, di ridurre o razionalizzare la spesa pubblica anche


avviando collateralmente quel processo di riforma generale del pubblico impiego che


negli anni seguenti si completerà con il d.lgs. n° 29 del 3 febbraio 1993 e le sue


successive modifiche ed integrazioni12.


In attuazione della delega di cui all art. 3, comma 1, lettera v), della L. 421/1992


viene emanato il decreto legislativo n° 124 del 21 aprile 1993, il quale disciplina e


razionalizza le forme pensionistiche complementari pubbliche e private prima di


allora non sistematicamente organizzate.


Sistemi previdenziali aggiuntivi a quello pubblico obbligatorio, infatti, non erano


estranei al nostro ordinamento del settore privato, ma venivano ricondotti alla


disciplina degli artt. 2117 e 2123 del codice civile ed anzi, erano retti da un impianto


12 Da ultimo si veda il d.lgs. 165 del 30 marzo 2001.


10


tributario di favore in quanto originati da atti di natura collettiva o da regolamenti


aziendali13.


Proprio l’esclusione dalla comune imposizione fiscale degli emolumenti versati a


titolo di partecipazione alle forme pensionistiche complementari ha attraversato un


travagliato percorso giurisdizionale sul principio degli anni ’90.


Secondo la Corte Costituzionale14, alla correlazione tra i due pilastri, dovuta alla


totale deducibilità concessa sul piano fiscale ad entrambe le forme previdenziali, non


faceva riscontro una dignità paritaria nei rapporti interni tra i due sistemi; talché sulla


contribuzione integrativa era dovuto il contributo alla previdenza di base (cd.


contributo su contributo).


La sentenza incise pesantemente sul versante datoriale per il quale era dato ormai per


acquisito il principio dell’esonero delle somme di contribuzione privata.


Questo convincimento però, a dire il vero, trovava fondamento solo in alcune


interpretazioni effettuate dagli uffici periferici del Ministero del Lavoro e non aveva


un serio sostegno normativo.


Il Legislatore interviene in un processo di interpretazione autentica solo nel 1991 con


il Decreto Legge n° 103 del 29 marzo (convertito, con modificazioni, dalla Legge 1


giugno 1991 n° 166) determinando una conferma di sanatoria15 per i periodi


13 I tributaristi ritenevano che questo s istema fosse basato su un principio di cd. imposizione differita e comunque su una


imposizione più leggera di quella del periodo di riferimento.


14 Corte Costituzionale: sentenza n°427 del 03/10/1990.


15 DECRETO LEGGE 29 marzo 1991, n. 103 Art. 9-bis (Interpretazione autentica)


1. Salvo quanto disposto dai commi seguenti, dalla retribuzione imponibile di cui all articolo 12 della legge 30 aprile


1969, n. 153, sono escluse le contribuzioni e le somme versate o accantonate, anche con il sistema della mancata


trattenuta da parte del datore di lavoro nei confronti del lavoratore, a finanziamento di casse, fondi, gestioni o forme


assicurative previsti da contratti collettivi o da accordi o da regolamenti aziendali, al fine di erogare prestazioni integrative


previdenziali o assistenziali a favore del lavoratore e suoi familiari, nel corso del rapporto o dopo la sua cessazione. Tale


disposizione si applica anche ai periodi precedenti la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente


decreto; tuttavia i versamenti contributivi sulle predette contribuzioni e somme restano salvi e conservano la loro efficacia


se effettuati anteriormente alla data di entrata in vigore della medesima legge di conversione (1).


2. Fino alla data di entrata in vigore di norm e in materia di previdenza integrativa che disciplinino i regimi contributivi


cui assoggettare le contribuzioni versate ad enti, fondi, istituti che gestiscono forme di previdenza o assistenza


integrativa, e le prestazioni erogate dai fondi stessi, a decorrere dal periodo di paga successivo alla data di entrata in


vigore della legge di conversione del presente decreto, per le contribuzioni o le somme di cui al comma 1 è dovuto un


contributo di solidarietà ad esclusivo carico dei datori di lavoro nella misura del dieci per cento in favore delle gestioni


pensionistiche di legge cui sono iscritti i lavoratori (2).


3. Al contributo di solidarietà di cui al comma 2 si applicano le disposizioni in materia di riscossione, termini di


prescrizione e sanzioni vigenti per le contribuzioni dei regimi pensionistici obbligatori di pertinenza.


4. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano alle somme versate o accantonate dai datori di lavoro e dai


lavoratori presso casse, fondi, gestioni o forme assicurative previsti da accordi o contratti collettivi per la mutualizzazione


di oneri derivanti da istituti contrattuali. Le somme erogate ai lavoratori in applicazione degli istituti contrattuali di cui


sopra sono assoggettate a contribuzione previdenziale e assistenziale per il loro intero ammontare al momento della


effettiva corresponsione.


11


antecedenti e l’assoggettamento a un regime di vantaggio contributivo, nel tentativo


di istituire una sorta di concorrenza tra regime pubblico generale e regime


complementare, a far data dal 1° luglio 1991.


La legge 421/1992 e il successivo decreto 124/1993 confermano questa funzione di


correlazione tra previdenza pubblica e previdenza complementare con la ratifica del


contributo di solidarietà del 10%.


In attuazione della delega prevista dalla legge 421/ 92, lo sforzo di riduzione della


distanza tra i sistemi pensionistici dei dipendenti pubblici e privati fu parallelamente


condotto mediante il d.lgs. n. 503 del 30 dicembre 1992 mirante alla


omogeneizzazione dei calcoli e alla riduzione del livello di prestazioni per entrambi i


settori.


L esposto tentativo di avvicinamento dell area del lavoro pubblico a quella del privato


non ha però totalmente dissipato le incertezze e sciolto le riserve che impedivano la


sostanziale attivazione del secondo pilastro previdenziale anche nell impiego


pubblico.


Il nodo principale riguardava proprio la trasposizione del sistema di finanziamento


delle esperienze di previdenza complementare dei lavoratori privati.


L art. 8, comma 4 del d.lgs. 124/ 93 afferma che "nei casi di forme di previdenza


pensionistica complementare di cui siano destinatari dipendenti della pubblica


amministrazione, i contributi ai fondi debbono essere definiti in sede di


determinazione del trattamento economico".


Ora, proprio il trattamento economico cui fa riferimento il decreto legislativo,


mostrava una prima atipicità nel pubblico impiego non immediatamente livellata dal


precetto normativo.


L idea di fondo era quella del dirottamento di consistenti quote del t.f.r. al


finanziamento dei fondi di previdenza complementare.


12


Tuttavia, al momento dell entrata in vigore del d.lgs. 124/ 93 non esisteva un t.f.r. per


i dipendenti della pubblica amministrazione ma solo un sistema di indennità di


buonuscita che assumeva svariate denominazioni nei comparti.


Questa anomalia poneva problemi di utilizzo delle varie indennità per due ordini di


ragioni.


La prima riguarda la differente natura dei due istituti.


Le indennità di fine servizio avevano una natura previdenziale e non retributiva che


sostanzialmente ne impediva l’utilizzo ai fini propri della previdenza complementare;


non erano originate da accantonamenti annui ma finanziate con contributi a carico sia


dei datori di lavoro (nella misura: del 7,10% della retribuzione annua per un


dipendente dello Stato e del 3,60% per un dipendente di un Ente locale) che del


lavoratore (nella misura del 2,50%).


Il t.f.r., invece, essendo originato dagli accantonamenti annuali posti interamente a


carico del datore di lavoro, si presta meglio ad essere utilizzato come fonte di


finanziamento dei Fondi pensione.


In secondo luogo, le prestazioni finali del trattamento di fine servizio, o comunque


denominato, vengono calcolate con riferimento alla retribuzione dell’ultimo mese o


anno di servizio e questo impedisce di conoscere, prima della cessazione dal servizio,


il loro ammontare con conseguente impossibilità di effettuare prelievi di risorse da


versare ai Fondi pensione senza compromettere la gestione dell’Ente assicurativo; in


regime di t.f.r., invece, la prestazione finale si ottiene sommando gli accantonamenti


annui calcolati dividendo la retribuzione dovuta per l’anno stesso, per 13,5.


Il primo ostacolo, dunque, non era trascurabile dato che atteneva proprio alla


dotazione finanziaria dell impianto previdenziale di nuova costituzione.


Per ovviare a questa discrasia normativa si avviò un lungo percorso normativo e


giurisprudenziale che, almeno nominalmente, si è concluso solo in seguito al


D.P.C.M. del 2 marzo 2001.


13


§ 3. Dalle indennità al trattamento di fine rapporto.


L art. 2 della legge 8 agosto 1995, n.335 ai commi 5, 6, 7 e 8 ha stabilito per la


prima volta l applicazione del t.f.r. anche ai dipendenti pubblici e la cessazione "per i


lavoratori assunti dal 1° gennaio 1996 alle dipendenze delle Amministrazioni


pubbliche di cui all articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29" dei


"trattamenti di fine servizio, comunque denominati"16.


La stessa norma rinviava in tal senso alla contrattazione collettiva di comparto e ad


un successivo D.P.C.M. e introduceva la distinzione tra lavoratori già in servizio


(interessati alla transizione dal vecchio sistema al nuovo t.f.r.) e lavoratori assunti


dopo il 1° gennaio 1996, per i quali era prevista l automatica applicazione del t.f.r.


La legge finanziaria per il 1998 (legge 449 del 27 dicembre 1997, art. 59, comma 56)


ha successivamente introdotto, per i dipendenti già in servizio, la facoltà di optare per


l applicazione del t.f.r. stabilendo, per coloro che decidono in tal senso, la contestuale


iscrizione al fondo pensione. La norma ha quindi voluto formalizzare un principio


generale: la correlazione tra la scelta per il t.f.r. e quella per la previdenza


complementare17.


Ma l applicazione automatica del t.f.r. per i nuovi assunti, prevista dalla 335/ 95, è


stata successivamente differita alla data di entrata in vigore del previsto DPCM con


l Accordo quadro nazionale del 29 luglio 1999, sottoscritto presso l’ARAN dalle


organizzazioni sindacali, che ha ulteriormente regolato il t.f.r. e la previdenza


complementare.


16 Legge 335 del 8 agosto 1995, art. 2, comma 5.


17 Legge 449 del 27 dicembre 1997, art. 59, comma 56 "Fermo restando quanto previsto dalla legge 8 agosto 1995, n.


335, e successive modificazioni, in materia di applicazione delle disposizioni relative al trattamento di fine rapporto ai


dipendenti delle pubbliche amministrazioni, al fine di favorire il processo di attuazione per i predetti delle disposizioni in


materia di previdenza complementare viene prevista la possibilità di richiedere la trasformazione dell indennità di fine


servizio in trattamento di fine rapporto. Per coloro che optano in tal senso una quota della vigente aliquota contributiva


relativa all indennità di fine servizio prevista dalle gestioni previdenziali di appartenenza, pari all 1,5 per cento, verrà


destinata a previdenza complementare nei modi e con la gradualità da definirsi in sede di specifica trattativa con le


organizzazioni sindacali dei lavoratori".


14


Il DPCM viene poi emanato, nello stesso anno, in data 20 dicembre 1999, e conferma


il principio per il quale l’opzione per il t.f.r. è legata, per i dipendenti già in servizio,


alla necessità di adesione ad un fondo pensione (art.1).


Lo stesso decreto fissa il limite massimo del 2% della retribuzione base di riferimento


per il calcolo del t.f.r. quale quota destinabile ai fondi, precisa l’applicazione


automatica del t.f.r. per il personale assunto oltre la data della sua entrata in vigore,


chiarisce per costoro, in caso di iscrizione ad un fondo pensione, la possibilità di


destinazione integrale al fondo degli accantonamenti relativi al t.f.r. e, infine, delinea


il ruolo assunto dall’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti


dell’Amministrazione Pubblica (INPDAP) rispetto ai conferimenti ai fondi.


Trascorso appena un anno, il DPCM del 1999 è stato modificato dal DPCM del 2


marzo 2001 il quale, nel confermare il limite del 2% come quota massima di t.f.r.


destinabile ai fondi, ha stabilito che dopo la prima fase di attuazione “la predetta


quota è definibile dalle parti istitutive con apposito accordo”.


Quindi, nel pubblico impiego la disciplina attuale prevede:


a) l’applicazione obbligatoria del t.f.r. per:


-lavoratori assunti a tempo determinato dopo il 30 maggio 2000 (come


disposto dal DPCM 20/12/1999);


-lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo il 31 dicembre 2000 (come


disposto dal DPCM 2/03/2001).


b) la permanenza in regime di TFS per il personale a tempo indeterminato in servizio


alla data del 31 dicembre 2000 con possibilità di optare per il TFR mediante


l’adesione ad un fondo pensione complementare.


Rimangono al momento in regime di TFS, quale che sia la data della loro


assunzione nella Pubblica Amministrazione, i magistrati ordinari, amministrativi e


contabili, gli avvocati ed i procuratori dello Stato, il personale militare e delle forze


armate di polizia, il personale della carriera diplomatica e prefettizia, i professori ed


i ricercatori universitari, nonché i dipendenti degli Enti che svolgono la loro attività


nelle materie contemplate dall’art. 1 del D.Lgs del Capo provvisorio dello Stato


15


17/07/1947, n. 691, e dalle leggi n. 281/85 e n. 287/90 (personale della Borsa,


Consob ecc.)18.


Quanto ai soggetti che possono optare per il transito al regime del tfr, la scelta era


stata limitata da un punto di vista temporale sino al 31 dicembre 2001 (art. 2, comma


3, AQN 29 luglio 1999). Una prima proroga al diritto di opzione fu realizzata con


l’Accordo Quadro Nazionale dell’8 maggio 2002 (posticipo al 31 dicembre 2005) ed


in considerazione della mancata realizzazione di tutti i fondi del pubblico impiego, un


recente ulteriore Accordo quadro (sottoscritto il 2 marzo 2006 e pubblicato in G.U. n.


59 del 11 marzo 2006) ha provveduto a rinviare ulteriormente il termine al 31


dicembre 2010.


Ovviamente, il passaggio al regime del t.f.r. comporterà la soppressione del


contributo a carico del lavoratore del 2,50%, in virtù della già considerata natura


retributiva del trattamento che è composto da soli oneri a carico del datore di lavoro.


La soppressione del contributo, tuttavia, non determina effetti sulla retribuzione


imponibile ai fini fiscali. Pertanto, per assicurare l’invarianza della retribuzione netta


complessiva e delle ritenute fiscali tra i dipendenti in regime di TFS e quelli in


regime di TFR (compresi coloro che hanno optato per la trasformazione del TFS in


TFR mediante l’adesione ad un fondo pensione), il Dpcm 20 dicembre 1999 ha


stabilito che la retribuzione del personale in regime di TFR sia diminuita di un


importo pari al contributo soppresso. La retribuzione lorda così diminuita viene poi


aumentata figurativamente dello stesso importo ai fini della determinazione della


base utile sia per il trattamento di pensione sia per il TFR.


Ma neppure dopo l’ultima correzione del DPCM la disciplina del t.f.r. in ambito


pubblico ha trovato una sua certa e definitiva regolamentazione.


Risolvere questo nodo critico è, come detto, necessario per consentire l’avvio della


previdenza complementare per i dipendenti del pubblico impiego, sinora ostacolata


18Circolare INPDAP n° 29 dell’8 giugno 2000.


16


dalla “…tardiva ed incompleta estensione a questa categoria di lavoratori della


normativa relativa al t.f.r.”19.


19Commissione ministeriale per la valutazione degli effetti della legge 335/95 e successivi provvedimenti: Verifica del


sistema previdenziale ai sensi della legge n. 335 del 1995 e successivi provvedimenti, nell’ottica della competitività,


dello sviluppo e dell’equità – relazione finale; settembre 2001


17


§ 4. Effetti contrattuali.


L’ampia premessa inerente il t.f.r. si è resa necessaria per identificare


analiticamente le lente tappe attraverso le quali è passato l’ordinamento previdenziale


italiano come prefigurato dalla legge 421 del 1992.


Il complesso iter normativo sull’estensione del t.f.r. ai dipendenti pubblici è stato


correlato anche ad un’espansione dei poteri dei soggetti sindacali in termini di


iniziativa e di governo del settore della previdenza complementare.


Proprio la previsione normativa dell’art. 3 del d.lgs. 124 del 1993: “…l’istituzione dei


fondi può avvenire solo tramite la contrattazione collettiva”, contribuisce a definire


uno degli elementi di specificità del settore pubblico che, nonostante la generale


tendenza alla omogeneità normativa, ancora lo contraddistingue da quello privato.


È ormai unanimemente riconosciuto il diverso regime di efficacia soggettiva ed


oggettiva della contrattazione collettiva pubblica, rispetto al settore privato e ciò


conduce a criteri e regole istitutive dei fondi pensione diversi per i due settori.


Queste caratteristiche peculiari del momento negoziale creano, in ambito pubblico,


una vera e propria riserva di contrattazione di livello nazionale per l’istituzione delle


forme pensionistiche complementari dei dipendenti “contrattualizzati”20, mentre nel


settore privato sono consentite forme molto varie che vanno dagli accordi fra


lavoratori, ai regolamenti unilaterali di enti o aziende21.


Il principio testè citato è stato di recente confermato anche dalla riforma disposta


dalla legge 243/2004 e dal decreto legislativo di attuazione n. 252 del 5 dicembre


2005 che, anche se ancora inapplicati al settore pubblico, ribadiscono la prescrizione


20 Nel P.I. la costituzione di fondi per mezzo di accordi associativi è consentita solo per il “personale in regime di diritto


pubblico” di cui all’art. 3 del d.lgs. 165 del 30 marzo 2001 e cioè per i dipendenti il cui rapporto non sia stato


“privatizzato” (magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, personale delle forze armate e di polizia ecc.) “secondo le


norme dei rispettivi ordinamenti, ovvero, in mancanza, mediante accordi tra i dipendenti stessi promossi dalle loro


associazioni”.


21 D.lgs. 124/1993, art. 3, lettera a).


18


di un atto negoziale collettivo (nazionale) per dar vita a fondi di previdenza


complementare cui possono aderire i dipendenti del pubblico impiego22.


La riserva di contrattazione nazionale appena citata viene ulteriormente ribadita


allorquando si configura il modello di finanziamento delle forme pensionistiche


complementari (art. 8 del. D.lgs 252/2005); in quel contesto la norma precisa che


“…nel caso di forme pensionistiche complementari di cui siano destinatari i


dipendenti della pubblica amministrazione, i contributi alle forme pensionistiche


debbono essere definiti in sede di determinazione del trattamento economico,


secondo procedure coerenti alla natura del rapporto”, ribadendo analoga


disposizione contenuta nel d.lgs. 124 del 21 aprile 1993, tuttora attuabile nel rapporto


di lavoro alle dipendenze della P.A.


In realtà tutte le forme pensionistiche del settore privato, sinora autorizzate dalla


COVIP, risultano costituite in forza di specifici contratti collettivi nazionali di lavoro


visto che risulta confermato il fenomeno della “…tendenza delle fonti istitutive


legittimate alla costituzione di forme pensionistiche (nel caso, le organizzazioni di


rappresentanza dei lavoratori e delle imprese) a ricercare dimensioni adeguate alla


funzionalità dei fondi, assumendo a riferimento gli elementi di omogeneità presenti


nelle specifiche aree produttive e contrattuali” 23 ? 24 e la novella legislativa più


recente si è esclusivamente limitata a ribadire l’obbligo per i fondi negoziali della


Pubblica Amministrazione contrattualizzata.


Pur non potendo escludersi la possibilità, sia pur limitata, di ricorso alla


contrattazione integrativa anche per il pubblico impiego, come parte della dottrina


conferma, l’apertura a forme di contrattazione decentrata pare possibile se circoscritta


“…all’ambito di una eventuale delega di attribuzioni”25 dalla contrattazione


nazionale a quella integrativa come previsto dal comma 3 dell’art. 40, d.lgs. n. 165


del 2001.


22 Art. 3, comma 2, primo capoverso, d.lgs 252/2005 “Per il personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche di


cui all articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le forme pensionistiche complementari


possono essere istituite mediante i contratti collettivi di cui al titolo III del medesimo decreto legislativo.”


23 Alaimo A., La previdenza complementare dei dipendenti pubblici, R.D.S.S. 2002, p.139 e ss.


24 COVIP, Realazione anno 2001, maggio 2002, www.covip.it.


25 Bessone M., Previdenza complementare, Torino 2000.


19


Allo stato pare piuttosto inverosimile un ricorso a tale livello di contrattazione


decentrata vista la inversa necessità, questa già manifestatasi, di sviluppare a


condizioni di reciprocità, fondi pensionistici intracompartimentali allo scopo di


ridurre pro quota l’incidenza dei costi di gestione26.


Anche alla luce dell’innovato modello previdenziale disposto dalla recente riforma


243/2004, resta da escludersi la possibilità di disporre l’adesione dei lavoratori del


pubblico impiego, con utilizzo delle contribuzioni datoriali e delle quote di tfr, a


fondi regionali, aperti, territoriali, individuali e ad ogni altra forma complementare


non istituita con procedura di contrattazione collettiva nazionale di lavoro.


26 Una situazione analoga si è già verificata nella stagione contrattuale 1998-2001 quando, con norme di natura


programmatica, si è prevista l’istituzione di fondi unici per la previdenza di più comparti come l’art. 42, comma 2, del


contratto della Sanità sottoscritto il 7 aprile 1999, successivamente richiamato dall’art. 13 del CCNL sottoscritto il 20


settembre 2001 (Gazzetta Ufficiale n. 248 del 24 ottobre 2001 - Serie generale), che contempla “l istituzione di un fondo


unico con i lavoratori del comparto Regioni - autonomie locali, a condizioni di reciprocità”. Analoga previsione è


riportata all’art. 18, comma 2 del CCNL del comparto Regioni e autonomie locali per il biennio 2000-2001. Anche altri


comparti hanno deciso di coordinare i loro sforzi organizzativi: vedi art.36, comma 2, contratto comparto Ministeri del


16 febbraio 1999 (Gazzetta Ufficiale n. 46 del 25 febbraio 1999 - Supplemento ordinario n. 41) e art.48, comma 2,


CCNL comparto Enti Pubblici non Economici sottoscritto il 16 febbraio 1999 (Gazzetta Ufficiale n. 60 del 13 marzo


1999 - Supplemento ordinario n. 54).


20


§ 5. Il calcolo del TFR: comparazione dei regimi contrattuali.


La base di calcolo del Trattamento di Fine Rapporto è costituita da alcuni


elementi della retribuzione: intero stipendio tabellare, intera indennità integrativa


speciale27, retribuzione individuale di anzianità, tredicesima mensilità e tutti gli


emolumenti considerati utili ai fini del calcolo dell’indennità di fine servizio


comunque denominata ai sensi della preesistente normativa.


Il comma 2 dell’art 2120 del codice civile consente, con una norma di chiusura, la


possibilità che i contratti collettivi di comparto aggiungano ulteriori voci retributive


alla base di calcolo.


Quasi tutti i CCNL hanno fatto ricorso ad una rideterminazione degli elementi


costitutivi di tale base, cosicché la disciplina risulta abbastanza inorganica ed


eterogenea.


Si è, pertanto, presentata la necessità di disporre di una sintesi della sistematica


contrattuale che mostra sperequazioni, non solo a causa della diversa terminologia


utilizzata per normare il medesimo istituto nei vari comparti, ma anche a motivo del


fatto che i contratti riconoscono alla parte fissa, utile ai fini del calcolo del tfr, ed a


quella variabile della retribuzione quote molto differenti da comparto a comparto.


Tutti i comparti e le aree del Pubblico Impiego che attingeranno risorse dai


finanziamenti disposti ex legge 388/2000 hanno, infine, individuato anche la


percentuale di contribuzione di competenza della parte datoriale (1%).


Da una ricognizione generale delle basi di calcolo del tfr, proposte dai vari contratti


collettivi ad integrazione di quanto previsto dall’art.2120 del Codice Civile, se ne


ricava un quadro difficile da ricondurre ad omogeneità ma che consentirebbe, previo


espletamento degli atti normativi ancora mancanti, di rendere finalmente operativa la


previdenza complementare nella Pubblica Amministrazione.


27 La trascorsa stagione contrattuale ha portato al conglobamento nello stipendio tabellare dell’indennità integrativa


speciale. Nei contratti sinora rinnovati all’ARAN le parti hanno convenuto di apporre in calce al testo contrattuale una


nota che impedisse che tale conglobamento avesse effetti anche ai fini previdenziali ma non ai fini del TFS.


21


§ 6. Il ruolo dell’INPDAP: Il meccanismo figurativo (virtuale).


Nella gestione dei flussi finanziari che derivano dal sistema prefigurato


dall’ordinamento giuridico attuale, l’Istituto Nazionale di previdenza per i Dipendenti


delle Amministrazioni Pubbliche svolge un ruolo di rilievo.


Il complesso impianto costruito prefigura, infatti, l’attribuzione di compiti particolari


all’istituto di previdenza pubblico, derivanti anche dalla specificità del settore che,


pur ridimensionata, continua a mostrare talune peculiarità.


All’INPDAP vengono attribuiti compiti in materia di gestione del TFR che


fatalmente riversano i propri effetti nel campo della previdenza complementare.


Tra questi il più rilevante attiene alla funzione di accantonamento e gestione


figurativa delle quote di TFR di tutti i dipendenti pubblici nonché delle quote,


anch’esse virtuali, relative all’1,5% della base contributiva di riferimento utile ai fini


dei vigenti trattamenti di fine servizio comunque denominati per coloro che, in


servizio al 31/12/2000 abbiano optato per il passaggio al TFR con contestuale


adesione al Fondo pensione.


Si parla di quote virtuali perché per il pubblico impiego non esiste materialmente


alcun TFR da conferire al Fondo pensione.


Tale virtualità costituisce lo strumento attraverso il quale si realizza la classica


dilazione del debito che emergerà a carico dell’INPDAP tra qualche decennio


quando, all’atto della cessazione dei rapporti di lavoro, l’Istituto si troverà a dover


corrispondere materialmente la prestazione.


Infatti, se lo Stato fosse stato costretto a finanziare materialmente il TFR per tutti i


dipendenti pubblici, avrebbe dovuto sopportare un esborso di circa 4,13 miliardi di


euro l’anno (pari a circa 8.000 miliardi di lire l’anno28) ed in mancanza di una


copertura finanziaria sufficiente si sarebbe messo a repentaglio l’intento di avviare il


secondo pilastro previdenziale.


28 Stima Ministero dell’Economia, anno 1997.


22


Purtroppo, una siffatta situazione rischia oltremodo di scaricare i suoi improvvidi


effetti sulle future generazioni di pensionati e, ormai da più parti, si auspica la


sostituzione del figurativo con il reale.


In base all’art. 2 del DPCM del 20/12/1999 e successive modifiche, l’Ente di


previdenza dei dipendenti pubblici, al momento della cessazione dal servizio del


lavoratore, ha l’obbligo di conferire al Fondo pensione il montante maturato


costituito dagli accantonamenti figurativi riguardanti sia le quote di TFR che quelle


relative al versamento della percentuale dell’1,5%, entrambe rivalutate dall’INPDAP


sulla base di un tasso di rendimento che, in via transitoria, per il periodo di


consolidamento della struttura dei fondi pensione dei dipendenti pubblici,


corrisponderà alla media dei rendimenti netti di un paniere di fondi di previdenza


complementare; successivamente, si applicherà il tasso di rendimento netto dei fondi


pensione dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche.


Di recente il Ministero dell’Economia a provveduto ad emanare il previsto DM 23


dicembre 200529 relativo all’individuazione del “paniere” di fondi già esistenti da


utilizzare come parametro per la rivalutazione annua delle quote di tfr conferite ai


fondi negoziali e computate dall’INPDAP.


Il decreto, già previsto dall’Accordo Quadro Nazionale del 29 luglio 1999 e dal


DPCM 20 dicembre 1999, ha parzialmente derogato rispetto alle indicazioni fornite


dalle fonti a quo.


Infatti, sia l’AQN 1999 che il DPCM prevedevano che il paniere fosse determinato


includendo i fondi con “maggiore consistenza di aderenti” mentre, il decreto firmato


individua i 13 fondi utili, riferendosi alla dimensione del bacino di potenziali aderenti


e non alla consistenza numerica effettiva.


Questo sistema di rivalutazione per l’anno 2005 produrrà un tasso di rendimento del


montante virtuale pari al 7,34%30 rispetto ad un rendimento del tfr che, per lo stesso


anno, è stato pari al 2,63%.


29 G.U. n. 19 del 24 gennaio 2006.


30 Stima Ufficio Studi e Documentazione ARAN.


23


Comparti/Aree Unità al


31/12/2000


Retribuzione


media


convenzionale al


31/12/2000


% INPDAP


Limite delle


risorse spettanti


in Mld di lire


MINISTERI 274.680 33.570.180 11,77 35,2952733


AZIENDE 38.845 31.471.021 1,56 4,6793098


SCUOLA 1.153.897 42.567.000 62,67 188,007826


CORPI DI POLIZIA 328.173 32.759.054 13,72 41,150019


PREFETTI 1.617 73.638.000 0,15 0,45577221


DIPLOMATICI 960 92.270.000 0,11 0,339053


FORZE ARMATE 171.135 37.014.732 8,08 24,246513


MAGISTRATI 10.072 151.125.000 1,94 5,82623331


Totale 1.979.379 100 300


Il DPCM del 1999, così come modificato nel 2001, ha anche attribuito all’INPDAP la


funzione di ripartire tra i vari fondi pensione le risorse messe a disposizione dal


Governo e trasferite all’Istituto per finanziare la previdenza complementare.


Tale ripartizione verrà effettuata tenendo conto dei trattamenti retributivi medi e della


consistenza del personale in servizio nelle varie amministrazioni al 31/12/2000.


A quest’ultima incombenza l’INPDAP ha già fatto fronte con Determinazione del


dirigente generale n° 216 del 26 novembre 2002 secondo la quale le misure di riparto


delle risorse sarebbero: Ministeri 11,77%, Aziende Autonome 1,56%, Scuola


62,67%, Forze Armate 8,08%, Forze di Polizia 13,72%, carriera Diplomatica 0,11%,


carriera Prefettizia 0,15%, Magistrati 1,94%.


Di seguito si è provveduto a meglio esplicitare i criteri di riparto adottati.


Schema di ripartizione dei finanziamenti (300 mld) ex legge 388/2000.


Spetta da ultimo all’INPDAP provvedere alla rivalutazione annuale degli


accantonamenti di tfr non destinati alla previdenza complementare ad un tasso


costituito dall’1,50% in misura fissa e dal 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al


consumo, secondo le disposizioni dell’art. 2120 del codice civile.


In sintesi al lavoratore faranno capo due conti presso la gestione dell’Istituto: uno


costituito da risorse reali, l’altro composto dai soli elementi figurativi.


24


Diverso sarà anche il sistema dei rendimenti delle risorse dei due conti che, mentre


nel primo caso godranno dei profitti effettivi derivanti dall’impiego sui mercati


finanziari, nel secondo saranno rivalutate sulla base della media dei rendimenti netti


dei fondi individuati con DM Economia 23 dicembre 2005.


25


§ 7. Il finanziamento della previdenza complementare.


Una delle particolarità che presenta l attivazione di fondi pensionistici


complementari collettivi negli Enti pubblici "contrattualizzati" è rappresentata dal


sistema di finanziamento.


Come già chiarito, infatti, se per i dipendenti di aziende private la copertura


finanziaria della prestazione complementare è garantita dalle quote materialmente


corrisposte al fondo dai datori di lavoro, per i dipendenti della Pubblica


Amministrazione cd. allargata il meccanismo virtuale in precedenza descritto,


consente di avere a disposizione somme effettive ridotte da destinare alla dotazione


dei Fondi complementari.


Occorre, quindi, per consentire l avvio ed il funzionamento a regime dell impianto


previdenziale complementare, che lo Stato, per mezzo della fiscalità generale,


individui soluzioni che consentano l’incremento della dotazione finanziaria da


trasferire ai Fondi.


La ricostruzione storica delle fonti che hanno sostenuto economicamente questa


prima e tortuosa fase di avvio non è agevole.


Se è vero che le norme succedutesi hanno provveduto a destinare, rectius, a ipotizzare


la destinazione di somme da adibire alle varie impellenze che si fossero


eventualmente presentate, non con altrettanta solerzia si è dotata questa normativa di


specifiche regole di utilizzo talché, ancora a tutt’oggi, pare difficile fornire una pronta


risposta alle richieste avanzate dai contratti collettivi.


Questo, però, non impedisce di effettuare una ricognizione attuale delle disponibilità,


onde ricercare e, sommessamente, suggerire eventuali criteri di adeguamento del


meccanismo dei flussi economico-finanziari.


La prima dotazione della previdenza complementare per i dipendenti della Pubblica


Amministrazione risale all’art. 26 comma 1831 della legge 448 del 23 dicembre


31 legge 448, 23/12/1998, art.26 comma 18. “La somma da destinare effettivamente ai fondi gestori di previdenza


complementare, ai sensi dell articolo 59, comma 56, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, resta stabilita in lire 200


26


199832 (legge finanziaria per il 1999) che assegnava a tali scopi una somma pari a


200 miliardi di lire.


Con il successivo art. 3 del Decreto Legge 24 novembre 2000, n. 34633 viene


assegnata ai fondi di previdenza complementare per l’anno 2000 una somma una


tantum pari a 100 miliardi di lire.


Infine, l’art. 74 della legge 388 del 23 dicembre 2000 (legge finanziaria 2001)34 eleva


il contributo a carico della fiscalità generale da 200 a 300 miliardi di lire a decorrere


dall’anno 2001.


miliardi annue. Nei limiti di tale importo sono trasferite ai predetti fondi quote degli accantonamenti annuali del


trattamento di fine rapporto dei lavoratori interessati”.


32 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 1998 - Supplemento Ordinario n. 210.


33 pubblicato nella G.U. n. 277 del 27.11.2000, non convertito:


“Art. 3. - Disposizioni in materia di previdenza complementare per i dipendenti delle amministrazioni delloStato


1. Per far fronte all obbligo della pubblica amministrazione, ai sensi dell articolo 8, comma 1, del decreto legislativo


21 aprile 1993, n. 124, di contribuire, quale datore di lavoro, al finanziamento e al funzionamento dei fondi di


previdenza complementare di cui al citato decreto legislativo n. 124 del 1993 per i dipendenti delle amministrazioni


dello Stato anche ad ordinamento autonomo, in corrispondenza delle risorse contrattualmente definite, eventualmente


destinate dai lavoratori allo stesso fine, è assegnata la somma di lire 100 miliardi per l anno 2000. Tale somma è


trasferita all Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell amministrazione pubblica (I.N.P.D.A.P.), che


provvede al successivo versamento ai fondi di previdenza complementare con modalità stabilite con decreto del


Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro del


tesoro, del bilancio e della programmazione economica, ed il Ministro del lavoro e della previdenza sociale.


2. All onere derivante dal comma 1, pari a lire 100 miliardi per l anno 2000, si provvede mediante riduzione dello


stanziamento iscritto nell ambito dell unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di


previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l anno finanziario 2000,


parzialmente utilizzando l accantonamento relativo al medesimo Ministero. Il Ministero del tesoro, del bilancio e della


programmazione economica è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le necessarie variazioni di bilancio”.


34 legge 388/2000, Art.74. “(Previdenza complementare dei dipendenti pubblici)


1. Per fare fronte all obbligo della pubblica amministrazione, ai sensi dell articolo 8, comma 1, del decreto


legislativo 21 aprile 1993, n. 124, di contribuire, quale datore di lavoro, al finanziamento dei fondi gestori di


previdenza complementare dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, in


corrispondenza delle risorse contrattualmente definite eventualmente destinate dai lavoratori allo stesso fine, sono


assegnate le risorse previste dall articolo 26, comma 18, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, nonché lire 100 miliardi


annue a decorrere dall anno 2001. Per gli anni successivi al 2003, alla determinazione delle predette risorse si


provvede ai sensi dell articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.


2. Le complessive risorse di cui al comma 1, ivi comprese quelle previste dall articolo 26, comma 18, della


legge 23 dicembre 1998, n. 448, con riferimento agli anni 1999 e 2000, sono trasferite all INPDAP, che provvede al


successivo versamento ai fondi, con modalità da definire con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su


proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della


programmazione economica da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.


3. In fase di prima attuazione, la quota di trattamento di fine rapporto che i dipendenti già occupati alla data


del 31 dicembre 1995 e quelli assunti nel periodo dal 1° gennaio 1996 al 31 dicembre 2000 che hanno esercitato


l opzione di cui all articolo 59, comma 56, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, possono destinare ai fondi pensione,


non può superare il 2 per cento della retribuzione base di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.


Successivamente la predetta quota del trattamento di fine rapporto e definita dalle parti istitutive con apposito


accordo.


4. ….


5. ….


27


Delle somme testé citate, e riferite ad esercizi finanziari passati, si ha la certezza di


aver potuto disporre solo dei 5,49 miliardi di lire già in cassa35 a titolo di copertura


delle prime spese di attivazione e costituzione del Fondo del comparto scuola oltre


che di quelli inerenti la contribuzione datoriale annuale ed il bonus del primo anno


per gli aderenti allo stesso fondo Espero.


A far data dall’entrata in vigore dell’art.1 comma 6 del decreto legge 194, del 6


settembre 2002 (cd. bloccaspese)36 "Le somme stanziate per spese in conto capitale


non impegnate alla chiusura dell esercizio possono essere mantenute in bilancio,


quali residui, non oltre l esercizio successivo a quello cui si riferiscono, salvo che si


tratti di stanziamenti iscritti in forza di disposizioni legislative entrate in vigore


nell ultimo quadrimestre nell esercizio precedente. In tale caso il periodo di


conservazione è protratto di un anno"; inoltre, essendo considerati da un punto di


vista contabile come residui di stanziamento e pertanto iscritti in un fondo di riserva,


possono essere resi esigibili solo a fronte di un credito vantato.


Appare dunque difficile supporre l’utilizzo effettivo degli stanziamenti pregressi,


salvo ipotizzare la possibilità di retrodatare o di certificare un credito dei Fondi


previdenziali complementari risalente al periodo di impegno della spesa.


Quanto alle disponibilità stabilite nelle ultime leggi di bilancio dello Stato (tabella C),


un primo ridimensionamento è stato disposto con la legge n. 311 del 30 dicembre


2004 (finanziaria 2005)37 ed un ulteriore limitazione è stata prevista nella legge n.


266 del 23 dicembre 2005 (finanziaria 2006) che attualmente stabilisce una dotazione


35 Tale quota è stata individuata nel Accordo per l’istituzione del fondo nazionale pensione


complementare per i lavoratori della scuola sottoscritto dall’Aran e dalle rappresentanze sindacali il


14 marzo 2001, il quale all’art 16 recita: Art.16 Spese di avvio del Fondo


Per fronteggiare i costi di avvio del Fondo, l INPDAP in fase di prima attuazione, verserà all atto della costituzione


del fondo stesso la quota di iscrizione di L.5000 "pro capite" riferita al numero dei dipendenti del comparto.


A tale onere si fa fronte nell ambito della quota del comparto scuola della somma di 100 miliardi trasferita all INPDAP


con le modalità dell art. 3 del D.L. 346/2000. All atto dell adesione il lavoratore associato verserà una quota di


iscrizione al fondo nella misura prevista dal Consiglio di Amministrazione.


Il calcolo, come si evince dal rapporto di certificazione del predetto accordo (13 marzo 2001), è dato dal prodotto del


numero di dipendenti pari a 1.098.000 per la quota forfetaria di lire 5.000 cad. a carico dall’INPDAP.


36 pubblicato in G.U. n. 209 del 6 settembre 2002


37 il flusso stabilito è pari a 144,944 milioni di euro per il 2005, a 140,664 milioni di euro per il 2006, e a 141,182


milioni di euro per il 2007.


28


pari a 133,280 milioni di euro per il 2006, 136,220 milioni di euro per il 2007 e


136,220 milioni di euro per il 2008.


Ulteriori dubbi ha creato poi l’utilizzo e ripartizione dei finanziamenti tra i comparti


del Pubblico impiego, anche se al momento appaiono impropriamente fugati delle


recenti disposizioni.


Infatti, per espressa previsione dell’art. 2, comma 3 del DPCM 20 dicembre 199938,


come modificato dal DPCM 2 marzo 2001, sono stati fissati, per l’assegnazione pro


quota ai vari comparti delle risorse a disposizione dei Fondi pensione, alcuni criteri di


proporzionalità che prendono a riferimento il trattamento retributivo medio dei


dipendenti delle Amministrazioni dello Stato e la consistenza del personale in


servizio39.


In prima analisi, l’Accordo per l istituzione del fondo nazionale pensione


complementare per il personale del comparto Scuola Espero40 aveva previsto la


ripartizione dei 300 mld di lire annui solo tra i comparti dei Ministeri, della Scuola,


delle Aziende e dei Corpi di Polizia41, ma la determina n° 216 del 26 novembre 2002


dell’INPDAP, emanata sulla scorta del parere favorevole del Dipartimento della


Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha considerato le


categorie di tutto il personale delle Amministrazioni dello Stato, contrattualizzato e


non, individuando anche le percentuali di riparto delle risorse.


Si deve ricordare, che la ripartizione dei 300 miliardi, così come indicata nella


relazione tecnica del citato Accordo istitutivo del fondo scuola, trasmessa dall’ARAN


alla Corte dei Conti per la dovuta certificazione in data 1 marzo 2001, non è stata


contestata né dal Consiglio dei Ministri42 né dalla stessa magistratura contabile.


38 DPCM 20 dicembre 1999 (testo coordinato con modifiche di cui al DPCM 2 marzo 2001), art.2, comma 3:


L’INPDAP opera il riparto tra i vari fondi delle risorse complessivamente a disposizione tenendo conto di criteri


proporzionali. A tale scopo sono presi a riferimento rispettivamente il trattamento retributivo medio dei dipendenti


delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo (convenzionalmente calcolato in base all’intero


stipendio tabellare, all’intera indennità speciale, alla retribuzione individuale di anzianità e alla tredicesima mensilità)


e la consistenza del personale in servizio, alla data del 31 dicembre 2000”.


39 Supra, pag. 22.


40 Siglato il 14 marzo 2001.


41 dalla Relazione Tecnica sull’ipotesi di accordo istitutivo del Fondo Nazionale pensione complementare per i


lavoratori della scuola certificata dalla Corte dei Conti in data 1 marzo 2001.


42 Il parere favorevole è espresso nella riunione del Consiglio dei Ministri del 7 febbraio 2001.


29


Oltre ad apparire inopportuna, la successiva estensione degli ambiti soggettivi di


applicazione del finanziamento pubblico, è contestabile almeno sotto un ulteriore


profilo.


Se è pur vero che l’art. 3, comma 2, del d. lgs n.124 del 1993, prevede, anche per i


dipendenti non contrattualizzati, la possibilità di istituire forme pensionistiche


complementari secondo le norme dei rispettivi ordinamenti ovvero, in mancanza,


mediante accordi tra i dipendenti stessi promossi da loro associazioni, lo è altrettanto


il fatto che, a costoro, non è estesa la normativa di trasformazione del tfs in tfr43 e,


visto che secondo l’art. 2, comma 3 del DPCM 20 dicembre 1999 il riparto dei fondi


avverrà “…in conto di quote degli accantonamenti annuali del trattamento di fine


rapporto…”, non si comprende fino in fondo secondo quale ratio si sia pervenuti ad


una tale ampia interpretazione che, al limite, sarebbe corretta solo per forze armate e


forze di polizia in virtù dell’art. 26, comma 20, della legge 448/1998, il quale ha


provveduto ad armonizzare la normativa di comparto con quella dei settori già


“contrattualizzati”.


Da questo sistema restano comunque escluse alcuni importanti comparti ed aree


dell’Impiego Pubblico “privatizzato”.


Le predette risorse, infatti, sia pur con le incertezze appena esposte, saranno ripartite


solo tra le Amministrazioni dello Stato in senso stretto dalle quali sono distinti i


regimi delle autonomie.


Per completezza di esposizione, si ricorda che, per queste ultime, il reperimento delle


risorse resta a carico dei capitoli di spesa delle singole amministrazioni.


Seguendo tale procedura una prima indicazione viene dal comitato di settore per il


comparto Sanità.


Con l’Atto di Indirizzo per il rinnovo del CCNL del personale del comparto, relativo


il biennio economico 2000-2001, trasmesso al Ministro della Funzione Pubblica in


data 24 maggio 2001, il predetto organo di settore presso la Conferenza dei Presidenti


43 Supra, pagg. 14-15.


30


delle Regioni e delle Province Autonome al punto 5 conferma che “..al fine dell’avvio


della previdenza complementare si rendono disponibili 100 miliardi”.


I comparti e le aree della dirigenza ancora sprovvisti afferiscono in particolare agli


Enti Pubblici non Economici, alla Ricerca, all’Università; altri, come quello delle


Regioni e degli Enti Locali ed il già citato comparto della Sanità pur avendo disposto


una sostanziale copertura di tali oneri, fanno riferimento ad un procedimento tecnico


di erogazione e di accredito che non ne consentirebbe una agevole disponibilità e non


ne garantirebbe l’economicità gestionale.


Per questi motivi l’ARAN ha più volte suggerito di disporre un emendamento all’art.


74 della legge finanziaria 388/2000 che consentirebbe di ricorrere agli stessi


finanziamenti delle amministrazioni centrali per sopperire alle sole necessità di avvio


di tutti i fondi della pubblica amministrazione “allargata”, compreso i settori afferenti


alle autonomie.


L’emendamento già proposto nella XIV Legislatura con il disegno di legge (Atto


Camera C-5736) di iniziativa del Governo sul Piano d’azione per lo sviluppo


economico, sociale e territoriale (approvato dal Consiglio dei Ministri n. 198 del 11


marzo 2005), e che conteneva la previsione della possibilità di utilizzare le risorse


stanziate annualmente nel Bilancio dello Stato (3.1.5.9 - Previdenza complementare


P.A -.cap. 2156)44 anche al fine di sostenere le sole spese di avvio dei Fondi di tutte le


Amministrazioni pubbliche, in considerazione dell’esiguità della spesa ampiamente


coperta dagli importi annualmente stanziati, è stato approvato in prima lettura dalla


Camera dei Deputati45 con parere favorevole di maggioranza ed opposizione ma si è


definitivamente arenato nella discussione al Senato (A.S. 3533) per il sopraggiungere


della fine della legislatura.


44 AC 5736, art. 15, comma 12.


45 Seduta n. 650 del 5 luglio 2005.


31


PARTE II


§ 1. Suggerimenti operativi.


Lo studio si è sino ad ora limitato a dare una riassuntiva indicazione dello stato


dell’arte della previdenza complementare nel settore del pubblico impiego


contrattualizzato. La seconda parte del presente documento viene stilata con l’intento


di fornire elementi per un’agenda di lavoro dei soggetti istituzionalmente interessati.


L’intento dell’Osservatorio è quello di riportare all’attenzione di tutte le parti la


necessità di risolvere alcuni limitati nodi tecnici e politici che consentirebbero di


estendere i benefici del secondo pilastro previdenziale anche agli oltre due milioni di


lavoratori che ancora ne restano sprovvisti.


L’eventuale avvio di una fase attuativa della riforma del sistema previdenziale


pubblico e complementare anche nel settore pubblico dovrebbe sicuramente essere


anticipata quantomeno dalla concreta istituzione delle forme previdenziali


complementari già previste dagli accordi e dai protocolli di intesa sottoscritti dalle


parti sociali.


Nelle intenzioni degli ideatori del secondo pilastro previdenziale nel pubblico


impiego, c’era chiara l’idea di costituire dei Fondi che potessero affrontare senza


timore il mercato finanziario, grazie all’ampia platea di riferimento dei possibili


aderenti costituita per accorpamento di più comparti ed aree.


La previsione, più volte ribadita, è stata dichiarata particolarmente in due documenti:


il protocollo in tema di costituzione dei fondi pensione complementari dell’8 maggio


2001, che ha esplicitato la volontà delle aree dirigenziali di partecipare agli stessi


fondi definiti per il relativo comparto; e l’atto di indirizzo contenuto nel verbale n. 14


del 27 ottobre 1999 dell’Organismo di Coordinamento dei Comitati di Settore che ha


demandato all’ARAN di procedere alla definizione degli accordi sui Fondi pensione


relativamente alle aggregazioni Stato-Parastato-Aziende, Enti Locali-Sanità, Medici,


Scuola, Università-Ricerca.


Questa premessa di ordine dimensionale è necessaria per chiarire che la necessità di


istituire fondi complementari afferenti a un sostanzioso numero di potenziali aderenti,


32


resta una priorità assoluta da confermare e garantire nel prosieguo delle trattative


sindacali.


Accanto a tale principio occorre però definire con chiarezza e rapidità alcune


impellenze di carattere normativo, contrattuale e tecnico economico che


consentiranno di pareggiare il gap con il settore privato nel rendere operativo il


pilastro previdenziale complementare di origine negoziale.


Per tutti i Fondi del settore pubblico resta prioritario un intervento duplice: del


Legislatore su proposta del Governo e del Governo stesso con una iniziativa


regolamentare-normativa.


Il primo intervento, già citato46, attiene alla riproposizione del disegno di


emendamento dell’art. 74 della legge finanziaria per il 2001 (L. 388/2000)


integrando, nella copertura delle risorse statuite annualmente in bilancio ai fini della


previdenza complementare del pubblico impiego, anche la possibilità di garantire il


solo finanziamento una tantum delle spese di avvio dei fondi che riguardano le


amministrazioni pubbliche autonome.


L’impegno di spesa stimato per supportare le sole spese di avvio di tutti i futuri fondi


della P.A., garantendo un contributo pari a 3,10 euro per ogni dipendente, sarebbe


pari a circa 8 milioni di euro47; somma ampiamente coperta con le risorse già previste


nel bilancio dello Stato.


Il secondo intervento riguarda la definizione di una regolamentazione amministrativa


di competenza del Governo.


Il Consiglio dei Ministri dovrebbe predisporre un apposito DPCM che definisca le


autorità che provvederanno alle designazioni degli organi statutari (C.d.A., Revisori


dei Conti, Delegati d’assemblea) dei fondi di previdenza costituiti, costituendi e da


costituire.


La bozza di DPCM (che prevede una ipotesi concertativa fra i ministri della Funzione


Pubblica, del Lavoro e dell’Economia) è già stata predisposta e potrebbe essere


immediatamente attivato l’iter di approvazione.


46 Supra, pag. 29.


47 Relazione di quantificazione degli effetti finanziari A.C. 5736, pag. 47.


33


Questa ipotesi, peraltro, farebbe salvi gli atti compiuti per il Fondo scuola Espero e


darebbe una adeguata omogenea sistemazione alla vacante disciplina di settore.


Una trattazione particolare richiedono, infine, i processi di trasformazione di


segmenti della P.A. in enti pubblici economici o S.p.A. Nelle fasi di transizione


potrebbe risultare utile disporre di una normativa generale che regolamenti il


trattamento previdenziale complementare ed i trattamenti di fine servizio.


Di seguito la trattazione proseguirà per aree tematiche introducendo


segnalazioni che riguardano i singoli fondi di previdenza complementare in attesa di


definizione.


§ 1.1. Fondo Scuola Espero.


Il Fondo di previdenza complementare per i lavoratori della scuola, Fondo scuola


Espero, dal 17 novembre 2003 è una realtà del sistema previdenziale italiano.


In tale data, infatti, è stato sottoscritto dai rappresentanti legali dell’ARAN e delle


O.O.S.S. della scuola, l’atto costitutivo di quello che potenzialmente potrebbe essere


il maggiore Fondo del Pubblico Impiego al quale sono interessati oltre un milione di


dipendenti.


È la prima esperienza di previdenza complementare nella Pubblica Amministrazione


e si basa su un sistema di finanziamento a contribuzione definita ed a capitalizzazione


individuale.


Il difficile cammino è iniziato con l’Accordo istitutivo del Fondo, risalente al 14


marzo 2001, definito tra l’ARAN e le OO.SS. della scuola (CGIL/SNS, CISL scuola,


UIL scuola, SNALS, GILDA-UNAMS, ANP).


Il periodo di lavoro trascorso ha richiesto il comune impegno di tutti i soggetti


interessati (ARAN, Funzione Pubblica, Istruzione, Lavoro, Economia e Finanze) ed è


frutto di una costante collaborazione con la COVIP, Commissione di Vigilanza sui


Fondi Pensione, e l’INPDAP, Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti


dell’Amministrazione Pubblica


34


Un cospicuo lavoro di completamento della strumentazione normativa si è reso


necessario per adeguare l’impianto giuridico preesistente, soprattutto quello


riguardante il sistema di designazione dei componenti di parte datoriale dei primi


organi collegiali dei Fondi ed i requisiti di professionalità degli stessi per assicurare


condizioni di parità per i rappresentanti della Pubblica Amministrazione ampliando la


portata dell’art. 4 lett. d del DM 211/’97.


La soluzione a tali problemi si è avuta con il DPCM 2 maggio 2003 (pubblicato in


G.U. n° 201 del 30/08/2003), che ha risolto i dubbi riguardanti la determinazione


della competenza alla nomina dei primi organi collegiali del Fondo affidandola per il


comparto e l’area della scuola al Ministro della Istruzione, dell’Università e della


Ricerca indicando che “sono fatti salvi i provvedimenti già adottati per l avvio del


costituendo Fondo nazionale pensione complementare per i lavoratori della scuola


e che per “…i fondi pensione relativi al personale dipendente da amministrazioni


statali o che accorpino, ai fini della previdenza complementare, il predetto personale


a quello di amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato, i componenti dei primi


organi collegiali, rappresentanti di parte datoriale, sono designati con decreto del


Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro dell economia e delle


finanze e con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, e nominati in sede di atto


costitutivo, ai sensi dell art. 5, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 1993, n.


124, come modificato dall art. 74, comma 5, della legge 23 di-cembre 2000, n. 388” .


Con il D.M. lavoro 20 giugno 2003 (G.U. n° 155 del 07/07/2003) si è anche


provveduto a definire i requisiti di professionalità necessari all’assunzione di alcune


cariche del Fondo integrando le funzioni dirigenziali svolte presso amministrazioni o


enti pubblici tra quelle già ritenute utili.


Espero segna la strada per l’implementazione del secondo pilastro della previdenza,


quello complementare di fonte negoziale parallelo al sistema generale obbligatorio, in


tutti i comparti e le aree della Pubblica Amministrazione nei tempi necessari


all’ulteriore adeguamento normativo che dovrà implicare i medesimi contributi


35


costruttivi e la stessa coesione di tutte le parti precedentemente citate già riscontrata


per il comparto e l’area della scuola.


Gli iscritti aderiranno al fondo, per il tramite del loro datore di lavoro che a seguito di


delega scritta tratterrà un contributo pari all’1% dello stipendio tabellare,


dell’indennità integrativa speciale (ormai conglobata nello stipendio tabellare) e della


tredicesima mensilità.


Al contributo ordinario testé citato si aggiungerà, all’atto dell’iscrizione, il


versamento da parte del lavoratore di una quota una tantum nella misura indicata


anche dal primo C.d.A. per le spese di avvio del Fondo.


L’Amministrazione (datore di lavoro) contribuirà per un ulteriore 1% inoltre, come


disposto dall’art. 12 dell’Accordo istitutivo del Fondo della scuola “…nell ambito


delle risorse finanziarie complessivamente disponibili a carico del bilancio dello


stato, al fine di incentivare l avvio del Fondo, il contributo del datore di lavoro è


maggiorato di una quota aggiuntiva pari allo 1% per coloro che si iscrivono nel


primo anno dall entrata in esercizio del fondo e solo per dodici mesi. Per coloro che


si iscrivono nel secondo anno la quota aggiuntiva è pari allo 0.50% sempre per una


durata di soli 12 mesi”48.


Sostanzialmente il sistema per il finanziamento dei Fondi da parte delle


Amministrazioni è lo stesso già esaminato nella prima parte della presente trattazione


e risale alla legge 388 del 23 dicembre 2000 (legge finanziaria 2001) che ha stabilito


una disponibilità di 300 miliardi di lire, a decorrere dal 2001, per i dipendenti delle


amministrazioni centrali dello Stato anche ad ordinamento autonomo, a valere quale


contributo datoriale, in corrispondenza delle risorse contrattualmente definite e


destinate anche dai lavoratori allo stesso fine.


La parte figurativa sarà invece composta dalle quote di TFR (2% della retribuzione


annua utile al calcolo del TFR per i dipendenti già occupati al 31/12/1995 e quelli


impiegati nel periodo dal 1/01/1996 al 31/12/2000 e 100% del TFR per gli assunti dal


1/01/2001) e da un bonus, pari all’1,5% della base contributiva di riferimento del


48 Vedi anche il sostegno normativo fornito in tal senso dal DPCM 2 marzo 2001 art.1 comma 1.


36


Trattamento di Fine Servizio, riconosciuto ai lavoratori già in servizio al 31/12/2000


che opteranno per l’adesione al fondo e quindi per il TFR.


I due distinti conti, quello reale e quello virtuale, si rivaluteranno con diverse


modalità: mentre quello reale seguirà il rendimento realizzato dal fondo, sul


figurativo-virtuale saranno calcolati interessi al tasso medio del paniere di fondi


definito con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze49.


Il Fondo ha di recente superato il numero minimo di iscrizioni previsto dallo Statuto


(30.000) per poter avviare la gestione finanziaria della contribuzione e poter indire le


elezioni dell’Assemblea.


Attualmente gli aderenti conteggiati dal Fondo sono 51.83850 ed il trend delle


iscrizioni porta Espero ad essere uno dei primi fondi, in valore assoluto, con il


maggior numero di iscritti nel primo anno di vita.


§ 1.2. Fondo Regioni, Enti Locali, Sanità.


L’ipotesi di accordo istitutivo del fondo è stata sottoscritta il 7 dicembre 2004 ed è


stata trasmessa al Dipartimento della Funzione Pubblica ed ai Comitati di Settore


interessati per adempiere alle procedure previste dal d.lgs. 165/2001.


A tutt’oggi i due Comitati non hanno ancora espresso il loro parere utile alla


prosecuzione dell’iter di approvazione dell’accordo.


Il T.U. sul pubblico impiego, all’art. 47, comma 3, fissa in cinque giorni il tempo a


disposizione del Comitato di Settore per esprimere un giudizio favorevole o contrario


all’ipotesi definita ma, nonostante le reiterate richieste ed il tempo trascorso, ancora


non si dispone di una indicazione dei due organismi interpellati.


Alcune indicazioni lasciano trasparire una contrarietà della rappresentanza regionale


nella preoccupazione che la costituzione del fondo nazionale negoziale possa


precludere un eventuale sviluppo della previdenza territoriale di ambito regionale.


Questa idea è certamente errata in partenza.


49 Supra, pag. 21.


50 Fonte Fondo Scuola Espero, dati aggiornati al 28 giugno 2006.


37


Con l’approvazione della legge 243 del 23 agosto 2004, recante la delega al Governo


in materia previdenziale, misure di sostegno alla previdenza complementare e


all’occupazione stabile e riordino degli enti di previdenza e assistenza obbligatoria, si


era immaginato che il Legislatore volesse consentire alle Regioni di disporre di una


maggiore autonomia nel disciplinare e costituire forme di previdenza complementare


destinate ai dipendenti residenti o operanti nel territorio di competenza.


In realtà questo è accaduto solo per le adesioni dei lavoratori privati a forme di


previdenza regionali di nuova formulazione previste nel decreto legislativo di


attuazione n. 252 del 5 dicembre 2005.


Quanto ai lavoratori pubblici contrattualizzati, come già detto in precedenza51,


costoro hanno avuto la conferma di poter aderire esclusivamente ai fondi istituiti


tramite la contrattazione collettiva nazionale; per questo personale, infatti, le forme


pensionistiche complementari possono essere istituite esclusivamente mediante i


contratti collettivi di cui al titolo III del decreto legislativo 165/200152.


§ 1.3. Fondo Ministeri, Enti Pubblici non Economici, Agenzie Fiscali,


Presidenza del Consiglio, ENAC, CNEL.


L’accordo non si è ancora raggiunto per la mancanza di copertura delle spese di avvio


e dell’onere riguardante l’inserimento dell’indennità di ente nella base di calcolo del


TFR dei dipendenti degli Enti Pubblici non Economici (Parastato).


A tale riguardo si rammenta che, in base all’art. 8, comma 4 del d.lgs. 124/9353 la


quantificazione delle contribuzioni va disposta con gli appositi contratti collettivi


nazionali di lavoro di ogni comparto od area.


51 Supra, pagg. 16 e ss.


52 “Per il personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche di cui all articolo 1, comma 2, del decreto legislativo


30 marzo 2001, n. 165, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite mediante i contratti collettivi di


cui al titolo III del medesimo decreto legislativo.” Art. 3, comma 2, d.lgs. 252/2005.


53Come ribadito dall’art. 8, comma 3 del d.lgs. 5 dicembre 2005 n. 252, “Nel caso di forme pensionistiche


complementari di cui siano destinatari i dipendenti della pubblica amministrazione, i contributi alle forme


pensionistiche debbono essere definiti in sede di determinazione del trattamento economico, secondo procedure


coerenti alla natura del rapporto”.


38


N.B. Con il recente DPEF, approvato dal Consiglio dei Ministri il 7 luglio 2006, il


Governo si è impegnato a provvedere in merito alla previdenza complementare anche


del settore del pubblico impiego.


L’Osservatorio ritiene utile riportare in calce al rapporto, il testo integrale del citato


documento per la parte inerente la presente trattazione.


DPEF 2007 – 2011


PREVIDENZA COMPLEMENTARE


Il Governo si impegna ad assumere ogni iniziativa utile al rilancio della previdenza


complementare nei settori privati e pubblici.


L’emanazione delle direttive generali da parte della Covip consente a tutti i soggetti


interessati –parti sociali, istituzioni, enti ed operatori di mercato – di procedere agli


adeguamenti necessari per il pieno decollo della previdenza complementare e il


conseguente conferimento del TFR alle forme pensionistiche del secondo pilastro.


Il Governo conferma l’impianto generale derivante dalla legislazione che, a partire


dalle riforme previdenziali degli anni ’90, ha disciplinato il settore e si riserva


comunque di valutare, previa consultazione delle parti sociali e degli operatori,


l’opportunità di introdurre perfezionamenti alla normativa di cui al decreto


legislativo n. 252/05, utili a massimizzare i meccanismi di incentivazione delle


adesioni in un quadro di trasparenza, di stabilità e di efficienza di tutte le forme


pensionistiche.


Il Governo ha dovuto prendere atto dell’incompletezza del quadro regolatorio del


Fondo di garanzia per l’accesso al credito delle imprese che conferiscono il TFR (di


cui all’art. 10 del decreto legislativo n. 252/05) ed è impegnato alla rapida


risoluzione delle questioni emerse.


Per quanto riguarda la previdenza complementare dei dipendenti della pubblica


amministrazione, il Governo è impegnato a rimuovere gli specifici ostacoli che


hanno finora tardato la costituzione dei fondi pensione in comparti, come quello dei


39


Ministeri e degli Enti pubblici non economici, nonché quello delle regioni, Enti locali


e sanità, che hanno già sottoscritto o sono in condizione di sottoscrivere in tempi


brevi le fonti istitutive.


Il Governo, infine, è impegnato ad emanare la normativa secondaria riguardante


l’istituzione della Forma pensionistica residuale presso l’INPS (di cui all’articolo 9


del decreto legislativo n. 252/05), nonché il decreto interministeriale relativo alle


forme pensionistiche preesistenti.


§ 1.4. Comparti ed aree Università - Ricerca


Nella recente tornata contrattuale sono state completate le clausole contrattuali


necessarie per poter avviare la previdenza complementare nei due comparti.


Infatti, con l’accordo definitivamente sottoscritto in ARAN il 7 aprile 200654, il


comparto della Ricerca ha provveduto alla esplicitazione della volontà di aderire ad


un fondo di previdenza complementare comune ad altri comparti o aree, alla


indicazione della percentuale di contribuzione datoriale (1%) e al richiamo della


disciplina di finanziamento tramite utilizzo di quote del tfr. (art. 11, AQN


29/07/1999).


Il comparto Università aveva già provveduto alla introduzione di una analoga


disciplina55.


L’avvio della previdenza complementare è subordinato alla scelta delle parti di creare


una struttura autonoma o favorire l’afflusso verso il neocostituito fondo della scuola


Espero o altri istituendi fondi.


§ 1.5. Fondo medici


Di recente alcune OO.SS. hanno avanzato proposte in merito alla definizione di un


autonomo fondo di previdenza complementare per i medici del SSN.


54 Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del personale del comparto delle Istituzioni e degli Enti di Ricerca e


Sperimentazione per il quadriennio normativo 2002- 2005 ed il biennio economico 2002-2003, art. 22.


55 Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del personale del comparto Università per il quadriennio normativo 2002-


2005 ed il biennio economico 2002-2003, art. 51. Sottoscritto in data 27 gennaio 2005.


40


Allo stato manca tutta la necessaria disciplina contrattuale (volontà espressa di


costituire il fondo, definizione della base di calcolo del TFR e della contribuzione,


indicazione della percentuale di contribuzione datoriale, copertura delle spese di


avvio) che consenta di affrontare la fase negoziale istitutiva del fondo.


41


§ 2. La riforma della previdenza complementare: cenni applicativi e


rilievi di armonizzazione.


L’Osservatorio, pur ribadendo il rinvio della trattazione della riforma previdenziale


obbligatoria e complementare ad altro apposito studio, ritiene opportuno, per


garantire un intervento immediato, sottolineare alcune importanti valutazioni che


attengono all’applicazione in ambito pubblico.


La riforma introdotta dalla L. 243/2004 per espressa disposizione normativa (art. 1,


comma 2, lett. p) non si applica al P.I. (per quanto riguarda la parte attinente alla


previdenza complementare, il TFR ed il bonus per la prosecuzione dell’attività oltre il


termine di pensionabilità).


L’attuazione sarà rinviata alla conclusione di un iter concertativo (con regioni e parti


sociali) che porterà alla emanazione di un apposito decreto di armonizzazione.


Il d.lgs. 252/2005, recante disposizioni attuative della legge di delega, è risultato


carente di una disciplina generale condivisa sin dal primo momento anche con il


settore pubblico.


L’assenza di una armonizzazione coeva potrebbe generare successivi ostacoli alla


ipotizzata omogeneizzazione dei due settori.


La tecnica legislativa adottata per il rinvio in materia di lavoro alle dipendenze della


pubblica amministrazione, è in qualche modo carente sul piano formale ed ingenera


timori di rilievo sostanziale.


L’art. 21, comma 8 del d.lgs. 252/2005 prevede l’abrogazione della precedente


disciplina di previdenza complementare contenuta nel d.lgs. 124/1993.


Con il successivo art. 23, comma 5 si precisa però che “Fino all’emanazione del


decreto legislativo di attuazione dell’articolo 1, comma 2, lett. p), della legge 23


agosto 2004, n 243, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo


1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, si applica esclusivamente


ed integralmente la previgente normativa.”


Il combinato disposto di questi due commi escluderebbe, ad esempio, anche


l’applicazione, al rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, del regime fiscale più


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favorevole introdotto dallo stesso decreto legislativo, creando due regimi impositivi


ed una disparità di trattamento costituzionalmente rilevante (art. 3, 53 Cost.).


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Rapporto sulla previdenza complementare nel


settore pubblico contrattualizzato*.


 
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