Rapporto sulla previdenza
complementare nel settore
pubblico contrattualizzato*.
Osservatorio Nazionale Bilaterale sui Fondi Pensione
del Pubblico Impiego.
Luglio 2006
*PREMESSA DELLE PARTI
L’Osservatorio presenta il primo rapporto sulla previdenza complementare nel
pubblico impiego, nel convincimento di dare un costruttivo contributo al definitivo
decollo di questo settore.
Il presente rapporto rappresenta altresì, il primo studio realizzato in comune su un
tema particolarmente interessante delle relazioni sindacali che ha visto l’attiva
partecipazione di DFP, COVIP, INPDAP ed Espero.
Lo studio è frutto del coinvolgimento dialettico dei rappresentanti dell’ARAN e delle
Confederazioni Sindacali ed ha trovato il momento di sintesi nell’opera del dott.
Michele De Giacomo (Servizio Studi e Documentazione ARAN), che ha tradotto con
imparzialità e professionalità tutti gli argomenti trattati.
I componenti dell’Osservatorio, che si è avvalso anche della collaborazione del dott.
Maurizio Sarti, esprimono l’augurio che altri lavori possano fare seguito, sempre con
lo stesso spirito e con la medesima volontà realizzatrice.
Roma, 27 luglio 2006
L’Osservatorio
Dott. Sergio Gasparrini (ARAN) firmato
Avv. Arturo Parisi (ARAN) firmato
Dott. Pierluigi Mastrogiuseppe (ARAN) firmato
Dott. Michele De Giacomo (ARAN) firmato
Dott. Michele Gentile (CGIL) firmato
Dott. Giorgio Grasso (CISL) firmato
Dott. Antonio Foccillo (UIL) firmato
Prof. Achille Massenti (CONFSAL) firmato
Prof. Lucio Casalino (CISAL) firmato
Dott. Carlo Sizia (COFEDIR) firmato
Dott. Luciano Dionisi (CIDA) firmato
Dott. Claudio Testuzza (COSMED) firmato
Dott. Leopoldo Guidi (USAE) firmato
Dott. Angelo Chiavarini (CGU) firmato
Dott.ssa Nicoletta Morgia (CONFINTESA) firmato
Rapporto sulla previdenza complementare nel settore pubblico contrattualizzato.
SOMMARIO: PARTE I - § 1. Premessa; § 2. La genesi della previdenza complementare nel P.I. ; §
3. Dalle indennità al trattamento di fine rapporto; § 4. Effetti contrattuali; § 5. Il calcolo del TFR:
comparazione dei regimi contrattuali; § 6. Il ruolo dell’INPDAP: Il meccanismo figurativo
(virtuale). § 7. Il finanziamento della previdenza complementare; PARTE II – § 1. suggerimenti
operativi; § 1.1. Fondo Scuola Espero; § 1.2. Fondo Regioni, Enti Locali, Sanità; § 1.3. Ministeri,
Enti Pubblici non Economici, Agenzie Fiscali, P.C.M., Enac, Cnel; § 1.4. Fondo Università,
Ricerca; § 1.5. Fondo Medici. § 2. La riforma della previdenza complementare: cenni applicativi e
rilievi di armonizzazione.
PARTE I
§ 1. Premessa
La previdenza complementare, intesa come forma di integrazione delle prestazioni
obbligatorie, nasce e si sviluppa nei Paesi a legislazione sociale di origine
beveridgiana collateralmente e contestualmente al sistema di sicurezza sociale di
base. La sua funzione era ed è quella di integrare le prestazioni minime riconosciute
indistintamente a tutti i cittadini.
Diversamente, in Italia, come negli altri paesi di pari tradizione sociale, la previdenza
complementare assume un ruolo assolutamente differente, risultato prevalente della
necessità di integrare la riduzione del tasso di sostituzione salario/pensione garantito
dalla previdenza obbligatoria.
La capacità dell’attuale apparato previdenziale pubblico di affrontare le necessità
della sicurezza sociale, risulta fortemente compromessa dallo stato di crisi del sistema
finanziario del settore previdenziale.
Tale crisi, generata da un momento ciclico congiunturale di recessione, si è ormai
definitivamente consolidata sul piano strutturale tanto che la crescita esponenziale del
deficit previdenziale rischia di gravare in maniera eccessiva sui futuri pensionamenti
conducendo, secondo alcune pessimistiche ma pur sempre realistiche ipotesi, ad un
conflitto intergenerazionale.
Nell’intento di individuare forme di gestione che consentano di ripristinare in qualche
modo l’equilibrio economico-sociale, gli ordinamenti di vari paesi hanno optato per
la scelta del rafforzamento della previdenza complementare.
4
Negli ultimi anni, invero, diversi organismi economici internazionali hanno
raccomandato con insistenza ai loro aderenti di ridurre la spesa del sistema
pensionistico puntando sull’ampliamento delle forme alternative complementari1.
A molti, però, non è sfuggita la considerazione che la previdenza complementare
comporta lo sviluppo di forme di tutela del risparmio pensionistico, anche attraverso
il crescente impegno di tutti gli organismi di supervisione.
Si desume, da quanto appena detto, che gli attuali impianti strutturale, normativo e
finanziario, necessitano di una revisione accorta che sancisca in modo inequivoco
competenze e procedure.
In Italia, come in altri paesi, la spinta riformatrice del modello di welfare state ha
fatto affidamento sulla istituzionalizzazione e razionalizzazione della previdenza
complementare e sulla costruzione di un modello che si fonda sui tre pilastri: della
previdenza generale obbligatoria, di quella complementare collettiva e di quella
individuale.
Il complesso dei tre pilastri trova riferimento normativo preminente nell’art. 38 della
Costituzione2 il quale non ha mancato di scatenare ed alimentare un corposo dibattito
dottrinale e giurisprudenziale che vede contrapposte due ipotesi interpretative tuttora
in conflitto.
Occorre a tal punto fare un sia pur breve e certamente incompleto richiamo al
dibattito testé citato in quanto da esso si dipartono le varie filosofie interpretative del
complessivo impianto previdenziale.
In passato le due concezioni si confrontavano in particolare sull’esistenza o meno di
una supposta differenziazione, non meramente terminologica, contenuta nell’art. 38
Cost., tra il concetto di previdenza e quello di assistenza sociale.
1 Cfr ad es. OCSE, Manteining prosperity in an Ageing Society, 2000.
2 Art. 38 Costituzione: “ Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e all assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di
infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Gli inabili ed i minorati hanno diritto all educazione e all avviamento professionale.
Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
L assistenza privata è libera”.
5
La prima delle due opinioni3 inquadra l’art. 38 Cost. in un modello dicotomico che
nettamente distinguerebbe tra previdenza, intesa come complesso degli istituti
destinati a proteggere i lavoratori dalle eventuali situazioni di bisogno dovute a
infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria, ed assistenza
sociale che, invece, si rivolgerebbe al cittadino inabile.
La seconda4, invece, ricostruisce in modo unitario il sistema della sicurezza sociale
che assolverebbe, contestualmente, al compito previdenziale ed a quello assistenziale.
A queste diverse impostazione dottrinali, in apparenza non strettamente connesse con
l’ambito oggetto della presente trattazione, si accosta, però, la contrapposizione tra
gli autori sostenitori della tesi della cd. funzionalizzazione della previdenza
complementare agli scopi del comma 2 dell’art. 38 Cost., i quali sostengono,
confortati da alcune sentenze della Corte Costituzionale5, la necessità di considerare
che la previdenza complementare oramai “…viene in parte a sostituirsi ai compiti
specifici della previdenza pubblica”6 per cui “l’area della previdenza pensionistica
complementare risponde alla medesima tipologia di eventi protetti della previdenza
pensionistica di base”, evidenziandosi così tra le due l’esistenza di una “identità di
funzione, ancorché destinata a realizzarsi con strumenti di natura giuridica diversi”7,
e parte autorevole della dottrina per la quale il sistema della previdenza
complementare va ricondotta esclusivamente all’alveo dell’autonomia privata
(ancorché collettiva) in quanto realizza “…esclusivamente la soddisfazione di
interessi privati, mediante la destinazione a fini previdenziali di un quota della
retribuzione”8.
La dimostrazione della sussistenza di un elemento unificatore tra i due dibattiti si
rinviene nella constatazione che, se l’ipotesi della riconduzione della previdenza
3 Tra gli altri: Cinelli M., Problemi di Diritto della Previdenza Sociale, Torino 1999; Pessi R., Lezioni di diritto della
previdenza sociale, Padova 2001.
4 Persiani M., Diritto della previdenza sociale, Padova 2002 pag. 25 e ss .
5 Corte Costituzionale sentenza n. 393, del 13 luglio 2000, sentenza n.421 del 13 settembre 1995 in Mass. Giur. Lav.,
1995 pag 535 con nota di Sandulli P.
6 Pessi R., Corrispettività e solidarietà nel nuovo sistema previdenziale, in La riforma del sistema previdenziale,
Padova, 1995.
7 Sandulli P., Il decreto legislativo n. 124/93 nel sistema pensionistico riformato, in Dir. Prat. Lav., 1993, supplemento
al n. 35; ID., Riforma pensionistica e previdenza integrativa, in Dir. Lav. Rel. Ind., 1991, 201 ss.
8 Persiani M., Previdenza pubblica e previdenza privata , relazione al XIII convegno dell’AIDLASS, Ferrara 11-13
maggio 2000.
6
complementare alla disposizione dell’art. 38, comma V Cost. fosse accolta, di
conseguenza, “…perderebbe probabilmente nitidezza la distinzione fra previdenza
ed assistenza”9 in quanto non può escludersi che alla previdenza complementare ed
integrativa vengano attribuiti compiti tipicamente assistenziali riferibili ad esempio
alle indennità di disoccupazione, di malattia, di maternità e ad ogni ulteriore
intervento atto a contrastare il bisogno ed il rischio di marginalità sociale che non
sempre sono riservati ai soli lavoratori. Di converso, ed altrettanto coerentemente, la
distinzione tra previdenza ed assistenza conduce a considerare che funzione della
previdenza è quella di assicurare ai soli lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze di
vita indifferentemente per mezzo del sistema pubblico o tramite quello privato di
promanazione collettiva.
Nonostante questa apparente ferrea logica però, nessuna delle due contrapposte tesi
resiste, senza ombra di dubbio, ad alcune critiche incrociate. Si può ad esempio
contestare alla ipotesi della funzionalizzazione che alla previdenza possono appunto
essere attribuite anche funzioni di natura assistenziale. Altrettanto dicasi per la teoria
contraria allorché si consideri che tutta la normativa attuale individua come
destinatari esclusivi della previdenza complementare collettiva, rectius negoziale, i
soli lavoratori10.
In tale contesto va oggi ad affluire la struttura previdenziale riformata alla luce della
legge 243 del 23 agosto 2004 (G.U. 223 del 21 settembre 2004) ed attuata, per il solo
settore privato, dal d.lgs. 252 del 5 dicembre 2005, (G.U. n. 289 del 13 dicembre
2005, S.O. n. 200).
La rilettura normativa, pur sostanzialmente accogliendo e proseguendo nel solco già
tracciato dalla legge 335 del 1995 (riforma Dini) e consistente nella realizzazione di
una tripartizione con implicazioni di rango costituzionale, che vedeva disporsi su
piani distinti la previdenza generale obbligatoria, quella complementare di origine
negoziale e quella privata basata su strumenti di tipo finanziario ed assicurativo,
9 Dondi G., Zampini G., previdenza pubblica e complementare privata nella riforma del titolo V, parte II, della
Costituzione, L.P.A., vol. V, gennaio-febbraio 2002, supplemento al fascicolo 1.
10 D.lgs. n. 124, del 21 aprile 1993, art. 2
7
afferma nei suoi principi essenziali una riorganizzazione della previdenza pubblica e
complementare incidendo anche sull’assetto formale.
La novella legislativa, infatti, prevede l’equiparazione tra forme complementari
negoziali e individuali (art.1, comma 2, lettera e, punto 4). Proprio l’assimilazione exlege
delle forme pensionistiche, in combinazione univoca con l’applicazione
dell’istituto tecnico giuridico del conferimento tacito, attenua le critiche di chi
riteneva corretto sostenere la sussistenza di livelli “gerarchici” ben delineati,
inducendo maggiori certezze nel promuovere al “rango superiore”, di cui al II comma
dell’art. 38 della Costituzione, almeno l’intero sistema negoziale della previdenza
complementare.
Quest’ultimo condividerebbe con l’Assicurazione Generale Obbligatoria un’identità
di funzioni e di obiettivi11 dalla quale, in considerazione della dichiarata tutelabilità
parificata, non verrebbero esclusi i fondi privati, svuotando sostanzialmente di
contenuti il V comma dello stesso art. 38 Cost.
L’attuazione ex d.lgs.252/2005 ha in parte ridimensionato il processo di parificazione
sostanziale; il favor riconosciuto al momento genetico negoziale rispetto all’atto
contrattuale privatistico, determina una correzione di rotta rispetto alle prime
paventate ipotesi.
L’applicabilità della riforma al lavoro alle dipendenze di una P.A. è subordinata a
successive necessarie armonizzazioni da definire previo confronto con le
organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori e dei
prestatori di lavoro, con le regioni, gli enti locali e le autonomie funzionali.
Prima di quel momento, nel sistema previdenziale del pubblico impiego non saranno
introdotti i nuovi meccanismi di adesione (silenzio-assenso), di portabilità e di
trasferibilità della contribuzione e della prestazione pensionistica complementare
permanendo, per il settore in parola, una sostanziale ultrattività delle norme
emendate.
11 Vedi anche Corte Costituzionale, ordinanza n. 319/2001.
8
Infatti, il rinvio al confronto con le organizzazioni sindacali operato dall’art.1 comma
2, lett. p) della legge di delega rimanda alla definizione dell’iter concertativo adottato,
l’applicabilità dei primi due commi della norma e le disposizioni relative agli
incentivi per la permanenza in servizio oltre termine minimo di acquisizione del
diritto al pensionamento (cd. bonus).
Per una trattazione più approfondita in merito alla attuazione nel settore pubblico
contrattualizzato della legge 243/2004 e dei relativi decreti attuativi, l’Osservatorio
Nazionale Bilaterale dei Fondi Pensione del Pubblico Impiego si riserva di disporre
uno studio apposito in corso di definizione.
9
§ 2. La genesi della previdenza complementare nel pubblico impiego.
Il sistema normativo italiano della previdenza complementare si caratterizza
certamente per il fatto di essersi formato e strutturato in sincronismo con le
progressive tappe di avvicinamento tra il settore pubblico e quello privato.
Accanto allo sviluppo degli strumenti previdenziali di origine pattizia in ambito
privato, si sono create le condizioni per la realizzazione di un sistema previdenziale
integrativo anche per i pubblici dipendenti, grazie ad una graduale assimilazione delle
due posizioni lavorative.
Non a caso, anche il sistema previdenziale del settore pubblico, contestualmente con
quanto accaduto nell ambito privato, è stato interessato al progetto di riduzione della
spesa pubblica formulato nel provvedimento di delega legislativa n° 421 del 23
ottobre 1992.
La necessità di porre un freno al debito dello Stato spinse, infatti, il legislatore ad
intervenire congiuntamente sui centri di costo più macroscopici: sanità, pubblico
impiego, previdenza e finanza territoriale.
Tutti i provvedimenti delegati successivi hanno seguito come filo conduttore unico il
tentativo, riuscito o meno, di ridurre o razionalizzare la spesa pubblica anche
avviando collateralmente quel processo di riforma generale del pubblico impiego che
negli anni seguenti si completerà con il d.lgs. n° 29 del 3 febbraio 1993 e le sue
successive modifiche ed integrazioni12.
In attuazione della delega di cui all art. 3, comma 1, lettera v), della L. 421/1992
viene emanato il decreto legislativo n° 124 del 21 aprile 1993, il quale disciplina e
razionalizza le forme pensionistiche complementari pubbliche e private prima di
allora non sistematicamente organizzate.
Sistemi previdenziali aggiuntivi a quello pubblico obbligatorio, infatti, non erano
estranei al nostro ordinamento del settore privato, ma venivano ricondotti alla
disciplina degli artt. 2117 e 2123 del codice civile ed anzi, erano retti da un impianto
12 Da ultimo si veda il d.lgs. 165 del 30 marzo 2001.
10
tributario di favore in quanto originati da atti di natura collettiva o da regolamenti
aziendali13.
Proprio l’esclusione dalla comune imposizione fiscale degli emolumenti versati a
titolo di partecipazione alle forme pensionistiche complementari ha attraversato un
travagliato percorso giurisdizionale sul principio degli anni ’90.
Secondo la Corte Costituzionale14, alla correlazione tra i due pilastri, dovuta alla
totale deducibilità concessa sul piano fiscale ad entrambe le forme previdenziali, non
faceva riscontro una dignità paritaria nei rapporti interni tra i due sistemi; talché sulla
contribuzione integrativa era dovuto il contributo alla previdenza di base (cd.
contributo su contributo).
La sentenza incise pesantemente sul versante datoriale per il quale era dato ormai per
acquisito il principio dell’esonero delle somme di contribuzione privata.
Questo convincimento però, a dire il vero, trovava fondamento solo in alcune
interpretazioni effettuate dagli uffici periferici del Ministero del Lavoro e non aveva
un serio sostegno normativo.
Il Legislatore interviene in un processo di interpretazione autentica solo nel 1991 con
il Decreto Legge n° 103 del 29 marzo (convertito, con modificazioni, dalla Legge 1
giugno 1991 n° 166) determinando una conferma di sanatoria15 per i periodi
13 I tributaristi ritenevano che questo s istema fosse basato su un principio di cd. imposizione differita e comunque su una
imposizione più leggera di quella del periodo di riferimento.
14 Corte Costituzionale: sentenza n°427 del 03/10/1990.
15 DECRETO LEGGE 29 marzo 1991, n. 103 Art. 9-bis (Interpretazione autentica)
1. Salvo quanto disposto dai commi seguenti, dalla retribuzione imponibile di cui all articolo 12 della legge 30 aprile
1969, n. 153, sono escluse le contribuzioni e le somme versate o accantonate, anche con il sistema della mancata
trattenuta da parte del datore di lavoro nei confronti del lavoratore, a finanziamento di casse, fondi, gestioni o forme
assicurative previsti da contratti collettivi o da accordi o da regolamenti aziendali, al fine di erogare prestazioni integrative
previdenziali o assistenziali a favore del lavoratore e suoi familiari, nel corso del rapporto o dopo la sua cessazione. Tale
disposizione si applica anche ai periodi precedenti la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto; tuttavia i versamenti contributivi sulle predette contribuzioni e somme restano salvi e conservano la loro efficacia
se effettuati anteriormente alla data di entrata in vigore della medesima legge di conversione (1).
2. Fino alla data di entrata in vigore di norm e in materia di previdenza integrativa che disciplinino i regimi contributivi
cui assoggettare le contribuzioni versate ad enti, fondi, istituti che gestiscono forme di previdenza o assistenza
integrativa, e le prestazioni erogate dai fondi stessi, a decorrere dal periodo di paga successivo alla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto, per le contribuzioni o le somme di cui al comma 1 è dovuto un
contributo di solidarietà ad esclusivo carico dei datori di lavoro nella misura del dieci per cento in favore delle gestioni
pensionistiche di legge cui sono iscritti i lavoratori (2).
3. Al contributo di solidarietà di cui al comma 2 si applicano le disposizioni in materia di riscossione, termini di
prescrizione e sanzioni vigenti per le contribuzioni dei regimi pensionistici obbligatori di pertinenza.
4. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano alle somme versate o accantonate dai datori di lavoro e dai
lavoratori presso casse, fondi, gestioni o forme assicurative previsti da accordi o contratti collettivi per la mutualizzazione
di oneri derivanti da istituti contrattuali. Le somme erogate ai lavoratori in applicazione degli istituti contrattuali di cui
sopra sono assoggettate a contribuzione previdenziale e assistenziale per il loro intero ammontare al momento della
effettiva corresponsione.
11
antecedenti e l’assoggettamento a un regime di vantaggio contributivo, nel tentativo
di istituire una sorta di concorrenza tra regime pubblico generale e regime
complementare, a far data dal 1° luglio 1991.
La legge 421/1992 e il successivo decreto 124/1993 confermano questa funzione di
correlazione tra previdenza pubblica e previdenza complementare con la ratifica del
contributo di solidarietà del 10%.
In attuazione della delega prevista dalla legge 421/ 92, lo sforzo di riduzione della
distanza tra i sistemi pensionistici dei dipendenti pubblici e privati fu parallelamente
condotto mediante il d.lgs. n. 503 del 30 dicembre 1992 mirante alla
omogeneizzazione dei calcoli e alla riduzione del livello di prestazioni per entrambi i
settori.
L esposto tentativo di avvicinamento dell area del lavoro pubblico a quella del privato
non ha però totalmente dissipato le incertezze e sciolto le riserve che impedivano la
sostanziale attivazione del secondo pilastro previdenziale anche nell impiego
pubblico.
Il nodo principale riguardava proprio la trasposizione del sistema di finanziamento
delle esperienze di previdenza complementare dei lavoratori privati.
L art. 8, comma 4 del d.lgs. 124/ 93 afferma che "nei casi di forme di previdenza
pensionistica complementare di cui siano destinatari dipendenti della pubblica
amministrazione, i contributi ai fondi debbono essere definiti in sede di
determinazione del trattamento economico".
Ora, proprio il trattamento economico cui fa riferimento il decreto legislativo,
mostrava una prima atipicità nel pubblico impiego non immediatamente livellata dal
precetto normativo.
L idea di fondo era quella del dirottamento di consistenti quote del t.f.r. al
finanziamento dei fondi di previdenza complementare.
12
Tuttavia, al momento dell entrata in vigore del d.lgs. 124/ 93 non esisteva un t.f.r. per
i dipendenti della pubblica amministrazione ma solo un sistema di indennità di
buonuscita che assumeva svariate denominazioni nei comparti.
Questa anomalia poneva problemi di utilizzo delle varie indennità per due ordini di
ragioni.
La prima riguarda la differente natura dei due istituti.
Le indennità di fine servizio avevano una natura previdenziale e non retributiva che
sostanzialmente ne impediva l’utilizzo ai fini propri della previdenza complementare;
non erano originate da accantonamenti annui ma finanziate con contributi a carico sia
dei datori di lavoro (nella misura: del 7,10% della retribuzione annua per un
dipendente dello Stato e del 3,60% per un dipendente di un Ente locale) che del
lavoratore (nella misura del 2,50%).
Il t.f.r., invece, essendo originato dagli accantonamenti annuali posti interamente a
carico del datore di lavoro, si presta meglio ad essere utilizzato come fonte di
finanziamento dei Fondi pensione.
In secondo luogo, le prestazioni finali del trattamento di fine servizio, o comunque
denominato, vengono calcolate con riferimento alla retribuzione dell’ultimo mese o
anno di servizio e questo impedisce di conoscere, prima della cessazione dal servizio,
il loro ammontare con conseguente impossibilità di effettuare prelievi di risorse da
versare ai Fondi pensione senza compromettere la gestione dell’Ente assicurativo; in
regime di t.f.r., invece, la prestazione finale si ottiene sommando gli accantonamenti
annui calcolati dividendo la retribuzione dovuta per l’anno stesso, per 13,5.
Il primo ostacolo, dunque, non era trascurabile dato che atteneva proprio alla
dotazione finanziaria dell impianto previdenziale di nuova costituzione.
Per ovviare a questa discrasia normativa si avviò un lungo percorso normativo e
giurisprudenziale che, almeno nominalmente, si è concluso solo in seguito al
D.P.C.M. del 2 marzo 2001.
13
§ 3. Dalle indennità al trattamento di fine rapporto.
L art. 2 della legge 8 agosto 1995, n.335 ai commi 5, 6, 7 e 8 ha stabilito per la
prima volta l applicazione del t.f.r. anche ai dipendenti pubblici e la cessazione "per i
lavoratori assunti dal 1° gennaio 1996 alle dipendenze delle Amministrazioni
pubbliche di cui all articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29" dei
"trattamenti di fine servizio, comunque denominati"16.
La stessa norma rinviava in tal senso alla contrattazione collettiva di comparto e ad
un successivo D.P.C.M. e introduceva la distinzione tra lavoratori già in servizio
(interessati alla transizione dal vecchio sistema al nuovo t.f.r.) e lavoratori assunti
dopo il 1° gennaio 1996, per i quali era prevista l automatica applicazione del t.f.r.
La legge finanziaria per il 1998 (legge 449 del 27 dicembre 1997, art. 59, comma 56)
ha successivamente introdotto, per i dipendenti già in servizio, la facoltà di optare per
l applicazione del t.f.r. stabilendo, per coloro che decidono in tal senso, la contestuale
iscrizione al fondo pensione. La norma ha quindi voluto formalizzare un principio
generale: la correlazione tra la scelta per il t.f.r. e quella per la previdenza
complementare17.
Ma l applicazione automatica del t.f.r. per i nuovi assunti, prevista dalla 335/ 95, è
stata successivamente differita alla data di entrata in vigore del previsto DPCM con
l Accordo quadro nazionale del 29 luglio 1999, sottoscritto presso l’ARAN dalle
organizzazioni sindacali, che ha ulteriormente regolato il t.f.r. e la previdenza
complementare.
16 Legge 335 del 8 agosto 1995, art. 2, comma 5.
17 Legge 449 del 27 dicembre 1997, art. 59, comma 56 "Fermo restando quanto previsto dalla legge 8 agosto 1995, n.
335, e successive modificazioni, in materia di applicazione delle disposizioni relative al trattamento di fine rapporto ai
dipendenti delle pubbliche amministrazioni, al fine di favorire il processo di attuazione per i predetti delle disposizioni in
materia di previdenza complementare viene prevista la possibilità di richiedere la trasformazione dell indennità di fine
servizio in trattamento di fine rapporto. Per coloro che optano in tal senso una quota della vigente aliquota contributiva
relativa all indennità di fine servizio prevista dalle gestioni previdenziali di appartenenza, pari all 1,5 per cento, verrà
destinata a previdenza complementare nei modi e con la gradualità da definirsi in sede di specifica trattativa con le
organizzazioni sindacali dei lavoratori".
14
Il DPCM viene poi emanato, nello stesso anno, in data 20 dicembre 1999, e conferma
il principio per il quale l’opzione per il t.f.r. è legata, per i dipendenti già in servizio,
alla necessità di adesione ad un fondo pensione (art.1).
Lo stesso decreto fissa il limite massimo del 2% della retribuzione base di riferimento
per il calcolo del t.f.r. quale quota destinabile ai fondi, precisa l’applicazione
automatica del t.f.r. per il personale assunto oltre la data della sua entrata in vigore,
chiarisce per costoro, in caso di iscrizione ad un fondo pensione, la possibilità di
destinazione integrale al fondo degli accantonamenti relativi al t.f.r. e, infine, delinea
il ruolo assunto dall’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti
dell’Amministrazione Pubblica (INPDAP) rispetto ai conferimenti ai fondi.
Trascorso appena un anno, il DPCM del 1999 è stato modificato dal DPCM del 2
marzo 2001 il quale, nel confermare il limite del 2% come quota massima di t.f.r.
destinabile ai fondi, ha stabilito che dopo la prima fase di attuazione “la predetta
quota è definibile dalle parti istitutive con apposito accordo”.
Quindi, nel pubblico impiego la disciplina attuale prevede:
a) l’applicazione obbligatoria del t.f.r. per:
-lavoratori assunti a tempo determinato dopo il 30 maggio 2000 (come
disposto dal DPCM 20/12/1999);
-lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo il 31 dicembre 2000 (come
disposto dal DPCM 2/03/2001).
b) la permanenza in regime di TFS per il personale a tempo indeterminato in servizio
alla data del 31 dicembre 2000 con possibilità di optare per il TFR mediante
l’adesione ad un fondo pensione complementare.
Rimangono al momento in regime di TFS, quale che sia la data della loro
assunzione nella Pubblica Amministrazione, i magistrati ordinari, amministrativi e
contabili, gli avvocati ed i procuratori dello Stato, il personale militare e delle forze
armate di polizia, il personale della carriera diplomatica e prefettizia, i professori ed
i ricercatori universitari, nonché i dipendenti degli Enti che svolgono la loro attività
nelle materie contemplate dall’art. 1 del D.Lgs del Capo provvisorio dello Stato
15
17/07/1947, n. 691, e dalle leggi n. 281/85 e n. 287/90 (personale della Borsa,
Consob ecc.)18.
Quanto ai soggetti che possono optare per il transito al regime del tfr, la scelta era
stata limitata da un punto di vista temporale sino al 31 dicembre 2001 (art. 2, comma
3, AQN 29 luglio 1999). Una prima proroga al diritto di opzione fu realizzata con
l’Accordo Quadro Nazionale dell’8 maggio 2002 (posticipo al 31 dicembre 2005) ed
in considerazione della mancata realizzazione di tutti i fondi del pubblico impiego, un
recente ulteriore Accordo quadro (sottoscritto il 2 marzo 2006 e pubblicato in G.U. n.
59 del 11 marzo 2006) ha provveduto a rinviare ulteriormente il termine al 31
dicembre 2010.
Ovviamente, il passaggio al regime del t.f.r. comporterà la soppressione del
contributo a carico del lavoratore del 2,50%, in virtù della già considerata natura
retributiva del trattamento che è composto da soli oneri a carico del datore di lavoro.
La soppressione del contributo, tuttavia, non determina effetti sulla retribuzione
imponibile ai fini fiscali. Pertanto, per assicurare l’invarianza della retribuzione netta
complessiva e delle ritenute fiscali tra i dipendenti in regime di TFS e quelli in
regime di TFR (compresi coloro che hanno optato per la trasformazione del TFS in
TFR mediante l’adesione ad un fondo pensione), il Dpcm 20 dicembre 1999 ha
stabilito che la retribuzione del personale in regime di TFR sia diminuita di un
importo pari al contributo soppresso. La retribuzione lorda così diminuita viene poi
aumentata figurativamente dello stesso importo ai fini della determinazione della
base utile sia per il trattamento di pensione sia per il TFR.
Ma neppure dopo l’ultima correzione del DPCM la disciplina del t.f.r. in ambito
pubblico ha trovato una sua certa e definitiva regolamentazione.
Risolvere questo nodo critico è, come detto, necessario per consentire l’avvio della
previdenza complementare per i dipendenti del pubblico impiego, sinora ostacolata
18Circolare INPDAP n° 29 dell’8 giugno 2000.
16
dalla “…tardiva ed incompleta estensione a questa categoria di lavoratori della
normativa relativa al t.f.r.”19.
19Commissione ministeriale per la valutazione degli effetti della legge 335/95 e successivi provvedimenti: Verifica del
sistema previdenziale ai sensi della legge n. 335 del 1995 e successivi provvedimenti, nell’ottica della competitività,
dello sviluppo e dell’equità – relazione finale; settembre 2001
17
§ 4. Effetti contrattuali.
L’ampia premessa inerente il t.f.r. si è resa necessaria per identificare
analiticamente le lente tappe attraverso le quali è passato l’ordinamento previdenziale
italiano come prefigurato dalla legge 421 del 1992.
Il complesso iter normativo sull’estensione del t.f.r. ai dipendenti pubblici è stato
correlato anche ad un’espansione dei poteri dei soggetti sindacali in termini di
iniziativa e di governo del settore della previdenza complementare.
Proprio la previsione normativa dell’art. 3 del d.lgs. 124 del 1993: “…l’istituzione dei
fondi può avvenire solo tramite la contrattazione collettiva”, contribuisce a definire
uno degli elementi di specificità del settore pubblico che, nonostante la generale
tendenza alla omogeneità normativa, ancora lo contraddistingue da quello privato.
È ormai unanimemente riconosciuto il diverso regime di efficacia soggettiva ed
oggettiva della contrattazione collettiva pubblica, rispetto al settore privato e ciò
conduce a criteri e regole istitutive dei fondi pensione diversi per i due settori.
Queste caratteristiche peculiari del momento negoziale creano, in ambito pubblico,
una vera e propria riserva di contrattazione di livello nazionale per l’istituzione delle
forme pensionistiche complementari dei dipendenti “contrattualizzati”20, mentre nel
settore privato sono consentite forme molto varie che vanno dagli accordi fra
lavoratori, ai regolamenti unilaterali di enti o aziende21.
Il principio testè citato è stato di recente confermato anche dalla riforma disposta
dalla legge 243/2004 e dal decreto legislativo di attuazione n. 252 del 5 dicembre
2005 che, anche se ancora inapplicati al settore pubblico, ribadiscono la prescrizione
20 Nel P.I. la costituzione di fondi per mezzo di accordi associativi è consentita solo per il “personale in regime di diritto
pubblico” di cui all’art. 3 del d.lgs. 165 del 30 marzo 2001 e cioè per i dipendenti il cui rapporto non sia stato
“privatizzato” (magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, personale delle forze armate e di polizia ecc.) “secondo le
norme dei rispettivi ordinamenti, ovvero, in mancanza, mediante accordi tra i dipendenti stessi promossi dalle loro
associazioni”.
21 D.lgs. 124/1993, art. 3, lettera a).
18
di un atto negoziale collettivo (nazionale) per dar vita a fondi di previdenza
complementare cui possono aderire i dipendenti del pubblico impiego22.
La riserva di contrattazione nazionale appena citata viene ulteriormente ribadita
allorquando si configura il modello di finanziamento delle forme pensionistiche
complementari (art. 8 del. D.lgs 252/2005); in quel contesto la norma precisa che
“…nel caso di forme pensionistiche complementari di cui siano destinatari i
dipendenti della pubblica amministrazione, i contributi alle forme pensionistiche
debbono essere definiti in sede di determinazione del trattamento economico,
secondo procedure coerenti alla natura del rapporto”, ribadendo analoga
disposizione contenuta nel d.lgs. 124 del 21 aprile 1993, tuttora attuabile nel rapporto
di lavoro alle dipendenze della P.A.
In realtà tutte le forme pensionistiche del settore privato, sinora autorizzate dalla
COVIP, risultano costituite in forza di specifici contratti collettivi nazionali di lavoro
visto che risulta confermato il fenomeno della “…tendenza delle fonti istitutive
legittimate alla costituzione di forme pensionistiche (nel caso, le organizzazioni di
rappresentanza dei lavoratori e delle imprese) a ricercare dimensioni adeguate alla
funzionalità dei fondi, assumendo a riferimento gli elementi di omogeneità presenti
nelle specifiche aree produttive e contrattuali” 23 ? 24 e la novella legislativa più
recente si è esclusivamente limitata a ribadire l’obbligo per i fondi negoziali della
Pubblica Amministrazione contrattualizzata.
Pur non potendo escludersi la possibilità, sia pur limitata, di ricorso alla
contrattazione integrativa anche per il pubblico impiego, come parte della dottrina
conferma, l’apertura a forme di contrattazione decentrata pare possibile se circoscritta
“…all’ambito di una eventuale delega di attribuzioni”25 dalla contrattazione
nazionale a quella integrativa come previsto dal comma 3 dell’art. 40, d.lgs. n. 165
del 2001.
22 Art. 3, comma 2, primo capoverso, d.lgs 252/2005 “Per il personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche di
cui all articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le forme pensionistiche complementari
possono essere istituite mediante i contratti collettivi di cui al titolo III del medesimo decreto legislativo.”
23 Alaimo A., La previdenza complementare dei dipendenti pubblici, R.D.S.S. 2002, p.139 e ss.
24 COVIP, Realazione anno 2001, maggio 2002, www.covip.it.
25 Bessone M., Previdenza complementare, Torino 2000.
19
Allo stato pare piuttosto inverosimile un ricorso a tale livello di contrattazione
decentrata vista la inversa necessità, questa già manifestatasi, di sviluppare a
condizioni di reciprocità, fondi pensionistici intracompartimentali allo scopo di
ridurre pro quota l’incidenza dei costi di gestione26.
Anche alla luce dell’innovato modello previdenziale disposto dalla recente riforma
243/2004, resta da escludersi la possibilità di disporre l’adesione dei lavoratori del
pubblico impiego, con utilizzo delle contribuzioni datoriali e delle quote di tfr, a
fondi regionali, aperti, territoriali, individuali e ad ogni altra forma complementare
non istituita con procedura di contrattazione collettiva nazionale di lavoro.
26 Una situazione analoga si è già verificata nella stagione contrattuale 1998-2001 quando, con norme di natura
programmatica, si è prevista l’istituzione di fondi unici per la previdenza di più comparti come l’art. 42, comma 2, del
contratto della Sanità sottoscritto il 7 aprile 1999, successivamente richiamato dall’art. 13 del CCNL sottoscritto il 20
settembre 2001 (Gazzetta Ufficiale n. 248 del 24 ottobre 2001 - Serie generale), che contempla “l istituzione di un fondo
unico con i lavoratori del comparto Regioni - autonomie locali, a condizioni di reciprocità”. Analoga previsione è
riportata all’art. 18, comma 2 del CCNL del comparto Regioni e autonomie locali per il biennio 2000-2001. Anche altri
comparti hanno deciso di coordinare i loro sforzi organizzativi: vedi art.36, comma 2, contratto comparto Ministeri del
16 febbraio 1999 (Gazzetta Ufficiale n. 46 del 25 febbraio 1999 - Supplemento ordinario n. 41) e art.48, comma 2,
CCNL comparto Enti Pubblici non Economici sottoscritto il 16 febbraio 1999 (Gazzetta Ufficiale n. 60 del 13 marzo
1999 - Supplemento ordinario n. 54).
20
§ 5. Il calcolo del TFR: comparazione dei regimi contrattuali.
La base di calcolo del Trattamento di Fine Rapporto è costituita da alcuni
elementi della retribuzione: intero stipendio tabellare, intera indennità integrativa
speciale27, retribuzione individuale di anzianità, tredicesima mensilità e tutti gli
emolumenti considerati utili ai fini del calcolo dell’indennità di fine servizio
comunque denominata ai sensi della preesistente normativa.
Il comma 2 dell’art 2120 del codice civile consente, con una norma di chiusura, la
possibilità che i contratti collettivi di comparto aggiungano ulteriori voci retributive
alla base di calcolo.
Quasi tutti i CCNL hanno fatto ricorso ad una rideterminazione degli elementi
costitutivi di tale base, cosicché la disciplina risulta abbastanza inorganica ed
eterogenea.
Si è, pertanto, presentata la necessità di disporre di una sintesi della sistematica
contrattuale che mostra sperequazioni, non solo a causa della diversa terminologia
utilizzata per normare il medesimo istituto nei vari comparti, ma anche a motivo del
fatto che i contratti riconoscono alla parte fissa, utile ai fini del calcolo del tfr, ed a
quella variabile della retribuzione quote molto differenti da comparto a comparto.
Tutti i comparti e le aree del Pubblico Impiego che attingeranno risorse dai
finanziamenti disposti ex legge 388/2000 hanno, infine, individuato anche la
percentuale di contribuzione di competenza della parte datoriale (1%).
Da una ricognizione generale delle basi di calcolo del tfr, proposte dai vari contratti
collettivi ad integrazione di quanto previsto dall’art.2120 del Codice Civile, se ne
ricava un quadro difficile da ricondurre ad omogeneità ma che consentirebbe, previo
espletamento degli atti normativi ancora mancanti, di rendere finalmente operativa la
previdenza complementare nella Pubblica Amministrazione.
27 La trascorsa stagione contrattuale ha portato al conglobamento nello stipendio tabellare dell’indennità integrativa
speciale. Nei contratti sinora rinnovati all’ARAN le parti hanno convenuto di apporre in calce al testo contrattuale una
nota che impedisse che tale conglobamento avesse effetti anche ai fini previdenziali ma non ai fini del TFS.
21
§ 6. Il ruolo dell’INPDAP: Il meccanismo figurativo (virtuale).
Nella gestione dei flussi finanziari che derivano dal sistema prefigurato
dall’ordinamento giuridico attuale, l’Istituto Nazionale di previdenza per i Dipendenti
delle Amministrazioni Pubbliche svolge un ruolo di rilievo.
Il complesso impianto costruito prefigura, infatti, l’attribuzione di compiti particolari
all’istituto di previdenza pubblico, derivanti anche dalla specificità del settore che,
pur ridimensionata, continua a mostrare talune peculiarità.
All’INPDAP vengono attribuiti compiti in materia di gestione del TFR che
fatalmente riversano i propri effetti nel campo della previdenza complementare.
Tra questi il più rilevante attiene alla funzione di accantonamento e gestione
figurativa delle quote di TFR di tutti i dipendenti pubblici nonché delle quote,
anch’esse virtuali, relative all’1,5% della base contributiva di riferimento utile ai fini
dei vigenti trattamenti di fine servizio comunque denominati per coloro che, in
servizio al 31/12/2000 abbiano optato per il passaggio al TFR con contestuale
adesione al Fondo pensione.
Si parla di quote virtuali perché per il pubblico impiego non esiste materialmente
alcun TFR da conferire al Fondo pensione.
Tale virtualità costituisce lo strumento attraverso il quale si realizza la classica
dilazione del debito che emergerà a carico dell’INPDAP tra qualche decennio
quando, all’atto della cessazione dei rapporti di lavoro, l’Istituto si troverà a dover
corrispondere materialmente la prestazione.
Infatti, se lo Stato fosse stato costretto a finanziare materialmente il TFR per tutti i
dipendenti pubblici, avrebbe dovuto sopportare un esborso di circa 4,13 miliardi di
euro l’anno (pari a circa 8.000 miliardi di lire l’anno28) ed in mancanza di una
copertura finanziaria sufficiente si sarebbe messo a repentaglio l’intento di avviare il
secondo pilastro previdenziale.
28 Stima Ministero dell’Economia, anno 1997.
22
Purtroppo, una siffatta situazione rischia oltremodo di scaricare i suoi improvvidi
effetti sulle future generazioni di pensionati e, ormai da più parti, si auspica la
sostituzione del figurativo con il reale.
In base all’art. 2 del DPCM del 20/12/1999 e successive modifiche, l’Ente di
previdenza dei dipendenti pubblici, al momento della cessazione dal servizio del
lavoratore, ha l’obbligo di conferire al Fondo pensione il montante maturato
costituito dagli accantonamenti figurativi riguardanti sia le quote di TFR che quelle
relative al versamento della percentuale dell’1,5%, entrambe rivalutate dall’INPDAP
sulla base di un tasso di rendimento che, in via transitoria, per il periodo di
consolidamento della struttura dei fondi pensione dei dipendenti pubblici,
corrisponderà alla media dei rendimenti netti di un paniere di fondi di previdenza
complementare; successivamente, si applicherà il tasso di rendimento netto dei fondi
pensione dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
Di recente il Ministero dell’Economia a provveduto ad emanare il previsto DM 23
dicembre 200529 relativo all’individuazione del “paniere” di fondi già esistenti da
utilizzare come parametro per la rivalutazione annua delle quote di tfr conferite ai
fondi negoziali e computate dall’INPDAP.
Il decreto, già previsto dall’Accordo Quadro Nazionale del 29 luglio 1999 e dal
DPCM 20 dicembre 1999, ha parzialmente derogato rispetto alle indicazioni fornite
dalle fonti a quo.
Infatti, sia l’AQN 1999 che il DPCM prevedevano che il paniere fosse determinato
includendo i fondi con “maggiore consistenza di aderenti” mentre, il decreto firmato
individua i 13 fondi utili, riferendosi alla dimensione del bacino di potenziali aderenti
e non alla consistenza numerica effettiva.
Questo sistema di rivalutazione per l’anno 2005 produrrà un tasso di rendimento del
montante virtuale pari al 7,34%30 rispetto ad un rendimento del tfr che, per lo stesso
anno, è stato pari al 2,63%.
29 G.U. n. 19 del 24 gennaio 2006.
30 Stima Ufficio Studi e Documentazione ARAN.
23
Comparti/Aree Unità al
31/12/2000
Retribuzione
media
convenzionale al
31/12/2000
% INPDAP
Limite delle
risorse spettanti
in Mld di lire
MINISTERI 274.680 33.570.180 11,77 35,2952733
AZIENDE 38.845 31.471.021 1,56 4,6793098
SCUOLA 1.153.897 42.567.000 62,67 188,007826
CORPI DI POLIZIA 328.173 32.759.054 13,72 41,150019
PREFETTI 1.617 73.638.000 0,15 0,45577221
DIPLOMATICI 960 92.270.000 0,11 0,339053
FORZE ARMATE 171.135 37.014.732 8,08 24,246513
MAGISTRATI 10.072 151.125.000 1,94 5,82623331
Totale 1.979.379 100 300
Il DPCM del 1999, così come modificato nel 2001, ha anche attribuito all’INPDAP la
funzione di ripartire tra i vari fondi pensione le risorse messe a disposizione dal
Governo e trasferite all’Istituto per finanziare la previdenza complementare.
Tale ripartizione verrà effettuata tenendo conto dei trattamenti retributivi medi e della
consistenza del personale in servizio nelle varie amministrazioni al 31/12/2000.
A quest’ultima incombenza l’INPDAP ha già fatto fronte con Determinazione del
dirigente generale n° 216 del 26 novembre 2002 secondo la quale le misure di riparto
delle risorse sarebbero: Ministeri 11,77%, Aziende Autonome 1,56%, Scuola
62,67%, Forze Armate 8,08%, Forze di Polizia 13,72%, carriera Diplomatica 0,11%,
carriera Prefettizia 0,15%, Magistrati 1,94%.
Di seguito si è provveduto a meglio esplicitare i criteri di riparto adottati.
Schema di ripartizione dei finanziamenti (300 mld) ex legge 388/2000.
Spetta da ultimo all’INPDAP provvedere alla rivalutazione annuale degli
accantonamenti di tfr non destinati alla previdenza complementare ad un tasso
costituito dall’1,50% in misura fissa e dal 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al
consumo, secondo le disposizioni dell’art. 2120 del codice civile.
In sintesi al lavoratore faranno capo due conti presso la gestione dell’Istituto: uno
costituito da risorse reali, l’altro composto dai soli elementi figurativi.
24
Diverso sarà anche il sistema dei rendimenti delle risorse dei due conti che, mentre
nel primo caso godranno dei profitti effettivi derivanti dall’impiego sui mercati
finanziari, nel secondo saranno rivalutate sulla base della media dei rendimenti netti
dei fondi individuati con DM Economia 23 dicembre 2005.
25
§ 7. Il finanziamento della previdenza complementare.
Una delle particolarità che presenta l attivazione di fondi pensionistici
complementari collettivi negli Enti pubblici "contrattualizzati" è rappresentata dal
sistema di finanziamento.
Come già chiarito, infatti, se per i dipendenti di aziende private la copertura
finanziaria della prestazione complementare è garantita dalle quote materialmente
corrisposte al fondo dai datori di lavoro, per i dipendenti della Pubblica
Amministrazione cd. allargata il meccanismo virtuale in precedenza descritto,
consente di avere a disposizione somme effettive ridotte da destinare alla dotazione
dei Fondi complementari.
Occorre, quindi, per consentire l avvio ed il funzionamento a regime dell impianto
previdenziale complementare, che lo Stato, per mezzo della fiscalità generale,
individui soluzioni che consentano l’incremento della dotazione finanziaria da
trasferire ai Fondi.
La ricostruzione storica delle fonti che hanno sostenuto economicamente questa
prima e tortuosa fase di avvio non è agevole.
Se è vero che le norme succedutesi hanno provveduto a destinare, rectius, a ipotizzare
la destinazione di somme da adibire alle varie impellenze che si fossero
eventualmente presentate, non con altrettanta solerzia si è dotata questa normativa di
specifiche regole di utilizzo talché, ancora a tutt’oggi, pare difficile fornire una pronta
risposta alle richieste avanzate dai contratti collettivi.
Questo, però, non impedisce di effettuare una ricognizione attuale delle disponibilità,
onde ricercare e, sommessamente, suggerire eventuali criteri di adeguamento del
meccanismo dei flussi economico-finanziari.
La prima dotazione della previdenza complementare per i dipendenti della Pubblica
Amministrazione risale all’art. 26 comma 1831 della legge 448 del 23 dicembre
31 legge 448, 23/12/1998, art.26 comma 18. “La somma da destinare effettivamente ai fondi gestori di previdenza
complementare, ai sensi dell articolo 59, comma 56, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, resta stabilita in lire 200
26
199832 (legge finanziaria per il 1999) che assegnava a tali scopi una somma pari a
200 miliardi di lire.
Con il successivo art. 3 del Decreto Legge 24 novembre 2000, n. 34633 viene
assegnata ai fondi di previdenza complementare per l’anno 2000 una somma una
tantum pari a 100 miliardi di lire.
Infine, l’art. 74 della legge 388 del 23 dicembre 2000 (legge finanziaria 2001)34 eleva
il contributo a carico della fiscalità generale da 200 a 300 miliardi di lire a decorrere
dall’anno 2001.
miliardi annue. Nei limiti di tale importo sono trasferite ai predetti fondi quote degli accantonamenti annuali del
trattamento di fine rapporto dei lavoratori interessati”.
32 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 1998 - Supplemento Ordinario n. 210.
33 pubblicato nella G.U. n. 277 del 27.11.2000, non convertito:
“Art. 3. - Disposizioni in materia di previdenza complementare per i dipendenti delle amministrazioni delloStato
1. Per far fronte all obbligo della pubblica amministrazione, ai sensi dell articolo 8, comma 1, del decreto legislativo
21 aprile 1993, n. 124, di contribuire, quale datore di lavoro, al finanziamento e al funzionamento dei fondi di
previdenza complementare di cui al citato decreto legislativo n. 124 del 1993 per i dipendenti delle amministrazioni
dello Stato anche ad ordinamento autonomo, in corrispondenza delle risorse contrattualmente definite, eventualmente
destinate dai lavoratori allo stesso fine, è assegnata la somma di lire 100 miliardi per l anno 2000. Tale somma è
trasferita all Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell amministrazione pubblica (I.N.P.D.A.P.), che
provvede al successivo versamento ai fondi di previdenza complementare con modalità stabilite con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro del
tesoro, del bilancio e della programmazione economica, ed il Ministro del lavoro e della previdenza sociale.
2. All onere derivante dal comma 1, pari a lire 100 miliardi per l anno 2000, si provvede mediante riduzione dello
stanziamento iscritto nell ambito dell unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di
previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l anno finanziario 2000,
parzialmente utilizzando l accantonamento relativo al medesimo Ministero. Il Ministero del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le necessarie variazioni di bilancio”.
34 legge 388/2000, Art.74. “(Previdenza complementare dei dipendenti pubblici)
1. Per fare fronte all obbligo della pubblica amministrazione, ai sensi dell articolo 8, comma 1, del decreto
legislativo 21 aprile 1993, n. 124, di contribuire, quale datore di lavoro, al finanziamento dei fondi gestori di
previdenza complementare dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, in
corrispondenza delle risorse contrattualmente definite eventualmente destinate dai lavoratori allo stesso fine, sono
assegnate le risorse previste dall articolo 26, comma 18, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, nonché lire 100 miliardi
annue a decorrere dall anno 2001. Per gli anni successivi al 2003, alla determinazione delle predette risorse si
provvede ai sensi dell articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.
2. Le complessive risorse di cui al comma 1, ivi comprese quelle previste dall articolo 26, comma 18, della
legge 23 dicembre 1998, n. 448, con riferimento agli anni 1999 e 2000, sono trasferite all INPDAP, che provvede al
successivo versamento ai fondi, con modalità da definire con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su
proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
3. In fase di prima attuazione, la quota di trattamento di fine rapporto che i dipendenti già occupati alla data
del 31 dicembre 1995 e quelli assunti nel periodo dal 1° gennaio 1996 al 31 dicembre 2000 che hanno esercitato
l opzione di cui all articolo 59, comma 56, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, possono destinare ai fondi pensione,
non può superare il 2 per cento della retribuzione base di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.
Successivamente la predetta quota del trattamento di fine rapporto e definita dalle parti istitutive con apposito
accordo.
4. ….
5. ….”
27
Delle somme testé citate, e riferite ad esercizi finanziari passati, si ha la certezza di
aver potuto disporre solo dei 5,49 miliardi di lire già in cassa35 a titolo di copertura
delle prime spese di attivazione e costituzione del Fondo del comparto scuola oltre
che di quelli inerenti la contribuzione datoriale annuale ed il bonus del primo anno
per gli aderenti allo stesso fondo Espero.
A far data dall’entrata in vigore dell’art.1 comma 6 del decreto legge 194, del 6
settembre 2002 (cd. bloccaspese)36 "Le somme stanziate per spese in conto capitale
non impegnate alla chiusura dell esercizio possono essere mantenute in bilancio,
quali residui, non oltre l esercizio successivo a quello cui si riferiscono, salvo che si
tratti di stanziamenti iscritti in forza di disposizioni legislative entrate in vigore
nell ultimo quadrimestre nell esercizio precedente. In tale caso il periodo di
conservazione è protratto di un anno"; inoltre, essendo considerati da un punto di
vista contabile come residui di stanziamento e pertanto iscritti in un fondo di riserva,
possono essere resi esigibili solo a fronte di un credito vantato.
Appare dunque difficile supporre l’utilizzo effettivo degli stanziamenti pregressi,
salvo ipotizzare la possibilità di retrodatare o di certificare un credito dei Fondi
previdenziali complementari risalente al periodo di impegno della spesa.
Quanto alle disponibilità stabilite nelle ultime leggi di bilancio dello Stato (tabella C),
un primo ridimensionamento è stato disposto con la legge n. 311 del 30 dicembre
2004 (finanziaria 2005)37 ed un ulteriore limitazione è stata prevista nella legge n.
266 del 23 dicembre 2005 (finanziaria 2006) che attualmente stabilisce una dotazione
35 Tale quota è stata individuata nel Accordo per l’istituzione del fondo nazionale pensione
complementare per i lavoratori della scuola sottoscritto dall’Aran e dalle rappresentanze sindacali il
14 marzo 2001, il quale all’art 16 recita: Art.16 Spese di avvio del Fondo
“Per fronteggiare i costi di avvio del Fondo, l INPDAP in fase di prima attuazione, verserà all atto della costituzione
del fondo stesso la quota di iscrizione di L.5000 "pro capite" riferita al numero dei dipendenti del comparto.
A tale onere si fa fronte nell ambito della quota del comparto scuola della somma di 100 miliardi trasferita all INPDAP
con le modalità dell art. 3 del D.L. 346/2000. All atto dell adesione il lavoratore associato verserà una quota di
iscrizione al fondo nella misura prevista dal Consiglio di Amministrazione”.
Il calcolo, come si evince dal rapporto di certificazione del predetto accordo (13 marzo 2001), è dato dal prodotto del
numero di dipendenti pari a 1.098.000 per la quota forfetaria di lire 5.000 cad. a carico dall’INPDAP.
36 pubblicato in G.U. n. 209 del 6 settembre 2002
37 il flusso stabilito è pari a 144,944 milioni di euro per il 2005, a 140,664 milioni di euro per il 2006, e a 141,182
milioni di euro per il 2007.
28
pari a 133,280 milioni di euro per il 2006, 136,220 milioni di euro per il 2007 e
136,220 milioni di euro per il 2008.
Ulteriori dubbi ha creato poi l’utilizzo e ripartizione dei finanziamenti tra i comparti
del Pubblico impiego, anche se al momento appaiono impropriamente fugati delle
recenti disposizioni.
Infatti, per espressa previsione dell’art. 2, comma 3 del DPCM 20 dicembre 199938,
come modificato dal DPCM 2 marzo 2001, sono stati fissati, per l’assegnazione pro
quota ai vari comparti delle risorse a disposizione dei Fondi pensione, alcuni criteri di
proporzionalità che prendono a riferimento il trattamento retributivo medio dei
dipendenti delle Amministrazioni dello Stato e la consistenza del personale in
servizio39.
In prima analisi, l’Accordo per l istituzione del fondo nazionale pensione
complementare per il personale del comparto Scuola Espero40 aveva previsto la
ripartizione dei 300 mld di lire annui solo tra i comparti dei Ministeri, della Scuola,
delle Aziende e dei Corpi di Polizia41, ma la determina n° 216 del 26 novembre 2002
dell’INPDAP, emanata sulla scorta del parere favorevole del Dipartimento della
Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha considerato le
categorie di tutto il personale delle Amministrazioni dello Stato, contrattualizzato e
non, individuando anche le percentuali di riparto delle risorse.
Si deve ricordare, che la ripartizione dei 300 miliardi, così come indicata nella
relazione tecnica del citato Accordo istitutivo del fondo scuola, trasmessa dall’ARAN
alla Corte dei Conti per la dovuta certificazione in data 1 marzo 2001, non è stata
contestata né dal Consiglio dei Ministri42 né dalla stessa magistratura contabile.
38 DPCM 20 dicembre 1999 (testo coordinato con modifiche di cui al DPCM 2 marzo 2001), art.2, comma 3:
“L’INPDAP opera il riparto tra i vari fondi delle risorse complessivamente a disposizione tenendo conto di criteri
proporzionali. A tale scopo sono presi a riferimento rispettivamente il trattamento retributivo medio dei dipendenti
delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo (convenzionalmente calcolato in base all’intero
stipendio tabellare, all’intera indennità speciale, alla retribuzione individuale di anzianità e alla tredicesima mensilità)
e la consistenza del personale in servizio, alla data del 31 dicembre 2000”.
39 Supra, pag. 22.
40 Siglato il 14 marzo 2001.
41 dalla Relazione Tecnica sull’ipotesi di accordo istitutivo del Fondo Nazionale pensione complementare per i
lavoratori della scuola certificata dalla Corte dei Conti in data 1 marzo 2001.
42 Il parere favorevole è espresso nella riunione del Consiglio dei Ministri del 7 febbraio 2001.
29
Oltre ad apparire inopportuna, la successiva estensione degli ambiti soggettivi di
applicazione del finanziamento pubblico, è contestabile almeno sotto un ulteriore
profilo.
Se è pur vero che l’art. 3, comma 2, del d. lgs n.124 del 1993, prevede, anche per i
dipendenti non contrattualizzati, la possibilità di istituire forme pensionistiche
complementari secondo le norme dei rispettivi ordinamenti ovvero, in mancanza,
mediante accordi tra i dipendenti stessi promossi da loro associazioni, lo è altrettanto
il fatto che, a costoro, non è estesa la normativa di trasformazione del tfs in tfr43 e,
visto che secondo l’art. 2, comma 3 del DPCM 20 dicembre 1999 il riparto dei fondi
avverrà “…in conto di quote degli accantonamenti annuali del trattamento di fine
rapporto…”, non si comprende fino in fondo secondo quale ratio si sia pervenuti ad
una tale ampia interpretazione che, al limite, sarebbe corretta solo per forze armate e
forze di polizia in virtù dell’art. 26, comma 20, della legge 448/1998, il quale ha
provveduto ad armonizzare la normativa di comparto con quella dei settori già
“contrattualizzati”.
Da questo sistema restano comunque escluse alcuni importanti comparti ed aree
dell’Impiego Pubblico “privatizzato”.
Le predette risorse, infatti, sia pur con le incertezze appena esposte, saranno ripartite
solo tra le Amministrazioni dello Stato in senso stretto dalle quali sono distinti i
regimi delle autonomie.
Per completezza di esposizione, si ricorda che, per queste ultime, il reperimento delle
risorse resta a carico dei capitoli di spesa delle singole amministrazioni.
Seguendo tale procedura una prima indicazione viene dal comitato di settore per il
comparto Sanità.
Con l’Atto di Indirizzo per il rinnovo del CCNL del personale del comparto, relativo
il biennio economico 2000-2001, trasmesso al Ministro della Funzione Pubblica in
data 24 maggio 2001, il predetto organo di settore presso la Conferenza dei Presidenti
43 Supra, pagg. 14-15.
30
delle Regioni e delle Province Autonome al punto 5 conferma che “..al fine dell’avvio
della previdenza complementare si rendono disponibili 100 miliardi”.
I comparti e le aree della dirigenza ancora sprovvisti afferiscono in particolare agli
Enti Pubblici non Economici, alla Ricerca, all’Università; altri, come quello delle
Regioni e degli Enti Locali ed il già citato comparto della Sanità pur avendo disposto
una sostanziale copertura di tali oneri, fanno riferimento ad un procedimento tecnico
di erogazione e di accredito che non ne consentirebbe una agevole disponibilità e non
ne garantirebbe l’economicità gestionale.
Per questi motivi l’ARAN ha più volte suggerito di disporre un emendamento all’art.
74 della legge finanziaria 388/2000 che consentirebbe di ricorrere agli stessi
finanziamenti delle amministrazioni centrali per sopperire alle sole necessità di avvio
di tutti i fondi della pubblica amministrazione “allargata”, compreso i settori afferenti
alle autonomie.
L’emendamento già proposto nella XIV Legislatura con il disegno di legge (Atto
Camera C-5736) di iniziativa del Governo sul Piano d’azione per lo sviluppo
economico, sociale e territoriale (approvato dal Consiglio dei Ministri n. 198 del 11
marzo 2005), e che conteneva la previsione della possibilità di utilizzare le risorse
stanziate annualmente nel Bilancio dello Stato (3.1.5.9 - Previdenza complementare
P.A -.cap. 2156)44 anche al fine di sostenere le sole spese di avvio dei Fondi di tutte le
Amministrazioni pubbliche, in considerazione dell’esiguità della spesa ampiamente
coperta dagli importi annualmente stanziati, è stato approvato in prima lettura dalla
Camera dei Deputati45 con parere favorevole di maggioranza ed opposizione ma si è
definitivamente arenato nella discussione al Senato (A.S. 3533) per il sopraggiungere
della fine della legislatura.
44 AC 5736, art. 15, comma 12.
45 Seduta n. 650 del 5 luglio 2005.
31
PARTE II
§ 1. Suggerimenti operativi.
Lo studio si è sino ad ora limitato a dare una riassuntiva indicazione dello stato
dell’arte della previdenza complementare nel settore del pubblico impiego
contrattualizzato. La seconda parte del presente documento viene stilata con l’intento
di fornire elementi per un’agenda di lavoro dei soggetti istituzionalmente interessati.
L’intento dell’Osservatorio è quello di riportare all’attenzione di tutte le parti la
necessità di risolvere alcuni limitati nodi tecnici e politici che consentirebbero di
estendere i benefici del secondo pilastro previdenziale anche agli oltre due milioni di
lavoratori che ancora ne restano sprovvisti.
L’eventuale avvio di una fase attuativa della riforma del sistema previdenziale
pubblico e complementare anche nel settore pubblico dovrebbe sicuramente essere
anticipata quantomeno dalla concreta istituzione delle forme previdenziali
complementari già previste dagli accordi e dai protocolli di intesa sottoscritti dalle
parti sociali.
Nelle intenzioni degli ideatori del secondo pilastro previdenziale nel pubblico
impiego, c’era chiara l’idea di costituire dei Fondi che potessero affrontare senza
timore il mercato finanziario, grazie all’ampia platea di riferimento dei possibili
aderenti costituita per accorpamento di più comparti ed aree.
La previsione, più volte ribadita, è stata dichiarata particolarmente in due documenti:
il protocollo in tema di costituzione dei fondi pensione complementari dell’8 maggio
2001, che ha esplicitato la volontà delle aree dirigenziali di partecipare agli stessi
fondi definiti per il relativo comparto; e l’atto di indirizzo contenuto nel verbale n. 14
del 27 ottobre 1999 dell’Organismo di Coordinamento dei Comitati di Settore che ha
demandato all’ARAN di procedere alla definizione degli accordi sui Fondi pensione
relativamente alle aggregazioni Stato-Parastato-Aziende, Enti Locali-Sanità, Medici,
Scuola, Università-Ricerca.
Questa premessa di ordine dimensionale è necessaria per chiarire che la necessità di
istituire fondi complementari afferenti a un sostanzioso numero di potenziali aderenti,
32
resta una priorità assoluta da confermare e garantire nel prosieguo delle trattative
sindacali.
Accanto a tale principio occorre però definire con chiarezza e rapidità alcune
impellenze di carattere normativo, contrattuale e tecnico economico che
consentiranno di pareggiare il gap con il settore privato nel rendere operativo il
pilastro previdenziale complementare di origine negoziale.
Per tutti i Fondi del settore pubblico resta prioritario un intervento duplice: del
Legislatore su proposta del Governo e del Governo stesso con una iniziativa
regolamentare-normativa.
Il primo intervento, già citato46, attiene alla riproposizione del disegno di
emendamento dell’art. 74 della legge finanziaria per il 2001 (L. 388/2000)
integrando, nella copertura delle risorse statuite annualmente in bilancio ai fini della
previdenza complementare del pubblico impiego, anche la possibilità di garantire il
solo finanziamento una tantum delle spese di avvio dei fondi che riguardano le
amministrazioni pubbliche autonome.
L’impegno di spesa stimato per supportare le sole spese di avvio di tutti i futuri fondi
della P.A., garantendo un contributo pari a 3,10 euro per ogni dipendente, sarebbe
pari a circa 8 milioni di euro47; somma ampiamente coperta con le risorse già previste
nel bilancio dello Stato.
Il secondo intervento riguarda la definizione di una regolamentazione amministrativa
di competenza del Governo.
Il Consiglio dei Ministri dovrebbe predisporre un apposito DPCM che definisca le
autorità che provvederanno alle designazioni degli organi statutari (C.d.A., Revisori
dei Conti, Delegati d’assemblea) dei fondi di previdenza costituiti, costituendi e da
costituire.
La bozza di DPCM (che prevede una ipotesi concertativa fra i ministri della Funzione
Pubblica, del Lavoro e dell’Economia) è già stata predisposta e potrebbe essere
immediatamente attivato l’iter di approvazione.
46 Supra, pag. 29.
47 Relazione di quantificazione degli effetti finanziari A.C. 5736, pag. 47.
33
Questa ipotesi, peraltro, farebbe salvi gli atti compiuti per il Fondo scuola Espero e
darebbe una adeguata omogenea sistemazione alla vacante disciplina di settore.
Una trattazione particolare richiedono, infine, i processi di trasformazione di
segmenti della P.A. in enti pubblici economici o S.p.A. Nelle fasi di transizione
potrebbe risultare utile disporre di una normativa generale che regolamenti il
trattamento previdenziale complementare ed i trattamenti di fine servizio.
Di seguito la trattazione proseguirà per aree tematiche introducendo
segnalazioni che riguardano i singoli fondi di previdenza complementare in attesa di
definizione.
§ 1.1. Fondo Scuola Espero.
Il Fondo di previdenza complementare per i lavoratori della scuola, Fondo scuola
Espero, dal 17 novembre 2003 è una realtà del sistema previdenziale italiano.
In tale data, infatti, è stato sottoscritto dai rappresentanti legali dell’ARAN e delle
O.O.S.S. della scuola, l’atto costitutivo di quello che potenzialmente potrebbe essere
il maggiore Fondo del Pubblico Impiego al quale sono interessati oltre un milione di
dipendenti.
È la prima esperienza di previdenza complementare nella Pubblica Amministrazione
e si basa su un sistema di finanziamento a contribuzione definita ed a capitalizzazione
individuale.
Il difficile cammino è iniziato con l’Accordo istitutivo del Fondo, risalente al 14
marzo 2001, definito tra l’ARAN e le OO.SS. della scuola (CGIL/SNS, CISL scuola,
UIL scuola, SNALS, GILDA-UNAMS, ANP).
Il periodo di lavoro trascorso ha richiesto il comune impegno di tutti i soggetti
interessati (ARAN, Funzione Pubblica, Istruzione, Lavoro, Economia e Finanze) ed è
frutto di una costante collaborazione con la COVIP, Commissione di Vigilanza sui
Fondi Pensione, e l’INPDAP, Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti
dell’Amministrazione Pubblica
34
Un cospicuo lavoro di completamento della strumentazione normativa si è reso
necessario per adeguare l’impianto giuridico preesistente, soprattutto quello
riguardante il sistema di designazione dei componenti di parte datoriale dei primi
organi collegiali dei Fondi ed i requisiti di professionalità degli stessi per assicurare
condizioni di parità per i rappresentanti della Pubblica Amministrazione ampliando la
portata dell’art. 4 lett. d del DM 211/’97.
La soluzione a tali problemi si è avuta con il DPCM 2 maggio 2003 (pubblicato in
G.U. n° 201 del 30/08/2003), che ha risolto i dubbi riguardanti la determinazione
della competenza alla nomina dei primi organi collegiali del Fondo affidandola per il
comparto e l’area della scuola al Ministro della Istruzione, dell’Università e della
Ricerca indicando che “sono fatti salvi i provvedimenti già adottati per l avvio del
costituendo Fondo nazionale pensione complementare per i lavoratori della scuola”
e che per “…i fondi pensione relativi al personale dipendente da amministrazioni
statali o che accorpino, ai fini della previdenza complementare, il predetto personale
a quello di amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato, i componenti dei primi
organi collegiali, rappresentanti di parte datoriale, sono designati con decreto del
Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro dell economia e delle
finanze e con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, e nominati in sede di atto
costitutivo, ai sensi dell art. 5, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 1993, n.
124, come modificato dall art. 74, comma 5, della legge 23 di-cembre 2000, n. 388” .
Con il D.M. lavoro 20 giugno 2003 (G.U. n° 155 del 07/07/2003) si è anche
provveduto a definire i requisiti di professionalità necessari all’assunzione di alcune
cariche del Fondo integrando le funzioni dirigenziali svolte presso amministrazioni o
enti pubblici tra quelle già ritenute utili.
Espero segna la strada per l’implementazione del secondo pilastro della previdenza,
quello complementare di fonte negoziale parallelo al sistema generale obbligatorio, in
tutti i comparti e le aree della Pubblica Amministrazione nei tempi necessari
all’ulteriore adeguamento normativo che dovrà implicare i medesimi contributi
35
costruttivi e la stessa coesione di tutte le parti precedentemente citate già riscontrata
per il comparto e l’area della scuola.
Gli iscritti aderiranno al fondo, per il tramite del loro datore di lavoro che a seguito di
delega scritta tratterrà un contributo pari all’1% dello stipendio tabellare,
dell’indennità integrativa speciale (ormai conglobata nello stipendio tabellare) e della
tredicesima mensilità.
Al contributo ordinario testé citato si aggiungerà, all’atto dell’iscrizione, il
versamento da parte del lavoratore di una quota una tantum nella misura indicata
anche dal primo C.d.A. per le spese di avvio del Fondo.
L’Amministrazione (datore di lavoro) contribuirà per un ulteriore 1% inoltre, come
disposto dall’art. 12 dell’Accordo istitutivo del Fondo della scuola “…nell ambito
delle risorse finanziarie complessivamente disponibili a carico del bilancio dello
stato, al fine di incentivare l avvio del Fondo, il contributo del datore di lavoro è
maggiorato di una quota aggiuntiva pari allo 1% per coloro che si iscrivono nel
primo anno dall entrata in esercizio del fondo e solo per dodici mesi. Per coloro che
si iscrivono nel secondo anno la quota aggiuntiva è pari allo 0.50% sempre per una
durata di soli 12 mesi”48.
Sostanzialmente il sistema per il finanziamento dei Fondi da parte delle
Amministrazioni è lo stesso già esaminato nella prima parte della presente trattazione
e risale alla legge 388 del 23 dicembre 2000 (legge finanziaria 2001) che ha stabilito
una disponibilità di 300 miliardi di lire, a decorrere dal 2001, per i dipendenti delle
amministrazioni centrali dello Stato anche ad ordinamento autonomo, a valere quale
contributo datoriale, in corrispondenza delle risorse contrattualmente definite e
destinate anche dai lavoratori allo stesso fine.
La parte figurativa sarà invece composta dalle quote di TFR (2% della retribuzione
annua utile al calcolo del TFR per i dipendenti già occupati al 31/12/1995 e quelli
impiegati nel periodo dal 1/01/1996 al 31/12/2000 e 100% del TFR per gli assunti dal
1/01/2001) e da un bonus, pari all’1,5% della base contributiva di riferimento del
48 Vedi anche il sostegno normativo fornito in tal senso dal DPCM 2 marzo 2001 art.1 comma 1.
36
Trattamento di Fine Servizio, riconosciuto ai lavoratori già in servizio al 31/12/2000
che opteranno per l’adesione al fondo e quindi per il TFR.
I due distinti conti, quello reale e quello virtuale, si rivaluteranno con diverse
modalità: mentre quello reale seguirà il rendimento realizzato dal fondo, sul
figurativo-virtuale saranno calcolati interessi al tasso medio del paniere di fondi
definito con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze49.
Il Fondo ha di recente superato il numero minimo di iscrizioni previsto dallo Statuto
(30.000) per poter avviare la gestione finanziaria della contribuzione e poter indire le
elezioni dell’Assemblea.
Attualmente gli aderenti conteggiati dal Fondo sono 51.83850 ed il trend delle
iscrizioni porta Espero ad essere uno dei primi fondi, in valore assoluto, con il
maggior numero di iscritti nel primo anno di vita.
§ 1.2. Fondo Regioni, Enti Locali, Sanità.
L’ipotesi di accordo istitutivo del fondo è stata sottoscritta il 7 dicembre 2004 ed è
stata trasmessa al Dipartimento della Funzione Pubblica ed ai Comitati di Settore
interessati per adempiere alle procedure previste dal d.lgs. 165/2001.
A tutt’oggi i due Comitati non hanno ancora espresso il loro parere utile alla
prosecuzione dell’iter di approvazione dell’accordo.
Il T.U. sul pubblico impiego, all’art. 47, comma 3, fissa in cinque giorni il tempo a
disposizione del Comitato di Settore per esprimere un giudizio favorevole o contrario
all’ipotesi definita ma, nonostante le reiterate richieste ed il tempo trascorso, ancora
non si dispone di una indicazione dei due organismi interpellati.
Alcune indicazioni lasciano trasparire una contrarietà della rappresentanza regionale
nella preoccupazione che la costituzione del fondo nazionale negoziale possa
precludere un eventuale sviluppo della previdenza territoriale di ambito regionale.
Questa idea è certamente errata in partenza.
49 Supra, pag. 21.
50 Fonte Fondo Scuola Espero, dati aggiornati al 28 giugno 2006.
37
Con l’approvazione della legge 243 del 23 agosto 2004, recante la delega al Governo
in materia previdenziale, misure di sostegno alla previdenza complementare e
all’occupazione stabile e riordino degli enti di previdenza e assistenza obbligatoria, si
era immaginato che il Legislatore volesse consentire alle Regioni di disporre di una
maggiore autonomia nel disciplinare e costituire forme di previdenza complementare
destinate ai dipendenti residenti o operanti nel territorio di competenza.
In realtà questo è accaduto solo per le adesioni dei lavoratori privati a forme di
previdenza regionali di nuova formulazione previste nel decreto legislativo di
attuazione n. 252 del 5 dicembre 2005.
Quanto ai lavoratori pubblici contrattualizzati, come già detto in precedenza51,
costoro hanno avuto la conferma di poter aderire esclusivamente ai fondi istituiti
tramite la contrattazione collettiva nazionale; per questo personale, infatti, le forme
pensionistiche complementari possono essere istituite esclusivamente mediante i
contratti collettivi di cui al titolo III del decreto legislativo 165/200152.
§ 1.3. Fondo Ministeri, Enti Pubblici non Economici, Agenzie Fiscali,
Presidenza del Consiglio, ENAC, CNEL.
L’accordo non si è ancora raggiunto per la mancanza di copertura delle spese di avvio
e dell’onere riguardante l’inserimento dell’indennità di ente nella base di calcolo del
TFR dei dipendenti degli Enti Pubblici non Economici (Parastato).
A tale riguardo si rammenta che, in base all’art. 8, comma 4 del d.lgs. 124/9353 la
quantificazione delle contribuzioni va disposta con gli appositi contratti collettivi
nazionali di lavoro di ogni comparto od area.
51 Supra, pagg. 16 e ss.
52 “Per il personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche di cui all articolo 1, comma 2, del decreto legislativo
30 marzo 2001, n. 165, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite mediante i contratti collettivi di
cui al titolo III del medesimo decreto legislativo.” Art. 3, comma 2, d.lgs. 252/2005.
53Come ribadito dall’art. 8, comma 3 del d.lgs. 5 dicembre 2005 n. 252, “Nel caso di forme pensionistiche
complementari di cui siano destinatari i dipendenti della pubblica amministrazione, i contributi alle forme
pensionistiche debbono essere definiti in sede di determinazione del trattamento economico, secondo procedure
coerenti alla natura del rapporto”.
38
N.B. Con il recente DPEF, approvato dal Consiglio dei Ministri il 7 luglio 2006, il
Governo si è impegnato a provvedere in merito alla previdenza complementare anche
del settore del pubblico impiego.
L’Osservatorio ritiene utile riportare in calce al rapporto, il testo integrale del citato
documento per la parte inerente la presente trattazione.
DPEF 2007 – 2011
PREVIDENZA COMPLEMENTARE
“Il Governo si impegna ad assumere ogni iniziativa utile al rilancio della previdenza
complementare nei settori privati e pubblici.
L’emanazione delle direttive generali da parte della Covip consente a tutti i soggetti
interessati –parti sociali, istituzioni, enti ed operatori di mercato – di procedere agli
adeguamenti necessari per il pieno decollo della previdenza complementare e il
conseguente conferimento del TFR alle forme pensionistiche del secondo pilastro.
Il Governo conferma l’impianto generale derivante dalla legislazione che, a partire
dalle riforme previdenziali degli anni ’90, ha disciplinato il settore e si riserva
comunque di valutare, previa consultazione delle parti sociali e degli operatori,
l’opportunità di introdurre perfezionamenti alla normativa di cui al decreto
legislativo n. 252/05, utili a massimizzare i meccanismi di incentivazione delle
adesioni in un quadro di trasparenza, di stabilità e di efficienza di tutte le forme
pensionistiche.
Il Governo ha dovuto prendere atto dell’incompletezza del quadro regolatorio del
Fondo di garanzia per l’accesso al credito delle imprese che conferiscono il TFR (di
cui all’art. 10 del decreto legislativo n. 252/05) ed è impegnato alla rapida
risoluzione delle questioni emerse.
Per quanto riguarda la previdenza complementare dei dipendenti della pubblica
amministrazione, il Governo è impegnato a rimuovere gli specifici ostacoli che
hanno finora tardato la costituzione dei fondi pensione in comparti, come quello dei
39
Ministeri e degli Enti pubblici non economici, nonché quello delle regioni, Enti locali
e sanità, che hanno già sottoscritto o sono in condizione di sottoscrivere in tempi
brevi le fonti istitutive.
Il Governo, infine, è impegnato ad emanare la normativa secondaria riguardante
l’istituzione della Forma pensionistica residuale presso l’INPS (di cui all’articolo 9
del decreto legislativo n. 252/05), nonché il decreto interministeriale relativo alle
forme pensionistiche preesistenti.”
§ 1.4. Comparti ed aree Università - Ricerca
Nella recente tornata contrattuale sono state completate le clausole contrattuali
necessarie per poter avviare la previdenza complementare nei due comparti.
Infatti, con l’accordo definitivamente sottoscritto in ARAN il 7 aprile 200654, il
comparto della Ricerca ha provveduto alla esplicitazione della volontà di aderire ad
un fondo di previdenza complementare comune ad altri comparti o aree, alla
indicazione della percentuale di contribuzione datoriale (1%) e al richiamo della
disciplina di finanziamento tramite utilizzo di quote del tfr. (art. 11, AQN
29/07/1999).
Il comparto Università aveva già provveduto alla introduzione di una analoga
disciplina55.
L’avvio della previdenza complementare è subordinato alla scelta delle parti di creare
una struttura autonoma o favorire l’afflusso verso il neocostituito fondo della scuola
Espero o altri istituendi fondi.
§ 1.5. Fondo medici
Di recente alcune OO.SS. hanno avanzato proposte in merito alla definizione di un
autonomo fondo di previdenza complementare per i medici del SSN.
54 Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del personale del comparto delle Istituzioni e degli Enti di Ricerca e
Sperimentazione per il quadriennio normativo 2002- 2005 ed il biennio economico 2002-2003, art. 22.
55 Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del personale del comparto Università per il quadriennio normativo 2002-
2005 ed il biennio economico 2002-2003, art. 51. Sottoscritto in data 27 gennaio 2005.
40
Allo stato manca tutta la necessaria disciplina contrattuale (volontà espressa di
costituire il fondo, definizione della base di calcolo del TFR e della contribuzione,
indicazione della percentuale di contribuzione datoriale, copertura delle spese di
avvio) che consenta di affrontare la fase negoziale istitutiva del fondo.
41
§ 2. La riforma della previdenza complementare: cenni applicativi e
rilievi di armonizzazione.
L’Osservatorio, pur ribadendo il rinvio della trattazione della riforma previdenziale
obbligatoria e complementare ad altro apposito studio, ritiene opportuno, per
garantire un intervento immediato, sottolineare alcune importanti valutazioni che
attengono all’applicazione in ambito pubblico.
La riforma introdotta dalla L. 243/2004 per espressa disposizione normativa (art. 1,
comma 2, lett. p) non si applica al P.I. (per quanto riguarda la parte attinente alla
previdenza complementare, il TFR ed il bonus per la prosecuzione dell’attività oltre il
termine di pensionabilità).
L’attuazione sarà rinviata alla conclusione di un iter concertativo (con regioni e parti
sociali) che porterà alla emanazione di un apposito decreto di armonizzazione.
Il d.lgs. 252/2005, recante disposizioni attuative della legge di delega, è risultato
carente di una disciplina generale condivisa sin dal primo momento anche con il
settore pubblico.
L’assenza di una armonizzazione coeva potrebbe generare successivi ostacoli alla
ipotizzata omogeneizzazione dei due settori.
La tecnica legislativa adottata per il rinvio in materia di lavoro alle dipendenze della
pubblica amministrazione, è in qualche modo carente sul piano formale ed ingenera
timori di rilievo sostanziale.
L’art. 21, comma 8 del d.lgs. 252/2005 prevede l’abrogazione della precedente
disciplina di previdenza complementare contenuta nel d.lgs. 124/1993.
Con il successivo art. 23, comma 5 si precisa però che “Fino all’emanazione del
decreto legislativo di attuazione dell’articolo 1, comma 2, lett. p), della legge 23
agosto 2004, n 243, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo
1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, si applica esclusivamente
ed integralmente la previgente normativa.”
Il combinato disposto di questi due commi escluderebbe, ad esempio, anche
l’applicazione, al rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, del regime fiscale più
42
favorevole introdotto dallo stesso decreto legislativo, creando due regimi impositivi
ed una disparità di trattamento costituzionalmente rilevante (art. 3, 53 Cost.).
43
Rapporto sulla previdenza complementare nel
settore pubblico contrattualizzato*.