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10/04/2016
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   venerdì 1 luglio 2005

I FRATELLI E LE SORELLE DELLE PERSONE PORTATRICI DI HANDICAP HANNO DIRITTO AL CONGEDO STRAORDINARIO PREVISTO DALLA LEGGE ANCHE NEL CASO IN CUI I GENITORI SIANO DIVENUTI INABILI

Corte Costituzionale n. 233 del 16 giugno 2005




Maria C. ha chiesto all’INPS di poter fruire del congedo straordinario della durata di due anni, previsto dall’art. 42, quinto comma del decreto legislativo 26 marzo 2001, per poter prestare assistenza al fratello convivente, portatore di handicap grave; la richiedente ha fatto presente che suo padre era deceduto e che sua madre era affetta da invalidità totale, con diritto all’indennità di accompagnamento. L’Inps non ha accolto la domanda, rilevando che la legge invocata prevedeva il diritto, per il fratello o la sorella del soggetto portatore di handicap, al congedo straordinario, solo nel caso di avvenuta scomparsa di entrambi i genitori. Nella causa che ne è seguita il Tribunale di Vercelli ha rigettato la domanda proposta da Maria C. escludendo di poter interpretare la legge nel senso richiesto. Nel giudizio di appello la Corte di Torino ha rilevato che l’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, nel subordinare alla “scomparsa” dei genitori il diritto dei fratelli o delle sorelle del soggetto handicappato grave a godere del congedo previsto dalla stessa disposizione, postula la morte o quantomeno l’assenza dei genitori, cui non è equiparabile l’ipotesi del genitore totalmente inabile ed incapace di provvedere all’assistenza del figlio handicappato.
La Corte ha peraltro sollevato la questione di illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3 della Costituzione, della norma di legge da applicare, rilevando che essa irragionevolmente regola in modo difforme situazioni fra loro analoghe, quali sono quella del genitore deceduto o assente e quella del genitore totalmente inabile, pur essendo comune ad entrambe le ipotesi l’impossibilità del genitore di provvedere all’assistenza del figlio handicappato. La Corte Costituzionale con sentenza n. 233 del 16 giugno 2005 (Pres. e Red. Contri) ha ritenuto la questione fondata ed ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non prevede il diritto di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi con soggetto con handicap in situazione di gravità di fruire del congedo ivi indicato, nell’ipotesi in cui i genitori siano impossibilitati a provvedere all’assistenza del figlio handicappato perché totalmente inabili.
La ratio legis della disposizione normativa in esame – ha osservato la Corte – consiste nel favorire l’assistenza al soggetto con handicap grave mediante la previsione del diritto ad un congedo straordinario – remunerato in misura corrispondente all’ultima retribuzione e coperto da contribuzione figurativa – che, all’evidente fine di assicurare continuità nelle cure e nell’assistenza ed evitare vuoti pregiudizievoli alla salute psico-fisica del soggetto diversamente abile, è riconosciuto non solo in capo alla lavoratrice madre o in alternativa al lavoratore padre ma anche, dopo la loro scomparsa, a favore di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi. La norma censurata, peraltro, utilizzando in modo evidentemente improprio e atecnico il termine “scomparsa”, non prende in considerazione il caso in cui uno dei genitori, pur essendo in vita, si trovi tuttavia nella oggettiva impossibilità di prestare assistenza al figlio, in quanto a sua volta totalmente inabile: occorre perciò verificare se tale omissione risulti sorretta da una idonea e ragionevole giustificazione.
La Corte ha ricordato che essa, nel sottolineare l’esigenza costituzionale di tutela dei soggetti deboli, ha posto in luce, fin dalla sentenza n. 215 del 1987, in tema di diritto alla frequenza scolastica dei portatori di handicap, che i fattori di recupero e di superamento della emarginazione di questi ultimi sono rappresentati non solo dalle pratiche di cura e di riabilitazione ma anche dal pieno ed effettivo inserimento dei medesimi anzitutto nella famiglia e, quindi, nel mondo scolastico ed in quello del lavoro, precisando che l’esigenza di socializzazione può essere attuata solo rendendo doverose le misure di integrazione e di sostegno a loro favore. L’applicazione di tali principi ha così consentito il riconoscimento in capo ai portatori di handicap di diritti e di provvidenze economiche, la cui mancata previsione normativa si è reputata non conforme a Costituzione, risolvendosi in un inammissibile impedimento all’effettività dell’assistenza e dell’integrazione (sentenze n. 467 e n. 329 del 2002, n. 167 del 1999).
L’essenziale ruolo della famiglia nell’assistenza e nella socializzazione del soggetto disabile – ha rilevato la Corte – è stato posto in rilievo nella sentenza n. 350 del 2003 (in tema di concessione del beneficio della detenzione domiciliare alla madre condannata e, nei casi previsti, al padre condannato, conviventi con un figlio portatore di handicap totalmente invalidante) nella quale si è affermato che la salute psico-fisica del soggetto affetto da handicap invalidante può essere notevolmente pregiudicata dalla mancanza di cure da parte della madre e che «in questa prospettiva, la possibilità di concedere la detenzione domiciliare al genitore condannato, convivente con un figlio totalmente handicappato, appare funzionale all’impegno della Repubblica, sancito nel secondo comma dell’art. 3 della Costituzione, di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il pieno sviluppo della personalità».
Tra tali interventi a tutela del disabile – ha aggiunto la Corte – si inscrive il diritto al congedo straordinario previsto dalla L. n. 151/01 il quale tuttavia rimane privo di concreta attuazione proprio in situazioni che necessitano di un più incisivo e adeguato sostegno, come quella, prospettata dal giudice rimettente, nella quale la presenza del genitore totalmente invalido e privo di autonomia - che nella specie ha altresì diritto ad assistenza - esclude che possano beneficiare dell’agevolazione in esame il fratello o la sorella conviventi del soggetto diversamente abile, benché questi si diano cura di entrambi.
Ai fini della tutela prevista nella norma – la concluso la Corte – la scomparsa del genitore deve essere considerata alla stregua dell’accertata impossibilità dello stesso ad occuparsi del soggetto handicappato; è dunque incostituzionale l’art. 42, comma 5, del decreto legislativo in esame, che irragionevolmente limita il congedo in capo ai fratelli e alle sorelle del soggetto handicappato al caso di scomparsa dei genitori così non estendendo la tutela al caso di genitori impossibilitati a provvedere al figlio handicappato, trattandosi di una situazione che esige la medesima protezione di quella esplicitata nella norma.




segue testo integrale della decisione della Consulta



SENTENZA N. 233


ANNO 2005



REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE COSTITUZIONALE


composta dai signori:


- Fernanda CONTRI Presidente


- Guido NEPPI MODONA Giudice


- Piero Alberto CAPOTOSTI "


- Annibale MARINI "


- Franco BILE "


- Giovanni Maria FLICK "


- Francesco AMIRANTE "


- Romano VACCARELLA "


- Paolo MADDALENA "


- Alfio FINOCCHIARO "


- Alfonso QUARANTA "


- Franco GALLO "


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promosso con ordinanza dell’8 luglio 2004 dalla Corte di appello di Torino nel procedimento civile vertente tra M. C. e l’INPS, iscritta al n. 872 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2004.


Udito nella camera di consiglio del 9 marzo 2005 il Giudice relatore Fernanda Contri.


Ritenuto in fatto


1. – La Corte d’appello di Torino, sezione lavoro, con ordinanza emessa l’8 luglio 2004, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui prevede che le sorelle o i fratelli del soggetto handicappato possono fruire del congedo solo in caso di scomparsa dei genitori e non anche nell’ipotesi in cui questi ultimi non siano scomparsi ma siano impossibilitati a provvedere all’assistenza del figlio handicappato, perché totalmente inabili ed in possesso dei requisiti ex art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18 (Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili).


Il giudice rimettente premette in fatto di essere investito dell’appello avverso la sentenza del Tribunale di Vercelli, con la quale è stata rigettata la domanda proposta dalla ricorrente per ottenere il riconoscimento del diritto ad usufruire, in maniera continuativa o frazionata e per il periodo massimo di due anni, del congedo straordinario retribuito, previsto dall’art. 80, comma 2, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), dall’art. 4-bis della legge 8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città) e dall’art. 42, commi 5 e 6, del d.lgs. n. 151 del 2001; che il congedo era stato richiesto dalla ricorrente al fine di prestare assistenza al fratello convivente, portatore di handicap grave, essendo orfano di padre e non potendo provvedervi la madre, la quale necessitava a sua volta di assistenza; che il Tribunale aveva respinto la domanda, ritenendo di non poter accedere alla interpretazione estensiva della disposizione, prospettata dalla difesa della ricorrente, secondo la quale il requisito della “scomparsa” può ritenersi integrato anche ove il genitore in vita sia oggettivamente impossibilitato a prestare assistenza al figlio handicappato. Il giudice a quo precisa poi che nelle more del giudizio la madre della ricorrente è stata riconosciuta invalida totale, con necessità di assistenza continua, per l’impossibilità di compiere da sola atti quotidiani della vita.


Ciò premesso, la Corte d’appello osserva che l’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, nel subordinare alla “scomparsa” dei genitori il diritto dei fratelli o delle sorelle del soggetto handicappato grave a godere del congedo previsto dalla stessa disposizione, postula la morte o quantomeno l’assenza dei genitori, cui non è equiparabile l’ipotesi del genitore totalmente inabile ed incapace di provvedere all’assistenza del figlio handicappato.


A giudizio del rimettente, la disposizione in esame si porrebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, perché irragionevolmente regola in modo difforme situazioni fra loro analoghe, quali sono quella del genitore deceduto o assente e quella del genitore totalmente inabile, pur essendo comune ad entrambe le ipotesi l’impossibilità del genitore di provvedere all’assistenza del figlio handicappato.


Considerato in diritto


1. – La Corte d’appello di Torino dubita della legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui prevede che le sorelle o i fratelli del soggetto handicappato possono fruire del congedo solo in caso di scomparsa dei genitori e non anche nell’ipotesi in cui questi ultimi non siano scomparsi ma siano impossibilitati a provvedere all’assistenza del figlio handicappato, perché totalmente inabili ed in possesso dei requisiti ex art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18 (Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili).


Ad avviso della Corte rimettente, il trattamento operato dalla norma censurata, che riconosce ai fratelli e alle sorelle del disabile il diritto al congedo straordinario solo nell’ipotesi di morte dei genitori e non equipara ad essa l’ipotesi del genitore totalmente inabile ed incapace di provvedere all’assistenza del figlio handicappato, sarebbe irragionevole e lesivo del principio di eguaglianza.


2. – La questione è fondata.


2.1. – La ratio legis della disposizione normativa in esame consiste nel favorire l’assistenza al soggetto con handicap grave mediante la previsione del diritto ad un congedo straordinario – rimunerato in misura corrispondente all’ultima retribuzione e coperto da contribuzione figurativa – che, all’evidente fine di assicurare continuità nelle cure e nell’assistenza ed evitare vuoti pregiudizievoli alla salute psico-fisica del soggetto diversamente abile, è riconosciuto non solo in capo alla lavoratrice madre o in alternativa al lavoratore padre ma anche, dopo la loro scomparsa, a favore di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi.


La norma censurata, utilizzando in modo evidentemente improprio e atecnico il termine “scomparsa”, non prende in considerazione il caso in cui uno dei genitori, pur essendo in vita, si trovi tuttavia nella oggettiva impossibilità di prestare assistenza al figlio, in quanto a sua volta totalmente inabile: occorre perciò verificare se tale omissione risulti sorretta da una idonea e ragionevole giustificazione.


2.2. – Questa Corte, nel sottolineare l’esigenza costituzionale di tutela dei soggetti deboli, ha posto in luce, fin dalla sentenza n. 215 del 1987, in tema di diritto alla frequenza scolastica dei portatori di handicap, che i fattori di recupero e di superamento della emarginazione di questi ultimi sono rappresentati non solo dalle pratiche di cura e di riabilitazione ma anche dal pieno ed effettivo inserimento dei medesimi anzitutto nella famiglia e, quindi, nel mondo scolastico ed in quello del lavoro, precisando che l’esigenza di socializzazione può essere attuata solo rendendo doverose le misure di integrazione e di sostegno a loro favore. L’applicazione di tali principi ha così consentito il riconoscimento in capo ai portatori di handicap di diritti e di provvidenze economiche, la cui mancata previsione normativa si è reputata non conforme a Costituzione, risolvendosi in un inammissibile impedimento all’effettività dell’assistenza e dell’integrazione (sentenze n. 467 e n. 329 del 2002, n. 167 del 1999).


L’essenziale ruolo della famiglia nell’assistenza e nella socializzazione del soggetto disabile è stato posto in rilievo nella sentenza n. 350 del 2003 – in tema di concessione del beneficio della detenzione domiciliare alla madre condannata e, nei casi previsti, al padre condannato, conviventi con un figlio portatore di handicap totalmente invalidante – nella quale si è affermato che la salute psico-fisica del soggetto affetto da handicap invalidante può essere notevolmente pregiudicata dalla mancanza di cure da parte della madre e che «in questa prospettiva, la possibilità di concedere la detenzione domiciliare al genitore condannato, convivente con un figlio totalmente handicappato, appare funzionale all’impegno della Repubblica, sancito nel secondo comma dell’art. 3 della Costituzione, di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il pieno sviluppo della personalità».


2.3. – La tutela della salute psico-fisica del disabile, costituente la finalità perseguita dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), che la norma in esame concorre ad attuare, postula anche l’adozione di interventi economici integrativi di sostegno alle famiglie, il cui ruolo resta fondamentale nella cura e nell’assistenza dei soggetti portatori di handicap. Tra tali interventi si inscrive il diritto al congedo straordinario in questione, il quale tuttavia rimane privo di concreta attuazione proprio in situazioni che necessitano di un più incisivo e adeguato sostegno, come quella, prospettata dal giudice rimettente, nella quale la presenza del genitore totalmente invalido e privo di autonomia - che nella specie ha altresì diritto ad assistenza - esclude che possano beneficiare dell’agevolazione in esame il fratello o la sorella conviventi del soggetto diversamente abile, benché questi si diano cura di entrambi.


Ai fini della tutela prevista nella norma, la scomparsa del genitore deve essere considerata alla stregua dell’accertata impossibilità dello stesso ad occuparsi del soggetto handicappato. E’ dunque incostituzionale l’art. 42, comma 5, del decreto legislativo in esame, che irragionevolmente limita il congedo in capo ai fratelli e alle sorelle del soggetto handicappato al caso di scomparsa dei genitori così non estendendo la tutela al caso di genitori impossibilitati a provvedere al figlio handicappato, trattandosi di una situazione che esige la medesima protezione di quella esplicitata nella norma.


per questi motivi


la corte costituzionale


dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non prevede il diritto di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi con soggetto con handicap in situazione di gravità a fruire del congedo ivi indicato, nell’ipotesi in cui i genitori siano impossibilitati a provvedere all’assistenza del figlio handicappato perché totalmente inabili.


Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l 8 giugno 2005.



Fernanda CONTRI, Presidente e Redattore



Depositata in Cancelleria il 16 giugno 2005.



 
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