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11/11/2016
I DOCENTI E GLI ATA PRECARI O GIA´ DI RUOLO POSSONO OTTENERE PER INTERO IL RICONOSCIMENTO DEL PERIODO PRERUOLO
La sentenza n. 22558/2016 della Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro del 07.11.2016 è una sentenza storica per il mondo della SCUOLA PUBBLICA.
A partire da oggi qualunque precario per i dieci anni precedenti può chiedere con un ricorso al Giudice del Lavoro il riconoscimento giuridico della m... 10/04/2016
CHI ISCRIVE IPOTECA PER UN VALORE SPROPOSITATO PAGA I DANNI
E’ di questi ultimi giorni la decisione della Suprema Corte di Cassazione che ha stabilito una responsabilità aggravata in capo a chi ipoteca il bene (es. casa di abitazione) del debitore ma il credito per il quale sta agendo è di importo di gran lunga inferiore rispetto al bene ipotecato....
19/05/2015
Eccessiva durata dei processi: indennizzi più veloci ai cittadini lesi
La Banca d´Italia ed il Ministero della Giustizia hanno firmato un accordo di collaborazione per accelerare i tempi di pagamento, da parte dello Stato, degli indennizzi ai cittadini lesi dall´eccessiva durata dei processi (legge n. 89 del 2001, c.d. “legge Pinto”).
... 26/11/2014
Sentenza Corte giustizia europea precariato: vittoria! Giornata storica.
La Corte Europea ha letto la sentenza sull´abuso dei contratti a termine. L´Italia ha sbagliato nel ricorrere alla reiterazione dei contratti a tempo determinato senza una previsione certa per l´assunzione in ruolo.
Si apre così la strada alle assunzioni di miglialia di precari con 36 mesi di preca... 02/04/2014
Previdenza - prescrizione ratei arretrati - 10 anni anche per i giudizi in corso
La Consulta boccia la norma d´interpretazione autentica di cui all’art. 38, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, nella parte in cui prevede c...
27/11/2013
Gestione Separata Inps: obbligo d´iscrizione per i professionisti dipendenti?
Come è noto, la Gestione Separata dell’INPS è stata istituita dalla legge 335/1995 al fine di garantire copertura previdenziale ai lavoratori autonomi che ne fossero sprovvisti....
25/11/201
Pubblico dipendente, libero professionista, obbligo d´iscrizione alla Gestione Separata Inps
Come è noto, la Gestione Separata dell’INPS è stata istituita dalla legge 335/1995 al fine di garantire copertura previdenziale ai lavoratori autonomi che ne fossero sprovvisti.
... 05/05/2013
L´interesse ad agire nelle cause previdenziali. Analsi di alcune pronunce
Nell´area del diritto previdenziale vige il principio consolidato a livello giurisprudenziale, secondo il quale l’istante può avanzare all’Autorità Giudiziaria domanda generica di ricalcolo di un trattamento pensionistico che si ritiene essere stato calcolato dall’Istituto in modo errato, senza dete...
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lunedì 20 giugno 2005
CONVEGNO: “FARE IMPRESA PER GLI STRANIERI IN ITALIA” Articolo dell Avv. Lorenzo Ascanio CONVEGNO “FARE IMPRESA PER GLI STRANIERI IN ITALIA” Bologna 21 MAGGIO 2005 ORE 9.00 IMMIGRAZIONE MUSULMANA PROFILI GIURIDICI ED ECONOMICI DELLE MACELLERIE ISLAMICHE IN OCCIDENTE di Lorenzo Ascanio** “Chi emigra per la causa di Allah troverà sulla terra molti rifugi ampi e spaziosi” (Cor.IV, 100) Parte I Immigrazione, economia, società e il fattore religioso Alcuni spunti di riflessione Per poter affrontare il tema della condizione giuridico – economico sociale dell’immigrato musulmano in un contesto Italia, occorre iniziare dalla descrizione del più generale istituto dell’immigrazione, partendo da una sua attenta analisi economica e sociologica, per poi affrontare il particolare, curioso e certo rilevante fenomeno della costituzione delle cosiddette “ macellerie islamiche”. Tra le cause dei fenomeni migratori – oltre alle teorie sociologiche di cui brevemente accennerò – la liberalizzazione economica degli ultimi dieci anni ha sicuramente assunto una decisiva chiave di lettura al fenomeno; in effetti se sempre maggiori risultano essere il movimento di capitali, la conclusione di investimenti e l’internazionalizzazione delle imprese, che ha accresciuto la circolazione dei beni all’interno del mercato internazionale, è altrettanto cresciuta la circolazione dei servizi con organizzazioni fondate su alti capitali. All’ interno di questa evoluzione economica – che ha portato il mercato internazionale a coniare il termine “globalizzazione” – esiste una variabile economica definita “persona”, “uomo” che si fonda su un antico principio giuridico che stabilisce la libertà per ogni Stato nazionale di decidere la propria politica immigratoria ovvero di decidere chi fare entrare o meno nel proprio territorio.[1] Ogni Nazione è libera dunque di decidere il livello di flussi di ingresso sul territorio e con quali norme regolarlo; ma oggi questa regola sembra essere superata dall’esperienza comunitaria in atto, poiché, se è vero che gli stati adottano Leggi sull’immigrazione differenti tre loro, è altrettanto vero che principi fondamentali in materia di libertà di movimento e di lavoro sono da tutti gli ordinamenti dell’Unione Europea accettati e difesi. La libera circolazione dei beni nel mercato internazionale ha chiaramente comportato la libera circolazione delle persone, anzi dei lavoratori[2], categoria a cui è concessa tale libertà, anche se oggi, attraverso l’interpretazione “estensiva” del termine la Corte di Giustizia non manca di equiparare persone e lavoratori per quanto riguarda la loro libera circolazione. Dunque in un contesto di unione economica come l’Europa, la persona e il suo movimento all’interno di Essa ( soprattutto se proviene dall’esterno) assume un valore fondamentale ma allo stesso tempo non ci si può non fermare a riflettere su determinanti fattori sociali legati alle motivazioni personali di spinta alle migrazioni che, per evidenti ragioni, si intrecciano con i principi di “globalizzazione” economica; se infatti è vero che il processo di internazionalizzazione e il tasso di continuo “interscambio planetario” non si arresta ed è sempre più coinvolgente, altrettanto non si può negare che il fattore dell’immigrazione è da un lato legato indissolubilmente a tali fenomeni, dall’altro contiene in sé variabili che non sempre possono essere inquadrabili in una lettura economica. L’ immigrazione porta con sé non solo forza lavoro ma pone le più disparate culture a confronto, abitudini etniche faccia a faccia, con la eventuale conseguenza che ciò porti a scontri o ad incontri: per ciò, oltre che inquadrare lo studio del fenomeno immigratorio sotto un ottica economica, occorre primariamente teorizzare i motivi per i quali uno, più soggetti, addirittura popoli decidono di abbandonare la propria terra d’ origine e analizzare la situazione del paese d’ arrivo a contatto con lo straniero in uno studio bifasico e integrato. I movimenti migratori sono, soprattutto in sociologia, considerati una delle prime cause del mutamento di una società; tutti i più recenti movimenti migratori riguardano determinate aree del pianeta coinvolte in questo fenomeno per motivi sia economici sia geografici[3]. Qualsiasi spostamento di massa sia interterritoriale sia internazionale provoca uno squilibrio dello status di una comunità che deve confrontarsi con “ i nuovi arrivi”, anch’ essi portatori attivi di un personale modus vivendi. Procedendo con un metodo sociologico - economico, un primo livello di studio, tendente a evidenziare le cause dell’ immigrazione, distingue due piani, il primo” sociale” , il secondo “spaziale”: - il piano sociale prende in esame sia il numero di migranti distinguendo tra migrazioni individuali, famigliari, di gruppo o di massa sia il periodo di permanenza (migrazioni pendolari, stagionali, temporanee e definitive) sia il motivo, differenziando tra “ labour migrations ( migrazioni per motivi di lavoro) e not labour migrations ( migrazioni non per motivi di lavoro; trattasi di una clausola generale che può comprendere svariate cause di partenze) . All’ interno delle labour migrations in sociologia si classificano i settori e livelli delle qualificazioni professionali: forza lavoro generica, tecnici, imprenditori e professionisti; proprio la scienza economica ha teorizzato come variabili fondamentali che assurgono a ruolo di concause delle motivazioni di immigrazione per prima la diversificazione e riduzione dei rischi, ovvero la figura dell’ homo oeconomicus,[4] poi la deprivazione relativa, cioè il confronto dei redditi salariali con quelli del gruppo di riferimento, infine la conoscenza asimmetrica delle informazioni che impedisce un preciso confronto con i livelli salariali e produttivi dei mercati del lavoro stranieri rispetto a quelli di origine allo scopo di valutare esattamente l’ utilità della scelta migratoria. Tra le altre, una caratteristica del piano sociale di primaria importanza, specie riguardo le migrazioni da paesi poveri o in via di sviluppo a quelli più ricchi, è stata denominata “ brain drain” ( fuga dei cervelli) ovvero l’ esodo dei cosiddetti lavoratori individuali; in particolare questo fenomeno, segna la perdita di risorse umane qualificate da parte di un paese a causa di fenomeni migratori.[5] - Il secondo piano in esame, quello spaziale, è suddiviso in due tipologie di migrazioni, quelle interne e quelle internazionali; queste ultime a loro volta sono distinte in “incentivate” e in “ disincentivate” a seconda dell’ indirizzo politico – amministrativo che il paese ospitante segue rispetto alla promozione di specifiche scelte di richiamo della forza – lavoro straniera. L’ orientamento giuridico -amministrativo fa notevolmente variare la condizione dell’ immigrato che può essere considerato: regolare ( non vincolato rispetto al soggiorno e alla tipologia di lavoro), irregolare (soggiorno o attività lavorativa illecita) ,clandestino ( ingresso illecito) . Oltre alle citate teorie, l’ ormai intera dottrina sociologica, senza molte diatribe in argomento, afferma che ogni movimento migratorio contiene in sé sia ragioni oggettive ( spesso di costrizione dovute a persecuzioni razziali o religiose) definite convenzionalmente “push factors”, sia ragioni soggettive ( come, ad esempio, il già citato caso del “brain drain” ) chiamate “pull factors” [6]. Queste due cause sono spesso legate non solo dalla prevalenza dei fattori di spinta nelle zone di provenienza dei flussi legati alla fortissima pressione demografica e ai consistenti differenziali di reddito tra nord e sud, per quello che riguarda ad esempio le zone del bacino del mediterraneo in cui sono coinvolti i paesi sud europei come l’Italia, ma anche da politiche legislative deboli che causano fenomeni consolidate di immigrazione irregolare.[7] E’ anche in questo ambito, oltre che in altri, che può essere letto l’ insegnamento di Parson il quale stabilisce che il cuore dell’ integrazione di un sistema sociale risiede nel sistema normativo e nel complesso e nei meccanismi del controllo sociale.[8] Sempre le teorie sociologico – economiche hanno poi analizzato le conseguenti dinamiche “post – arrivo” per comprendere le reali cause dell’immigrazione in un determinato territorio; così la “scuola di Chicago” negli Stati Uniti degli anni ’20, guidata dal suo massimo esponente Robert Ezra Park, focalizzò come problema dell’immigrazione il livello di integrazione e stabilì quattro processi principali di relazioni tra culture e gruppi diversi[9]: - processo biologico di amalgama (amalgamation); - processo sociale di accomodamento (accomodation); - processo sociale di assimilazione (assimilation); - processo culturale di acculturazione (acculturation) . Secondo Park, lo svolgimento di questi quattro processi porta ad una convergenza di culture con differenze tra loro sul piano sociale e religioso, in un’ unica grande cultura, il cui fenomeno è definito con la metafora “melting pot” , enorme contenitore che racchiude in sé svariati tipi di culture confuse tra loro in “ un minestrone dall’unico sapore”; il melting pot è “il processo attraverso il quale la cultura di una comunità o di una nazione è trasmessa ad un cittadino “ adottivo” e nel quale i gruppi e gli individui vengono incorporati in una comune vita sociale e culturale”.[10] In questo quadro rientra anche l’ intuizione di Parson del modello AGIL, ovvero lo studio della società in base a quattro dimensioni in relazione tra loro: - dimensione A (adattamento, autonomia di una società); - dimensione G (conseguimento degli scopi e capacità di agire in modo unitario); - dimensione I (integrazione tra gli individui di una determinata popolazione); - dimensione L (latenza, funzioni di riproduzione della società in cui convergono cultura, costumi) .[11] Sempre appartenente alla scuola di Chicago, più giovane del Professor Park, Fredrik Barth tentò di innovare la teoria del “ melting pot”, intuendo che il fenomeno immigratorio non necessariamente dovesse portare ad una generale assimilazione in un unico “ grande pentolone” , bensì la conseguenza avrebbe potuto essere una maggiore ridefinizione dei propri confini etnici distintivi, data da una scelta di convenienza rispetto all’ ambiente di arrivo. Barth contribuì quindi al passaggio dal concetto di “ melting pot” all’ efficace metafora della “ salad bowl”, in cui ogni differenza sociale, etnica, religiosa convive con l’ altra difendendo e differenziando nei tratti essenziali la propria identità e specialità in una convivenza comune. antagoniste annullando di fatto e ponendo in un secondo piano la differenziazione etnico- culturale. [12] Ma queste due scuole, celebri e in certi casi ancor oggi condivisibili, devono tener conto della realtà che vede sempre di più atteggiamenti diversi dei vari gruppi rispetto al loro inserimento nella società di arrivo. Esistono comunità pronte e tese ad un totale inserimento nei meccanismi dello stato ospitante, altre invece rifiutano il processo di “amalgamation”[13] in difesa della propria storia, della religione, della lingua[14]. Credo infatti che le celebri scuole americane del melting pot non tengano conto di un “revival etnico”[15] capace invece ,anche se in un contesto di minoranza, di non lasciarsi omologare ma addirittura di rivendicare uno spazio sociale autonomo, originale e impostato secondo la cultura di origine. Il soggetto migrante è infatti di solito inserito in uno o più “social networks” riconducibili alle differenti nazionalità degli immigrati o appartenenti a elementi comuni dei gruppi come sangue, amicizia, etnia e religione. I neworks fungono da richiamo per coloro che successivamente decidono di migrare nel paese in cui i primi si sono stabiliti; perciò questo metodo è fondamentale per capire, rispetto alle cause dei flussi migratori, sia quale possa essere una lettura completa dei motivi di spinta e desiderio nel migrare, sia quali siano i “social networks” di riferimento, ovvero i legami tra determinate persone che stabiliscono e interpretano specifici e peculiari comportamenti sociali dei soggetti coinvolti. Questo passaggio è fondamentale per cogliere la vera dinamica del processo di integrazione dell’ immigrato nel paese ospitante poiché la vita di relazioni sociali non può essere un elemento dal quale prescindere; il profilo economico e i suoi vantaggi, le condizioni lavorative, la democraticità del paese di arrivo, non sono sufficienti per impostare una politica di integrazione se essa non è supportata da un attento studio sull’ appartenenza ad un gruppo e sulle relazioni sociali dei membri relative a momenti della vita quotidiana, come il matrimonio, il rapporto di amicizia, l’ aiuto reciproco . Il metodo descritto offre inoltre la possibilità di verificare come i gruppi di immigrati uniti da determinati social networks si evolvano in proporzione alle generazioni che si succedono sullo stesso territorio ospite; infatti dopo il primo periodo definibile di ambientamento nella nuova società, vengono programmati ulteriori spostamenti per raggiungere il luogo più consono alle in base alle esigenze della rete sociale di riferimento; successivamente il secondo periodo vede un contatto diretto con l’ ambiente esterno del paese ospite sotto le forme più disparate di aggregazione e di rappresentanza con confini netti perdendo buona parte di quegli aspetti iniziali legati a strutture familiari o puramente territoriali; lo strumento del network è quindi fondamentale per riunire la teoria “micro” delle migrazioni fondata sulle scelte individuali prese dal soggetto con la teoria “macro” basata su fattori interni e internazionali. Proprio grazie a questa valorizzazione del fattore sociale come variabile indispensabile per lo studio dei processi migratori, anche gli economisti, strenui difensori del valore puramente economico attribuibile al “capitale umano” dell’immigrato, hanno invertito la rotta passando ad una visione del fenomeno come imprescindibile dalle relazioni sociali fondamentali per il raggiungimento di un determinato obiettivo; si passa così da capitale umano a capitale sociale[16], concetto che racchiude tutte le motivazioni descritte riguardo i networks, incluse quelle economiche.[17] Dalla teoria dei social networks discende inevitabilmente uno degli elementi caratterizzanti l’ unità dei gruppi immigrati, l’ etnia, concetto dato troppo per scontato e assimilato in un’ idea più generica di fraternità dalle dottrine classiche legate a Marx e Durkheim, rivalutato invece dalle teorie antropologiche culturali e etnologiche le quali hanno coniato l’ istituto di identità etnica come fattore di coesione di un gruppo sociale “ i cui membri condividono un senso di origini comuni, rivendicando un passato storico e un destino comune e distintivo, possiedono uno o più attributi peculiari e percepiscono un senso di unità collettiva e di solidarietà[…] Un gruppo etnico ( si può appunto parlare di rete etnica) è quindi caratterizzato da quattro attribuzioni: - il senso delle origini specifiche del gruppo; - la conoscenza di un passato storico ben definito del gruppo e la credenza nel suo destino; - una o più dimensioni di individualità culturale collettiva e per ultimo un senso di singolare solidarietà comunitaria”.[18] Secondo l’ etnologia infatti l’ individuo non nasce solo, ma portatore di tratti di identità di base di gruppo che sono: caratteristiche fisico somatiche; i beni comuni del gruppo, un nome individuale e uno familiare da cui discendono la storia, l’ origine del gruppo; la religione e i relativi costumi ( come battesimo o circoncisione) che introducono l’ individuo singolo nel gruppo.[19] Lo studio dell‘ identità etnica è da alcuni autori descritto più criticamente partendo dall’ analisi di due fattori inerenti il gruppo etnico: il primo riguarda la condivisione di modelli di comportamento normativo, la seconda è relativa all’ appartenenza ad una popolazione più grande e l’ interazione con persone provenienti da altre collettività nel contesto di un sistema sociale comune; Cohen (1974), attraverso questi fattori, stabilisce che l’ etnicità debba essere “legata al grado di conformità da parte dei membri della collettività alle norme condivise nel corso dell’ interazione sociale”, per cui l’ identità etnica assume una veste politica con un preciso scopo e un determinato interesse.[20] Tra i tentativi di un melting pot completamente fallito ( basti pensare all’ esperienza americana in cui nella speranza di una nascita di un’ identità nazionale grazie al mescolamento di culture si è giunti prima al genocidio degli Indiani d’ america poi al razzismo verso i neri dell’ africa, causa di un evidente ghettizzazione) emerge dunque una “rinascita etnica”[21] ; proprio riguardo a ciò la sociologia delle migrazioni non può non prescindere da un elemento fondamentale di identità etnica e a volte motore centrale dei social networks: il fattore religioso. Il tema religioso risulta infatti fondamentale per rimanere fedeli al proseguimento di questa indagine che, riguardando il fenomeno islamico, ha chiaramente e unicamente connotazioni confessionali. Proprio la sociologia classica ci insegna che dal cosiddetto studio di un fenomeno secondario o deviante si può cogliere l’ aspetto “ normale” del sistema; infatti per studiare lo stato della salute occorre partire e analizzare le patologie, per cogliere la situazione famigliare si possono indirizzare le indagini sui divorzi e così via[22]. La religione può essere quindi essere considerata come un fattore secondario ( in certi casi deviante) attraverso cui cogliere la condizione di una nazione alle prese con il problema immigratorio e può essere l’ inizio, lo spunto di un dialogo per lo studio di una buona integrazione[23]. Non a caso Compte, Durkheim, Weber, considerati i pionieri della sociologia classica, studiarono per molti anni il fenomeno religioso, pur non appartenendo ad alcuna confessione ma percependone l’ importanza[24] Certo è vero che nel periodo storico di studio dei maestri citati la situazione era ben diversa rispetto a quella attuale: lo stato coincideva con un solo territorio e una sola religione e una sola società; è toccato al sociologo Berger[25] introdurre in materia il concetto di pluralismo religioso, inteso però come l’ aumento di religioni e quindi la crescita di offerta religiosa; lo stesso Berger dichiarava che “il pluralismo indebolisce tutte le certezze”[26] poiché nulla sembrerebbe essere certo e scontato nella ricerca dell’universale. L’ offerta religiosa è certamente un fattore fondamentale per questo studio,vista la crescita del numero di “nuove “religioni come lo shinto, i sikh, l’ animiamo, le sette dei testimoni di Geova, oltre le “ vecchie” dottrine come il Cristianesimo, l’ebraismo, l’ islam, l’ ortodossia ecc., ma non si può però prescindere dalle dimensioni della “domanda religiosa” , ovvero la richiesta soggettiva di ogni individuo appartenente ad una società di professare la propria fede, con tutto ciò che comporta questa istanza: luogo di culto, riconoscimento delle festività, associazionismo . E quando “ nuove” e “ vecchie” religioni sono importate nel nostro paese dagli immigrati che nella loro valigia, oltre ai motivi di lavoro, alla sicurezza economico- sociale dello stato ospitante tengono anche la “domanda”della propria confessione? La religione dunque opera nel contesto immigratorio come fattore sia personale sia sociale: il fattore confessionale assurge in prima istanza come dato del capitale umano del singolo sia come elemento del capitale sociale dell’ immigrato. Il soggetto infatti forma la propria identità distinguendosi dagli altri e mantenendo una continuità con sé stesso con una costante esigenza di essere riconosciuto dagli altri. L’ identità religiosa è quindi una risorsa a cui l’ individuo fa riferimento quando avverte il disagio di avere a che fare con la proposta di un ‘ altra identità, con valori diversi da quelli che l’ individuo ha assimilato nel suo processo di assimilazione, ovvero emerge la sua identità quando si trasforma in “ minoranza”. In questo contesto, la sociologia in materia è solita centrare il problema sulla famiglia come fase di “ socializzazione primaria”, che si compie nei primi anni di vita di uno straniero immigrato; rispetto alla “socializzazione secondaria” invece, i fattori possono essere molteplici; nel nostro caso assume rilevanza l’ appartenenza alla comunità d’ origine, un fattore su cui negli ultimi dieci anni si sono ravvisate varie teorie sulla sua funzione: alcune di esse hanno ravvisato un nesso tra la comunità d’ origine e il concetto di eticità utilizzato per designare il sentimento di appartenenza ad un gruppo etnico o la condizione di essere etnici. Recenti studi[27], facendo rientrare l’ elemento religioso nel più generale concetto di etnicità, riguardo la “ prima e seconda generazione”, hanno osservato che l’ identità etnica non è solamente espressione di un atteggiamento difensivo bensì assume una valenza “simbolica” perché viene meno la rivendicazione di uno specifico territorio dove l ‘immigrato chiede di poter vivere per realizzare a pieno uno stile di vita il più vicino possibile all’ originario. La famiglia in questo contesto impartisce al bambino immigrato un’ educazione mista in cui emerge da un lato un modello basato sulla cultura del paese di origine, spesso non riproducibile, dall’ altro un esempio legato a ciò che i genitori stessi hanno assimilato nel paese d’ arrivo. La seconda generazione ( “socializzazione secondaria” ) , vede invece lo scontro tra le due culture, quella del paese di partenza con quello di arrivo, in cui i ragazzi e le ragazze ricevendo o subendo un processo di assimilazione o acculturazione, reagiscono o amalgamandosi o esiliandosi. Parte II L’apertura di macellerie islamiche in contesto immigrato “vi sono interdetti gli animali morti di morte naturale, il sangue e la carne del maiale, gli animali su cui sia stato invocato all’atto dell’uccisione un nome diverso da quello di Dio, gli animali soffocati, ammazzati a colpi di bastone, morti per caduta o per colpi di corna, quelli che bestie feroci abbiano divorato in parte” (Corano V, 4). Per ovvie ragioni di sintesi dovute ai molti interventi previsti in questo convegno, mi sforzerò di definire, seppur brevemente, quali sono le principali peculiarità dell’apertura in contesto immigrato di macellerie islamiche; pertanto è indispensabile partire da alcuni rilievi storico religiosi. Le prescrizioni alimentari furono rivelate al Profeta Muhammad a Medina, dopo la sua partenza dalla Mecca, nel 622 e a parte qualche eccezione, ripropongono gli usi e i costumi antichi degli arabi. La normativa alimentare rappresenta per i musulmani un modello di comportamento universalmente accettato ed un importante fattore di identificazione con la comunità. Nel pensiero islamico il cibo è una grazia divina[28]; il Corano ne salta i valori benefici e invita l’uomo a mangiare le cose buone e di conseguenza lecite (halal) che Dio ha creato per lui e ad astenersi da quelle interdette (haram), in quanto impure. In generale tutti i cibi sono permessi, tranne la carne di maiale, il sangue versato e gli animali non macellati secondo il metodo rituale: «Io non trovo in quel che mi è stato rivelato nessuna cosa proibita a un gustante che voglia gustarla, eccetto bestia morte, sangue versato o carne di porco, chè questo è sozzura, o animali macellati su cui sia stato invocato altro nome che quello di Dio»[29]. Nel Corano si enfatizza il fatto che Dio non intende imporre ai suoi fedeli oneri che essi non possano sopportare, contrariamente a quanto è, invece, stabilito per gli ebrei, per i quali le proibizioni alimentari sono sentite come una punizione divina per i peccati commessi. Lo stesso digiuno che i musulmani devono praticare nel mese lunare del Ramadan e che costituisce il quarto pilastro dell’Islam, non rappresenta una penitenza, ma una purificazione votata al risveglio della spiritualità. L’Islam non è un sistema religioso improntato all’abnegazione o al sacrificio per l’espiazione dei peccati, per cui anche dal punto di vista dell’alimentazione non è molto appropriato parlare di “divieti”, quanto piuttosto di prescrizioni aventi una certa razionalità, per quanto “divina”. Partendo dal tabù del maiale e da tutti i suoi derivati (non bisogna infatti dimenticare lo strutto, ingrediente base di molti cibi occidentali ed italiani), questo ha una motivazione di tipo igienico: l’animale in questione, infatti, ha abitudini immonde, quali la coprofagia o il cibarsi di rifiuti in genere. Le sue carni potrebbero di conseguenza divenire veicolo di malattie per l’uomo. Vi sono anche altre spiegazioni relativamente a questa prescrizione coranica, quali la natura demoniaca dell’animale o,al contrario, il valore sacro che il maiale aveva presso alcuni antichi popoli dell’Asia Minore o dell’Africa[30], ma la prima è sicuramente la più accreditata, anche perché consente di non escludere tutta una serie di considerazioni di carattere antropologico. E’ stato, infatti, messo in rilievo come, fin dalla preistoria, l’allevamento del maiale sia legato alla sedentarizzazione, in quanto non producendo lana né latte, mal si adattava alle esigenze delle popolazioni nomadi delle regioni aride e semi-aride dell’Asia. Nel clima torrido di queste regioni, tra l’altro, il maiale difficilmente sarebbe potuto sopravvivere alla mancanza d’acqua a causa della disidratazione troppo rapida della pelle, per cui sorgono dubbi persino sul fatto che il maiale potesse far parte degli animali allevati dagli arabi delle comunità pre-islamiche. A questo proposito è interessante la posizione del direttore del Centro di cultura islamica di Bologna[31]. Secondo la sua opinione di musulmano, il divieto coranico relativo alla carne di maiale ha una sua ragion d’essere soprattutto ai giorni nostri. Infatti perché proibire le carni di un animale che all’epoca del profeta Muhammad non si era soliti, tra gli arabi, allevare e mangiare? Dio avrebbe insomma ispirato nel profeta una simile prescrizione in previsione della diffusione dell’Islam e del suo incontro con altre civiltà caratterizzate da usanze diverse: una sorta di regola data ai musulmani per gestire la convivenza in situazioni e contesti differenti da quelli originari. Inoltre, il direttore ha tenuto a precisare che il musulmano non deve interrogarsi troppo sul perché, ma deve limitarsi a fare come prescritto, nella consapevolezza che Dio ha previsto tutto per il bene dei suoi fedeli: il fatto che la carne di maiale possa recare nocumento all’organismo dell’uomo lo confermerebbe. Per rendere meglio comprensibile la sua posizione, il direttore ha anche riportato un aneddoto: durante un periodo di degenza in ospedale, essendo musulmano, aveva espressamente richiesto l’esclusione del maiale dai suoi pasti, ma accanto a lui c’era anche un altro paziente al quale il maiale era stato proibito, ma non da Dio (non si trattava di un musulmano), né per motivi religiosi, bensì dal medico e per motivi di salute! Per quanto riguarda gli altri animali, questi, sulla scorta delle prescrizioni coraniche e della tradizione profetica, sono stati divisi dalle scuole giuridiche islamiche in tre categorie: animali leciti (halal), proibiti (haram) e riprovevoli (makruh). Si tratta, tuttavia, di una classificazione che risente delle divergenze esistenti tra queste scuole tradizionali dell’Islam[32], divergenze che, è opportuno precisarlo, nascono non in relazione ai principi fondamentali del diritto islamico, ma dall’applicazione di questi ultimi a situazioni concrete, a esigenze della vita quotidiana, come nel caso dell’alimentazione. In linea generale, sono leciti, in base al passo coranico «vi sono permesse le cose buone» (Cor. V, 4), gli animali le cui carni sono gradevoli al gusto (pollame, ovini, bovini, ecc.), mentre sono vietati gli animali la cui carne risulta disgustosa. In base ad una tradizione del Profeta che divide i quadrupedi in prede e predatori, sono leciti i primi e lo stesso criterio viene applicato agli uccelli a ai pesci. Questi ultimi sono leciti e possono essere mangiati anche se trovati morti sull’acqua, in base al passo coranico «V’è lecita la pesca e il cibo che il mare contiene» (Cor. V, 96). Sono, tuttavia, considerati proibiti o riprorevoli i crostacei e i mitili. Tra gli animali domestici sono generalmente considerati leciti gli equini e proibiti gli asini. Tutti gli animali leciti devono essere alimentati con mangimi puri: qualora si cibino occasionalmente di sterco, prima di consumarne la carne o i prodotti, devono essere sottoposti ad un periodo di quarantena. Un altro peculiare divieto è quello relativo alla degustazione del «sangue versato» (Cor. VI, 145). La prescrizione ha un valore simbolico: il sangue, identificato con la vita stessa dell’animale, non deve essere mangiato per mettere in evidenza l’assoluto dominio di Dio su ogni essere vivente. Un’eccezione è fatta per il fegato e la milza, ritenuti coaguli di sangue, in quanto considerati leciti dal Profeta stesso. I cibi che per se stessi sarebbero puri, possono essere contaminati dal contatto con un animale o una sostanza impura. L’impurità del sangue mestruale (Cor. II, 222) porta alla conclusione che non solo è impura la carne della femmina di animale mestruata, ma che anche la donna mestruata può contaminare le vivande che prepara. Per quanto riguarda le bevande, sono proibite tutte quelle che hanno potere inebriante, in primo luogo il vino. Ciò non era inizialmente nelle intenzioni del profeta[33], ma le intemperanze commesse da alcuni suoi seguaci lo indussero a cambiare idea: «O voi che credete! In verità il vino, il maysir, le pietre idolatriche, le frecce divinatorie sono sozzure, opere di Satana…»[34]. Una interdizione così netta ha spinto la giurisprudenza ad elaborare una serie di norme collaterali che proibiscono per analogia l’uso di droghe e sostanze stupefacenti, nonché la compravendita di alcolici. Il divieto di consumare alcolici è valido anche nei casi di necessità, a differenza di quanto il Corano stabilisce per tutti gli altri cibi haram: «Quanto poi chi vi è costretto per fame e senza volontaria inclinazione al peccato, ebbene Dio è misericordioso e pietoso»[35]. A suggello di questa elencazione di divieti è opportuno proporre le parole tranquillizzanti di Tariq Ramadan, autorevole islamologo molto noto in Europa, per chiarire che l’Islam è comunque un sistema che non opprime lo spirito creativo del credente, del quale non mira assolutamente a mortificare l’esistenza, soprattutto nel confronto e nella convivenza con gli “altri”: «Certo c’è la preoccupazione di rispettare quello che è effettivamente proibito e quello che non lo è. Ma l’ossessione della purezza fino a torturarsi lo spirito non traduce l’orientamento degli insegnamenti dell’Islam. Bisogna restare esigenti, ma sempre in equilibrio tra l’intenzione sincera di fare il proprio meglio e la necessità di non appesantire inutilmente la vita quotidiana con regole insormontabili»[36]. Il rituale della macellazione della carne halal (consentita), è un metodo coranico che impone una specifica tecnica di produzione di alimenti provenienti da bovini. Il problema rispetto a questa tradizione viene a galla nell’ ambito dell’ immigrazione posto che, giunti ormai alla terza generazione, gli stranieri di fede islamica sono pienamente entrati nel circuito della piccola impresa cittadina attraverso l’ apertura e la gestione di esercizi commerciali ormai numerosi e perlopiù fondati sulla vendita di prodotti tipici, in questo caso etnici. Rispetto al fenomeno dell’ imprenditoria musulmana, sarebbe sociologicamente interessante stabilire le reali motivazioni di spinta all’ apertura di tali esercizi; una via potrebbe essere quella del mancato inserimento dell’ immigrato che per reazione e per un eccessivo attaccamento alle proprie radici apre un esercizio capace di coinvolgere e di attirare altri stranieri della stessa fede; l’ altra via possibile vedrebbe l’ immigrato inserito anche nel contesto economico imprenditoriale fino al punto di accettare il rischio di mettere sul mercato prodotti che, oltre a rendere noti usi e costumi propri dell’ Islam, potrebbero avere successi commerciali; si pensi al cus – cus o al quebab. Le macellerie islamiche si fondano totalmente sulla tecnica di macellazione il cui principio è estrapolabile dal Corano stesso: “vi sono interdetti gli animali morti di morte naturale, il sangue e la carne del maiale, gli animali su cui sia stato invocato all’atto dell’uccisione un nome diverso da quello di Dio, gli animali soffocati, ammazzati a colpi di bastone, morti per caduta o per colpi di corna, quelli che bestie feroci abbiano divorato in parte” (Corano V, 4). La macellazione rituale consiste nello sgozzare, in nome di Dio, un animale la cui carne è permessa”[37]. Montoni, pecore, capre, caproni, galline, polli ed altri gallinacci devono essere necessariamente sgozzati e non uccisi con un pugnale; i bovini possono invece essere sgozzati o pugnalati. E’ proibita la carne di tutti i carnivori e di tutti i rapaci, quella degli asini domestici e dei muli. Per la macellazione rituale la bestia deve essere sdraiata sul lato sinistro, con la testa rivolta verso la Mecca, con le gambe legate, ad eccezione di quella posteriore. La testa viene prima sollevata con la mano sinistra e poi recisa con utensile affilatissimo e con un unico taglio da sinistra a destra che non deve intaccare la spina dorsale e non deve essere ritirata. La morte avviene per recisione di trachea, esofago e vena giugulare, e per dissanguamento. Se la bestia non muore subito è considerata non più macellabile. Al macellaio viene richiesto di essere pubere o in età di ragione, ed essere in possesso delle sue facoltà mentali mentre, almeno teoricamente, non è un ostacolo se è donna, cristiano o ebreo; per ogni bestia uccisa, va sempre calcolata una quota di denaro per lui. Il macellaio deve recitare la formula “Bismillah Allahu Akbar” al momento del taglio che avviene con la mano destra, avendo cura di far cadere la testa dell’animale verso la Mecca: per questa sua funzione qualcuno addirittura lo considera “un imam un po’ particolare”. Il sangue dell’animale viene ovviamente buttato via e la bestia stessa viene messa “a sgocciare” per qualche tempo. Infine, per garantire che l’uccisione è realmente avvenuta secondo rituale, la carne viene timbrata in modo appropriato. In materia di macellazione e del più generale trattamento degli animali sottoposti all’uccisione a fini alimentari, la legislazione nazionale ha visto continui mutamenti in materia a partire da quella che per lungo tempo era rimasta la normativa di riferimento, il r. d 21 luglio 1927, n. 1586 in cui all’ articolo 9 si stabiliva che la macellazione degli animali doveva essere adottata con procedimenti finalizzati alla rapidità della morte dell’ animale come apparecchi esplodenti a proiettile captivo o con la enervazione, cioè la recisione del midollo allungato; immediatamente dopo tale operazione doveva seguire la recisione dei grossi vasi sanguigni del collo per l’ ottenimento della dissanguazione; tutte le operazioni venivano eseguite da personale di sicura abilità autorizzato. Nel 1974, con direttiva numero 577, la Comunità europea interveniva in materia, stabilendo un criterio generale per tutti i paesi membri per evitare disparità tali da compromettere direttamente il funzionamento del mercato comune e per definire limitazioni a comportamenti crudeli nei confronti degli animali attraverso lo strumento dello stordimento obbligatorio prima di procedere alla macellazione[38]; la nota innovativa si rinveniva all’ articolo 4 in cui si trovava la presenza di deroghe, sempre se ritenute opportune, per tipologie di macellazione rituale, basata su una certa prescrizione dettata dal culto, le quali avrebbero potuto evitare la suddetta fase dello stordimento. Il Parlamento si adeguava alla Direttiva, ricalcandone il contenuto delle disposizioni, con la Legge n. 439 del 1978, mentre dopo due anni il Governo recepiva le deroghe riguardanti i metodi rituali con il Decreto Ministeriale (innovativo e sorprendente visto il periodo non certo caratterizzato dal fortissimo ingresso musulmano nel territorio) 11 giugno 1980[39] dal titolo “ autorizzazione alla macellazione degli animali secondo i riti religiosi ebraico ed islamico”. In questo Decreto spiccano le seguenti condizione delle deroghe: “Articolo 1 : Si autorizza la macellazione senza preventivo stordimento eseguita secondo i riti ebraico ed islamico da parte delle rispettive comunità. Articolo 2 : La macellazione deve essere effettuata da personale qualificato che sia perfettamente a conoscenza ed addestrato nell esecuzione dei rispettivi metodi rituali. L operazione dovrà essere effettuata mediante un coltello affilatissimo in modo che possano essere recisi con un unico taglio contemporaneamente l esofago, la trachea ed i grossi vasi sanguigni del collo. Articolo 3 : Nel corso della operazione debbono essere adottate tutte le precauzioni atte ad evitare il più possibile sofferenze ed ogni stato di eccitazione non necessario. A tal fine gli animali debbono essere introdotti nella sala di macellazione solo quando tutti i preparativi siano stati completati. Il contenimento, la preparazione e la iugulazione dei medesimi debbono essere eseguiti senza alcun indugio” . Il Decreto attribuiva grande rilievo alle prescrizioni islamiche ( ed ebraiche) in concordia con la Cee, provocando inevitabili, e in alcuni aspetti giustificati, obiezioni[40] sopite nel tempo e riemerse con l’ emanazione di una nuova direttiva Cee nel 1993 sul tema, recepita dall’ Italia solo nel 1998 con il Decreto Legislativo n. 333 in cui vengono decisamente stabiliti i metodi leciti per la macellazione; questi che seguono sembrano le novità più importanti apportati dalla nuova normativa. Definizione dei termini ( articolo 2) : “ immobilizzazione: qualsiasi sistema inteso a limitare i movimenti degli animali per facilitare uno stordimento o abbattimento efficaci; stordimento: qualsiasi procedimento che, praticato sugli animali, determina rapidamente uno stato di incoscienza che si protrae fino a quando non intervenga la morte; abbattimento: qualsiasi procedimento che produca la morte dell animale; macellazione: l uccisione dell animale mediante dissanguamento; autorità competente: il Ministero della sanità, il servizio veterinario della regione o provincia autonoma, il veterinario ufficiale quale definito all articolo 2, comma 1, lettera g) , del decreto legislativo 18 aprile 1994, n. 286, e successive modifiche; tuttavia per le macellazioni secondo determinati riti religiosi, l autorità competente in materia di applicazione e controllo delle disposizioni particolari relative alla macellazione secondo i rispettivi riti religiosi è l autorità religiosa per conto della quale sono effettuate le macellazioni; questa opera sotto la responsabilità del veterinario ufficiale per le altre disposizioni contenute nel presente decreto. Rimane la deroga rispetto alla macellazione rituale esposta nell’ articolo 2, poiché il decreto stabilisce che le disposizioni riguardanti l’ obbligo di stordimento “non si applicano alle macellazioni che avvengono secondo i riti religiosi”. Le operazioni di trasferimento, stabulazione, immobilizzazione, stordimento, macellazione o abbattimento di animali possono essere effettuate solo da persone in possesso della preparazione teorica e pratica necessaria a svolgere tali attività in modo umanitario ed efficace. Il personale che esegue le operazioni relative allo stordimento deve essere in possesso di un adeguato grado di qualificazione attestato dalla azienda unità sanitaria locale competente anche attraverso appositi corsi di formazione. Questo il quadro legislativo di riferimento; parallelamente, le associazioni islamiche italiane, nelle bozze di intesa, proclamano una conquista già avvenuta nel 1980, e utilizzano tale vittoria nelle richieste di tutela delle prescrizioni religiose: l’ articolo 6 della bozza d’ intesa dell’ UCOII stabilisce che “ la macellazione eseguita secondo il rito islamico continua ad essere regolata dal decreto ministeriale 11 giugno 1980, in conformità alla legge e alla tradizione islamica”, fondando tale convinzione sul fatto che da un lato dal 1980 ad oggi nessun intervento ministeriale in materia ha mutato il contenuto di quello originario, dall’ altro il decreto legislativo del 1998 sembra palesemente ricomprendere la facoltà di deroga, determinando in certi punti forse più chiarezza, come nel caso della titolarità del fedele responsabile della qualità di autorità competente. Ferma restando una residua competenza regionale in tema di prevenzione sanitaria, il tema in merito al permesso di macellazione rituale islamica ha acceso discussioni a livello locale sulla legittimità di tali operazioni; in particolare proprio in Consiglio Regionale Emilia Romagna l’ ex assessore alla Sanità Giovanni Bissoni, rispondendo in aula a due interrogazioni presentate da due consiglieri[41] che chiedevano delucidazioni sull’ attuale stato in Regione del trattamento degli animali in operazioni di macellazione rituale, ha dichiarato: “ spetta comunque al veterinario ufficiale dell’impianto presso il quale sono macellati animali secondo particolari riti religiosi, che deve essere inserito, previo accertamento dei requisiti richiesti, nell’ apposito elenco ministeriale, verificare il rispetto delle disposizioni previste dal Decreto in questione per evitare inutili sofferenze all’ animale nel corso della macellazione […]; lo stesso decreto definisce anche un’ autorità religiosa che ha il compito di attestare la conformità delle macellazioni ai vari riti religiosi, prevedendo comunque che sia tale autorità che gli operatori da essa incaricati operino sotto la responsabilità del Veterinario Ufficiale dello stabilimento, sempre presente durante le operazioni di macellazione negli stabilimenti riconosciuti a livello ministeriale [ … ] ; nell’ elenco ministeriale risultano a tutt’ oggi inseriti dieci stabilimenti di macellazione dell’ Emilia Romagna” .[42] Conclusioni Le macellerie islamiche in Italia oggi sono ormai numerosissime; in base agli ultimi dati statistici rilevati dal Ministero della salute nel 2003 esistono circa 100 strutture di macellazione in deroga ( un quinto totale dei macelli italiani) in cui è possibile abbattere i capi animali secondo il rito islamico descritto. Rispetto a tale fenomeno che segna definitivamente – a mio modesto avviso – l’ingresso totale dell’ imprenditoria musulmana nel mercato italiano, occorre porre alcune considerazioni finali. - prendendo spunto da quanto affermato nella prima parte del mio intervento, sono certo che il “network islamico” in Italia sia nato e stia crescendo per il tramite del fattore religioso che opera come trait d’union tra gli immigrati provenienti dai paesi di forte influenza islamica; - sono però altrettanto certo che, se è vero che la moschea ha avuto (ed ha tuttora) un ruolo fisico di incontro e re – incontro etnico religioso in contesto immigrato, è altrettanto assodato che ulteriore fattore di ri – unione sotto un unico network islamico siano oggi più che mai le macellerie rivenditrici di carne halal; - quest’ultimo fenomeno fa sì che la Umma musulmana immigrata possa da un lato avere un chiaro punto di riferimento religioso culturale nelle città ( la macelleria halal richiama l’immigrato musulmano al rispetto delle prescrizioni coraniche) dall’altro possa inserirsi nel mercato economico italiano come alternativa forma di imprenditoria concorrente rispetto al paniere della vendita di prodotti alimentari; - i motivi per cui queste forme di impresa sono nate e sono in continua evoluzione sono a mio avviso dovuti da un lato al mancato inserimento dell’ immigrato che per reazione e per un eccessivo attaccamento alle proprie radici decida di aprire un esercizio capace di coinvolgere e di attirare altri stranieri della stessa fede, dall’altro l’ avvenuto inserimento anche nel contesto economico imprenditoriale fino al punto di accettare il rischio di mettere sul mercato prodotti che, oltre a rendere noti usi e costumi propri dell’ Islam, potrebbero avere successi commerciali. **Studio Legale de Capoa & Associati Diritto musulmano e dei paesi islamici Università degli Studi di Bologna [1] Questo è un principio richiamato da tutte le dottrine giuridiche di diritto internazionale. Cfr. Francesco Munari, Immigrazione e diritto internazionale dell’economia: alcuni spunti di riflessione, in Diritto del commercio internazionale, Ed. Giuffré, Aprile – Giugno 2004, pag. 252. [2] Sempre l’ Autore citato in nota n. 1 sostiene ( pag. 253 ) giustamente che: “ anche nella sua originaria struttura, per intenderci quella della Comunità Economica Europea del 1957, l’integrazione e la cooperazione economica degli Stati Membri prevede la libera circolazione delle persone quale libertà fondamentale accanto alle libertà relative agli altri fattori di produzione”. [3] E. GRANDE, Mediterraneo, bacino di migrazioni, tratto dalla rivista “ Affari sociali internazionali”, n. 1, 2003, ed F. Angeli, 2003. L’ autore indica appunto come una delle aree più coinvolte quella del bacino del Mediterraneo, “ nella quale il fenomeno migratorio si ripropone seguendo quella contrapposizione nord-sud andatasi delineando a livello globale nel corso degli ultimi decenni”; infatti in questa zona i paesi della sponda nord del Mediterraneo ( Italia, Spagna, Portogallo, Grecia) raccolgono flussi di immigrati provenienti da paesi in via di sviluppo dello stesso bacino (paesi nord africani) . [4] Sul tema anche CARLO BORIS MENGHI, ( a cura di, ) L’ immigrazione tra diritti e politica globale, ed. G. Giappichelli, 1998 [5] Sul tema, un indagine curata dal Gruppo Cerfe, che su un campione di 979 immigrati ( 394 uomini e 585 donne) qualificati complessivamente intervistati, ha rilevato che la percentuale di laureati si attesta intorno al 53% ( 52, 1 % donne e 54, 0 % uomini) ; Di questi, una porzione rilevante intorno al 53 % / il 27 % tra le donne e il 28, 1 % tra gli uomini) , ha addirittura ottenuto una specializzazione post – universitaria. La grande maggioranza degli intervistati conosce almeno due lingue, oltre all’ italiano e dimostra di saper utilizzare le tecnologie informatiche. [6] C.f.r. G. Scidà “ Migrazioni e lavoro: prospettive sociologiche” articolo tratto dalla “ Rivista sociologica del lavoro” Ed. F. Angeli, 199, pag. 26- 31. [7] Vedi nota n. 6. [8] T. PARSON, Comunità societarie e pluralismo. Le differenze etniche e religiose nel complesso della cittadinanza. Scritti di Parsone, tradotti e commentati a cura di G. Sciortino, ed. Franco Angeli, 1994. [9] Park sottolinea come l’ integrazione sia fondamentale per “ stabilire e mantenere un ordine politico in una comunità che non ha alcuna cultura comune” ( Park, Burgess, 1921, ). [10] La definizione di “melting pot” è di G. Scidà, Pollini, sociologia delle migrazioni, ed. Franco Angeli, 1998. [11] V. Cotesta, Sociologia dei conflitti etnici, ed. Laterza, 1999. [12] vedi nota 1. [13] Park, 1921. [14] Questa è l’ opinione di G. Scidà, da me condivisa. [15] Scidà, op. cit. [16] L’ intuizione prende spunto da uno studio di L. Zanfrini Il capitale sociale nello studio delle migrazioni. Appunti per una prima riflessione, articolo tratto dalla rivista sociologica del lavoro n. 91 - capitale sociale, lavoro e sviluppo- a cura di R. rizza- G. Scidà, ed. F. Angeli, 2002. [17] Le teorie classiche cercavano di spiegare la scelta di migrare come individuale di massimizzazione dei vantaggi ottenibili attraverso l’ investimento del capitale umano; la teoria però non può valere se non sorretta da motivazioni sociali come la rete di relazioni. Vedi nota n. 15. [18] La definizione appartiene a A. D Smith ( 1981) , autore citato da V. Cotesta, Sociologia dei conflitti etnici, ed. Laterza, 1999. Sempre sul tema è interessante e attuale l’ insegnamento di Alexis de Tocqueville ( 1835) che scrive, rispetto allo studio delle migrazioni verso l’ America: “non andavano nel nuovo mondo per migliorare la loro situazione o per accrescere le loro ricchezze, ma si staccavano dalle dolcezze della patria per obbedire ad un bisogno puramente spirituale. Esponendosi alle inevitabili miserie dell’ esilio, volevano far trionfare un’ idea”. [19]Queste intuizioni sono di Isaacs, 1975, autore citato da V. Cotesta, in op. cit. [20] La tesi di Cohen è sostenuta anche da Blazer e Moynihan (1975) i quali interpretano i conflitti etnici come conflitti di interessi; “ possiamo azzardare l’ ipotesi secondo la quale i conflitti etnici sono diventati una forma mediante la quale vengono condotti conflitti di interesse tra stati e negli stati”. Vedi nota n. 20. [21] M. MARTINIELLO, Le società multietniche- diritti e doveri uguali per tutti?-, Ed. Il mulino, 2000. [22] Le similitudini sono di S. Allievi, Migrazioni, globalizzazioni e pluralità religiosa. Cambiamenti in atto nel paesaggio e nelle dinamiche religiose in Europa, capitolo tratto da G. Scidà, ( a cura di) I sociologi italiani e le dinamiche dei processi migratori, Ed. F. Angeli, 2002 pag. 11- 16. [23] Konrad Lorenz sosteneva che “ lungi dal costituire un ostacolo insormontabile ai fini dell’ analisi di un sistema organico, la sua disfunzione patologica rappresenta spesso la chiave per poterlo comprendere.”. [24]Allievi ricorda che Durkeim, figlio di un rabbino ma non credente, studiò l’ ebraismo come fattore “cruciale nel tenere insieme una società”. [25] Berger appartiene alla corrente sociologica della fenomenologia, metodo filosofico che si sviluppa dall’ individuo e dalla sua esperienza cosciente e che cerca di evitare assunti aprioristici, pregiudizi e dogmi. Questa dottrina esamina i fenomeni nella maniera in cui gli attori li percepiscono nella loro immediatezza. Altri autori appartenenti a questa scuola sono Garfinkel,e Lucmann. [26] Autore citato da R. DE VITA-F. BERTI, ( a cura di, ) La religione nella società dell’ incertezza -per una convivenza solidale in una società multireligiosa, Ed. F. Angeli, 2001. [27] Centro Nazionale di Documentazione ed analisi sull’ infanzia e adolescenza, “ Un volto o la maschera? I percorsi di costruzione dell’ identità.Rapporto 1997 sulla condizione dell’ infanzia e dell’ adolescenza in Italia.”, Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dipartimento per gli Affari Sociali. [28] Corano XVI, 72; XIV, 37; VI, 142. [29] Corano VI, 145. [30] Nell’antico Egitto il maiale era identificato prima con Osiride, poi con Seth. [31] Il centro è membro dell’U.C.O.I.I. (Unione delle comunità ed organizzazioni islamiche in Italia). [32] Nell’ambito dell’ortodossia islamica esistono quattro scuole ufficialmente riconosciute: le scuole hanafita, malichita, sciafeita e hanbalita. Tutte prendono il nome dai loro fondatori. [33] Vi sono, infatti, nel Corano alcuni versetti, che lodano i pregi del vino e invitano i fedeli a goderne. Vedi, ad esempio, Cor. XVI, 69. [34] Cor.V, 90. [35] Cor. V, 3. [36] Tariq Ramadan e Jacques Neirynk, Possiamo vivere con l’Islam?, Imperia, Edizioni Al Hikma, 2000. [37] Al Djazairi Abu Bakr Djabar, La Via del musulmano, 2000. [38] La Cee definiva lo stordimento un procedimento effettuato per mezzo di uno strumento meccanico, dell’ elettricità o dell’ anestesia con il gas senza ripercussioni sulla salubrità delle carni e delle frattaglie e che provocasse nell’ animale uno stato di stordimento e incoscienza persistente fino alla macellazione. [39] Pubblicato in G. U n. 168, 20 giugno 1980. [40] Il dibattito ha assunto due posizioni antitetiche: la prima difendeva il contenuto del Decreto per lo spirito di integrazione sociale scaturito dall’ apertura all’ Islam e in nome della libertà religiosa e della difesa degli animali convinti della positività del metodo musulmano e della sua assoluta non lesività; la seconda attaccava il testo in difesa dell’ animale consapevole del dolore patito causato dal rito. Tra questi ultimi, V. G. Vignoli, La protezione giuridica degli animali di interesse zootecnico, in Rivista di diritto agrario, 1986, dichiara: “ il doveroso rispetto delle credenze di minoranze religiose, ancorché esigue, non giustifica l’ ammissione legislativa di metodi ripugnanti alla grande maggioranza della popolazione e addirittura peggiorativi rispetto a quelli indicati dalla legislazione in materia”. [41] I consiglieri regionali erano Alberto Balboni di A. N e Maurizio Parma di Lega Nord. Il contenuto della risposta data dall’ Assessore è consultabile nel link dei comunicati stampa ( Bologna, 1 dicembre 2000) del sito www.regione.emilia-romagna.it. [42] Decisamente diverso è apparso il tono di una mozione urgente al Presidente del Consiglio Regionale Lombardia del 22 gennaio 2001 in cui due firmatari della Lega Nord chiedevano di vietare su tutto il territorio regionale la macellazione e la vendita di carni macellate senza il preventivo stordimento dell’ animale, di richiamare i comuni al rispetto della normativa commerciale vigente, di mettere in atto da parte delle competenti autorità sanitarie locali, particolari e rigidi controlli in occasione della festa del Sacrificio, per impedire la macellazione abusiva di ovini, di spronare il Governo Italiano alla revoca del decreto ministeriale dell’ 11/6/1980, sull’ esempio di Germania, Austria, Svezia, Olanda. In Liguria, a Novi Ligure ( si legga la notizia su www.mucca.it) il Consiglio Comunale si era schierato totalmente contro la macellazione, votando all’ unanimità una richiesta di accertamento della possibilità di sospensione della pratica rituale islamica. |
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