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10/04/2016
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   domenica 12 settembre 2004

DURATA DEL CONTRATTO A TERMINE

Sezione Lavoro.



“Il principio per cui il termine può essere apposto all atto della stipula del contratto di lavoro, non anche successivamente e in corso di svolgimento del rapporto, si deve dunque considerare come inoperante per i dirigenti, non potendosi configurare un interesse del datore di lavoro ad eludere insussistenti limiti alla facoltà di recedere dal contratto”



Breve nota a cura del Dott. Fausto Troilo.





SEGUE IL TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA





LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Sergio Mattone Presidente

Dott. Alberto Spanò Cons. Rel.

Dott. Pietro Cuoco Consigliere

Dott. Bruno Battimiello Consigliere

Dott. Alessandro De Renzis Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

G.C. elettivamente domiciliato in Roma, via Britannia 36, Studio avv.

Trezza, presso l avv. Giulio Valori che lo rappresenta e difende

giusta delega in atti;

- ricorrente e controricorrente avverso ricorso incidentale -

contro

S.L.I. S.r.l., elettivamente domiciliata in Roma, via Eleonora

Fonseca Pimentel n. 2, studio avv. Costa, presso gli avvocati Michele

Costa, Corrado Scivoletto e Tania Troncone che la rappresentano e

difendono giusta delega in atti;

- controricorrente ricorrente incidentale -

avverso la sentenza n. 55/2002, decisa il giorno 8 febbraio 2002 e

pubblicata il giorno 22 febbraio 2002, resa dalla Corte d Appello di

Ancona nel procedimento n. 35/2001 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24

ottobre 2003 dal Relatore Cons. Dott. Alberto Spanò;

udito l avv. Michele Costa per la società resistente;

udito il P.M. che, in persona del Sostituto Procuratore Generale

Dott. Federico Sorrentino, ha concluso per il rigetto del primo

motivo del ricorso principale e per l inammissibilità degli altri

due; per il rigetto del ricorso incidentale;





Fatto-Diritto

Con ricorso in data 14 maggio 1999 G.C. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Ascoli Piceno in funzione di Giudice del Lavoro la società S.L.I. S.r.l., al fine di ottenere la declaratoria d inefficacia della clausola di durata apposta in corso di prestazione al contratto di lavoro quale dirigente a tempo indeterminato in data 23 settembre 1998 e, in conseguenza, la declaratoria d illegittimità del licenziamento a lui intimato in data 19 novembre 1998 e ancora il risarcimento dei danni subiti per l affermata offensività dello stesso.

Con sentenza n. 813/2000 in data 28 novembre - 12 dicembre 2000, il Giudice adito accoglieva la domanda, limitatamente al riconoscimento della illegittimità del termine apposto in corso di prestazione d opera e all illegittimità del licenziamento; condannava la datrice di lavoro al pagamento dell indennità sostitutiva del preavviso e dell indennità supplementare prevista dal CCNL per i dirigenti industriali.

Interponeva appello la datrice di lavoro e in esito il gravame veniva accolto in parte con sentenza n. 55/2002, emessa in data 8 - 22 febbraio 2002 dalla Corte d Appello di Ancona. Veniva infatti riconosciuta come legittima l apposizione di un termine al rapporto di lavoro del dirigente, durante lo svolgimento dello stesso.

Veniva peraltro esclusa la sussistenza di una giusta causa nel licenziamento. La datrice di lavoro veniva condannata al pagamento della somma di E 17.215,23, con riflessi sul computo del TFR e con gli interessi in misura legale.

La decisione veniva così motivata.

Osservava la Corte territoriale che doveva escludersi, nella stipula relativa all apposizione del termine in costanza di rapporto di lavoro dirigenziale a tempo indeterminato, la natura di novazione oggettiva. Riteneva peraltro legìttima l apposizione del termine in costanza di prestazione d opera al contratto di lavoro del dirigente, non assistito da stabilità.

Osservava ancora che la datrice di lavoro, rilevando in grado d appello l inapplicabilità al G.C. dell art. 7 legge 20 maggio 1070 n. 300, siccome dirigente apicale, non aveva introdotto un tema nuovo ma solamente svolto una mera difesa.

Prendeva in esame gli elementi acquisiti e qualificava il G.C. come dirigente di vertice, escludendo peraltro la sussistenza di una giusta causa nel licenziamento.

Avverso la sentenza, che dalla copia autentica versata in atti da parte ricorrente risulta notificata in data 8 marzo 2002, propone ricorso per cassazione G.C. con atto notificato in data 30 aprile 2002, sulla base di tre motivi.

La società S.L.I. S.r.l., resiste con controricorso notificato in data 7 giugno 2002 e propone ricorso incidentale con due motivi.

G.C. resiste al ricorso incidentale con controricorso notificato in data 15 luglio 2002.

MOTIVI DELLADECISIONE

I due ricorsi, principale ed incidentale, vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell art. 335 cpc.

Quanto al ricorso principale, col primo motivo si denuncia, con riferimento al n.3 dell art. 360 cpc, la violazione o falsa applicazione degli articoli 1, 2 e 4 legge 18 aprile 1962 n. 230, 2095 e 2118 cc. Si denuncia altresì, con riferimento al n. 5 dell art. 360 cpc, il vizio di motivazione.

Si osserva che anche per i dirigenti è operante il divieto di apporre un termine al contratto di lavoro in corso di svolgimento. La censura non appare fondata.

Invero il rapporto di lavoro del dirigente è connotato da uno specifico carattere fiduciario non compatibile con la stabilità. E soprattutto per il dirigente deve trovare adeguato temperamento il principio di tutela del contraente più debole, quale per definizione è il lavoratore subordinato, atteso che il datore di lavoro ha un evidente interesse ad assicurarsi la costanza nella prestazione d opera di persona che ha concorso a determinare le strategie aziendali ed è a conoscenza di tecniche operative non sempre tutelabili con patti di non concorrenza stipulati ai sensi dell art. 2125 cc.

In quest ambito trova collocazione la norma dettata all art. 4 della legge 230/1962 che consente la stipula di un contratto a termine per i dirigenti, della durata non superiore a 5 anni, peraltro vincolanti per il solo datore di lavoro dal momento che il dipendente può recedere dopo tre anni.

Il principio per cui il termine può essere apposto all atto della stipula del contratto di lavoro, non anche successivamente e in corso di svolgimento del rapporto, si deve dunque considerare come inoperante per i dirigenti, non potendosi configurare un interesse del datore di lavoro ad eludere insussistenti limiti alla facoltà di recedere dal contratto.

Al riguardo questa Corte di legittimità, nella sentenza 14 dicembre 1983, n. 7382, ha affermato che "qualora, successivamente all assunzione di un dirigente con contratto di lavoro a tempo indeterminato, sia intervenuto fra le parti un nuovo accordo, con il quale si sia fissata una durata determinata del rapporto, il giudice del merito, al fine di stabilire la validità e la natura di tale ulteriore accordo, deve tener presente che nei confronti dei dirigenti non sono applicabili né le norme della l. 15 luglio 1966, n. 604, né quelle della l. 20 maggio 1970, n. 300, in tema di tutela della stabilità nel posto di lavoro".

Tale orientamento, per le ragioni sopra specificate, appare meritevole di adesione senza riserve.

Col secondo motivo si denuncia, con riferimento al n. 3 dell art. 360 cpc, la violazione degli articoli 7 legge 300/1970, 2106, 2118, 2119, 2697 cc, 112, 115, 342, 345, 434, 437 cpc e ancora, con riferimento al n. 5 dell art. 360 cpc il vizio di omessa motivazione.

Si osserva che la datrice di lavoro solo in atto di appello ha affermato non esser applicabile l art. 7 legge 300/70 trattandosi di rapporto di lavoro con dirigente apicale e l odierno ricorrente aveva dichiarato di non accettare il contraddittorio su tale nuova domanda.

La censura non appare fondata.

Invero il giudice di primo grado aveva preso in esame l inquadramento del G.C. quale dirigente, tanto da riconoscergli l apposita indennità contrattuale per il caso di licenziamento ingiustificato e tuttavia aveva considerato applicabile nei suoi riguardi la procedura di cui all art. 7 legge 300/70, avendolo considerato dirigente non apicale.

La relativa problematica faceva dunque parte della materia del contendere e le argomentazioni svolte al riguardo dalla società appellante sono state giustamente considerate quali mere difese. Col terzo motivo si denuncia, con riferimento al n. 3 dell art. 360 cpc, la violazione degli articoli 2697 cc, 115, 116, 244, 431, 437 cpc. e ancora, con riferimento al n. 5 dell art. 360 cpc il vizio di omessa motivazione.

Si lamenta la mancata ammissione delle prove dedotte per dimostrare la posizione di dirigente non apicale.

La censura non appare fondata.

Invero la Corte territoriale ha considerato generico il capitolo di prova n. 33, riportato nel ricorso, ove si riferisce di un potere di controllo a livello di direzione europea sulle "politiche aziendali" come trattate nelle riunioni mensili cui il G.C. partecipava con alti dirigenti e tale valutazione appare coerente dal momento che il ricorrente non afferma di essere stato un mero esecutore di direttive adottate da organi operanti al di fuori del territorio nazionale. Ancora il Collegio di merito ha considerato nuovi gli altri capitoli, del pari riportati in ricorso, e tale ratio decidendi non viene censurata dal G.C. il quale si limita a prospettare il difetto di motivazione in ordine al mancato esercizio dei poteri discrezionali del giudice del lavoro in tema di ammissione di prove.

Il ricorrente non indica però gli atti della fase di merito ove avrebbe sollecitato l esercizio di tali poteri e non può quindi dolersi per un difetto di motivazione in ordine a questione non sottoposta all esame del giudice di appello.

Conclusivamente il ricorso principale va rigettato.

Quanto al ricorso incidentale, col primo motivo si denuncia, con riferimento al n. 3 dell art. 360 cpc, la violazione e falsa applicazione dell art. 1230 cc, poiché la denunciata sentenza ha escluso il valore novativo della scrittura 23 settembre 1998 con la quale le parti dichiaravano espressamente la volontà di novare il rapporto a tempo indeterminato, dando vita ad un rapporto diverso, a tempo determinato.

La censura, ancorché proposta senza prospettarne la subordinazione all esito del ricorso principale, si deve considerare assorbita dalla reiezione di quest ultimo.

Invero il G.C. ha prospettato l illegittimità dell apposizione di un termine al rapporto di lavoro del dirigente, in corso di prestazione d opera, ma tale censura è stata disattesa da questa Corte. La società controricorrente non ha dunque alcun interesse a prospettare l esistenza di una novazione, esclusa dalla Corte territoriale, dal momento che la statuizione circa la legittimità della clausola che fissava al 23 settembre 1998 il termine del rapporto risulta conforme a diritto, indipendentemente da qualsiasi indagine circa l intento delle parti di modificare il contratto di lavoro o di stipularne uno nuovo.

Col secondo mezzo del ricorso incidentale si denuncia, con riferimento al n. 3 dell art. 360 cpc, la violazione e falsa applicazione dell art. 2119 cc e ancora, con riferimento al n. 3 dell art. 360 cpc, il vizio di motivazione.

Si afferma che il Giudice di Appello non avrebbe tenuto in considerazione le circostanze allegate per giustificare la risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa.

Non viene però indicato, al di là della mera enunciazione della norma invocata, un qualsiasi principio di diritto che sarebbe stato violato o erroneamente applicato e pertanto la denuncia va ricondotta nell ambito del vizio di motivazione.

Sotto questo profilo non si pone però in rilievo alcun errore argomentativo; le critiche svolte attengono dunque alla valutazione del materiale probatorio e sono precluse in sede di legittimità, siccome intese a contrapporre a un giudizio di fatto espresso dal giudice del merito, altro giudizio di fatto di segno contrario.

Il ricorso incidentale va dunque rigettato quanto al secondo motivo e dichiarato assorbito quanto al primo.

Si ravvisano giusti motivi per l integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.



P.Q.M.

La Corte

Riunisce i ricorsi,

Rigetta il ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbito il primo.

Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Roma, 24 ottobre 2003

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 16 MAR. 2004.


 
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