Il trattamento economico accessorio, avente carattere precario ed accidentale e non connotato dal carattere di fissità e continuità, non può essere mantenuto nel passaggio in mobilità tra pubbliche amministrazioni.
E’ quanto afferma l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 13 del 11.12.2006.
La questione ha riguardato un dirigente dello Stato che, nel passaggio ad altra amministrazione statale, si era visto corrispondere dalla nuova amministrazione un trattamento economico inferiore a quello in precedenza goduto.
L’interessato, ha proposto ricorso al Tar, lamentando la violazione e falsa applicazione del principio di cui all’art. 202 del T.U. 10 gennaio 1957 n. 3, e all’art. 3 comma 57 e 58 della L. 24.12.1993 n. 537 e la violazione del divieto di reformatio in pejus per i dipendenti dello Stato e sostenendo che il trattamento economico complessivo raggiunto nella precedente amministrazione dovrebbe essere conservato nella sua interezza.
Tesi questa avagliata, in parte, anche dal Tribunale di prima istanza che ha ritenuto vada esclusa soltanto quella parte di trattamento accessorio comunemente denominata indennità di risultato.
Successivamente coinvolto il Consiglio di Stato – che in considerazione della idoneità a determinare contrasti giurisprudenziali, ha sottoposto la questione all’Adunanza Plenaria – ha ritenuto che la retribuzione di risultato è correlata all’effettivo grado di raggiungimento, anche sotto il profilo qualitativo, da parte del dirigente, degli obiettivi definiti contrattualmente e, dunque, è da escludere dall’ambito di applicazione del divieto di riforma peggiorativa.
Con essa, secondo un indirizzo giurisprudenziale consolidato (C.d.S. sez. VI, 6 maggio 2002 n. 2465; C.d.S. sez. IV, 16 febbraio 1998 n. 287; C.d.S. 18 dicembre 1986 n. 861) sono sottratte dal divieto peggiorativo, altresì “tutte le componenti retributive provvisorie aventi carattere precario ed accidentale, vale a dire quegli emolumenti, che, essendo connessi a situazioni congiunturali ed a fatti occasionali o all’avverarsi di condizioni o di eventualità imprevedibili e non del tutto indipendenti dalla casualità, come il raggiungimento di un determinato risultato, non possono essere considerati componenti della retribuzione definitivamente ed irreversibilmente acquisite, né comunque componenti fisse ed invariabili di essa”.
La rilevanza che deve connotare gli emolumenti costitutivi della retribuzione da prendere in considerazione nel passaggio in mobilità tra le amministrazioni, secondo l’Alto Consesso, è il carattere “fisso e continuativo” della stessa.
Pertanto, i termini del raffronto sono costituiti “da quelle componenti della retribuzione che, in quanto corrisposte in misura fissa (o automaticamente variabile) ed in modo continuativo, vale a dire con cadenza periodica costante, rappresentano il trattamento stipendiale complessivo stabilmente raggiunto dal dipendente e sul quale, per tale caratteristica, egli ha ragione di fare affidamento”.
In base a quest’ultima affermazione non è solo l’indennità di risultato a doversi escludere dal divieto di riforma peggiorativa ma anche altri emolumenti che non rispettino questi requisiti.
Orbene, nel caso in esame, a parere dei giudici dell’Adunanza Plenaria, la parte variabile della retribuzione di posizione del dirigente manca del carattere della fissità, in quanto il suo ammontare non è direttamente previsto dal ccnl ma è rimesso alla contrattazione individuale con l’Amministrazione, in riferimento ai compiti di volta in volta conferiti con il singolo incarico dirigenziale ed agli obiettivi a questo connessi
Non può, altresì, ritenersi neppure “continuativa” poichè è rapportata a quella dell’incarico, dunque per sua natura e disciplina positiva è soggetta a termine, in quanto non è idonea a determinare una modificazione durevole e stabile del trattamento economico.
Gesuele Bellini
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 14/2006 Reg.Dec. N. 8689 Reg.Ric. ANNO 2004 Reg. Ric. 28/2005. Adun. Plen. |
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso n. 8689 del 2004, proposto dalla PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI e dalla CORTE DEI CONTI, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentate e difese dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano per legge, in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
il dr. Antonello COLOSIMO, rappresentato e difeso dall’avv. Mario Sanino e presso lo stesso elettivamente domiciliato, in Roma, viale Parioli, 180;
per l’annullamento
della sentenza n. 5634 del 14 giugno 2004 pronunciata tra le parti dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sez. I;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Vista l ordinanza n. 3251 del 21 giugno 2005 con cui
Relatore il cons. Corrado Allegretta;
Udito alla pubblica udienza del 26 giugno 2006 l’avv. Braschi per delega dell’avv. Mario Sanino;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Nominato Consigliere della Corte dei Conti, il dr. Colosimo, attuale appellato, ha constatato l’attribuzione di un trattamento economico inferiore a quello in precedenza goduto. Egli ha, pertanto, adito il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio con ricorso volto ad ottenere l’accertamento del suo diritto a conseguire il medesimo trattamento stipendiale percepito allorché svolgeva le funzioni di direttore generale degli affari generali e del personale presso il Ministero delle Comunicazioni. Ha lamentato, a tal fine, violazione e falsa applicazione dell’art. 202 del D.P.R. 10.1.1957 n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 3 comma 57 e 58 della L. 24.12.1993 n. 537 e violazione del divieto di reformatio in pejus per i dipendenti dello Stato.
Con sentenza n. 5634 del 14 giugno 2004 il T.A.R., Sez. I, ha parzialmente accolto il ricorso, dichiarando l’obbligo della Corte dei Conti di computare, nel calcolo della retribuzione spettante al ricorrente, tutte le indennità già percepite nella precedente carriera in maniera continuativa ed in misura fissa, ancorché accessorie; ha rigettato, invece, la domanda quanto all’inclusione delle indennità connesse alla prestazione di lavoro straordinario o al raggiungimento di determinati risultati.
Costituitosi in giudizio, l’appellato a sua volta ha proposto appello incidentale, chiedendo la riforma della sentenza nella parte in cui ha respinto la sua domanda con riguardo all’indennità di risultato. Questa, infatti, sarebbe una componente fissa e continuativa del trattamento stipendiale generale, connessa allo svolgimento dell’incarico dirigenziale.
La controversia è stata rimessa a questa Adunanza Plenaria con ordinanza n. 3251 del 21 giugno 2005 della Quarta Sezione, in considerazione della sua idoneità a determinare contrasti giurisprudenziali.
Alla pubblica udienza del 26 giugno 2006, sentito il difensore presente, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
La questione sottoposta all’Adunanza plenaria si risolve nella individuazione della misura in cui, nel rispetto del c.d. divieto di reformatio in pejus del trattamento retributivo dei dipendenti statali desumibile dall’art. 202 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, spetti al dipendente con qualifica di dirigente di prima fascia con funzioni di direttore generale conservare il trattamento economico in precedenza goduto, nell’ipotesi di passaggio alle dipendenze di altra amministrazione statale.
La tesi che l’odierno appellato ha sostenuto in primo grado ed ora ripropone con l’appello incidentale è che il trattamento economico complessivo raggiunto dovrebbe essere conservato nella sua interezza, di modo che nella nuova posizione l’interessato possa fruire di un trattamento economico non inferiore. L’assunto è stato condiviso in parte dal giudice di prima istanza, che del trattamento economico accessorio dei dirigenti ha ritenuto non suscettibile di essere conservata soltanto quella parte comunemente denominata indennità di risultato.
Secondo le amministrazioni appellanti, invece, il dirigente transitato ad altra amministrazione, oltre all’indennità di risultato, dovrebbe perdere altresì la parte variabile della cosiddetta retribuzione (o indennità) di posizione. Questa, a loro avviso, non avrebbe alcun carattere fisso, costante e continuativo, e pertanto non sarebbe soggetta al divieto di riforma peggiorativa.
Tanto premesso, è opportuno, ai fini del decidere, ricordare che i dirigenti pubblici percepiscono una retribuzione determinata per mezzo della contrattazione collettiva ed individuale, la cui struttura è chiaramente delineata dalla legge (v. art. 24 D.Lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, ora art. 24 D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165) in un trattamento economico fondamentale ed uno accessorio. In particolare, a norma dell’art. 37, c. 2, del contratto collettivo nazionale di lavoro applicabile nel caso in esame (in G.U. 28 aprile 2001 n. 97), “la struttura della retribuzione della qualifica unica dirigenziale si compone delle seguenti voci:
1) stipendio tabellare;
2) indennità integrativa speciale per i dirigenti di seconda fascia;
3) retribuzione individuale di anzianità, maturato economico annuo, assegno ad personam o elemento fisso, ove acquisiti e spettanti in applicazione dei previgenti contratti collettivi nazionali di categoria;
4) retribuzione di posizione - parte fissa;
5) retribuzione di posizione - parte variabile;
6) retribuzione di risultato”.
Di queste voci, hanno rilievo nella specie la retribuzione di posizione e la retribuzione di risultato.
La prima è espressamente correlata alle funzioni attribuite al singolo dirigente e va collegata all’effettivo livello di responsabilità connesso all’incarico di funzione, alla diversità dell’impegno richiesto e degli obiettivi assegnati, al grado di rilevanza ed alla collocazione istituzionale dell’ufficio o della funzione assegnati nell’ambito dell’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 31.3.2005 n. 1438).
Nel suo ambito, a norma del c.c.n.l., si distingue una parte fissa, stabilita in misura uguale per tutti gli appartenenti alla stessa fascia di dirigenza; e una parte variabile, determinata in ragione della quota utilizzabile del fondo per il trattamento economico accessorio, previsto dal citato art. 24 D.Lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, ed in relazione al singolo incarico di direzione.
La retribuzione di risultato, invece, è correlata all’effettivo grado di raggiungimento, anche sotto il profilo qualitativo, da parte del dirigente, degli obiettivi definiti contrattualmente.
Quanto ai dirigenti di prima fascia, l’art. 38 del c.c.n.l. include nel “trattamento economico fisso annuo” che ad essi compete lo stipendio tabellare, la retribuzione individuale di anzianità e la parte fissa della retribuzione di posizione.
Così delineato il sistema retributivo dei pubblici dirigenti, anche al fine di liberare il campo d’indagine dai profili di più agevole definizione della questione dedotta in giudizio, si ritiene di condividere la decisione del giudice di primo grado nella parte in cui esclude la retribuzione di risultato dall’ambito di applicazione del divieto di riforma peggiorativa.
Secondo orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, infatti, dalla portata di quel principio sono sottratte tutte le componenti retributive provvisorie aventi carattere precario ed accidentale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 6 maggio 2002 n. 2465; id., sez. IV, 16 febbraio 1998 n. 287; id., 18 dicembre 1986 n. 861), vale a dire quegli emolumenti, che, essendo connessi a situazioni congiunturali ed a fatti occasionali o all’avverarsi di condizioni o di eventualità imprevedibili e non del tutto indipendenti dalla casualità, come il raggiungimento di un determinato risultato, non possono essere considerati componenti della retribuzione definitivamente ed irreversibilmente acquisite, né comunque componenti fisse ed invariabili di essa.
In conseguenza, l’appello incidentale autonomo proposto dall’appellato, siccome inteso ad ottenere la riforma della sentenza di primo grado quanto al capo relativo alla retribuzione di risultato, dev’essere respinto.
Sulla base dello stesso principio, sopra considerato, questa volta visto in termini affermativi, va cercata la soluzione della questione in esame con riguardo alla retribuzione di posizione, parte variabile.
Com’è noto, il principio trova la sua prima enunciazione nell’art. 202 del T.U. 10 gennaio 1957 n. 3, che così stabilisce: “Nel caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa Amministrazione agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica è attribuito un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza fra lo stipendio già goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera anche se semplicemente economica”.
L’intento del legislatore è stato, evidentemente, quello di evitare che possibili peggioramenti del trattamento economico possano costituire disincentivo della mobilità del personale e, quindi, ostacolo all’affinamento delle professionalità che questa comporta.
La giurisprudenza, che in conformità alla ratio della norma ha attribuito al termine “stipendio” adoperato nella disposizione sopra riportata il significato più ampio di trattamento economico, si è attestata, tuttavia, nell’individuare i termini del confronto da operare nelle componenti fisse e continuative delle due retribuzioni complessive, quella precedente e quella successiva al passaggio di carriera.
In questo contesto è sopravvenuto l’art. 3, comma 57 della legge 24 dicembre 1993 n.
La precisazione ora detta è di rilievo decisivo, giacché, ai fini della determinazione dell’assegno personale, essa fa riemergere un presupposto che nel comma antecedente potrebbe apparire ormai rimosso. Essa, invero, ripristina la rilevanza esclusiva del carattere “fisso e continuativo” che deve connotare gli emolumenti costitutivi delle retribuzioni da prendere in considerazione.
A norma del comma 58, infatti, presso
Se ne desume agevolmente che la pensionabilità degli emolumenti, pur necessaria, non è da sola sufficiente per l’operatività della norma. I termini del raffronto restano, dunque, costituiti da quelle componenti della retribuzione che, in quanto corrisposte in misura fissa (o automaticamente variabile) ed in modo continuativo, vale a dire con cadenza periodica costante, rappresentano il trattamento stipendiale complessivo stabilmente raggiunto dal dipendente e sul quale, per tale caratteristica, egli ha ragione di fare affidamento.
Questo convincimento, del resto, trova la sua testuale conferma nella disposizione interpretativa che il legislatore ha ritenuto di adottare proprio in ordine al menzionato comma 57 dell’art.
Stabilisce, invero, l’art. 1, comma 226, della L. 23 dicembre 2005 n. 266 (c.d. legge finanziaria 2006) che: “L’articolo 3, comma 57, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, nei confronti del personale dipendente si interpreta nel senso che alla determinazione dell’assegno personale non riassorbibile e non rivalutabile concorre il trattamento, fisso e continuativo, con esclusione della retribuzione di risultato e di altre voci retributive comunque collegate al raggiungimento di specifici risultati o obiettivi”.
Rilevato che, per il loro collegamento a fatti contingenti, nessun dubbio poteva nutrirsi circa la sottrazione della retribuzione di risultato e delle altre suddette voci retributive al divieto di riforma peggiorativa, il nuovo intervento da parte del legislatore - tra l’altro, in sede di legge finanziaria - assume l’univoca portata di ribadire l’essenzialità del carattere fisso e continuativo che gli emolumenti a confronto devono rivestire.
Il quesito sottoposto all’Adunanza plenaria, allora, si risolve in quello se, alla stregua delle considerazioni fin qui svolte, il carattere di fissità e continuatività possa riconoscersi alla parte variabile della retribuzione di posizione del dirigente di prima fascia con funzioni di direttore generale.
Sotto il primo profilo, è significativo rilevare che detta componente retributiva, diversamente da quella testualmente definita “fissa”, il cui ammontare è espressamente indicato dal c.c.n.l., non riceve da questo precisa quantificazione, essendone rimessa la determinazione alla contrattazione individuale con l’Amministrazione, in riferimento ai compiti di volta in volta conferiti con il singolo incarico dirigenziale ed agli obiettivi a questo connessi (art. 19, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001, anteriormente alle modifiche introdotte dall’art. 3 della legge n. 145 del 2002).
Essa, inoltre, appare connotata da un certo grado di variabilità per la stessa possibilità di modifiche in aumento o in diminuzione del suo ammontare, che l’autonomia negoziale consente alle parti.
Deve convenirsi, allora, con le Amministrazioni appellanti, che la parte di retribuzione di cui si tratta manca sicuramente del carattere della fissità.
Essa, peraltro, non può ritenersi neppure “continuativa”, in quanto non è idonea a determinare una modificazione durevole e stabile del trattamento economico. La durata della sua corresponsione, invero, è rapportata a quella dell’incarico, che già per sua natura e disciplina positiva è soggetta a termine, ma che, in concreto, può ritenersi incerta.
Così, per esempio, nell’ipotesi di risoluzione consensuale del contratto individuale con successivo affidamento di nuove funzioni la retribuzione forma oggetto di nuova contrattazione e, pertanto, l’entità di quella connessa al precedente incarico non assume rilievo, se non come mero fatto storico, ai fini della conservazione del maggior trattamento goduto.
Nello stesso senso appare conferente la considerazione delle ipotesi di collocamento dell’interessato nella posizione di “a disposizione”, nella quale compete il solo trattamento economico fisso, sia quando tale condizione consegua alla revoca dell’incarico (v. art. 21 del D.Lgs. n. 165 del 2001) determinata dall’esito negativo dell’esercizio da parte dell’Amministrazione del potere di verifica dell’azione svolta e dei risultati conseguiti dal dirigente nell’espletamento dell’incarico; sia quando consegua all’avvicendarsi dei Governi (cosiddetto spoil system: v. art. 19, comma 8, del cit. D.Lgs. n. 165).
I rilievi che precedono non portano ad altra conclusione se non a quella che la voce remunerativa rappresentata dalla parte variabile della più volte menzionata retribuzione di posizione deve ritenersi priva di quel carattere di stabilità che, nel rispetto del divieto di riforma peggiorativa del trattamento economico, ne assicurerebbe la conservazione da parte del dipendente che transiti dall’una all’altra Amministrazione statale.
Si rivelano fondate, pertanto, le censure di analogo tenore dedotte con l’appello principale in epigrafe indicato, il quale va, in conseguenza, accolto. Rimane respinto, per le ragioni più sopra esposte, l’appello incidentale.
Per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso proposto in primo grado deve essere respinto anche nella parte in cui è diretto all’accertamento e riconoscimento del diritto del ricorrente a conservare nella nuova posizione giuridica di consigliere della Corte dei conti una retribuzione comprensiva dell’importo da lui percepito a titolo di retribuzione di posizione, parte variabile, nella precedente qualifica di dirigente di prima fascia con funzioni di direttore generale.
Sussistono giusti motivi per compensare spese e competenze di giudizio tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza plenaria, accoglie l’appello principale in epigrafe indicato, respinge l’appello incidentale e, per l’effetto, riforma la sentenza impugnata nei sensi di cui in motivazione.
Compensa tra le parti spese e competenze di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, riunito in Adunanza plenaria nella camera di consiglio del giorno 26 giugno 2006, con l’intervento dei signori Magistrati:
Alberto de Roberto - Presidente del Consiglio di Stato
Mario Egidio Schinaia -Presidente Aggiunto
Paolo Salvatore - Presidente di Sezione
Sabino Luce - Consigliere
Raffaele Carboni - Consigliere
Costantino Salvatore - Consigliere
Giuseppe Farina - Consigliere
Corrado Allegretta - Consigliere, rel. est.
Luigi Maruotti - Consigliere
Carmine Volpe - Consigliere
Chiarenza Millemaggi Cogliani - Consigliere
Vito Poli - Consigliere
Anna Leoni - Consigliere
Presidente
Consigliere Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il.......11/12/2006..............................
(Art.
Il Dirigente
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa
al Ministero..............................................................................................
a norma dell art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della Segreteria