lavoroprevidenza

giovedì 22 febbraio 2007

LEGITTIMITÀ DEL PROVVEDIMENTO DI DECADENZA NEI CONFRONTI DI UN DIPENDENTE PUBBLICO PER AVER PRODOTTO FALSA DICHIARAZIONE IN UN CONCORSO

Sentenza del TAR Lazio -Roma, del 17.1.2007 con nota del del dr. Gesuele Bellini - Funzionario Ministero dell Interno - Componente Comitato Scientifico di LavoroPrevidenza.com

Legittimità del provvedimento di decadenza nei confronti di un dipendente pubblico per aver prodotto falsa dichiarazione in un concorso



E’ legittimo il provvedimento di decadenza di un dipendente pubblico, scoperto di essere in servizio in virtù di una sua falsa dichiarazione sostitutiva di certificazione resa con l’istanza di partecipazione ad un bando di concorso.


Questa la decisione del TAR del Lazio, Sez. III bis, Roma, nella sentenza 17 gennaio 2007, n. 345.


La vicenda riguarda un collaboratore scolastico, assunto con contratto a tempo determinato, per essersi posizionato utilmente in una graduatoria che prevedeva, tra i requisiti, l’avere svolto un servizio di almeno trenta giorni nel profilo professionale di collaboratore presso un istituto scolastico.


Requisito questo che l’interessato, con dichiarazione sostitutiva di certificazione di cui al DPR. 28 dicembre 2000, n. 445, aveva dichiarato di possedere ma poi risultato non veritiero a seguito successivi controlli dell’amministrazione.


L’interessato propone quindi ricorso al TAR lamentando, tra l’altro, l’erronea applicazione dell’art. 127, lett. d) del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, in quanto l’amministrazione avrebbe dovuto procedere, se mai, con l’annullamento d’ufficio e non con la dichiarazione di decadenza, dovendo, inoltre, tenere conto dell’interesse pubblico attuale all’eliminazione dell’atto illegittimo.


Al riguardo, il TAR adito ha respinto il ricorso in quanto l Amministrazione ha fatto legittimamente applicazione del combinato disposto dell art. 3, comma 7, del D.M. 19.04.2001, n. 75, secondo cui le "autodichiarazioni mendaci o l’autoformazione di certificazioni false o comunque la produzione di documentazioni false comportano l’esclusione dalla procedura di cui al presente decreto per tutti i profili, graduatorie o elenchi di riferimento o la decadenza dalle medesime graduatorie o elenchi se inseriti", e dell’art. l art. 75 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, che prevede la "decadenza" dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione riscontrata come non veritiera in sede di controllo postumo.


Il provvedimento di "decadenza", dunque, secondo il Collegio, “va inteso come esclusione - anche ex post - dalla graduatoria, e quindi come atto strettamente vincolato e formale, e in quanto tale non sottoposto alla ponderazione di interessi tipica dei provvedimenti di annullamento d ufficio”, mentre l’esistenza “dell’interesse pubblico è in re ipsa è completamente assorbito nel rilievo della disposizione che vieta la produzione di documenti falsi e nel carattere vincolato della correlativa esclusione dalla graduatoria”.


La sentenza affronta anche un altra interessante questione, sollevata dal ricorrente tra i motivi di diritto del ricorso, e cioè quella se la falsità di un atto esibito alla P.A., una volta accertato, può essere dichiarato in maniera apodittica dallo stesso soggetto accertatore ovvero è necessario il preventivo accertamento della sussistenza del falso in sede penale o della querela di falso in sede civile.


Al riguardo, ad avviso del Collegio, attesa la sufficienza dell istruttoria effettuata da parte dell’amministrazione, la pregiudiziale penale non sussiste, anche perché non è prevista una tale pregiudiziale penale in subiecta materia.


Come non sussiste, altresì, neppure “l esigenza del previo esperimento di querela di falso in sede civile, non essendo stato comprovato, in primo luogo, che lo stesso proviene da un pubblico ufficiale abilitato ad emanarlo (artt. 2699 e 2700 c.c. Inoltre, continua il TAR, richiamando un indirizzo giurisprudenziale della Cassazione Penale (Cass. Pen., V, 10.7.1995 n. 10113), “l’efficacia probatoria privilegiata dell’atto pubblico, in base agli artt. predetti, è limitata alla provenienza dell’atto stesso dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonchè ai fatti dallo stesso compiuti o avvenuti in sua presenza; mentre una dichiarazione di servizi costituisce mera attestazione (propriamente definibile come “certificato” e non come atto pubblico in senso proprio) di fatti e nozioni preesistenti e dunque ricavate aliunde dal soggetto da cui la dichiarazione promana”.


Gesuele Bellini




















Anno 2007


Reg. Sent. n.


R.G. n.


Sezione III-bis


REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso n. 1722/2004, proposto da SERGIO MAISTO, rappresentato e difeso dagli avv.ti Massimo D’Errico e Luigi M. D’Angiolella ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla via Mercati n. 51


contro


- MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA, in persona del Ministro p.t.;


- UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER IL LAZIO, in persona del legale rappresentante p.t.;


- SCUOLA MEDIA STATALE "G. G. BELLI" DI ROMA,


tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la cui sede – in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12 – domiciliano per legge


e nei confronti di


MARIA ANGELA PISTOR, non costituitasi in giudizio


per l’annullamento


- del provvedimento prot. n. 53799 del 9.12.2003 dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, Centro Servizi Amministrativi Roma, Ufficio V, con il quale il ricorrente è stato dichiarato decaduto dalla graduatoria di collaboratore scolastico di cui al D.P. prot. n. 68496 del 6 dicembre 2001, e conseguentemente dalle graduatorie di circolo e di istituto, ed è stata annullata la proposta di assunzione con contratto a tempo determinato per l’anno scolastico 2003-2004;


- per quanto occorra, del provvedimento del predetto Ufficio Scolastico Regionale di comunicazione di avvio del procedimento;


- del provvedimento conseguente e ritenuto dovuto con il quale è stato risolto, con decorrenza immediata, il contratto di lavoro di collaboratore scolastico al ricorrente;


- degli eventuali atti istruttori sottesi ai provvedimenti impugnati se e in quanto esistenti;


- della graduatoria di cui al D.P. prot. n. 68496 del 6 dicembre 2001, da cui risulta depennato il ricorrente, nella sua nuova formulazione;


- di ogni altro atto, presupposto connesso, consequenziale, comunque lesivo degli interessi del ricorrente.


Visto il ricorso con i relativi allegati;


Visto l’atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;


Visti gli atti tutti della causa;


Relatore alla pubblica udienza dell’11 dicembre 2006 il dott. Francesco Arzillo e uditi gli avvocati delle parti come da verbale di udienza;


Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO-DIRITTO


1. Il ricorrente è stato inserito nella graduatoria di collaboratore scolastico di cui al D.P. prot. n. 68496 del 6 dicembre 2001 ai sensi del d.m. n. 75 del 19 aprile 2001. Tale graduatoria prevedeva tra i requisiti l’avere svolto un servizio di almeno trenta giorni nel profilo professionale di collaboratore presso un istituto scolastico.


In virtù della posizione ricoperta nella graduatoria, il ricorrente è stato da ultimo assunto presso la Scuola Media Statale "G. G. Belli" di Roma, con contratto a tempo determinato per l’anno scolastico 2003-2004, ivi svolgendo le mansioni di collaboratore scolastico.


Sennonché, con il provvedimento specificato in epigrafe, il ricorrente è stato depennato dalla graduatoria, con conseguente risoluzione del rapporto di lavoro a tempo determinato, con la motivazione che “gli atti allegati alla domanda di inclusione nella suddetta graduatoria non corrispondono al vero”.


In ragione della lesività e dell’asserita illegittimità di tale provvedimento, e di quelli menzionati in epigrafe, l’interessato è insorto, con ricorso ritualmente notificato e depositato, deducendo i seguenti motivi di diritto, così di seguito sintetizzati:


1) In presenza di un provvedimento di secondo grado, tale configurandosi l’atto impugnato, incidente in via pregiudizievole nella sfera del ricorrente, l’amministrazione avrebbe dovuto garantire a quest’ultimo, ai sensi degli artt. 7 e 8 della l. 7 agosto 1990, n. 241, una partecipazione al procedimento sostanziale e non formalistica, come nella specie avvenuto;


2) del tutto erroneamente l’amministrazione avrebbe fatto applicazione, con il provvedimento qui contestato, dell’art. 127, lett. d) del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, in quanto avrebbe dovuto procedere, se mai, con l’annullamento d’ufficio e non con la dichiarazione di decadenza;


3) anche ove l’atto impugnato dovesse considerarsi quale provvedimento adottato in via di autotutela, esso risulterebbe pur sempre illegittimo non avendo dato conto dell’esistenza di un interesse pubblico attuale all’eliminazione dell’atto illegittimo;


4) l’amministrazione, con violazione dell’obbligo positivizzato dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990, non avrebbe indicato i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la sua decisione;


5) i provvedimenti gravati non sarebbero stati preceduti da adeguata istruttoria anche per l’assenza di partecipazione al procedimento del soggetto destinatario degli effetti pregiudizievoli di tali provvedimenti;


6) la decadenza dalla graduatoria trova spiegazione in un’asserita falsità degli atti esibiti dal ricorrente, omettendosi di considerare che tale circostanza non avrebbe potuto dichiararsi in maniera apodittica dalla P.A., ma avrebbe dovuto accertarsi nell’ambito di un procedimento penale;


7) l’amministrazione avrebbe proceduto con eccessivo formalismo ritenendo che il ricorrente dovesse essere depennato dalla graduatoria per la mancanza di un requisito di mera esperienza (l’indicato servizio di trenta giorni), che il ricorrente medesimo ha comunque successivamente e ampiamente conseguito;


8) la decadenza dalla graduatoria, in quanto intervenuta a notevole distanza dall’approvazione di quest’ultima, inciderebbe in maniera pesante su posizioni ormai consolidate del ricorrente, modificando le aspettative di vita di lui e della sua famiglia;


9) l’amministrazione procedente, con violazione dell’art. 3, comma 8, del d.m. n. 75/2001, avrebbe dovuto assegnare al ricorrente la possibilità di sanare gli eventuali vizi della domanda a suo tempo presentata, così evitando una decisione tanto drastica;


10) avendo l’amministrazione contestato la veridicità di atti e/o circostanze dalle quali potrebbero prospettarsi conseguenze penali, avrebbe dovuto vieppiù garantirsi al dipendente la possibilità di rappresentare in maniera adeguata le proprie difese; il provvedimento impugnato è stato adottato da soggetto incompetente, in quanto i provvedimenti maggiormente incidenti nella sfera giuridica del dipendente vanno assunti dal direttore generale regionale e non dal dirigente di settore del personale A.T.A..


Si sono costituite in giudizio le amministrazioni intimate, resistendo al ricorso.


A seguito di alcuni provvedimenti istruttori, all’udienza pubblica dell’11 dicembre 2006 il ricorso è stato nuovamente chiamato per la discussione.


2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta l omissione delle garanzie partecipative di cui agli artt. 7 e ss. della L.n. 241/90, in quanto nella specie la comunicazione di avvio del procedimento avrebbe avuto rilievo meramente formale e non avrebbe concretamente consentito alla parte interessata di far valere la propria posizione nel procedimento (profilo, questo, accennato anche parzialmente nel contesto del quinto e del decimo motivo di ricorso).


Il motivo è infondato per una ragione assorbente, che esime il Collegio dall approfondire le caratteristiche della comunicazione di avvio del procedimento nel caso di specie, sotto il profilo del contenuto e delle modalità anche temporali di inoltro della stessa.


Infatti, nella specie è applicabile l art. 21-octies della L. n. 241/90 (introdotto dall articolo 14 della legge 11 febbraio 2005, n. 15), il quale prevede, al secondo periodo del comma 2, che non sia annullabile il provvedimento "per mancata comunicazione dell avvio del procedimento qualora l amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".


Questa disposizione viene in rilievo, nel caso in esame, perché si tratta di una norma di natura processuale, come tale applicabile anche nei processi in corso al momento dell entrata in vigore della stessa (Consiglio di Stato, sez. VI, 26 ottobre 2005, n. 5969; T.A.R. Liguria, sez. II, 31 ottobre 2005, n. 1420).


Ora, ad avviso del Collegio, non vi è dubbio - alla stregua delle considerazioni che si esporranno nel prosieguo - che l Amministrazione abbia fornito in giudizio la prova richiesta, e che essa non avrebbe potuto adottare un provvedimento diverso, in esito alla constatazione della falsità della documentazione prodotta al momento della presentazione della domanda di inclusione in graduatoria. E va tenuto presente, al riguardo, che la decadenza dalla graduatoria è prevista come conseguenza vincolata e necessitata, dal comma 3.7 del DM 75/2001, nei casi di autodichiarazioni mendaci o di produzione di documentazioni false. Inoltre, le fasi del controllo e dell’eventuale decadenza, alla stregua della disposizione predetta, non appartengono ad un procedimento diverso rispetto a quello di formazione delle graduatorie, ma ne costituiscono aspetto endoprocedimentale, con ogni conseguenza sull’irrilevanza della relativa comunicazione di avvio.


3. Con il secondo motivo parte ricorrente sostiene che l’amministrazione avrebbe errato applicando l’art. 127, lett. d) del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, in quanto avrebbe dovuto procedere, se mai, con l’annullamento d’ufficio e non con la dichiarazione di decadenza.


Il motivo è infondato, in quanto - a prescindere da ogni altra considerazione - l Amministrazione ha fatto applicazione di una previsione ad hoc, contenuta nell art. 3, comma 7, del D.M. 19.04.2001, n. 75, secondo cui le "autodichiarazioni mendaci o l’autoformazione di certificazioni false o comunque la produzione di documentazioni false comportano l’esclusione dalla procedura di cui al presente decreto per tutti i profili, graduatorie o elenchi di riferimento o la decadenza dalle medesime graduatorie o elenchi se inseriti…". Disposizione, questa, da leggere in correlazione con l art. 75 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, che prevede la "decadenza" dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione riscontrata come non veritiera in sede di controllo postumo (e al riguardo è importante osservare che i dati riportati dall aspirante nella domanda assumono il valore di dichiarazioni sostitutive di certificazione rese ai sensi dell art. 46 del medesimo D.P.R.).


Si tratta quindi di un provvedimento di "decadenza" che va inteso come esclusione - anche ex post - dalla graduatoria, e quindi come atto strettamente vincolato e formale, e in quanto tale non sottoposto alla ponderazione di interessi tipica dei provvedimenti di annullamento d ufficio.


Da ciò deriva l infondatezza anche del terzo, del settimo e dell ottavo mezzo di impugnazione, con cui parte ricorrente lamenta la violazione dei principi in materia di atti di ritiro, di affidamento e buona fede, in quanto il provvedimento non darebbe conto dell’esistenza di un interesse pubblico attuale all’eliminazione dell’atto illegittimo e sarebbe stato illegittimamente emanato dopo molto tempo dall approvazione della graduatoria, e comunque dopo vari anni di servizio prestato (e maturato): in realtà nella specie l interesse pubblico è in re ipsa ed è completamente assorbito nel rilievo della disposizione che vieta la produzione di documenti falsi e nel carattere vincolato della correlativa esclusione dalla graduatoria; va conseguentemente ribadita l irrilevanza, nel caso de quo, dei tradizionali principi in materia di affidamento nei confronti di provvedimenti tardivi di autotutela. Quanto al requisito del servizio, esso deve sussistere a monte dell’iscrizione in graduatoria, e non a valle di essa.


4. Il quarto e il quinto motivo sono volti a censurare il difetto di motivazione e di istruttoria dell atto impugnato.


Le censure sono infondate, in quanto nella specie la motivazione dell atto, ancorché sintetica, rinvia chiaramente all accertamento di una falsità documentale che risulta dagli atti del procedimento esibiti in giudizio dall Amministrazione, che rivelano la congruità dell istruttoria espletata.


Al riguardo si rileva che in atti è stata acquisita la comunicazione prot. n. 3200/B10 del 18 novembre 2003, a firma del Dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo Statale di Ripi, nella quale si afferma che “non risulta che il sig. MAISTO Sergio nato il 25/10/1969 (CE) abbia prestato servizio presso questa istituzione scolastica”.


Risulta quindi acclarata la falsità della dichiarazione formulata nella domanda, nonché la falsità del certificato di servizio presentato dal ricorrente (cert. N. 2548 del 5/02/01); a tanto non osta il fatto che detto certificato rechi l’intestazione “DIREZIONE DIDATTICA STATALE – RIPI” e concerna un servizio che sarebbe stato prestato nella Direzione Didattica Statale di Torrice nel corso del 1999, in quanto alla stregua dei chiarimenti forniti dall’Amministrazione, risulta che nel periodo 1996 – 2000, la Direzione Didattica di Ripi (oggi Istituto Comprensivo di Ripi) comprendeva anche la Direzione Didattica di Torrice.


Nella specie, quindi, ad avviso del Collegio risulta infondata anche la sesta censura proposta con il ricorso, che postula la necessità di un preventivo accertamento della sussistenza del falso in sede penale.


Nella specie questa esigenza non sussiste, per l inesistenza di una pregiudiziale penale in subiecta materia, e per la sufficienza dell istruttoria effettuata sul punto.


Neppure sussiste l esigenza del previo esperimento di querela di falso in sede civile, non essendo stato comprovato, in primo luogo, che lo stesso proviene da un pubblico ufficiale abilitato ad emanarlo (artt. 2699 e 2700 c.c.). Ed in ogni caso va precisato che l’efficacia probatoria privilegiata dell’atto pubblico, in base agli artt. predetti, è limitata alla provenienza dell’atto stesso dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonchè ai fatti dallo stesso compiuti o avvenuti in sua presenza; mentre una dichiarazione di servizi costituisce mera attestazione (propriamente definibile come “certificato” e non come atto pubblico in senso proprio) di fatti e nozioni preesistenti e dunque ricavate aliunde dal soggetto da cui la dichiarazione promana (cfr. Cass. Pen., V, 10.7.1995 n. 10113).


5. La rilevata falsità sia della dichiarazione contenuta nella domanda, sia del certificato, con la connessa applicabilità della previsione di cui all art. 3, comma 7, del D.M. n. 75/2001, consente di rilevare l infondatezza anche della nona censura, con la quale si lamenta l omessa applicazione della prevista regolarizzazione delle domande incomplete, trattandosi di previsione volta a sanare domande prive di alcune indicazioni, ma - con ogni evidenza - non certo a rimediare al diverso fenomeno delle dichiarazioni false.


6. Le censure contenute nell ultimo motivo di ricorso muovono dal rilievo della mancata applicazione, sotto diversi profili, della normativa in tema di sanzioni e procedure disciplinari contenuta negli artt. 89, 90 e 92 del C.C. N. L. della scuola: in particolare, parte ricorrente lamenta l omessa applicazione delle relative specifiche garanzie di difesa, l omessa sospensione della procedura fino alla definizione della vicenda in sede penale, l incompetenza del dirigente che ha adottato l atto (che sarebbe riservato invece al Direttore Generale Regionale, ai sensi dell art. 90 del contratto collettivo in questione).


Il motivo è infondato nella sua globalità, in quanto si basa su un presupposto erroneo, ossia sull ascrivibilità della vicenda in discussione alla materia disciplinare: il che non è corretto, trattandosi, alla stregua delle considerazioni esposte in precedenza, di una decadenza - esclusione disposta ai sensi della normativa sulle false dichiarazioni e certificazioni.


7. Alla stregua delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere respinto.


8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.


P.Q.M.


il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez. III-bis, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.


Condanna il ricorrente sig. SERGIO MAISTO al pagamento, in favore del MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, delle spese, dei diritti e degli onorari di giudizio, nella misura complessiva di 1000,00 (mille/00) Euro, oltre agli accessori di legge;


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.


Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio dell’11 dicembre 2006, con l intervento dei signori:


Saverio Corasaniti - Presidente


Domenico Lendini - Consigliere


Francesco Arzillo - Consigliere est.


Il Presidente L’estensore




























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