Nei concorsi pubblici, la nomina delle commissioni esaminatrici e la verifica dei presupposti legali posseduti dei loro componenti è una scelta che rientra nei poteri discrezionali della pubblica amministrazione.
Inoltre, la norma che prescrive la riserva alle donne di almeno un terzo dei posti nelle commissioni esaminatrici è solo diretta tutelare la parità dei sessi nell’accesso al pubblico impiego, pertanto il mancato rispetto non discrimina lo svolgimento delle prove concorsuali.
Questo è quanto ha concluso il TAR del Lazio- Roma, sez. III Bis, nella sentenza n. 149 del 12 gennaio 2007. Nella fattispecie, alcuni candidati che hanno partecipato con esito negativo ad un concorso pubblico, hanno impugnato gli atti della procedura lamentando, tra l’altro, la violazione dell’art. 3 del d.p.c.m. n. 439/1994 (“Regolamento relativo all’accesso alla qualifica di dirigente”), che prescrivere che la Commissione esaminatrice doveva essere costituita, oltre che dal Presidente (nella persona di “un Consigliere di Stato o Magistrato o Avvocato dello Stato con qualifica equiparata o da Dirigente generale”), anche “da due membri esperti nelle materie oggetto del concorso”, in quanto, ad avviso dei ricorrenti, i soggetti scelti non potevano ritenersi esperti delle materie oggetto del concorso.
Lamentavano, altresì, la violazione del d.p.c.m. 21 aprile 1994, n. 439, nella parte in cui stabiliva che “almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di concorso è riservato, salvo motivata impossibilità, alle donne purché in possesso dei requisiti di cui all’art. 8 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni”, in quanto la commissione esaminatrice era costituita di componenti di solo sesso maschile, in assenza di motivazione circa l’impossibilità di rispettare la riserva a favore delle donne. Il TAR ha rigettato il ricorso con le seguenti motivazioni. Riguardo il primo punto, aderendo ad una pronuncia del Consiglio di Stato (n. 5325/2006), ha concluso che la norma regolamentare secondo cui i due componenti della Commissione concorsuale devono “essere membri esperti nelle materie oggetto del concorso” non va intesa nel senso che essi debbano essere necessariamente titolari dell’insegnamento delle specifiche materie oggetto del concorso. Sempre secondo i giudici, “appartiene alla discrezionalità dell’amministrazione che indice il concorso provvedere alla nomina delle commissioni esaminatrici e verificare che i componenti prescelti siano qualificabili come esperti nelle materie oggetto delle prove concorsuali”, sempre nel rispetto dei criteri quali congruità, proporzionalità, adeguatezza, ecc, i quali nella fattispecie risultavano rispettati, in quanto i componenti in questione erano cattedratici universitari svolgenti la loro attività di insegnamento in facoltà giuridiche su discipline non estranee alle tematiche oggetto delle prove concorsuali.
Riguardo il secondo punto, il Collegio, facendo proprio un orientamento giurisprudenziale (cfr. CdS, VI, 6 giugno 2002, n. 3184; Tar Lazio, III-bis, 28 maggio 2003, n. 4779 ha affermato che “la riserva alle donne di almeno un terzo dei posti nelle commissioni esaminatrici è norma intesa a tutelare la parità dei sessi nell’accesso al pubblico impiego, assicurando coerentemente le pari opportunità anche in ordine alla composizione di dette commissioni, non mirando invece a garantire la parità di trattamento tra i concorrenti di sesso maschile e quelli di sesso femminile, tale da fondare una posizione soggettiva qualificata delle candidate donne a non essere discriminate nello svolgimento delle prove concorsuali.
Nei concorsi pubblici, la nomina delle commissioni esaminatrici e la verifica dei presupposti legali posseduti dei loro componenti è una scelta che rientra nei poteri discrezionali della pubblica amministrazione. Inoltre, la norma che prescrive la riserva alle donne di almeno un terzo dei posti nelle commissioni esaminatrici è solo diretta tutelare la parità dei sessi nell’accesso al pubblico impiego, pertanto il mancato rispetto non discrimina lo svolgimento delle prove concorsuali.
Questo è quanto ha concluso il TAR del Lazio- Roma, sez. III Bis, nella sentenza n. 149 del 12 gennaio 2007.
Nella fattispecie, alcuni candidati che hanno partecipato con esito negativo ad un concorso pubblico, hanno impugnato gli atti della procedura lamentando, tra l’altro, la violazione dell’art. 3 del d.p.c.m. n. 439/1994 (“Regolamento relativo all’accesso alla qualifica di dirigente”), che prescrivere che la Commissione esaminatrice doveva essere costituita, oltre che dal Presidente (nella persona di “un Consigliere di Stato o Magistrato o Avvocato dello Stato con qualifica equiparata o da Dirigente generale”), anche “da due membri esperti nelle materie oggetto del concorso”, in quanto, ad avviso dei ricorrenti, i soggetti scelti non potevano ritenersi esperti delle materie oggetto del concorso.
Lamentavano, altresì, la violazione del d.p.c.m. 21 aprile 1994, n. 439, nella parte in cui stabiliva che “almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di concorso è riservato, salvo motivata impossibilità, alle donne purché in possesso dei requisiti di cui all’art. 8 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni”, in quanto la commissione esaminatrice era costituita di componenti di solo sesso maschile, in assenza di motivazione circa l’impossibilità di rispettare la riserva a favore delle donne.
Il TAR ha rigettato il ricorso con le seguenti motivazioni.
Riguardo il primo punto, aderendo ad una pronuncia del Consiglio di Stato (n. 5325/2006), ha concluso che la norma regolamentare secondo cui i due componenti della Commissione concorsuale devono “essere membri esperti nelle materie oggetto del concorso” non va intesa nel senso che essi debbano essere necessariamente titolari dell’insegnamento delle specifiche materie oggetto del concorso.
Sempre secondo i giudici, “appartiene alla discrezionalità dell’amministrazione che indice il concorso provvedere alla nomina delle commissioni esaminatrici e verificare che i componenti prescelti siano qualificabili come esperti nelle materie oggetto delle prove concorsuali”, sempre nel rispetto dei criteri quali congruità, proporzionalità, adeguatezza, ecc, i quali nella fattispecie risultavano rispettati, in quanto i componenti in questione erano cattedratici universitari svolgenti la loro attività di insegnamento in facoltà giuridiche su discipline non estranee alle tematiche oggetto delle prove concorsuali.
Riguardo il secondo punto, il Collegio, facendo proprio un orientamento giurisprudenziale (cfr. CdS, VI, 6 giugno 2002, n. 3184; Tar Lazio, III-bis, 28 maggio 2003, n. 4779 ha affermato che “la riserva alle donne di almeno un terzo dei posti nelle commissioni esaminatrici è norma intesa a tutelare la parità dei sessi nell’accesso al pubblico impiego, assicurando coerentemente le pari opportunità anche in ordine alla composizione di dette commissioni, non mirando invece a garantire la parità di trattamento tra i concorrenti di sesso maschile e quelli di sesso femminile, tale da fondare una posizione soggettiva qualificata delle candidate donne a non essere discriminate nello svolgimento delle prove concorsuali.
In altre parole, la ratio della norma è intesa a tutelare un interesse diretto dello Stato comunità all’effettiva partecipazione delle donne ai processi decisionali pubblici e non è valorizzabile a protezione di interessi individuali collegati all’imparzialità delle operazioni nei concorsi pubblici; consegue che tale interesse” – prosegue il TAR, conformandosi ad analogo indirizzo (Tar Lazio, III-bis cit. n. 4779/2003) – “non viene compromesso dalla disapplicazione del principio di pari opportunità in ordine alla composizione della commissione d’esame”
Gesuele Bellini
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (sezione Terza - bis), composto dai signori:
Saverio Corasaniti presidente
Massimo Luciano Calveri consigliere rel.
Francesco Arzillo consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 5436 del 2000, proposto
da
Cucino Pier Alberto, Gazzetta Guy, Lo Greco Margherita, Prosperieri Tullia, Scuotto Michele, Lombardi Gabriella, Mariani Mauro, Santarelli Bruna, Corsi Fabio e Zullo Celi Fortunato, rappresentati e difesi dai proff. Avv.ti Augusto Sinagra e Franco Sabatini, ed elettivamente domiciliati presso il loro studio din Roma, al Viale Gorizia, n. 14;
contro
Istituto Nazionale per il Commercio Estero e Commissione esaminatrice del concorso per esami per il conferimento di 29 posti nella qualifica di dirigente di detto Istituto, indetto con delibere n. 152/1999 e 217/1999, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede – in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12 – domiciliano per legge;
e nei confronti di
Pellicia Patrizia, Puleri Fiorella e Aronadio Maria Ines, rappresentati e difesi dal prof. Avv. Beniamino Caravita e dall’avv. Sara Fiorucci ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Roma, alla Via di Porta Pinciana, n. 6;
per l annullamento
di tutti gli atti della procedura concorsuale, segnatamente dell’atto di nomina della Commissione, dell’assegnazione delle prove scritte e del provvedimento di non ammissione dei ricorrenti alle prove orali, nonché di ogni altro atto presupposto e consequenziale e conneso.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata;
Visto l’atto ad apponendum dispiegato da Talone Elisabetta e altri, rappresentati e difesi dai predetti difensori avv.ti Carovita e Fiorucci;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza dell’11 dicembre 2006 il consigliere Massimo L. Calveri e uditi i difensori delle parti come da verbale di udienza;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO-DIRITTO
1.- I ricorrenti hanno partecipato, con esito negativo, al concorso per esami indetto dal Consiglio di amministrazione dell’Istituto Nazionale Commercio Estero – I.C.E. – per il conferimento di n. 18 (poi elevato a n. 29 e successivamente a n. 40) posti nella qualifica di dirigente del ruolo unico dell’Istituto.
Con atto notificato in data 4 aprile 200, i predetti hanno impugnato gli atti della procedura deducendone, con tre motivi di ricorso, l’illegittimità per violazione e falsa applicazione del d.p.c.m. 21 aprile 1994 n. 439 e del bando del concorso, nonché per eccesso di potere sotto distinti profili.
2.- Resistendo al ricorso, l’amministrazione ha depositato articolata relazione controdeducendo ai profili di gravame.
3.- Si sono costituiti in giudizio anche i controinteressati intimati eccependo in limine l’inammissibilità del ricorso sotto più profili.
4.- Intervento ad opponendum è stato dispiegato da altri vincitori del concorso.
5.- Con distinte memorie le parti hanno ulteriormente illustrato i propri assunti difensivi insistendo nelle contrapposte richieste.
6.- Alla pubblica udienza dell’11 dicembre 2006, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
7.- Può prescindersi dall’esame delle eccezioni preliminari di inammissibilità del ricorso, risultando quest’ultimo infondato nel merito.
8.- Con il primo motivo di ricorso si sostiene che l’art. 3 del d.p.c.m. n. 439/1994 (“Regolamento relativo all’accesso alla qualifica di dirigente”), nel prescrivere che la Commissione esaminatrice doveva essere costituita, oltre che dal Presidente (nella persona di “un Consigliere di Stato o Magistrato o Avvocato dello Stato con qualifica equiparata o da Dirigente generale”), anche “da due membri esperti nelle materie oggetto del concorso”, imponeva la scelta di questi ultimi tra dirigenti ICE o, almeno, tra soggetti che, a diverso titolo, fossero in possesso di esperienze o di specifica conoscenza delle questioni connesse con l’attività istituzionale dell’Istituto.
Nella specie, le nomine cadute sul prof. Federico Tedeschini, docente di “Istituzioni di Diritto Pubblico” presso la Facoltà di Sociologia dell’Università “La Sapienza di Roma” e sul prof. Giovanni Cirone (recte: Girone), docente universitario di statistica, non sarebbero satisfattive della riferita previsione regolamentare non potendosi tali docenti ritenersi esperti delle materie oggetto del concorso.
8.1.- Il motivo non è fondato.
Deve qui ribadirsi, come osservato dalla difesa dei controinteressati e degli intervenienti, che appartiene alla discrezionalità dell’amministrazione che indice il concorso provvedere alla nomina delle commissioni esaminatrici e verificare che i componenti prescelti siano qualificabili come esperti nelle materie oggetto delle prove concorsuali.
Come tutte le aree di amministrazione attiva connotate di discrezionalità, la potestà amministrativa non può certamente dispiegarsi in assenza di vincoli dovendosi comunque svolgere nell’osservanza di criteri (di congruità, proporzionalità, adeguatezza, ect.) la violazione dei quali è idonea a incidere sulla legittimità dell’azione amministrativa.
Orbene, nel caso all’esame non può predicarsi il superamento di detti criteri, tale da concludere che con la nomina dei componenti de quibus l’amministrazione abbia agito con eccesso di potere. I componenti in questione sono stati nominati nella qualità di cattedratici universitari svolgenti la loro attività di insegnamento in facoltà giuridiche su discipline non estranee alle tematiche oggetto delle prove concorsuali (nel caso di specie: economia internazionale, Marketing internazionale e tecnica degli scambi con l’estero); il che, a parere del Collegio, è bastevole a escludere la sussistenza dei vizi denunciati con il motivo.
Va poi soggiunto, condivisibilmente a quanto replicato dalla difesa dei controinteressati sulla base di recente e pertinente giurisprudenza (CdS, IV, n. 5325/2006), che la norma regolamentare secondo cui i due componenti della Commissione concorsuale devono “essere membri esperti nelle materie oggetto del concorso” non va intesa nel senso che essi debbano essere necessariamente titolari dell’insegnamento delle specifiche materie oggetto del concorso.
9.- Con il secondo motivo di ricorso è dedotta l’ulteriore violazione del d.p.c.m. 21 aprile 1994, n. 439, nella parte in cui è stabilito che “almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di concorso è riservato, salvo motivata impossibilità, alle donne purché in possesso dei requisiti di cui all’art. 8 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni”.
Nella specie, la nomina della commissione esaminatrice è stata costituita di componenti di solo sesso maschile, in assenza di motivazione circa l’impossibilità di rispettare la riserva a favore delle donne.
9.2.- Anche tale motivo non è fondato.
Deve anzitutto osservarsi che, con delibera n. 56/2000, in ratifica delle precedenti delibere adottate dal presidente dell’I.C.E., la Commissione è stata integrata con cinque membri di sesso femminile, esperte in lingua straniera; sicché, a rigore, non potrebbe ritenersi violata la riserva a favore delle donne nella composizione delle commissioni di concorso (riserva ora trasfusa nell’art. 57 del d.lgs. n. 165 del 2001).
Il motivo di censura è peraltro inammissibile alla luce dell’orientamento giurisprudenziale, che il Collegio fa proprio, secondo cui la riserva alle donne di almeno un terzo dei posti nelle commissioni esaminatrici è norma intesa a tutelare la parità dei sessi nell’accesso al pubblico impiego, assicurando coerentemente le pari opportunità anche in ordine alla composizione di dette commissioni (cfr. CdS, VI, 6 giugno 2002, n. 3184; Tar Lazio, III-bis, 28 maggio 2003, n. 4779); la norma cioè non mira a garantire la parità di trattamento tra i concorrenti di sesso maschile e quelli di sesso femminile, tale da fondare una posizione soggettiva qualificata delle candidate donne a non essere discriminate nello svolgimento delle prove concorsuali.
In altre parole, e come ben si oppone dagli intervenienti, la ratio della norma è intesa a tutelare un interesse diretto dello Stato comunità all’effettiva partecipazione delle donne ai processi decisionali pubblici e non è valorizzabile a protezione di interessi individuali collegati all’imparzialità delle operazioni nei concorsi pubblici; consegue che tale interesse non viene compromesso dalla disapplicazione del principio di pari opportunità in ordine alla composizione della commissione d’esame (Tar Lazio, III-bis cit. n. 4779/2003).
10.- Con il terzo e ultimo motivo di ricorso si contesta il fatto che, in occasione delle previste due prove scritte del concorso, ai candidati è stato assegnato un solo tema per ciascuna di esse, ancorché uno dei candidati (e attuale ricorrente) avesse fatto verbalizzare che il bando prevedeva la possibilità per i concorrenti di scegliere fra tre temi.
10.1. Anche tale motivo va disatteso.
10.2.- L’art. 5 del bando del concorso de quo, relativo alle “Prove d’esame”, disponeva, al suo terzo e quarto comma, quanto segue:
“Per la prova scritta di cui al punto a) verranno proposti tre temi, fra i quali il candidato dovrà sceglierne uno.
Per la prova scritta di cui al punto b) verranno proposti tre temi per ciascuna delle materie indicate, fra cui il candidato dovrà sceglierne uno per materia”.
10.3- Nel verbale n. 1 della riunione tenuta dalla Commissione esaminatrice in data 18 ottobre 1999, è dato leggere quanto segue:
“La Commissione, con riguardo al contenuto dell’art. 5 del bando, rileva che lo stesso potrebbe essere interpretato sia nel senso che la scelta tra i tre temi proposti per la prova pratica e quella tra i tre temi proposti per ciascuna materia della seconda prova scritta devono essere lasciate a ciascun candidato, oppure nel senso che dette scelte avvengano anche in conformità al disposto dell’art. 11, comma 4, del D.P.R. 9 maggio 1994, n. 497; normativa che prevede il sorteggio, da parte di uno dei candidati, del tema da svolgere nell’ambito dei tre pieghi suggellati contenenti ciascuno la singola traccia proposta.
Vengono dibattute approfonditamente le due interpretazioni.
La Commissione, all’unanimità, è dell’avviso che l’art. 5 del bando abbia richiesto il sorteggio dei tre temi proposti e che il tema da svolgere debba essere eguale per tutti, sulla base delle seguenti considerazioni:
1.- la lettura del bando deve essere coordinata con la normativa generale sui pubblici concorsi, che prevede, come adempimento necessario, il sorteggio del tema tra una terna di temi (art. 11, comma 4, del D.P.R. 9/4/94, n. 487); normativa richiamata, tra l’altro, dall’art. 14 del bando di concorso di cui trattasi;
2.- All’art. 5, coma 2, lett. b), del bando si fa riferimento a “un tema per ognuna delle …materie”;
3.- L’esigenza di una valutazione obiettiva e comparativa reclude la possibilità che i temi svolti siano diversi da candidato a candidato, la qual cosa impedirebbe di fatto la compatibilità stessa degli svolgimenti dei vari candidati e la loro giusta valutazione;
4.- La considerazione di esigenze di “par condicio” nella valutazione delle prove scritte.
Alla luce di quanto sopra la Commissione decide di interpretare la scelta come sorteggio tra tre temi proposti per la prova pratica e tra tre temi formulati per ciascuna delle materie della prova a contenuto teorico”.
10.4.- Il verbale della Commissione esaminatrice, che si è ritenuto opportuno riportare per extenso nella parte che qui interessa, vale a smentire l’assunto che la Commissione abbia arbitrariamente ritenuto di discostarsi dalle previsioni concorsuali. Vero è diversamente, sulla base di una rilevata e obiettiva ambiguità del testo del bando in parte qua, che la Commissione ha doverosamente e correttamente ritenuto di sciogliere i dubbi, anche semantici, che consentivano una doppia lettura dell’art. 5 del bando, optando per un’interpretazione aderente alla normativa generale sui pubblici concorsi; normativa che prevede il sorteggio del tema tra una terna di temi (precitato art. 11 d.p.r. n. 487/1994), normativa peraltro richiamata dal medesimo bando del concorso (art. 14).
Va poi soggiunto, a conferma della legittimità dell’iniziativa assunta dalla Commissione esaminatrice, che detta iniziativa:
- è stata mossa dal lodevole intento di assicurare la par condicio nella valutazione delle prove scritte (principio cui avrebbe fatto velo un giudizio da rendere su prove diverse da candidato a candidato, non potendosi nel caso assicurare con pienezza una valutazione obiettiva e comparativa delle prove medesime);
- ha fatto corretta applicazione del sempre valido canone giurisprudenziale secondo cui, in caso di atto amministrativo ambiguo, oscuro e lacunoso, il primo e più significativo criterio per risolvere i dubbi interpretativi è quello di leggere l’atto alla luce della legge cui esso vuole dare applicazione (cfr. sul punto, Tar Umbria, 9 dicembre 1997, n. 591, proprio in materia di bando di concorso);
- è stata avviata ex ante, e cioè prima dell’inizio delle prove d’esame (è stata infatti tra le primissime operazioni compiute dalla Commissione all’atto del suo insediamento).
11.- Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso va respinto.
Giusti motivi spingono a compensare tra le parti spese di lite e onorari di causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza bis), pronunciando sul ricorso in epigrafe. lo respinge.
Compensa tra le parti le spese di lite.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’11 dicembre 2006.
Il presidente dr. Saverio Corasaniti
Il consigliere est. dr. Massimo L. Calveri
Il presidente
Il consigliere est.