lavoroprevidenza

lunedì 16 gennaio 2006

IL TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO: NOZIONE E CARATTERISTICHE PRINCIPALI

Speciale LavoroPrevidenza. Articolo a cura dell Avv. Anna Lisa Marino, Foro di Salerno, collaboratrice LavoroPrevidenza.com

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Il trattamento di fine rapporto: nozione e caratteristiche principali


di Anna Lisa Marino, Avvocato, Foro di Salerno.



1. La disciplina del trattamento di fine rapporto.


La cessazione del rapporto di lavoro si accompagna alla corresponsione del trattamento di fine rapporto cioè all’attribuzione di una somma di denaro che trova la sua ratio nell’avvenuto svolgimento della prestazione lavorativa ed in particolare nell’anzianità di servizio maturata dal lavoratore durante il rapporto di lavoro.


Il trattamento di fine rapporto, comunemente denominato liquidazione, è disciplinato con legge del 1982 n. 297, in vigore dal 1 giugno del 1982. Per il lavoro prestato fino al 31 maggio 1982, il lavoratore aveva ed ha diritto, alla cessazione del rapporto, alla indennità di anzianità.


A differenza del trattamento di fine rapporto che prende in considerazione la retribuzione annua come somma delle retribuzioni mensili, l indennità di anzianità considera l ultima retribuzione. In particolare moltiplica l’ultima retribuzione, comprensiva di ogni emolumento corrisposto con carattere continuativo, per un coefficiente variabile a seconda dell anzianità.


Il trattamento di fine rapporto invece somma per ciascun anno una quota pari e non superiore all’importo della retribuzione totale dovuta, divisa per 13,5.


Per le frazioni di anno la quota viene ridotta in proporzione, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni.


La somma così ottenuta subisce una rivalutazione per ogni anno pari all’1.5% in misura fissa, più il 75% dell aumento dell indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall Istat. Qualora il lavoratore si dimetta nel corso dell anno la voce fissa dell 1,5% va frazionata in dodicesimi di anno, in rapporto al numero di mesi lavorati.


La liquidazione va consegnata al lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro.


Il secondo comma dell’art 2120 c.c. dispone che la retribuzione annua utile per il computo del trattamento comprende tutti gli emolumenti corrisposti in dipendenza del rapporto di lavoro, salvo diversa previsione contrattuale, che può disporre modifiche, ma soltanto in pejus.


La nozione legale di retribuzione da porre alla base del calcolo comprende, dunque, tutti gli emolumenti a carattere non occasionale corrisposti per il rapporto di lavoro. [1]


Pertanto rientrano in tale nozione di retribuzione, prescindendo dalla ripetitività e dalla frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, anche gli emolumenti per lavoro straordinario che non siano corrisposti occasionalmente, ossia per ragioni del tutto eventuali, imprevedibili e fortuite.[2]


Vi rientrano, inoltre, le maggiorazioni retributive e le indennità erogate in corrispettivo di prestazioni di lavoro notturno, non occasionali, ma continuative ed organizzate secondo regolari turni periodici.[3]



2. L’anticipazione sul trattamento di fine rapporto


Il prestatore di lavoro, con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, una anticipazione non superiore al 70 % sul trattamento cui avrebbe diritto, nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta.


La richiesta deve essere giustificata da particolari necessità: eventuali spese sanitarie per terapie e interventi straordinari, acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, spese da sostenere durante i periodi di astensione facoltativa per paternità fruibili fino al compimento dell ottavo anno del bambino, spese per congedi di formazione.


I datori di lavoro sono obbligati a soddisfare le richieste dei dipendenti entro il 10% degli aventi titolo o il 4% del numero totale dei dipendenti. I contratti collettivi possono tuttavia stabilire condizioni di maggior favore, con la previsione di altri casi che legittimano la richiesta di anticipo.


Sull’acquisto della prima casa la giurisprudenza precedentemente richiedeva l’esibizione dell’atto notarile e dunque il rogito preventivo alla richiesta di anticipazione. La Corte costituzionale è intervenuta stabilendo che è sufficiente un acquisto in fase di perfezionamento. Essa ha dichiarato l illegittimità costituzionale dell ottavo comma, lett. b), dell art. 2120, come novellato dall art. 1, legge 29 maggio 1982, n. 297 nella parte in cui non prevede la possibilità di concessione dell anticipazione in ipotesi di acquisto in itinere comprovato con mezzi idonei a dimostrarne l effettività. [4]


La Corte di Cassazione, a seguito della pronuncia della Consulta, ha sottolineato la necessità di nesso funzionale tra la richiesta e l’acquisto, anche se in itinere, e l’esclusione dell’anticipazione qualora il collegamento causale venga meno (ad esempio nel caso in cui serva soltanto a pagare debiti contratti per il pagamento del prezzo della casa).[5]


Per quanto concerne le spese mediche occorre che la struttura pubblica ne riconosca la necessità, mentre non è rilevante che il lavoratore si serva di una eventuale struttura privata né che provveda preventivamente al pagamento delle cure. L’onere probatorio consistente nel riconoscimento da parte delle competenti strutture pubbliche è riferito alle terapie e agli interventi straordinari, e non anche alle spese sanitarie, sicché risulta chiara la volontà del legislatore di ritenere sufficiente che tali spese possano essere eventuali e che quindi l’erogazione dell’anticipazione possa precedere l’esborso delle prime[6].


L anticipazione può essere ottenuta una sola volta dal lavoratore, in un’unica soluzione. Non è valida la pattuizione, individuale o collettiva, che disponga una anticipazione mese per mese[7].


La somma attribuita al lavoratore viene detratta, a tutti gli effetti, dal trattamento di fine rapporto.



3. Il Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto.


Il Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto è stato istituito presso l Istituto nazionale della previdenza sociale ai sensi dell’art. 2 L. 1982/297, con lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto.


Il fondo è alimentato con i contributi a carico dei datori di lavoro e la copertura opera automaticamente, prescindendo dall effettivo versamento degli stessi.


In caso di insolvenza del datore di lavoro, non soggetto alle disposizioni della legge fallimentare, grava sul lavoratore l’onere di dimostrare che, a seguito dell’esperimento dell’esecuzione forzata secondo criteri di ordinaria diligenza, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti. A tal fine non basta l’esistenza di una mera parvenza di esecuzione[8].


Il termine di prescrizione del diritto del lavoratore di ottenere il pagamento da parte del Fondo non decorre dalla data della cessazione del rapporto di lavoro.


Infatti prima della ammissione al passivo non può decorrere la prescrizione, perché nessuna domanda di pagamento può essere proposta all’Inps prima che sia stata accertata l’insolvenza del datore e prima che il credito per TFR sia stato verificato in sede di ammissione al passivo fallimentare[9].


Poiché il credito inerente al trattamento di fine rapporto e agli accessori ha natura retributiva, si deve ritenere che il fondo sia tenuto a corrispondere gli interessi nella misura legale ed il risarcimento del maggior danno, senza necessità che il lavoratore assolva l onere di allegazione e di prova in base all articolo 1224 c.c., con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto e fino al giorno dell effettivo pagamento[10].








[1] Cass. civile, sez. lav., 5 settembre 2003, n. 13010, in Mass. Giur. It., 2000.




[2] Cass. civile, sez. lav., 3 settembre 2003, n. 12851, in Mass. Giur. Lav., 2004, 92.




[3] Cass. civile, sez. lav., 1 settembre 2003, n. 12760, in Mass. Giur. It., 2003.





[4] Corte Costituzionale, 5 aprile 1991, n. 142 in Giur. It., 1991, I, 1, 612.




[5] Cass. civile, sez. lav., 4 febbraio 1993, n. 1379, in Riv. It. Dir. Lav., 1994, II, 144.




[6] Tribunale Torino, sentenza 1 giugno 1998, in Lavoro nella Giur., 1998, 1064.




[7] Cass. civile, sez. lav., 11 novembre 2002, n. 15813 in Mass. Giur. It., 2002.




[8] Cass. civile, sez.lav., 2 aprile 2002, n. 4666 in Riv. It. Dir. Lav., 2002, I, 795.




[9] Cass. Civile, sez.lav., 26 febbraio 2004, n. 3939 in Guida al diritto, 2004, 15, 76.




[10] Cass. civ., Sez. Un., 26 settembre 2002, n. 13988 in Dir. e Giust., 2002, f.38, 38.





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