IL LAVORATORE NON PUO’ ESSERE LICENZIATO PER IL SOLO FATTO DI AVERE CHIESTO UNA VERIFICA DELLA GRAVOSITA’ DELLE MANSIONI ASSEGNATEGLI
– Non si configura un’inadempienza (Cassazione Sezione Lavoro n. 24162 del 13 novembre 2006, Pres. Senese, Rel. Lamorgese).
Giuseppe F., operaio dipendente della S.p.A. E.T.A., dopo avere subito, nel 2001, un infortunio sul lavoro, ha ripetutamente chiesto all’azienda una verifica dell’attività richiestagli, sostenendo che essa era eccessivamente gravosa e che per eseguirla erano necessari due operai. L’azienda ha effettuato esperimenti dai quali è risultato che il compito assegnato al lavoratore poteva essere svolto agevolmente da un solo operaio. Essa ha quindi licenziato Giuseppe F., nel marzo del 2003, con l’addebito di avere tenuto una condotta “pretestuosa e ingiustificatamente assertiva della necessità di due persone per l’esecuzione delle mansioni assegnategli”.
Il lavoratore ha chiesto al Tribunale di Como l’annullamento del licenziamento, sostenendo che egli non si era reso responsabile di alcuna inadempienza. Il Tribunale ha rigettato la domanda. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 1 settembre 2004, ha rigettato l’impugnazione proposta dal lavoratore, affermando: che non era stata raggiunta la prova della eccessiva gravosità delle mansioni in relazione alle condizioni fisiche dell’appellante; che sebbene Giuseppe F. avesse subito, il 21 gennaio 2001, un infortunio sul lavoro, non erano residuati né postumi permanenti né una sia pur minima riduzione della capacità lavorativa; che, secondo la certificazione medica acquisita, il lavoratore non presentava deficit di forza, lamentando costui solo una sofferenza alla spalla destra; che l’attività cui dopo l’infortunio era stato assegnato Giuseppe F. (definita “ad acqua e tappini”) era più leggera della precedente ed implicava un ridotto sforzo fisico; che non sussisteva la asserita sproporzione della sanzione erogata; che, infine, considerati anche tre provvedimenti di sospensione e tre di multa adottati nei confronti di Giuseppe F. nel biennio precedente, era giustificato il recesso della società per il grave inadempimento del lavoratore conseguente alle violazioni ai suoi doveri di disciplina e di diligenza sul lavoro. La Corte ha peraltro escluso che al lavoratore sia stato addebitato di avere rifiutato di svolgere le mansioni affidategli. Giuseppe F. ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Milano per vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 24162 del 13 novembre 2006, Pres. Senese, Rel. Lamorgese) ha accolto il ricorso. La Corte di Milano – ha osservato la Cassazione – ha escluso che il lavoratore si sia reso inadempiente all’obbligo di svolgere le mansioni assegnategli, ma ha ritenuto che, chiedendo la verifica della gravosità delle mansioni, abbia tenuto una condotta pretestuosa, tale da integrare un’infrazione disciplinare. Peraltro – ha rilevato la Cassazione – la Corte di Milano non spiega perché la richiesta di verifica era da considerare pretestuosa, tale da costituire una violazione alla disciplina e alla diligenza che il lavoratore deve osservare nell’espletamento del lavoro. Anche se indubbiamente l’insubordinazione non deve essere limitata al rifiuto di adempimento – ha osservato la Suprema Corte – ma può tradursi in qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento della prestazione, secondo le disposizioni impartite al lavoratore nel quadro della organizzazione aziendale, la Corte di Milano non chiarisce perché la sollecitazione, sebbene ripetuta, rivolta all’azienda per la verifica dell’esigibilità della prestazione da parte dell’addetto ad una determinata fase della lavorazione, potesse pregiudicare lo svolgimento dell’attività lavorativa e integrare un grave inadempimento del medesimo lavoratore, tanto più che il datore di lavoro non era tenuto a soddisfare la richiesta di verifica ove l’avesse ritenuta priva di fondamento. Lo stesso dicasi – ha aggiunto la Corte – anche per quanto concerne l’obbligo di diligenza che fa carico al lavoratore, poiché la sentenza impugnata non fa riferimento né ad un rendimento inadeguato del lavoratore, né ad episodi dai quali desumere una sua inabilità nella esecuzione della prestazione lavorativa, né ad inosservanza delle regole di tecnica e di esperienza, o comunque delle disposizioni impartite dal datore di lavoro, ipotesi queste che, come si è rilevato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, possono, tra le altre, valere a configurare una mancanza di diligenza nel disimpegno delle mansioni.
La Suprema Corte ha annullato sentenza impugnata rinviando la causa alla Corte di Appello di Brescia, precisando che essa dovrà accertare, dando congrua motivazione, se il comportamento ascritto al dipendente nella lettera di contestazione di addebito costituisca grave inadempimento del lavoratore agli obblighi contrattuali.