mercoledì 1 giugno 2011
IL SEQUESTRO CONSERVATIVO A NORMA DELL’ ART. 545 C.P.C.
L´ articolo 545 del codice di procedura civile prevede espressamente che “Non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per causa di alimenti e sempre con l’autorizzazione del pretore e per la parte da lui determinata mediante decreto. Non possono essere pignorati crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternita’, malattie e funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza. Le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario di altra indennita’ relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal pretore. Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito. Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non puo’ estendersi oltre la meta’ dell’ammontare delle somme predette. Restano in ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge.”
Invero, questa statuizione processualcivilistica, nella parte in cui prevede che sia possibile pignorare somme dovute dai privati nella misura del quinto del totale, era stata sovvertita da alcune recenti pronunce della Suprema Corte (fra tutte, Sez. V. n. 35331 del 25 giugno 2010, Dogliani). Ciò nonostante, con sentenza n. 16168/2011 di recente pubblicazione e che ivi si allega, viene ribadito che il sequestro conservativo presso il datore di lavoro di somme di danaro relative a crediti retributivi può essere disposto in misura non superiore al quinto delle stesse. Nel caso di specie, Tizio e Caio venivano rinviati a giudizio per essersi impossessati indebitamente di somme di riscossione ICI dell´ anno 2004. Dopo essere stati condannati in primo grado, in sede di riesame, il Tribunale riconosceva l´ applicabilità dell´ art. 545 c.p.c., nella parte suesposta, e riduceva la somma da corrispondere a titolo di sequestro conservativo, nella misura di 1/5 della cifra complessivamente erogata a titolo di incentivo, agli imputati. Proponevano ricorso sia la parte civile che gli imputati ma la S.C., in ottemperanza dell´ articolo già ampiamente esplicato, confermava la decisione del “Riesame”.
Dott. Gianluca de Cesare
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Sentenza 4.2.2011 N. 16168
Composta dai Sigg.ri Magistrati
Dott. CONTI Giovanni - Presidente -
Dott. ROTUNDO Vincenzo - Consigliere -
Dott. PAOLONI Giacomo - Consigliere -
Dott. FIDELBO Giorgio - Consigliere -
Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente: sentenza
sul ricorso proposto da:
1) D.B.N.M., nata ad (OMISSIS);
2) L.A., nata a (OMISSIS);
3) Equitalia Polis s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., contro l’ordinanza del 24 settembre 2010 emessa dal Tribunale di Avellino;
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
sentita la relazione del consigliere Dott. Giorgio Fidelbo; sentito il Sostituto Procuratore generale, Dott. Eugenio Selvaggi, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
sentito, per la parte civile, l’avvocato Arturo Frojo, che ha insistito per l’accoglimento del suo ricorso;
sentito, per le imputate, l’avvocato Luigi Petrillo, che ha insistito per l’accoglimento del suo ricorso.
Fatto
1. - D.B.N.M. E L.A. Sono state rinviate a giudizio immediato davanti al Tribunale di Avellino in ordine ai reati di cui agli artt. 110, 314 e 640 c.p., perché, in concorso tra loro e con G.R. E G.P., avendo, in qualità di dipendenti della G.E.I. - Gestione Esattoriali Irpine s.p.a., società concessionaria del servizio di riscossione dei tributi per la provincia di Avellino, la disponibilità per ragioni di ufficio delle somme ICI versate tramite bollettini postali, si appropriavano di oltre diciotto milioni di Euro (Euro 18.724.324,29), ritardando il versamento nelle casse comunali delle somme provenienti dalla riscossione ICI nell’anno 2004.
Nel corso del processo, la costituita parte civile Equitalia Polis s.p.a., società che aveva acquisito la G.E.I. Gestione Esattoriali Irpine s.p.a., premesso che:
a) le imputate avevano, nel frattempo, risolto il rapporto di lavoro con la società; b) avevano aderito al Fondo di Solidarietà con diritto ad un incentivo economico per le dimissioni anticipate pari ad Euro 93.419,53 per la D.B. Ed Euro 111.275,33 per la L.;
c) le somme indicate dovevano esser erogate alle ex dipendenti dalla Equitalia;
d) la stessa Equitalia aveva ricevuto un danno patrimoniale di oltre sette milioni di Euro per i fatti reato contestati alle imputate;
e) sussisteva il fondato motivo di ritenere che le garanzie patrimoniali potessero mancare o disperdersi;
ha chiesto il sequestro conservativo delle somme vantate da D. B. e L..
Il Tribunale, con provvedimento del 1 giugno 2010, ritenuta l’insufficienza patrimoniale delle imputate in relazione alla pretesa risarcitoria vantata, ha disposto il sequestro delle intere somme vantate dalla D.B. E dalla L. a seguito della loro adesione al Fondo di Solidarietà.
Su istanza delle imputate, il Tribunale del riesame di Avellino ha confermato la sussistenza dei presupposti per la misura cautelare reale di cui all’art. 316 c.p.p., ma ha ridotto l’entità del sequestro, ritenendo che le somme corrisposte come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente costituiscono reddito di lavoro, con la conseguenza che tale emolumento, in quanto sostitutivo della retribuzione non percepita, è pignorabile nella misura di un quinto ai sensi dell’art. 545 c.p.c.. Pertanto, il sequestro conservativo è stato disposto fino alla concorrenza della somma di Euro 18.683,90 per la D.B. E di Euro 22.255,06 per la L., corrispondente, appunto, ad un quinto della somma complessivamente erogata a titolo di incentivo alle due imputate.
2. - Contro l’ordinanza del Tribunale del riesame hanno proposto ricorso per cassazione sia la parte civile, che le imputate.
2.1. - L’avvocato Arturo Frojo, nell’interesse di Equitalia Polis s.p.a., ha denunciato, con un primo motivo, l’assoluta mancanza di motivazione in relazione alle deduzioni proposte dalla parte civile nell’udienza camerale del 24.9.2010 e relative alla applicabilità della c.d. Compensazione atecnica o impropria.
Con un secondo motivo ha dedotto l’erronea applicazione dell’art. 545 c.p.c., e art. 1246 c.c., sostenendo, sulla base di una recente pronuncia della Corte di cassazione e di una decisione del Tribunale di Roma, che la regola generale, secondo cui se uno dei due crediti contrapposti trae origine da un rapporto di lavoro, la compensazione è possibile solo entro il limite di un quinto, viene derogata quando lavoratore e datore di lavoro siano titolari di reciproche ragioni creditorie derivanti dallo stesso rapporto di lavoro, nel qual caso possono non applicarsi i limiti legali della compensazione, tra cui quello del limite del quinto previsto dall’art. 545 c.p.c..
Pertanto, nel caso di specie, trattandosi di rapporto facente capo ad un unico soggetto – la Equitalia Polis s.p.a. - il limite di un quinto poteva non operare, essendo derogabile secondo la citata disciplina della compensazione atecnica.
2.2. - Nell’interesse delle due imputate l’avvocato Luigi Petrillo, con il primo motivo del suo ricorso, ha censurato l’ordinanza per omessa motivazione in ordine alla dedotta carenza di legittimazione attiva di Equitalia Polis s.p.a., riproponendo la stessa eccezione di difetto di legittimazione della parte civile. In particolare, assume che gli unici possibili danneggiati dalle condotte contestate alle imputate sarebbero solo i contribuenti, per le somme versate in eccedenza, e i Comuni, per i quali la G.E.I. Curava la riscossione dell’ICI, non certo Equitalia Polis che, peraltro, ha fatto riferimento ad un pregiudizio patrimoniale eventuale e mediato, rapportato alla responsabilità per il mancato versamento delle somme oggetto di peculato.
Con un secondo motivo viene dedotta la violazione e la omessa motivazione sulla sussistenza del fumus commissi delicti, in relazione al reato di peculato, presupposto per l’emissione della misura cautelare reale. In particolare, si rileva l’erronea applicazione dell’art. 316 c.p.p., là dove la verifica del fumus viene riferita alla domanda di risarcimento del danno, omettendo ogni accertamento circa la configurabilità del peculato.
Inoltre, viene criticata l’affermazione del Tribunale secondo cui la verifica della sussistenza del fumus del reato sarebbe superata dall’avvenuta emissione del decreto di giudizio immediato e si rileva come tale giudizio sia stato richiesto dalla difesa, sicché tale circostanza diventerebbe del tutto irrilevante in ordine all’astratta configurabilità del reato, che, invece, avrebbe richiesto una autonoma e distinta considerazione.
Con il terzo motivo viene censurata l’ordinanza impugnata per la violazione di legge e l’omessa motivazione sulla sussistenza del periculum in mora. Si assume che il Tribunale oltre a non accertare l’esistenza del pericolo di dispersione delle garanzie patrimoniali, avrebbe “preso per buona” la quantificazione della pretesa risarcitoria della parte civile, senza che questa abbia offerto elementi o criteri circa la sua quantificazione. Si sottolinea come in relazione a questo punto il Tribunale non abbia dato alcuna risposta.
Con una memoria depositata il 28 gennaio 2011 il difensore delle imputate ha chiesto il rigetto del ricorso della parte civile, contestando i motivi da questa proposta.
Diritto
3. - Il ricorso della parte civile è infondato.
3.1. - Preliminarmente deve escludersi la sussistenza del vizio di omessa motivazione per il mancato esame, da parte del tribunale del riesame, della questione circa la c.d. Compensazione atecnica.
Invero, non può ritenersi che la mancata considerazione di una mera argomentazione difensiva, peraltro avanzata in sede di discussione dalla parte civile, resistente all’istanza di riesame avanzata dalle altre parti, possa costituire un vizio di motivazione del provvedimento, non essendo il giudice tenuto a prendere in considerazione tutti i temi e le questioni poste dalle parti. Nella specie, la specifica questione deve considerarsi implicitamente disattesa avendo presente la complessiva motivazione dell’ordinanza.
3.2. - Nel merito, la questione della compensazione, riproposta in questa sede, è infondata.
La parte civile richiama quella giurisprudenza della Cassazione civile secondo cui l’istituto della compensazione, cui fa riferimento tra l’altro anche l’art. 1246 c.c., sui limiti della compensabilità dei crediti, presuppone l’autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delle parti, sicché non opera quando essi nascano dal medesimo rapporto, il quale può comportare soltanto una compensazione in senso improprio, ossia un semplice accertamento contabile di dare e avere, come avviene quando debbano accertarsi le spettanze del lavoratore autonomo o subordinato (Sez. lav., 2 marzo 2009, n. 5024; Sez. lav., 17 aprile 2004, n. 7337).
Tuttavia, deve escludersi che i crediti in questione derivino dal medesimo rapporto, così come sostiene parte ricorrente. Invero, nel caso in esame non vi è unicità dei rapporti: il credito delle imputate deriva dal rapporto di lavoro estinto; il credito vantato da Equitalia Polis è costituito dalla pretesa risarcitoria che deriva da un fatto reato, che trova solo occasione nel rapporto di lavoro delle due imputate.
Ne consegue che correttamente il Tribunale ha ritenuto che alla cautela reale potesse estendersi il limite di 1/5 delle somme vantate dalle imputate perché considerate credito di natura retributiva.
Peraltro, questo Collegio non condivide quanto sostenuto da una recente decisione, secondo cui il sequestro conservativo può avere ad oggetto una somma di denaro proveniente da un credito di lavoro, senza che valgano i limiti all’esecuzione del pignoramento previsti dall’art. 545 c.p.c., commi 3 e 4, perché le questioni relative alla pignorabilità dei crediti sarebbero proponibili solo in sede di esecuzione civile (Sez. 5^, 25 giugno 2010, n. 35531, Donigaglia).
Invero, sostenere che il limite posto all’efficacia del sequestro delle somme rientranti nel concetto di retribuzione debba essere valutato esclusivamente in fase esecutiva, sembra porsi apertamente in contrasto con il disposto di cui all’art. 316 c.p.c., comma 1, che richiama espressamente i limiti del pignoramento previsti dalla legge, limiti che sono imposti sia al pubblico ministero, che al giudice, compreso il Tribunale del riesame, cui deve riconoscersi il potere-dovere di verificare se tale limite è stato rispettato (Sez. 6^, 22 maggio 1997, n. 2033, Lentini).
4. - Infondato è pure il ricorso presentato nell’interesse delle imputate.
4.1.- Quanto al primo motivo, si osserva che nella fase cautelare il giudice non è chiamato a verificare la legittimazione attiva della parte civile già ammessa in giudizio, in quanto la qualità di parte civile nel processo si acquista sin dal momento della sua costituzione, senza necessità di un provvedimento ammissivo, sia pure implicito, del giudice (Sez. 3^, 6 febbraio 2008, n. 12423, Di Bernardino).
Peraltro, nella specie, la questione dell’ammissibilità della parte civile è stata già risolta dal giudice del dibattimento che, nell’udienza del 4.2.2011, ha respinto l’eccezione delle imputate e ha ammesso Equitalia Polis a costituirsi come parte civile nel processo, sicché non può essere messa di nuovo in discussione in una fase incidentale.
4.2. - Infondato è anche il secondo motivo, in quanto in presenza del rinvio a giudizio del soggetto interessato l’accertamento del fumus del reato deve essere limitato alla verifica della pendenza di un giudizio e dell’esistenza della contestazione, non essendo necessario quella verifica approfondita cui fanno riferimento le ricorrenti.
Peraltro, in sede di riesame del provvedimento che dispone il sequestro la questione relativa alla sussistenza del fumus commissi delicti non è neppure proponibile, quando, come nel caso in esame, sia intervenuto il decreto che dispone il rinvio a giudizio del soggetto interessato che spiega efficacia preclusiva alla delibazione del fumus del reato (Sez. 5^, 17 aprile 2009, n. 30596, Cecchi Gori;
Sez. 2^, 12 novembre 2003, n. 805, Tuzzolo; Sez. 5^, 21 luglio 1998, n. 4906, Frattasio; Sez. 1^, 5 aprile 1996, n. 2264, Baldassar).
4.3. - Infondato è, infine, il terzo motivo.
L’ordinanza impugnata, richiamando una giurisprudenza pressoché consolidata, ha ritenuto che il periculum in mora, presupposto del sequestro conservativo, sussiste quando il rischio di perdita delle garanzie del credito sia apprezzabile in relazione a concreti e specifici elementi riguardanti, da un lato, l’entità del credito e la natura del bene oggetto del sequestro e, dall’altro, la situazione di possibile depauperamento del patrimonio del debitore da porsi in relazione con la composizione del patrimonio, con la capacità reddituale e con l’atteggiamento in concreto assunto dal debitore medesimo (in questo senso, Sez. 6^, 6 maggio 2010, n. 26486, Barbieri; Sez. 5^, 16 febbraio 2010, n. 11291, Leone; Sez. 4^, 26 ottobre 2005, n. 111, Pampo).
Sulla base di tali principi, è stato riconosciuto esistente il presupposto del periculum, in considerazione della rilevante entità delle pretese risarcitorie e della facilità di consumazione del denaro, nonché considerando che le garanzie fideiussorie stipulate in occasione della cessione delle azioni G.E.I. Non riguardano le ricorrenti, colpite dal sequestro conservativo. In questo modo il Tribunale ha fatto una corretta applicazione dell’art. 316 c.p.c. E ss., non rispondendo al vero quanto sostenuto dalle ricorrenti in ordine alla omessa motivazione su tale presupposto del sequestro conservativo.
5. - In conclusione, tutti i ricorsi devono essere rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2011.
Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2011