martedì 26 ottobre 2010
Assicurazione per gli infortuni sul lavoro e per le malattie professionali causa violenta
Lo sforzo fisico del lavoratore può determinare una patologia riconducibile allinfarto occorso allo stesso qualora si verifichi unazione rapida e intensa tale da determinare una lesione del lavoratore medesimo. A tal fine è necessario per il risarcimento del danno la dimostrazione del nesso causale tra lattività lavorativa svolta e levento lesivo. Nella specie la Cassazione ha rigettato la richiesta di risarcimento del danno della moglie di un fattorino deceduto per infarto sul rilievo che il semplice stress e affaticamento quotidiano del lavoro svolto dal marito non può essere lunico elemento per dimostrarne la nocività.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCIARELLI Guglielmo - Presidente -
Dott. CURCURUTO Filippo - Consigliere -
Dott. DI CERBO Vincenzo - Consigliere -
Dott. NOBILE Vittorio - rel. Consigliere -
Dott. CURZIO Pietro - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
L.C., nella qualitaŽ di coniuge erede di Z.
C., giaŽ elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GONZAGA
37, presso lo studio dellŽavvocato BATTAGLIA SALVATORE, rappresentata
e difesa dallŽavvocato DI FRANCESCO OLINDO, giusta mandato a margine
del ricorso e da ultimo domiciliata dŽufficio presso la CANCELLERIA
DELLA CORTE SUPREMA Di CASSAZIONE;
- ricorrente -
contro
I.N.A.I.L - ISTITUTO NAZIONALE PER LŽASSICURAZIONE CONTRO GLI
INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144,
presso lo studio degli avvocati LA PECCERELLA LUIGI e RASPANTI RITA,
giusta procura speciale atto notar CARLO FEDERICO TUCCARI di Roma del
25/9/06, rep. 71692;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 705/2006 della CORTE DŽAPPELLO di PALERMO,
depositata il 30/05/2006 r.g.n. 599/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
24/06/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;
udito lŽAvvocato EMILIA FAVATA per delega LUIGI LA PECCERELLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Inizio documento
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso de 6-6-2003 L.C. nella qualitaŽ di erede di Z.C., premesso che questŽultimo, dipendente delle Poste Italiane con qualifica di operatore di trasporti e mansioni di autista al CMP di (OMISSIS), era deceduto in data (OMISSIS) a causa di infarto, deducendo che tale evento doveva considerarsi come infortunio sul lavoro e che aveva, invano, esperito la rituale procedura amministrativa, conveniva in giudizio lŽINAIL chiedendone la condanna al pagamento della rendita ai superstiti.
LŽistituto convenuto si costituiva chiedendo il rigetto della domanda.
Il Giudice del lavoro del Tribunale di Agrigento, con sentenza del 22- 12-2004 - ritenuto che la ricorrente, dichiarata decaduta dalla prova testimoniale per mancata indicazione dei nominativi dei testi nel termine assegnato, non aveva fornito la prova del nesso causale tra lŽevento e lŽattivitaŽ lavorativa svolta dal de cuius - rigettava la domanda.
La L. proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma e deducendone la erroneitaŽ sia con riguardo al negato nesso di causalitaŽ tra infortunio e attivitaŽ lavorativa sia in ordine alla disposta condanna alle spese del giudizio.
LŽINAIL si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte dŽAppello di Palermo, istruita la causa con lŽordine allŽINAIL di depositare copia di tutta la documentazione sanitaria in suo possesso riguardante il decesso dello Z. noncheŽ a mezzo di CTU, con sentenza depositata il 30-5-2005, in parziale riforma della pronuncia di primo grado.
Dichiarava che la L. non era soggetta al pagamento delle spese del primo grado nei confronti dellŽINAIL,, confermava nel resto e compensava le spese di appello (ad eccezione di quelle di CTU che poneva a carico dellŽINAIL).
In sintesi la Corte territoriale, rilevato che il primo giudice, avvalendosi dei poteri di cui allŽart. 421 c.p.c. aveva assegnato alla ricorrente un termine di gg. 30 per indicare i nominativi dei testi da escutere, dichiarandola poi decaduta a seguito della mancata tempestiva ottemperanza, rilevava che giustamente era stata rigettata lŽistanza di rimessione in termini in considerazione del comportamento colpevolmente inerte della ricorrente e della conseguente insanabile decadenza.
Nel merito, poi, sulla scorta delle conclusioni del CTU la Corte dŽAppello escludeva che il decesso dello Z. potesse essere messo in relazione causale con lŽattivitaŽ lavorativa svolta dallo stesso.
Infine la Corte territoriale accoglieva il motivo di gravame rivolto contro la condanna alle spese di primo grado, rilevando la inapplicabilitaŽ, ratione temporis. nella fattispecie del nuovo testo dellŽart. 152 disp. att. c.p.c..
Per la cassazione di tale sentenza la L. ha proposto ricorso con due motivi, corredati dai relativi quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c., applicabile nella specie.
LŽINAIL ha resistito con controricorso.
Inizio documento
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 115, 116, 184 bis e 421 c.p.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la richiesta di rimessione in termini, "omettendo di verificare che, a seguito del venir meno del rapporto interno di immedesimazione tra parte e difensore ed essendo conseguentemente eliminata la possibilitaŽ di imputare alla parte comportamenti negligenti del difensore, la parte medesima puoŽ essere rimessa in termini, posto che il mancato esercizio del potere processuale (nel caso di specie di indicazione dei testi) non eŽ dipeso da causa alla stessa imputabile, avendo comunicato la lista dei testi al medesimo difensore prima della sua revoca ed avendo appreso dal nuovo difensore che lŽadempimento non era stato portato a termine".
La ricorrente deduce poi che. comunque, al riguardo, "il Giudice era tenuto in virtuŽ del disposto dellŽart. 421 c.p.c., comma 2, ad esercitare i poteri di ufficio addirittura pur in assenza di una esplicita richiesta delle parti in causa", dovendo, altresiŽ, "esplicitare le ragioni per le quali ha reputato di non fare ricorso allŽuso dei poteri istruttori".
Il motivo eŽ infondato.
In base al principio giaŽ affermato da questa Corte (v. Cass. 21.8.2004 n. 16529, Cass. 17-5-2006 n. 11505, v. anche, fra le altre, Cass. S.U. 13-1-1997 n. 262, Cass. 7-11-2000 n. 14465. Cass. 7-3-2001 n. 3343, Cass. 7-4-1981 n. 1978) e che va qui nuovamente enunciato, "Nel rito del lavoro, qualora la parte abbia, con lŽatto introduttivo del giudizio, proposto capitoli di prova testimoniale, specificamente indicando di volersi avvalere del relativo mezzo in ordine alle circostanze di fatto ivi allegate, ma omettendo lŽenunciazione delle generalitaŽ delle persone da interrogare, tale omissione non determina decadenza dalla relativa istanza istruttoria, ma concreta una mera irregolaritaŽ, che abilita il giudice allŽesercizio del potere - dovere di cui allŽart. 421 c.p.c., comma 1.
Conseguentemente, in sede di pronuncia dei provvedimenti istruttori di cui allŽart. 420 stesso codice, il giudice ove ritenga lŽesperimento del detto mezzo pertinente e rilevante ai fini del decidere, deve indicare alla parte istante la riscontrata irregolaritaŽ, che allo stato non consente lŽammissione della prova, assegnandole un termine per porvi rimedio ed applicando, a tal fine, la particolare disciplina prevista dal comma quinto della norma da ultimo citata, col corollario della decadenza nella sola ipotesi di mancata ottemperanza allo spirare di questo termine, espressamente dichiarato perentorio dal medesimo comma. Peraltro, in particolare, lŽart. 244 c.p.c. attribuisce al giudice un potere discrezionale circa lŽassegnazione di un termine per formulare o integrare le indicazioni relative alle persone da interrogare o ai fatti sui quali debbono essere interrogate e, una volta che il giudice abbia esercitato tale potere, definisce il termine come perentorio, precludendo cosiŽ la possibilitaŽ di concedere ulteriori dilazioni, per cui lŽinosservanza di detto termine produce la decadenza dalla prova, rilevabile anche dŽufficio e non sanabile nemmeno sullŽaccordo delle parti".
Nella fattispecie, in conformitaŽ con tale principio, legittimamente la Corte dŽAppello, attesta la intervenuta "insanabile decadenza", ha ritenuto che "giustamente il primo giudice ha rigettato lŽistanza di rimessione in termini", avanzata dal nuovo procuratore della L..
NeŽ puoŽ la ricorrente al riguardo invocare il "venir meno del rapporto interno di immedesimazione tra parte e difensore"; a seguito della revoca della procura, al fine di eliminare la "possibilitaŽ di imputare alla parte comportamenti negligenti del difensore", considerato che in base al principio costantemente affermato da questa Corte, e che va anche qui nuovamente enunciato, "le vicende della procura alle liti sono disciplinate dallŽart. 85 c.p.c., in guisa diversa dalla disciplina della procura al compimento di atti di diritto sostanziale, percheŽ, mentre nella disciplina sostanziale eŽ previsto che chi ha conferito i poteri puoŽ revocarli (o chi li ha ricevuti dismetterli) con efficacia immediata, invece neŽ la revoca neŽ la rinuncia privano - di per seŽ - il difensore della capacitaŽ di compiere o di ricevere atti. La giustificazione di tale diversa disciplina consegue - appunto - dal fatto che i poteri attribuiti dalla legge processuale al procuratore non sono quelli che liberamente determina chi conferisce la procura, ma - come quelli in cui si concreta lo "ius postulandi" - sono attribuiti dalla legge al procuratore che la parte si limita a designare. E, in base allŽart. 85 c.p.c., cioŽ che priva il procuratore della capacitaŽ di compiere o ricevere atti, non sono dunque la revoca o la rinuncia di per seŽ soli, bensiŽ il fatto che alla revoca o alla rinuncia si accompagni la sostituzione del difensore" (v. Cass. 29-10-1997 n. 10643, noncheŽ, fra le altre, Cass. 11-4-2001 n. 5410, Cass. 14-4-2004 n. 7073, Cass. 20-10-1989 n. 4226. Cass. 10-2-1987 n. 1383).
Del tutto priva di rilevanza, sulla intervenuta decadenza, risulta, quindi, la circostanza dedotta dalla ricorrente dellŽaver comunicato la lista dei testi al difensore prima della sua revoca e dellŽaver poi appreso dal nuovo difensore che lŽadempimento non era stato portato a termine.
Parimenti, poi, la ricorrente non puoŽ lamentare al riguardo il mancato esercizio dei poteri istruttori dŽufficio al fine di rimediare alla detta decadenza, veriticatasi a seguito della mancata indicazione dei testi allo spirare del termine come sopra concesso ai sensi dellŽart. 421 c.p.c., comma 1, essendo esclusa, come si eŽ detto, la possibilitaŽ di ulteriori dilazioni e non potendo, comunque, i detti poteri "sopperire alle carenze probatorie delle parti, neŽ tradursi in poteri dŽindagine e di acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale", v. Cass. 8-8-2002 n. 12002, Cass. 21-5-2009 n. 11847, Cass. 22-7-2009 n. 17102, Cass. 15.3.2010 n. 6205).
Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazioni di legge (D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2, del D.P.R. n. 303 del 1956 e succ. mod., del D.Lgs. n. 626 del 1994 e dellŽart. 2697 c.c. e degli artt. 112, 113, 115. 116, 414, 416, 421 e 441 c.p.c.), in sostanza lamenta che la Corte dŽAppello "con motivazione contraddittoria ed insufficiente non ha preso in considerazione gli sforzi giornalieri compiuti e gli stress emotivi o psicologici subiti dal lavoratore deceduto, in violazione anche del principio di equivalenza causale delle condizioni stabilito dallŽart. 41 c.p.", ed in particolare deduce che "erano in re ipsa nello svolgimento delle mansioni de quibus un complesso di condizioni", per cui "in presenza di fatto notorio non vi era necessitaŽ di prova a carico della ricorrente" ed "in ogni caso detta prova era raggiunta attraverso presunzioni".
Infine la ricorrente lamenta che "la Corte dŽAppello non avrebbe potuto impedire allŽodierna ricorrente di coltivare, quantomeno, la prova richiesta con lŽesame autoptico".
Anche tale motivo non puoŽ essere accolto.
Per quanto riguarda il richiesto esame autoptico la Corte dŽAppello, con motivazione sufficiente e logicamente corretta (che del resto neppure eŽ stata specificamente censurata dalla ricorrente) lo ha ritenuto inutile "stante lŽevidente stato di decomposizione degli organi dello Z. a circa sei anni dal suo decesso".
Per il resto la Corte territoriale, con valutazione di merito sorretta da adeguata motivazione, ha rilevato che il CTU "dopo aver messo in evidenza che sulla base della scarna ed esigua documentazione presente nel fascicolo di causa si evince che lo Z. eŽ deceduto per arresto cardio - circolatorio probabile e che non vi sono elementi per poter stabilire se il decesso sia da attribuire ad arresto cardio - circolatorio dovuto ad un evento infartuale acuto o ad eventi di altra natura patologica di natura cardiaca o anche extracardiaca, ha ritenuto ipotizzabile che la morte sia da attribuire a cause naturali non ascrivibili allŽattivitaŽ lavorativa espletata dal de cuius".
Peraltro in particolare la Corte dŽAppello, sulla scorta delle conclusioni del CTU, ha sottolineato che "anche volendo solo ipotizzare che il decesso sia stato causato da una patologia cardiaca che abbia determinato lŽarresto cardiocircolatorio (cardiopatia ischemica, morte improvvisa di natura aritmica, ecc.) esso non potrebbe essere messo in relazione con lŽattivitaŽ lavorativa svolta dal lavoratore non essendo soddisfatti i criteri medico - legali per la configurazione dellŽinfortunio sul lavoro".
Tale accertamento di fatto, che in sostanza da un lato ha evidenziato la mancata dimostrazione della circostanza che la morte sia stata causata effettivamente da un infarto e dallŽaltro ha escluso che anche lŽeventuale infarto potesse in qualche modo essere messo in relazione causale con lŽattivitaŽ lavorativa, non eŽ in contrasto con il principio affermato da questa Corte in base al quale, proprio in tema di infarto del miocardio, anche lo sforzo fisico del lavoratore in condizioni tipiche e abituali in condizioni tipiche ed abituali di lavoro e diretto a vincere una resistenza peculiare delle condizioni di lavoro e del suo ambiente, puoŽ assurgere a causa violenta allorcheŽ con azione rapida ed intensa arrechi una lesione allŽorganismo del lavoratore medesimo" (v. Cass. 21-5-2003 n. 8019, Cass. 6-11-1995 n. 11559), atteso che, comunque, come pure eŽ stato precisato, "lŽazione violenta che puoŽ determinare una patologia riconducibile allŽinfortunio protetto deve operare come causa esterna, che agisca con rapiditaŽ e intensitaŽ, in un brevissimo arco temporale, o comunque in una minima misura temporale, non potendo ritenersi indennizzabili come infortuni sul lavoro tutte le patologie che trovino concausa nellŽaffaticamento che costituisce normale conseguenza del lavoro" (v. Cass. 20-6-2006 n. 14119).
In mancanza, quindi, nella fattispecie, della prova di elementi concreti che potessero configurare una "causa violenta" nel senso richiesto, legittimamente la Corte di merito ha confermato il rigetto della domanda, e tale decisione resiste alla censura della ricorrente, che in sostanza invoca genericamente la mancata considerazione del fatto notorio (che, peraltro, non puoŽ dar luogo ad alcun sindacato in sede di legittimitaŽ, v. Cass. 17-1-2003 n. 609) o, quanto meno, della prova presuntiva, con riferimento agli "sforzi" e agli "stress" giornalieri propri della "attivitaŽ di autista addetto allo scarico di pesanti pacchi" (circostanze insufficienti ad integrare un infortunio sul lavoro).
Il ricorso va pertanto respinto.
Infine sulle spese non si provvede, ratione temporis, in base al testo originario dellŽart. 152 disp. att. c.p.c. vigente anteriormente al D.L. n. 269 del 2003, conv. in L. n. 326 del 2003, essendo la nuova disciplina applicabile ai soli ricorsi conseguenti a fasi di merito introdotte in epoca posteriore allŽentrata in vigore dellŽindicato decreto legge (2-10-2003) (v. Cass. 30-3-2004 n. 6324, Cass. 12-12-2005 n. 27323).
Inizio documento
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso, nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2010.
Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2010