lunedì 3 maggio 2010
BLOCCO DELLA PEREQUAZIONE DELLE PENSIONI NEL 2008
UNA SOTTRAZIONE DI RISORSE
INDEBITA E FORTEMENTE LESIVA
DI DIRITTI TUTELATI DALLA COSTITUZIONE
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Dr. Fernando SACCO
esperto in amministrazione del personale di Enti Pubblici
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La perequazione automatica delle pensioni è lo strumento, previsto nel nostro ordinamento, che consente, con cadenza annuale ed in favore della generalità dei pensionati, l’adeguamento dei trattamenti pensionistici dei settori pubblico e privato alle variazioni del costo della vita con l’obiettivo di tutelarne, nel tempo e per quanto possibile, il potere di acquisto corroso da processi inflazionistici comportanti un aumento continuo e generalizzato del livello dei prezzi dei beni e servizi destinati al consumo delle famiglie.
Nel 2008 le pensioni INPS e quelle INPDAP di importo mensile lordo superiore ad euro 3.542,88 (pari ad otto volte il trattamento minino INPS), pur in presenza di un consistente incremento del costo della vita (+1,7 per cento rispetto all’anno precedente), non sono state rivalutate.
A disporre in tal senso è l’art. 1, comma 19, della legge 24 dicembre 2007 n° 247.
Il mancato adeguamento del trattamento pensionistico in godimento nel 2008 alle variazioni del costo della vita, per i pensionati interessati, ha comportato un “danno” di rilevante portata.
Danno che, va detto subito, non si limita al solo 2008, ma che si protrae nel tempo.
Nel 2008 l’ISTAT, come già rilevato, ha accertato una variazione del costo della vita pari all’1,7 per cento. A fronte, pertanto, di una pensione di importo mensile lordo di quattro mila euro (di poco superiore al limite indicato dal legislatore) la perdita “secca” che il titolare della stessa ha subito è di circa 800 euro annue (62 euro al mese).
Nel 2009 la percentuale di variazione del costo della vita accertata dall’ISTAT è pari a + 3,2 per cento.
Tale percentuale, nel rispetto delle procedure all’uopo previste, va applicata al trattamento pensionistico in godimento al 1° gennaio 2009 il cui ammontare, per il blocco disposto dal legislatore nel 2008, è, però, lo stesso già in godimento al 1° gennaio 2008 non avendo potuto beneficiare in tale anno dell’incremento dovuto a titolo di perequazione automatica.
Per quanto precede si ha, pertanto, che i titolari di trattamenti pensionistici che nel 2008 non hanno beneficiato dell’aumento in questione nel 2009, oltre che vedersi ancora privati dello stesso, di fatto subiscono anche un ulteriore danno dal momento che non beneficiano neanche dell’aumento percentuale calcolabile su tale importo qualora corrisposto a suo tempo.
Il titolare di un trattamento pensionistico mensile lordo di quattro mila euro subisce, così, nel 2009 una “perdita” annua di circa 819 euro che, aggiunta alla perdita del 2008 (ottocento euro), fa registrare in appena due anni un danno economico per un ammontare complessivo di 1.619 euro.
E così per tutti gli anni a venire…..con una perdita annua permanente e crescente per tutto il tempo in cui il pensionato continuerà a percepire il trattamento pensionistico e, successivamente, con ripercussioni financo sulla misura della pensione di reversibilità ove spettante ai superstiti.
Sin dall’adozione del relativo provvedimento lo stesso è apparso subito privo di ragionevolezza atteso che la norma in interesse andava a ledere fortemente i principi, costituzionalmente garantiti, di “adeguatezza” nel tempo dei trattamenti pensionistici (art. 38 Cost.) e di “proporzionalità” fra pensione e retribuzione percepita nel corso dell’attività lavorativa (art. 36) in considerazione che la pensione, lungi dall’essere una semplice prestazione previdenziale, è soprattutto intesa quale “retribuzione differita” e,come tale, meritevole di tutela particolare atteso che la stessa, a differenza dei salari, non è oggetto di alcuna contrattazione.
Al momento sono in corso iniziative volte al recupero di quanto ingiustamente sottratto.
In tale contesto vanno ricordati:
il giudizio di legittimità costituzionale promosso dal Tribunale di Vicenza che, in sede di trattazione di un ricorso presentato da taluni pensionati INPS, con ordinanza del 17 aprile 2009, ritenendo “rilevante e non manifestamente infondato” il contrasto della norma in interesse con gli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione, ha sospeso il giudizio in corso e disposto l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale perchè si pronunci nel merito.
I motivi che inducono a ritenere incostituzionale la norma in esame (art. 1, comma 19, della legge n° 2437/2007) sono diversi. Di seguito ne analizziamo alcuni.
Come più volte sottolineato il fine perseguito dall’istituto della perequazione automatica delle pensioni è essenzialmente quello di adeguare l’ammontare delle stesse alle variazioni del costo della vita e, conseguentemente, conservare nel tempo il loro valore originario.
L’art. 36 del dettato costituzionale sancisce che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa”. Atteso che la pensione ha natura di “retribuzione differita”, non v’è dubbio che l’articolo citato, come in più occasioni sottolineato dalla Corte Costituzionale, si riferisce anche ai trattamenti pensionistici la cui entità, come noto, varia da soggetto a soggetto solo in ragione della diversa durata dell’attività lavorativa e dell’ammontare dei contributi versati nel tempo.
Per quanto precede consegue, pertanto, che il trattamento pensionistico deve essere “adeguato” non solo al momento del collocamento a riposo, ma anche successivamente in relazione ai mutamenti del potere di acquisto dei salari.
Atteso che la perequazione automatica delle pensioni è lo strumento che il legislatore, nel rispetto di principi solennemente sanciti dalla Costituzione, ha specificatamente previsto per assicurare, in concreto, l’imprescindibile mantenimento nel tempo delle condizioni di “adeguatezza” delle prestazioni anzidette ne consegue che la totale esclusione, nei confronti di taluni pensionati, disposta nel 2008, viola il precetto costituzionale dal momento che eludendo, per gli esclusi, il principio di adeguamento, quale previsto per la generalità dei pensionati, di fatto incentiva, a danno di questi ultimi, l’erosione di quel potere reale di acquisto a tutela del quale si pone proprio il principio della perequazione stessa; la proposta di legge presentata il 29 luglio 2009 dagli On.li Mazzuca, Cazzola, Vignali, Lorenzin, Golfo, Della Vedova, Di Biagio, Foti Antonino e Pizzolante contenente “Disposizioni per la restituzione delle quote di rivalutazione dei trattamenti pensionistici non corrisposte nell’anno 2008 per effetto dell’art. 1, comma 19, della legge 24 dicembre 2007 n° 247”. Nella relazione che accompagna la proposta di legge viene dato particolare risalto al danno economico permanente patito dagli interessati dal momento che la mancata rivalutazione del 2008, non venendo restituita negli anni successivi, dà luogo ad una perdita annua per tutto il periodo in cui il pensionato continuerà a percepire il trattamento pensionistico con ripercussioni, anche, sulla misura della pensione di reversibilità;
per ultimo va ricordata infine la “raccomandazione” presentata alla Camera dei Deputati dall’On.le Cazzola ed accolta dal Governo in data 28 ottobre 2008 in cui, rilevato che il blocco totale della perequazione nel 2008 disposto per taluni pensionati “ha comportato e comporterà una lesione economica duratura dei diritti dei pensionati coinvolti”, si invita il Governo stesso a sanare l’iniquità in atto disponendo una restituzione “graduale” di quanto indebitamente sottratto ad una ristretta categoria di soggetti.
Malgrado l’impegno assunto ad oggi, però, non risulta che il Governo abbia avviato iniziative finalizzate a tanto. E intanto, anno dopo anno, la “perdita” economica si fa sempre più pesante ed incide non poco nel bilancio familiare degli interessati.
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