venerdì 19 marzo 2010
Licenziamento per superamento del comporto, inapplicabile il termine di decadenza
La Corte di Cassazione ha affermato che l’impugnazione del licenziamento per il superamento del periodo di comporto non è soggetta al termine di decadenza di 60 giorni. L’impugnazione del licenziamento per il
superamento del periodo di comporto è soggettaesclusivamente al termine di prescrizione lungo dei dieci anni e non anche al termine di decadenza di sessanta giorni, di cui alla generale disciplina dei licenziamenti individuali dettata dalla legge n. 604 del 1966. In particolare, la Corte ha richiamato la propria giurisprudenza, che ha già riconosciuto che il termine di decadenza non è applicabile necessariamente in tutti i casi di recesso da parte del datore, sottolineando che il termine di sessanta giorni per l´impugnazione del
licenziamento previsto dall´art. 6 l. n. 604 del 1966 deroga al principio generale desumibile dagli art. 1421 e 1422 c.c. - secondo il quale, salvo diverse disposizioni di legge, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e l´azione per farla dichiarare non è soggetta a prescrizione.
Ne consegue che, sotto questo profilo, lo disposizione di
cui al citato art. 6, l. n. 604 del 1966 è da considerarsi
di carattere eccezionale e non è perciò applicabile,
neanche in via analogica, ad ipotesi di nullità del
licenziamento che non rientrino nella previsione della
citata legge. E´ pertanto da escludersi che il suddetto
termine di sessanta giorni per l´impugnativa sia applicabile
ai licenziamenti previsti dall´art. 1, l. n. 7 del 1963 (sul
divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di
matrimonio) e dall´art. 2, t. n. 1204 del 1971 (sulla tutela
delle lavoratrici madri), dagli art. 1421 e 1422 c.c.
(Cass.civ., 30 maggio 1997, n.4809: nello stesso senso, 27
marzo 2003, n. 3022, con riferimento al licenziamento non
intimato per iscritto e perciò privo della forma richiesta
ad substantiam dalla legge, nonché 14 agosto 2008, n.
21702, per il licenziamento motivato con il superamento dei
limiti di età ed il possesso dei requisiti pensionistici
nel caso in cui il prestatore abbia esercitata l´opzione per
la prosecuzione del rapporto).
Esigenze logiche di coerenza sistematica, secondo la
sentenza in epigrafe, impongono allora di estendere il
medesimo principio della non applicabilità della norma di
carattere eccezionale al recesso per superamento del periodo
di comporto, che pure rappresenta una forma speciale di
cessazione del rapporto di lavoro, come tale non
disciplinata dalla legge di carattere generale n. 604 del
1966, né dalla disciplina della risoluzione per
impossibilità sopravventua parziale della prestazione, ma
dall´art. 2110 cod.civ, con la conseguenza che
l´impugnazione da parte del prestatore di lavoro non è
soggetta al termine di decadenza stabilito dall´art. 6 della
suddetta legge.
La soluzione è nuova in giurisprudenza, essendosi in altre
varie occasioni diverse da quelle sopra richiamate, invece,
affermato il carattere generale dell´ambito di applicazione
del termine decadenziale previsto per l´impugnazione del
licenziamento individuale. In precedenza, nella
giurisprudenza di legittimità si registra sullo specifico
tema solo Cass., Sez. L, Sentenza n. 4394 del 02/07/1988,
che presuppone l´applicabilità del termine decadenziale
anche all´impugnazione del licenziamento per superamento del
periodo di comporto. Secondo tale sentenza, l´inosservanza
del divieto di licenziamento del lavoratore fino a quando
non sia cessato lo stato di malattia, o sia comunque decorso
il cosiddetto periodo di comporto (art. 2110, secondo comma,
cod. civ.), non determina di per sè la nullità della
dichiarazione di recesso del datore di lavoro, ma implica,
in applicazione del principio della conservazione degli Atti
giuridici (art. 1367 cod. civ.), la temporanea inefficacia
del recesso stesso fino alla scadenza dell´indicata
situazione ostativa, sempreché alla relativa data risulti
persistere l´intento risolutorio. Pertanto, il termine di
decadenza stabilito, per l´impugnazione del licenziamento,
dallo art. 6 della legge 15 luglio 1966 n. 604 decorre dal
giorno in cui il lavoratore ha conoscenza del licenziamento
e dei relativi motivi anche nel caso di licenziamento per
giustificato motivo oggettivo intimato al lavoratore in
stato di malattia, questa determinando solo la temporanea
inefficacia del recesso, con la conseguente sospensione del
decorso del termine di preavviso fino alla guarigione del
lavoratore.
Circa la validità del recesso prima del decorso del
comporto, Cass., Sez. L, Sentenza n. 9037 del 04/07/2001, ha
affermato che l´inosservanza del divieto di licenziamento
del lavoratore in malattia, fino a quando non sia decorso il
cosiddetto periodo di comporto (art. 2110, comma secondo,
cod. civ.), non determina di per sè la nullità della
dichiarazione di recesso del datore di lavoro, ma implica,
in applicazione del principio della conservazione degli atti
giuridici (art. 1367 cod. civ.), la temporanea inefficacia
del recesso stesso fino alla scadenza della situazione
ostativa.
Principo opposto era stato affermato invece da Cass., Sez.
L, Sentenza n. 12031 del 26/10/1999, secondo la quale, in
caso di licenziamento intimato per superamento del periodo
di comporto, ma anteriormente alla scadenza di questo,
l´atto di recesso è nullo per violazione della norma
imperativa, di cui all´art. 2110 cod. civ., che vieta il
licenziamento stesso in costanza della malattia del
lavoratore, e non già temporaneamente inefficace, con
differimento dei relativi effetti al momento della scadenza
suddetta; il superamento del comporto costituisce, infatti,
ai sensi del citato art. 2110 cod. civ. una situazione
autonomamente giustificatrice del recesso, che deve,
perciò, esistere già anteriormente alla comunicazione
dello stesso, per legittimare il datore di lavoro al
compimento di quest´atto ove di esso costituisca il solo
motivo.
(Sentenza Cassazione civile 28/01/2010, n. 1861)