giovedì 21 gennaio 2010
Licenziamento dell´invalido e prova dell´impossibilità di altra utilizzazione
Secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, nel caso di licenziamento di un invalido per mancanza di posti compatibili con la sua menomazione, come deve essere considerato il caso in esame della presente (Cass. n. 24091 del 2009), l´onere probatorio gravante sul datore di lavoro riguarda l´impossibilità di utilizzare il prestatore di lavoro licenziato in altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita (ex multis, Cass. civ., sez. lav., 29 marzo 1999, n. 3030; Cass. civ., sez. lav., 5 settembre 1997, n. 8555).
E´ stato, altresì, chiarito che la prova dell´impossibilità di utilizzare altrimenti il lavoratore deve essere riferita all´intera azienda (Cass. civ., sez. lav., 21 febbraio 1998, n. 1891), con la possibilità di ridistribuire gli incarichi tra i lavoratori già in servizio.
Nella specie, va affermato il principio che se è vero, infatti, che il licenziamento dell´invalido assunto in base alla normativa sul collocamento obbligatorio segue la generale disciplina in tema di licenziamento quando è motivato con la sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso, è anche vero che il diritto dell´invalido di essere occupato nell´azienda alla quale è stato avviato ai sensi della legge n. 482 del 1968 trova un limite soltanto nella provata inesistenza, in tutto l´ambito aziendale, di mansioni in concreto allo stesso affidabili.
Questo principio è stato applicato, in particolare, nell´ipotesi di licenziamento dell´invalido determinato dall´aggravamento dell´infermità che ha dato luogo al collocamento obbligatorio. Non va dimenticato che il licenziamento è legittimo solo ove ricorrano le condizioni previste dall´art. 10 della legge sopra citata, e cioè perdita totale di capacità lavorativa ovvero pericolo per la salute e l´incolumità degli altri lavoratori o per la sicurezza degli impianti, accertate da un´apposita commissione medica.
Ove invece residui ancora una capacità lavorativa, sussiste in capo al datore di lavoro l´obbligo di adibirlo a mansioni equivalenti o anche inferiori compatibili col nuovo stato dell´infermità, se la struttura organizzativa dell´azienda o la situazione dell´organico aziendale lo consentano (Cass. civ., sez. lav., 17 febbraio 2002, n. 10347).
Tale conclusione è coerente con la ratio complessiva che è alla base della legge n. 482 del 1968, che deve essere individuata nella tutela di categorie di lavoratori svantaggiati, in un´ottica solidaristica ed assistenziale, rispetto alla quale le esigenze di gestione economica dell´azienda possono subire una limitazione. L´entità di tale limitazione che, è bene sottolineare, ha carattere solo potenziale atteso che non necessariamente l´impiego di un invalido si traduce in una perdita di efficienza nell´organizzazione imprenditoriale, è fissata dalla stessa legge che fissa delle aliquote di personale appartenente alle categorie protette.
Applicando tali principi alla fattispecie in esame deve affermarsi che il datore di lavoro presso il quale è avviato un invalido, a norma della L. 2 aprile 1968 n. 482, è tenuto a ricercare all´interno dell´azienda mansioni compatibili con le condizioni sanitarie del lavoratore e a questo fine deve, se necessario, procedere alla redistribuzione degli incarichi tra i lavoratori già in servizio.
A cura della Prof.ssa Rocchina Staiano
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Sentenza 13 novembre 2009, n. 24091
Svolgimento del processo
O.F. era stato assunto il 3 luglio 1995 dalla srl Stamperia e T.D., a seguito di avviamento obbligatorio come invalido civile ed era stato addetto alla attività di confezionamento di tessuto; il Collegio medico provinciale, cui egli si era rivolto, aveva affermato che dette mansioni non erano compatibili con la sua minorazione; l´ O. quindi, dopo avere vanamente chiesto il cambio di mansioni, in data **** aveva comunicato all´azienda che avrebbe sospeso il lavoro fino all´assegnazione di una nuova collocazione, restando così creditore di L. 31.285.040 per retribuzioni non corrisposte fino al ****, giacchè era stato poi licenziato con lettera del 12 giugno 1997 per impossibilità di adibirlo altrove.
Aveva adito quindi il Giudice del lavoro di Busto Arsizio per ottenere detta somma. La società, costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto delle domande ed, in via riconvenzionale, la declaratoria di legittimità del licenziamento, a cui il lavoratore replicava chiedendo la declaratoria di illegittimità del medesimo, con diritto alla reintegra nel posto di lavoro.
Il Tribunale di Busto Arsizio accoglieva tutte le domande del lavoratore e rigettava la riconvenzionale; la statuizione veniva confermata in appello.
Su ricorso della società, la sentenza veniva cassata da questa Corte con sentenza n. 16086/2003, per non avere annesso alcun rilievo, senza indicazione di plausibili ragioni, al giudizio espresso dal CTU di "assoluta incollocabilità del soggetto avviato".
Con sentenza del 26 luglio 2005 la Corte d´appello di Torino, giudice del rinvio, confermava la statuizione di primo grado, che aveva condannato a pagare ad O.F. la somma di L. 31.285.040, mentre la riformava affermando la legittimità del licenziamento successivamente intimato dalla società.
Affermava la Corte territoriale, per quanto ancora interessa, che il licenziamento si fondava sulla impossibilità di assegnazione di mansioni compatibili, da cui dovevano escludersi tutte quelle comportati la prolungata stazione eretta. Il CTU aveva invero affermato che l´unica possibilità era l´adibizione ad attività di tipo sedentario, la quale però, dai rilievi effettuati, non risultava individuabile nè nel ciclo produttivo, nè nella attività accessorie. La Corte disattendeva quindi il giudizio del primo Giudice sulla utilizzabilità dell´ O. presso l´ufficio amministrativo, composto di sei unità, sul rilievo che i due posti giudicati compatibili risultavano già stabilmente occupati da due dipendenti della società, mentre non era esigibile nè il loro licenziamento, per far posto all´ O., nè la creazione di altro posto amministrativo superfluo.
Avverso detta sentenza l´ O. propone ricorso con un motivo articolato in due profili.
La società è rimasta intimata.
Motivi della decisione
Con il primo profilo di censura il ricorrente denuncia la sentenza per violazione della L. n. 604 del 1966, art. 2 e dell´art. 112 c.p.c., per ultra petizione, stante la immodificabilità delle ragioni poste a fondamento del licenziamento, perchè la Corte avrebbe motivato con riguardo, non già al caso di specie concernente la legittimità del licenziamento, ma con riguardo alla mancata assunzione. La società aveva motivato il licenziamento con la mancanza, in azienda, di mansioni che non prevedessero la costante stazione eretta, e la Corte territoriale, invece di verificare detta motivazione, tenendo conto che nella perizia era invece emersa l´esistenza di posti in amministrazione, aveva giustificato il licenziamento con una motivazione diversa, e cioè che quei posti erano già occupati, così violando l´art. 112 c.c. ed andando ultrapetita.
Con il secondo profilo si assume che, in ogni caso, il licenziamento sarebbe illegittimo, perchè, una volta rinvenuta in azienda una mansione compatibile, sia all´atto della assunzione, sia successivamente, il datore non potrebbe rifiutare l´assunzione limitandosi ad allegare la già avvenuta copertura del posto, a meno che non dimostri che il lavoratore occupante non può essere spostato ad altri compiti, ovvero che la attribuzione delle mansioni all´invalido comporti modifiche o adeguamenti nella organizzazione aziendale tali da comportare costi inammissibili.
Il motivo è parzialmente fondato.
La prima parte della censura va rigettata.
Non si coglie invero, nella sentenza, alcuna ultra petizione, per modifica delle ragioni a giustificazione del licenziamento, giacchè nella lettera di recesso il riferimento alla insussistenza di mansioni idonee, poteva ben essere interpretato come richiamo a mansioni idonee in quel momento "disponibili" , perchè non occupate da altri.
E´ invece fondato il secondo profilo di censura.
Va precisato che il licenziamento fu motivato appunto con la inesistenza, in azienda, di posti compatibili con la minorazione da cui il ricorrente era affetto.
Anche se si tratta, quindi, di giudicare sulla legittimità del licenziamento, la questione si pone in termini analoghi alla mancata assunzione; in via di fatto, peraltro, il ricorrente svolse il lavoro assegnato per un solo giorno, avendolo immediatamente sospeso perchè incompatibile, come successivamente confermò il collegio medico, cui egli si era rivolto.
Invero, sia nel caso di licenziamento, sia nel caso di mancata assunzione, ove siano entrambi giustificati dalla asserita assenza di mansioni idonee, si pone il medesimo problema di determinare l´ambito dell´obbligo posto a carico del datore ad opera della L. n. 482 del 1968 applicabile ratione temporis (ora abrogata per effetto della L. 12 marzo 1999, n. 68, art. 22).
Questa Corte ha elaborato i seguenti principi in tema di collocamento obbligatorio ai sensi della L. n. 482 del 1968:
1. Dalla disciplina in tema di assunzione obbligatoria di lavoratori invalidi discende un obbligo legale a contrarre in capo al datore di lavoro presso il quale l´invalido sia stato avviato, semprechè esistano però nell´azienda posizioni compatibili con il grado e il tipo di menomazioni da cui è affetto il soggetto protetto; ne discende che, se il datore di lavoro è tenuto ad attribuire all´invalido mansioni idonee e compatibili con il suo stato di invalidità, non potendo validamente opporre una generica incollocabilità di questi, non è però tenuto a modificare o adeguare, sostenendo costi aggiuntivi, la sua organizzazione aziendale alle condizioni di salute del lavoratore protetto, nè in particolare, a creare per lui un nuovo posto di lavoro (Cass. n. 4667 del 13 maggio 1994 e n. 13960 del 26 settembre 2002).
L´obbligo ad assumere non si estende dunque oltre le caratteristiche della struttura produttiva, perchè è pur sempre all´interno di essa che vanno reperiti posti compatibili, mentre una modifica della stessa non risulta imposta dalla legge.
Questa infatti determina e commisura l´obbligo di assunzione delle categorie protette sulla base dell´organico aziendale, sulla presunzione che la misura indicata ne consenta l´inserimento, mentre la medesima non fa invece alcun cenno alla completezza dell´organico, In proposito è stato affermato (Cass. n. 29009 del 10 dicembre 2008) che, in tema di collocamento obbligatorio ai sensi della L. n. 482 del 1968, non assume rilievo la vacanza dei posti in organico, che, pur presupposta - al diverso scopo della riserva dei posti - non incide sull´obbligo di assunzione, che riguarda un´aliquota dei posti in organico e non già dei posti vacanti; nè viene meno detto obbligo di assunzione per la mera difficoltà dell´inserimento nella struttura dell´impresa, che assume rilievo solo quando si riscontri l´assoluta impossibilità di un collocamento non pregiudizievole per il destinatario del beneficio medesimo, per i suoi compagni o per la sicurezza degli impianti ovvero quando, in ragione della specifica minorazione, lo stesso non sia assolutamente collocabile in alcun settore dell´azienda, anche accessorio o collaterale.
Si è affermato ancora (Cass. n. 20450 del 21 settembre 2006) che l´obbligo legale di assumere invalidi ed appartenenti ad altre categorie protette (ai sensi della L. 2 aprile 1968, n. 482 ) risulta imposto soltanto a quei datori di lavoro, che - in dipendenza del livello occupazionale - la legge presume dotati non solo della capacità economica necessaria per sopportarne l´onere, ma anche di una struttura capace di occuparne la prescritta aliquota (quindici per cento). Peraltro, al fine della collocabilità dell´invalido nell´organizzazione aziendale, non assume rilievo la vacanza dei posti in organico, in quanto questa è, invero, presupposta - al diverso scopo della riserva dei posti - ma non incide, tuttavia, sull´obbligo di assunzione, il che, in altri termini, implica che la piena occupazione aziendale non dispensa il datore di lavoro da tale obbligo prospettato, che, infatti, riguarda un´aliquota dei posti in organico e non già dei posti vacanti.
Nella specie era emerso dalla CTU che vi erano sei posti nell´ufficio amministrativo, e due di essi, stante la facilità delle mansioni, potevano ben essere coperti dall´attuale ricorrente. La Corte territoriale ha tuttavia escluso l´obbligo sul rilievo che i medesimi due posti erano già occupati.
Nessuna indagine è stata però espletata sulle caratteristiche di questa occupazione: se qualcuno degli occupanti fosse un soggetto già obbligatoriamente avviato e se i medesimi lavoratori non potessero essere spostati in altri reparti ecc..
Si vuol dire cioè che, se il datore non è obbligato a riorganizzare i mezzi di produzione per consentire la assunzione del soggetto avviato obbligatoriamente, è però tenuto, al più lieve obbligo di reperire in azienda i posti compatibili, ed a tal fine non può semplicemente allegare che questi erano già occupati da altri soggetti, perchè la completezza dell´organico varrebbe, in ogni occasione, per l´esenzione così frustrando le finalità della legge.
Pertanto, quando risulta l´esistenza in azienda di posti compatibili, il fatto che questi siano integralmente già occupati, non vale ad esimere, automaticamente, dall´obbligo di legge, dal momento che la completezza dell´organico è frutto di una scelta autonoma del datore, che pure è a conoscenza che il numero dei dipendenti in forza gli impone la assunzione delle categorie protette. Lo si è già affermato con la sentenza di questa Corte n. 2036 del 23 febbraio 1995 con cui si è osservato che il datore di lavoro presso il quale è avviato un invalido per l´assunzione, ai sensi della L. 2 aprile 1968, n. 482, è tenuto a ricercare all´interno dell´azienda mansioni compatibili con le condizioni sanitarie del lavoratore e a questo fine deve, se necessario, procedere a ridistribuzione degli incarichi tra i lavoratori già in servizio. Si è altresì precisato che, in tale operazione l´esigenza di osservare la L. n. 482 del 1968, art. 11 può integrare una delle "ragioni organizzative" che permettono il trasferimento di lavoratori già in organico ad un altra unità produttiva. Ciò però non può comportare - si è ulteriormente ritenuto - l´assegnazione di un lavoratore già in servizio a mansioni superiori, che egli non sia capace di espletare.
Si tratta dunque di accertare, in tutte le fattispecie, se vi siano in azienda mansioni "concretamente disponibili" per cui il lavoratore avviato sia idoneo, e solo quando questa concreta disponibilità si rivela impossibile l´azienda può rifiutare l´assunzione, ovvero licenziare per il medesimo motivo.
Il ricorso va quindi accolto in questi termini, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altro Giudice, che si designa nella Corte d´appello di Genova, alla quale viene rimessa l´indagine sulla situazione esistente, all´epoca dei fatti, presso l´ufficio amministrativo della società e quindi se si potesse ovviare alla già avvenuta occupazione dei posti ivi compatibili senza costi aggiuntivi per la società.
Al Giudice del rinvio viene rimessa anche la statuizione sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE
Rigetta il primo motivo di censura ed accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d´appello di Genova.
Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2009.