martedì 17 novembre 2009
Cosa è il lavoro ?
Dahrendorf parla della “vita come un’unica attività in più dimensioni”, nel riconoscere che vi è stata una scissione tra capitale e lavoro precisa che il capitale può vivere senza lavoro inteso in senso classico, come costruzione di manufatti, ma viene a riprodurre se stesso giocando sulla rivalutazione e sui passaggi frenetici dovuti alla manipolazione dell’informazione e alle potenzialità tecnologiche, ammette altresì che il lavoro a sua volta può essere senza capitale, ossia senza resa.
La società del sapere che è succeduta alla società del lavoro deve da una parte sfruttare il vantaggio competitivo momentaneo, dall’altra, nella sua apparenza meritocratica, esclude dalla società fasce ampie di persone.
La molteplicità di forme che una economia liberale assume non è quindi per tutti, ma realizza una forma di selezione sociale darwiniana in cui nell’apparenza della libertà solo coloro che possiedono relazioni e conoscenze prevalgono senza remore solidali.
Tuttavia il lavoro necessita, come sostiene Dahrendorf , anche per motivi di controllo sociale, impegnare ed inserire i giovani al fine di impedire derive antisociali, tanto che la stessa funzione può essere svolta da forme di volontariato.
Nasce una immagine del lavoro molto più ampia di quella legata esclusivamente alla remunerazione, ne rientrano pertanto anche le esperienze culturali, l’associazionismo e la cura degli hobbies. Viene recuperata, quindi, una nuova dimensione totale dell’uomo, anche grazie ad una maggiore disponibilità produttiva che porta da una parte alla estraneità tra capitale e lavoro, ma dall’altra ad una nuova immagine dello stesso in quanto ogni essere umano è definito dalle attività in senso lato da lui svolte.
Tuttavia se il lavoro si sgancia dal concetto di mercato, uscendo da una pura logica remunerativa dell’offerta rispetto alla domanda, questo non toglie una sua valenza economica, non solo per l’attività svolta in organizzazioni no profit, ma anche più propriamente nelle esperienze culturali.
Queste non si trasformano in una immediata capacità tecnica, ma possono essere origine di successive attività mediate dalla trasmissione culturale, noi intendiamo lo sfruttamento economico dell’informazione come qualcosa di immediatamente misurabile in termini finanziari, tuttavia vi è tutta una serie di informazioni elaborate e trasmesse da un soggetto all’altro che sfuggono ad una stretta ed immediata finanziarizzazione, un brodo di cultura che fertilizza il nascere di nuovi sentieri.
Non si può determinare con precisione il momento in cui il pensiero creativo si trasformerà in un prodotto, materiale o immateriale che sia comunque commerciabile, certo i costi di una tale inattività economica si cercherà sempre di scaricare sugli altri, ossia di esternalizzare, peraltro esistono e sono forieri di futuri utili.
La civiltà dell’informazione può essere, quindi, letta in due modi, nei termini produttivi immediati, ossia in business, ma anche nella disponibilità di un maggiore tempo nello sperimentare, anche perdersi, nella ricerca culturale che comunque costituirà elemento di crescita di nuove attività. Vi è in altri termini un continuo raffronto fra velocità produttiva dell’informazione e tempo nella maturazione del pensiero.
Bibliografia
• R. Dahrendorf, Libertà attiva. Capitale senza lavoro. La ricostruzione sociale della vita, Laterza 2003;
• J. P. Thomas, Le politiche economiche nel Novecento, Il Mulino 1998.
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ARTICOLO DEL PROF. SERGIO SABETTA