lunedì 4 maggio 2009
PROFILI DI TUTELA DEI DIRITTI UMANI NELL’EUROMED
Premessa
I Ministri degli Esteri dell’Unione Europea hanno avviato da tempo un dialogo costante con i Ministri degli Esteri dei 12 paesi mediterranei nell’ambito degli incontri previsti per lo sviluppo degli accordi seguiti alla Dichiarazione di Barcellona e rivolti ad assicurare che il processo di partnership euro-mediterranea si muova decisamente nella direzione dello sviluppo e della protezione dei diritti umani in quella regione,attraverso l’elaborazione di chiari principi nella redazione definitiva della Carta per la Pace e la Stabilità e attraverso un concreto programma di lavoro sui diritti umani in tutta la regione.
Occorre,anzitutto,ricordare brevemente le tappe fondamentali sin qui percorse per il consegui mento di tale fondamentale obiettivo.
PROFILI DI TUTELA DEI DIRITTI UMANI NELL’EUROMED
di Mario Pavone**
1.La Conferenza di Barcellona e la tutela dei diritti dell’uomo
Nel novembre del 1995,con la Conferenza di Barcellona e la successiva Dichiarazione di Barcellona, fu stabilita una Partnership Euromediterranea (PEM) fra i 27 Ministri degli Esteri dei paesi dell’UE, del Nord-Africa e del Medio Oriente.
Oltre ai 15 paesi dell’UE i membri della Partnership sono Algeria, Cipro, Egitto, Israele,Giordania,Libano Malta, Marocco,Autorità palestinese,Siria,Turchia e Tunisia,mentre la Libia si è riservata lo status di osservatore.
La istituita partnership dovrebbe consentire,secondo gli accordi,di giungere alla realizzazione di un’area di libero commercio e scambio per l’anno 2010.
La Dichiarazione di Barcellona e il successivo Programma di lavoro prevedono lo sviluppo della partnership sotto tre aspetti:
a.partnership politica per la sicurezza e la difesa;
b.partnership economica e finanziaria;
c.partnership sociale e culturale per i temi dell’educazione, la cultura, la salute, ecc. e per combattere insieme il terrorismo, il traffico di droga, e la criminalità internazionale.
La Dichiarazione di Barcellona ha,inoltre,sancito la responsabilità collettiva dei Paesi del Mediterraneo al fine di garantire,da parte di tutti i Paesi membri,
"il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali “ e “l’effettivo e legittimo esercizio di tali diritti e libertà, compreso la libertà di espressione, di associazione per scopi pacifici, e la libertà di pensiero, coscienza e religione,sia individualmente sia con altri membri dello stesso gruppo, senza alcuna discriminazione basata sulla razza, la nazionalità, la lingua, la religione o il sesso".
Pertanto, i 27 paesi della PEM,nel riconoscere "il contributo essenziale che la società civile può fornire al processo di sviluppo della Partnership",si sono impegnati a rispettare alcuni principi generali in materia di diritti umani.
Nonostante queste positive intenzioni e le dichiarazioni di principio sottoscritte,i Paesi della PEM devono ancora oggi concordare un concreto programma di lavoro sui diritti umani.
Non esiste,infatti, allo stato alcun meccanismo per monitorare l’osservanza del rispetto di tali diritti o per reagire contro la loro violazione.
Ciò nondimeno,a partire dalla Conferenza di Barcellona,numerose sono state le richieste e le raccomandazioni pervenute da più parti ai governi dell’UE per chiedere che sia stabilita una agenda dei diritti umani all’interno degli accordi di partnership.
In particolare la Conferenza di Barcellona ha stabilito due obiettivi di grande rilevanza:
a.la creazione entro il 2010 di una zona di libero scambio
b.l’instaurazione di un’area di stabilità e di pace nella regione.
Costituiscono premessa della Dichiarazione e condizioni basilari per il raggiungimento degli obiettivi del dialogo intermediterraneo:
a. il rafforzamento della democrazia, rispetto dei diritti umani, sviluppo economico e sociale sostenibile ed equilibrato,
b. la lotta alla povertà,
c.l’ avvicinamento delle culture.
Seguono nell’ordine – come nell’atto finale di Helsinki – i temi della cooperazione politica e della sicurezza, quelli della cooperazione in campo sociale, delle relazioni umane, della diffusione dell’istruzione e della cultura, della promozione di comprensione reciproca tra le differenti culture, ecc.
Accrescere la reciproca conoscenza significa anche gettare le basi per una maggiore fiducia, a sua volta indispensabile per favorire collaborazione ed investimenti.
Gli obiettivi sono comunque comuni e cioè che ciascun Paese deve procedere al proprio interno a riforme strutturali ed adattamenti per potersi incamminare verso un’economia di mercato e quindi ad un’economia aperta.
Tutti devono procedere nella stessa direzione e percorrere lo stesso itinerario,ovviamente,con le dovute differenze a seconda del diverso grado di sviluppo.
Sussiste ancora oggi un problema di fiducia che va costruita attraverso una migliore comprensione che coinvolga l’opinione pubblica e riavvicini le società. Senza più stretti legami all’interno della società mediterranea qualunque azione sia fatta a livello di governi rischia di ottenere effetti parziali o effimeri.
Da ultimo,va ricordata la risoluzione approvata dal Parlamento Europeo alla Conferenza di Valencia del 2002 la quale,al punto 3) “si compiace del rilancio del progetto di Carta di pace e di stabilità che era stato abbandonato dopo la Conferenza euromediterranea di Stoccarda, con riserva di una migliore definizione del suo contenuto e si pronuncia contro qualsiasi intervento militare nella regione; al punto 4) “prende atto del testo sulla lotta contro il terrorismo, che si riferisce essenzialmente alle convenzioni e ai testi internazionali; ribadisce che la lotta contro il terrorismo deve essere condotta nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali “ ed infine al punto 10) “deplora le gravi violazioni dei diritti dell’uomo in vari paesi partner del processo di Barcellona, in particolare dopo la firma di un accordo d’associazione; chiede l’instaurazione di meccanismi specifici che consentano un’applicazione concreta e più efficace della clausola degli accordi euromediterranei di associazione concernente i diritti dell’uomo”.
2.L’importanza del dialogo con le civiltà del Mediterraneo
La Risoluzione di Valencia rilancia, dunque, il dialogo tra l’Europa ed i Paesi del Mediterraneo e ripropone il problema del rispetto dei diritti umani.
In proposito,ha scritto,di recente,il Prof. Stefano D’Anna,Rettore della European School of Economics ,con un bellissimo pensiero, che “anche le nazioni e le civiltà sognano”(1).
Sostiene il Prof. D’Anna che “al di là dell’incubo delle guerre, della povertà endemica di sterminate regioni del pianeta,a dispetto delle profezie di sventura e dell’indefinita storia di sciagure e crimini che la dissemina, un sogno di prosperità, di libertà, di giustizia, come un esile filo d’oro, ha sempre attraversato tutta la nostra storia, sin da quando fu concepito tremila anni fa, sulle coste dell’Attica.
Nel liquido amniotico di quel sogno noi ancora nuotiamo, feto di quell’età di giganti e modernamente lo abbiamo incarnato nell’aspirazione planetaria alla democrazia liberale, al liberismo economico ed alla affermazione dei fondamentali diritti umani “.
Il “sogno” dell’Europa è prima di ogni altra cosa un sogno di pace, di prosperità, di proficua collaborazione tra i popoli che fino a pochi decenni fa si sono ferocemente combattuti e dove i voti di fraternità, uguaglianza e libertà sono rimasti a lungo e dolorosamente chimerici.
“L’Europa – secondo l’illustre docente - è un modello evolutivo per i popoli mediterranei, un modello verso cui far convergere i propri sforzi ed il corso della loro nuova storia; ad essi, ai loro più alti rappresentanti, agli ambasciatori, ai politici, agli studiosi occorre sottolineare che nessuno può aspettarsi di ricevere in dono democrazia e libertà, né la garanzia del rispetto dei diritti umani fondamentali.
L’uomo deve cancellare la paura delle sue emozioni, il conflitto della sua psicologia, la povertà, la scarsità, il senso della morte, della sua coscienza.
Il futuro della nostra civiltà è puntare tutto sull’educazione, sull’uomo, sull’individuo”.
Millenni di storia impregnano le acque mediterranee percorse da colonizzatori, soldati, mercanti, pellegrini, sapienti, evangelizzatori, esse uniscono e dividono.
Meravigliosi tesori di civiltà le attorniano, ricordi di vicende umane le solcano con scie di gloria, di avventura e di sangue.
Eppure in un Mondo che,come è stato sostenuto da alcuni,conosce oggi “la morte delle distanze”,il Medi terraneo costituisce un minuscolo lago pulsante di vita ma tuttora avaro di vera comunicazione.
Differiscono in esso i sistemi politici, e non solo tra sponda nord e sponda sud, differiscono quelli giuridici, le credenze religiose, i livelli di sviluppo.
Differisce talora la concezione stessa del significato e del destino dell’uomo.
È,quindi,indispensabile conoscersi, dialogare, accettarsi, perché non si ceda alla tentazione della “relativizzazione” di valori che cinquant’anni fa furono proclamati – grande conquista della comunità internazionale – come universali, quelli della uguale ed innata dignità di ogni persona umana, quale che sia la terra in cui è sbocciata alla vita, la fede che professa, il suo sesso ed il colore della sua pelle.
3.Il ruolo dell’Italia per la tutela dei diritti dell’uomo nei Paesi del Mediterraneo
Nel Mediterraneo l’Italia è, per antico destino, il ponte di elezione per questo dialogo.
Essa vuole fare assumere al Mediterraneo, mare di pace, di scambio, di sviluppo, di tolleranza, di democrazia e di tutela dei diritti umani, perché esso torni ad essere, come un tempo, uno dei grandi motori della storia ed epicentri della civiltà (2).
In tale direzione,va ricordato l’importante ruolo svolto dalla Lega Italiana dei diritti dell’umo e della Federazione Internazionale dei Diritti dell’Uomo(3) che è da sempre fortemente impegnata in un continuo monitoraggio della situazione esistente nei diversi paesi del Mediterraneo, assicurato dall’attività svolta dalle organizzazioni locali affiliate.
Le violazioni vengono da essa denunciate alle Nazioni Unite e viene sollecitato un intervento dei Paesi dell’Unione Europea.
Non sempre, naturalmente, questi interventi hanno successo, ma essi consentono,tuttavia,una continua informazione all’opinione pubblica e sovente l’adozione di provvedimenti che penalizzano i governi dei paesi nei quali si verificano le più gravi violazioni.
Per un’esposizione di queste attività è utile elencare alcuni interventi svolti in passato dalla LIDU,a cominciare dai Paesi Arabi.
La prima conferenza internazionale del movimento arabo per i diritti dell’uomo, tenuta a Casablanca dal 23 al 25 Aprile del 1998,ha distinto tre categorie di Paesi.
a.Il primo gruppo comprende l’Arabia Saudita e alcuni paesi del Golfo, prive di strutture giuridiche moderne, di una Costituzione democratica e di un Parlamento regolarmente eletto.
Ancorati alla loro specificità culturale e religiosa, questi governi non lasciano alcuna possibilità di azione ai difensori dei diritti dell’uomo.
b.Il secondo gruppo è composto dai Paesi che hanno aderito ai patti e alle convenzioni per l’attuazione della dichiarazione universale; questo gruppo comprende la Siria, l’Iraq, la Libia ed altri paesi minori, ma essi non rispettano praticamente alcuna norma delle convenzioni internazionali. L’area della libertà è fortemente ridotta e lo stato di violazione dei diritti dell’uomo è di eccezionale gravità.
Le organizzazioni dei diritti dell’uomo sono costrette ad operare in clandestinità o esilio.
c.Il terzo gruppo di Paesi è caratterizzato anche dalla violazione dei diritti, ma in tali paesi – Tunisia, Egitto, territori autonomi palestinesi – si verifica, da qualche tempo, un rispetto, anche se limitato, dei diritti garantiti dalla dichiarazione universale.
Si tratta, tuttavia, di un rispetto sempre limitato, che impone un’assidua sorveglianza, soprattutto per la tutela dei “difensori dei diritti dell’uomo”.
Non va sottaciuto anche l’impegno in favore di una legislazione uniforme europea iper i riconoscimento dell’asilo politico.
Il 9 dicembre 1998 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, come è noto, ha adottato la risoluzione sui “difensori dei diritti dell’Uomo”.In tale circostanza,26 Paesi membri hanno reso pubblica una “ dichiarazione interpretativa” nella quale annunciavano la loro intenzione di adottare il testo approvato dall’Assemblea dell’ONU, con la riserva che le norme fossero conformi alla loro legislazione interna.
Questa dichiarazione,naturalmente, non ha alcun valore giuridico di diritto internazionale,ma denuncia chiaramente l’intenzione di questi Paesi di limitare l’azione dei difensori dei diritti dell’uomo.
Qualche mese dopo, nel marzo del 1999, la convenzione araba contro il terrorismo stabiliva un’intesa per la condanna degli oppositori, accusati di attività terroristica.
Con la copertura della lotta al terrorismo,naturalmente legittima in determinate condizioni, è stato stabilito un nuovo passo nel coordinamento della politica repressiva.
Bisogna tener conto che la definizione di atto terroristico, fissata dalla convenzione,è, in effetti, così ampia che può,al limite,coprire tutte le azioni pacifiche di opposizione e dissidenza dal potere come pericolose per la sicurezza statale.
Infine, poiché l’indipendenza della giustizia resta in questi stati una nozione largamente relativa, in base a questa disposizione “un difensore dei diritti dell’uomo” perseguitato nel proprio Paese, non può trovare rifugio in un altro paese arabo.
Vanno segnalate, infine, le leggi sulla libertà di associazione,violate in quasi tutti i Paesi Arabi, con il chiaro proposito di ostacolare l’azione di tutte le associazioni non governative che si impegnano nella difesa dei diritti dell’uomo.
La persecuzione dei difensori dei diritti dell’uomo in questi paesi è la parte visibile di una politica generale di lotta e di repressione dei diritti fondamentali.
Una politica paradossale, almeno a prima vista, perché se tutti questi Paesi si impegnano per il libera lismo economico, poi, di fatto, rifiutano il liberalismo politico.
Naturalmente l’accento viene sempre posto, con maggiore incisività, sulla specificità culturale e religiosa, per rifiutare l’universalità dei diritti dell’uomo e quindi il legame inscindibile fra i diritti civili e politici e lo sviluppo economico e sociale.
Fra gli episodi che denotano una qualche apertura nella tutela dei difensori dei diritti dell’uomo, va segnalata la liberazione,in Tunisia,di alcuni difensori dei diritti dell’uomo, quasi sempre accusati di diffamazione contro l’ordine pubblico e le autorità e la diffusione di false notizie, volte a turbare lo status quo e ad incitare i cittadini a violare la legge.
Particolare attenzione merita la situazione in Algeria.
Dopo il lungo periodo del terrorismo dei fondamentalisti arabi, il Governo, come è noto, ha adottato un provvedimento di amnistia, che, di fatto, cancella tutti i reati, anche quelli di omicidio e di tortura.
Gli scomparsi sono migliaia, dei quali non si ha alcuna notizia ed il Governo non intende condurre alcuna indagine che potrebbe dimostrare,di fatto, un’intesa fra i terroristi e le forze armate.
Le famiglie degli scomparsi hanno costituito un comitato “S.O.S. Scomparsi” che opera sotto l’egida della Lega Algerina dei diritti umani.
Le famiglie degli scomparsi si riuniscono tutte le settimane ad Algeri davanti alla sede dell’Osservatorio Nazionale dei Diritti dell’Uomo, costituito da diverse O.N.G. e davanti alla sede della Prefettura in città come Orano e Costantina.
La polizia è intervenuta diverse volte per disperdere questi dimostranti, i quali, come ha fatto rilevare in un messaggio al Sindacato algerino degli avvocati, non contestano la legge per la concordia civile, ma chiedono almeno di conoscere la sorte dei loro congiunti scomparsi.
Le autorità algerine hanno proibito nel giugno dello scorso anno lo svolgimento ad Algeri di un incontro africano dei difensori dei diritti dell’uomo, che si doveva tenere parallelamente alla conferenza delle Organizzazioni dell’Unità Africana.
Pur tuttavia,questi rilievi sulla situazione interna di paesi nord-africani relativi al rispetto dei diritti dell’uomo,non incidono sulla linea di politica mediterranea dell’Europa.
Il processo di democratizzazione di questi Paesi è anzi strettamente legato alla piena attuazione delle direttive approvate dalla conferenza di Barcellona, sia per quanto riguarda la cooperazione economica sia per quanto riguarda la sicurezza, che deve coinvolgere i paesi membri in un programma unico.
I problemi derivanti dai rapporti nell’Area del Mediterraneo sono stati discussi in numerosi convegni diretti
a- a dare attuazione alla normativa Euromed ;
b- ai rapporti culturali;
c- alla ricerca di una “lingua mediterranea”, fondamento comune del diritto mediterraneo.
Su questi temi è stata istituita una struttura di parternariato, che comprende anzitutto le Leghe dei Paesi del Mediterraneo e, principalmente, le Leghe di Spagna e Portogallo.
Sono state quindi stipulate intese con varie organizzazioni ed in primo luogo del mondo universitario e l’Istituto Catalano per il Mediterraneo, la più importante organizzazione che si occupa di questi problemi.
E’ stata inoltre tenuta una riunione presso l’Università di Gorizia, consociata nel progetto, insieme ad altre Università dell’Europa Orientale, in particolare Slovenia e Croazia.
Il tema principale dell’incontro è stato quello di ristabilire il principio di comunicazione Mediterraneo - Europa Orientale utilizzando il Corridoio Adriatico con il potenziamento dei porti di smistamento.
Si tratta di un problema di particolare rilievo, perché le tendenze, dopo la crisi del Kosovo, sono quelle di deviare una “via storica” istituendo – e in parte è già stata istituita – una nuova via,il Corridoio 8,che passa per la Grecia e attraversa i paesi del Centro Europea (cd valigia delle indie).
L’incontro di Gorizia,inoltre,è stato di particolare interesse perché ha portato ad un’intesa con il Libano, che era rappresentato dall’Arcivescovo di Baalabek, S.E. L. Hachen, già alla Segreteria di Stato in Vaticano, con il quale sono stati concordati due aspetti del programma:
• il primo è la ricerca sulla fonte comune del diritto mediterraneo, al quale partecipano tutte le Università dei paesi mediterranei ed alcune organizzazioni umanitarie. Sono stati programmati anche corsi di formazione per studenti di tutte le Università, accentuando anche il rapporto interculturale tra i vari Paesi rivieraschi.
• Il secondo aspetto è quello di definire, nel quadro delle direttive europee, le linee di rapporti economici – comprese le comunicazioni – inquadrati in questo contesto di unità mediterranea.
Su questi problemi occorre,quindi, istituire un Centro Studi che costituisca punto di riferimento di questo processo di ricerca unitaria al quale parteciperebbero gli esponenti di diversi paesi mediterranei, i rappresentanti delle varie Organizzazioni impegnate nella democratizzazione dell’Area e delle Università.
4. Il binomio democrazia e diritti dell’uomo
Per un migliore perseguimento di tale obiettivo,è stato sostenuto che occorrerebbe rilanciare il binomio democrazia-diritti dell’uomo(4).
Infatti,se si raggruppano in un’unica espressione tre termini – democrazia, diritti umani e Mediterraneo – che si pongono, singolarmente considerati,su piani diversi-occorrerebbe operare necessariamente un approfondimento sulle origini di questo collegamento che, specialmente per quanto concerne la democra zia ed i diritti umani, appare ancora legato a filo doppio.
Il binomio democrazia-diritti umani,è il risultato di una lunga e complessa fase di tensioni e di contrasti, non ancora del tutto completamente definiti.
Di qui la necessità di risalire alle origini di questa costruzione .
Tale binomio appare oggi un’espressione universalmente accettata che ha un significato certo, reale, acquisito da sempre mentre non emergono gli aspetti dialettici, talvolta controversi ed i dubbi sulla portata dell’abbinamento.
Siamo persino indotti ad adagiarci sulla tesi che l’accostamento fra la democrazia ed i diritti umani ha una sola chiave di lettura : non è possibile assicurare il pieno rispetto dei diritti umani senza democrazia.
L’assunto democrazia = diritti umani ha un significato preciso se ci si pone nel contesto generale dell’intera comunità internazionale, e, più in particolare, nell’ambito delle attività delle N.U.
Solo in questo contesto esso assume il valore di una linea di azione che si vorrebbe sviluppare in futuro.
Nell’ambito del continente europeo, appare del tutto inutile coltivare l’idea che i diritti umani non possano essere garantiti se non con l’attuazione di un regime democratico,proprio perché la democrazia, come viene intesa nel mondo occidentale, è una realtà ormai pienamente realizzata, in forme, fra l’altro, fra le più avanzate.
Per ripercorrere nel tempo l’evoluzione del rapporto fra democrazia e diritti umani, ed il diverso modo di porsi di un tale collegamento, occorre procedere, attraverso una lunga serie di episodi, una strada che ci porta indietro nel tempo, ma che ci fa comprendere anche quale sia il reale valore del risultato finale.
Le radici politiche, storiche, filosofiche e giuridiche risalgono ad un fatto importante, anzi essenziale per comprendere l’intero sistema dei diritti umani.
La Dichiarazione Universale dei diritti umani, di cui si è celebrato il 60° anniversario in questi giorni, ha rappresentato, in questo lungo arco di tempo,la fonte di ispirazione per una serie quasi infinita di altre dichiarazioni di principi, di convenzioni, di atti internazionali. Tuttavia, il maggior risultato, sul piano pratico, per porre concretamente in atto le norme morali contenute nella Dichiarazione e trasformarle quindi in norme idonee a creare diritti ed obblighi, è stato, come è noto, l’adozione dei due Patti universali, quello sui diritti civili e politici e quello sui diritti economici, sociali e culturali.
Oggi siamo talmente abituati a sentir invocare o comunque menzionare i diritti umani, nel contesto interno, come in quello internazionale, che, nella nostra memoria storica, è persino difficile ricordare che il processo di “ creazione” dei diritti umani è stato lungo, contorto, sofferto,contestato.
L’entusiasmo che accompagnò l’adozione della Dichiarazione Universale non fu, in origine, del tutto genuino.
Gli Stati erano perfettamente consapevoli che quella Dichiarazione aveva solo un valore morale, importante quanto si vuole, ma non tale da incidere seriamente sulla loro libera determinazione circa il trattamento da riservare sia ai propri cittadini, sia agli individui in quanto tali.
Questa distinzione fra sudditi e stranieri aveva, all’epoca, un valore ed una portata del tutto diversa da quelli che oggi sono i principi generali del diritto internazionale in materia.
Quel che occorre rilevare, come premessa all’esposizione di alcune idee sul binomio democrazia -diritti umani, è che furono necessari ben 28 anni, nel sistema della Nazioni Unite, per trasferire dal campo della morale a quello del diritto i principi contenuti nella Dichiarazione, attraverso una fase estenuante e non sempre positiva di lunghi e complessi negoziati.
Non è questa la sede né l’occasione per approfondire i motivi che resero necessario,in modo imperativo, la distinzione di tutti i diritti umani della prima generazione nelle due grandi categorie contemplate dai Patti.
È tuttavia necessario rilevare che la decisione, dettata da una serie di motivi di varia natura, di dividere in due grandi gruppi i diritti umani è all’origine di una serie di sviluppi successivi con ricadute nella seconda e nella terza generazione dei diritti umani, fra le quali il progressivo affermarsi del rapporto fra democrazia e diritti umani.
Indipendentemente dalla natura dei diritti enunciati nell’uno e nell’altro Patto, in un Mondo che era caratterizzato dalla contrapposizione dei due blocchi di Stati, il fatto stesso di aver tenuto distinti in due strumenti internazionali a tendenza universale i diritti civili e politici da quelli economici e sociali è all’origine delle filosofie che per lunghi anni, ed in buona parte ancora oggi, caratterizzano la posizione assunta, a seconda dei casi, dai Paesi occidentali e da quelli orientali, ovvero dai Paesi ad economia avanzata (industrializzati) rispetto a quelli in via di sviluppo.
Nasce così una specie di corsa ad ostacoli, nella quale l’una o l’altra filosofia acquistano posizioni di vantaggio, tentando di prevalere su quella contrapposta.
Dinanzi alle varie sollecitazioni affinché siano universalmente assicurati l’attuazione ed il pieno rispetto dei diritti economici e sociali, vari gruppi di Stati hanno affermato che non tutti i diritti umani fondamentali si collocano sullo stesso piano.
Fra le due categorie di diritti esisterebbe un rapporto gerarchico, nel senso che sarebbero preminenti quei diritti che appartengono alla sfera economica e sociale, rispetto agli altri.
Il lungo braccio di ferro su questa tesi della prevalenza di alcuni diritti sugli altri è stato parzialmente composto quando, nella Conferenza di Vienna, si è finalmente riconosciuto, con l’unanime consenso dei partecipanti, che tutti i diritti umani sono uguali, indivisibili, interdi pendenti.
Nel frattempo andava maturando, sia pur lentamente, con la decisa opposizione – anche se non sempre palese – dei Paesi occidentali, un nuovo diritto umano, inteso a far fronte alle aspirazioni dei Paesi in via di sviluppo: il diritto allo sviluppo.
Nel tempo questo diritto ha acquistato una sua posizione nell’intera comunità internazionale, ed oggi si può dire che, pur con le dovute differenze, è quanto meno riconosciuto da tutti gli Stati, anche se, finora, ha avuto scarsa attuazione sul piano pratico.
Nel contesto dei problemi cui si è fatto cenno, nonché dell’evoluzione nel tempo della stessa coscienza della comunità internazionale nel suo complesso, è iniziato, dapprima timidamente, poi con sempre maggiore intensità, il cammino verso il riconoscimento del valore della democrazia nel quadro dell’insieme dei diritti umani fondamentali universalmente riconosciuti e tutelati dal diritto internazionale.
È bene ricordare, prima di qualsiasi altra considerazione, che il termine “ democrazia” non solo non ha significato univoco, ma si presta a costruzioni interpretative persino contrastanti.
I primi tentativi verso l’ingresso del termine democrazia nel capo dei diritti umani risalgono ai primi, incerti passi che l’Ufficio delle Nazioni Unite muoveva, non più tardi di 10 anni fa, per fornire ad alcuni Stati l’assistenza di volontari nel controllo sullo svolgimento delle operazioni elettorali. Specialmente in occasione della nascita di nuovi Stati, a seguito del frazionamento di precedenti Stati unitari che li inglobavano.
Queste prime operazioni di “supervisione” erano, allora, oggetto di aspre critiche da parte di alcuni gruppi di Stati, in quanto attuate violando la sovranità degli Stati. Rilievo errato, in quanto la supervisione elettorale avveniva, come tuttora avviene, a richiesta e con l’espressa autorizzazione dello Stato in questione.
Il dibattito politico, nelle varie sedi internazionali, si è andato poi evolvendo rapidamente.
Quasi in risposta alle iniziative dei paesi in via di sviluppo, tendenti a sollecitare una più rapida evoluzione ed attuazione di diritti economici, i Paesi occidentali hanno premuto l’acceleratore per vedere affermare il concetto di democrazia come predominante e vorrei dire propedeutico alle varie sfaccettature dei diritti umani.
La necessità di una rapida evoluzione economica e l’affermazione universale del sistema politico su basi democratiche, si sono rincorsi, nel tempo, con argomentazioni di vario genere e con rinnovati tentativi di riuscire ad ottenere il riconoscimento del primato dell’una o dell’altra costruzione.
È appena il caso di ricordare che i due Patti non contengono il benché minimo accenno alla democrazia o, in genere al sistema politico degli Stati, né potrebbe essere altrimenti, in quanto, ancor oggi, prevale il principio della assoluta libertà degli Stati di scegliere un qualsivoglia sistema politico.
I diritti umani, nel loro complesso, hanno subito un’evoluzione sempre più accentuata nel tempo, sia per l’approfondimento della portata dei singoli diritti, sia per una certa tendenza a veder aggiungere sempre nuovi diritti a quelli di più antica origine.
È per questo motivo che oggi si parla di una quarta generazione dei diritti umani.
5..La risoluzione ONU sui diritti dell’uomo
Alla luce delle osservazioni finora svolte, tale principio traspare in tutta la sua attualità .
Nella lunga e non sempre lineare evoluzione della complessa dialettica fra Stati, il concetto di un legame quasi indissolubile fra democrazia e diritti umani, presentato e fatto avanzare nel tempo nelle diverse sedi internazionali, è approdato, per la prima volta, in una risoluzione che è stata adottata dalla Commissione dei diritti umani.
La risoluzione rappresenta un punto di arrivo nell’evoluzione di quel rapporto tra democrazia e diritti umani che, ormai, è entrato nel linguaggio corrente della politica internazionale anche se agli aspetti estetici non sempre corrisponde un contenuto concreto.
Esso è destinato a rappresentare una pietra miliare sulla lunga strada dei diritti umani ed al tempo stesso, rappresenta il punto di partenza per ulteriori sviluppi.
La risoluzione, infatti, si può dividere idealmente in due parti:
• in una prima viene riaffermato, per la prima volta, solennemente e formalmente, il collegamento che esiste tra democrazia e diritti umani,
• nella seconda viene enunciato, e questa è la novità importante, per la prima volta il diritto alla democrazia, che si affianca agli altri diritti umani di recente creazione.
La risoluzione, dopo aver ricordato il legame indissolubile che esiste fra i diritti umani fondamentali e la democrazia, riconosce che la democrazia, lo sviluppo ed il rispetto per tutti i diritti umani e le libertà fondamentali sono interdipendenti e si affermano e si rinforzano a vicenda.
La risoluzione, per la parte più innovativa, tenta di fornire un quadro descrittivo del concetto di democrazia, anche se non arriva fino al punto di dettarne una definizione.
Fra le tante espressioni che essa contiene, vi si legge “ la democrazia è basata sulla volontà liberamente espressa dei popoli di determinare il loro sistema politico, economico, sociale e culturale e la loro piena partecipazione in tutti gli aspetti della loro vita”.
Ma subito dopo essa si affretta a riconoscere che, nel Mondo, esiste una vasta gamma, di diversa natura, di democrazie.
Nella parte dispositiva viene fornito un elenco di quelli che sarebbero gli aspetti essenziali del diritto alla democrazia, ovvero, come recita in modo più elusivo il testo,il diritto ad un sistema di governo di tipo democratico.
Fra questi aspetti, alcuni sono conferme di diritti umani già pienamente riconosciuti ed affermati. Altri sono, invece,enunciazioni di nuovo tipo, che appaiono per la prima volta in un testo che è destinato ad avere un ampio sviluppo.
Fra questi vanno annoverati :
• il diritto al suffragio universale su base di eguaglianza;
• i sistemi di votazioni libere, di elezioni periodiche e libere;
• il diritto di tutti i cittadini all’elettorato passivo
• il diritto dei cittadini di scegliere liberamente attraverso mezzi costituzionali e democratici il loro sistema di governo.
In questa corsa ad ostacoli, su piste parallele, del diritto allo sviluppo, come comunemente inteso, e della democrazia come presupposto per l’attuazione ed il godimento dei diritti umani fondamentali internazionalmente protetti,la risoluzione della Commissione dei diritti umani rappresenta un traguardo più avanzato rispetto alle posizioni precedenti.
È pur sempre vero che il testo della risoluzione richiama e fa proprio, sia pure incidentalmente, il diritto allo sviluppo ma è anche vero che i promotori della risoluzione si sono prefissi lo scopo di creare un nuovo diritto umano: il diritto alla democrazia.
È lecito sollevare più di qualche dubbio che il nuovo diritto riuscirà a consolidarsi in breve tempo e ad acquistare una sua effettiva valenza.Non per altro, sul piano sistematico, esso si colloca accanto agli altri nuovi diritti umani, che rappresentano più che altro legittime aspirazioni di vedere progressivamente migliorate le condizioni di vita dell’intera umanità.
Gli altri diritti sono lo stesso diritto allo sviluppo, ma anche il diritto alla pace ed il diritto all’alimen tazione.
Il fatto stesso che la risoluzione, della quale non si può dubitare del suo valore almeno programmatico, sia stata approvata con solo due astensioni e nessun voto contrario, lascia più di qualche dubbio se essa rappresenti realmente un comune sentire di tutti gli Stati: come già si è accennato in precedenza, “ democrazia” è un termine non univoco, che ha sfaccettature diverse e talvolta contrastanti.
Si dovrà pertanto portare avanti un dialogo costruttivo, nella speranza che esso possa poi sfociare in un risultato comune accettato da tutti.
Il valore attuale della svolta,rappresentata dalla risoluzione 1999/57,è tuttavia di particolare interesse: essa attesta sicuramente un raggiunto equilibrio, rispetto alle posizioni passate, fra democrazia e diritto allo sviluppo, indicando la volontà di superare le divergenze attraverso un bilanciamento fra le opposte aspirazioni e tendenze.
In tale contesto,una particolare attenzione merita un ambiente geografico assai peculiare come quello del Mediterraneo.
Infatti, in nessuna altra zona geografica del Mondo esistono così stretti legami fra Paesi, in un’area geografica limitata, che pure avendo antichi legami ed interessi comuni, rappresentano una gamma este sa di varie concezioni politiche, economiche e sociali.
Quindi il Mediterraneo può essere il terreno ideale per verificare quanto siano validi i nuovi sviluppi, e se davvero, come si spera, sia possibile constatare sul terreno che il collegamento fra democrazia e diritti umani costituisce almeno un minimo comune denominatore condiviso da tutti.
6.La Carta per la Pace e la Stabilità e gli Accordi di Associazione
Uno degli obiettivi principali ed ormai indilazionabili dell’UE è divenuto,dunque,l’adozione di una Carta per la Pace e la Stabilità che,nella"Strategia Comune dell’Unione Europea sul Mediterraneo", viene descritta come "un fattore decisivo nel processo di pace nel Mediterra neo".
E’ stato sostenuto in proposito che gli elementi principali delle linee guida per la Carta mostrano purtroppo una scarsa attenzione ai temi dei diritti umani e una volontà di non rendere le obbligazioni della Carta vincolanti per legge per gli Stati(5).
Al contrario occorre ribadire con la massima decisione ai Paesi dell’UE e ai suoi Partner mediterranei che ogni processo fatto ai fini della pacificazione e della stabilità dell’area medi terranea non può non comprendere l’attenzione ai diritti umani, come fattore fondamentale e decisivo per la pace, la sicurezza e la stabilità.
Come innanzi ricordato,sino ad oggi, i principali strumenti di attuazione della PEM, a livello bilaterale, sono stati gli Accordi di Associazione fra l’UE e i paesi del Mediterraneo.
Seguendo una tendenza generale della politica dell’UE, questi Accordi contengono una clausola sui diritti umani.
In particolare, l’articolo 2,in essi contemplato, afferma in generale che
"le relazioni tra le parti, così come tutti gli sviluppi dell’accordo stesso, devono essere basati sul rispetto dei diritti umani e dei principi democratici che fanno da guida alle politiche internazionali e interne e che costituiscono elemento essenziale dell’Accordo".
Come in ogni trattato internazionale vincolante a livello bilaterale tra l’UE e gli altri Paesi,queste clausole sui diritti umani costituiscono di per sé un argomento internazionalmente valido dal punto di vista legale per le parti contraenti ai fini del rispetto dei diritti umani.
In definitiva,è convinzione comune che la protezione concreta dei diritti umani è un fattore indispensabile per il sostenimento della pace e della stabilità nella regione euro-mediterranea.
L’obiettivo della effettiva protezione dei diritti umani nella Dichiarazione di Barcellona e nelle conclusioni degli incontri ministeriali a Malta, Palermo,Stoccarda e Valencia deve quindi divenire un concreto programma di lavoro per un’agenda dei diritti umani da discutere e verificare nei successivi summit.
Le raccomandazioni per i Governi impegnati nel raggiungimento di tale obiettivo riguardano i seguenti punti:
a.prevedere un meccanismo per valutare regolarmente il lavoro di tutti gli aderenti all’Accordo di Associazione Euro - mediterranea, relativamente ai vincoli previsti dall’Articolo 2;
b.assicurare il pieno rispetto della Dichiarazione delle Nazioni Unite sulla difesa dei diritti umani;
c.assicurare che tutti gli atti di tortura siano considerati reati penali in ogni circostanza, anche durante lo stato di guerra o pubblica emergenza;
d.unirsi per combattere l’impunità come passo fondamentale per prevenire violazioni dei diritti umani e assicurare il rispetto dei diritti nella regione;
e.ratificare lo Statuto di Roma sul Tribunale penale internazionale e aggiornare la legislazione nazionale per implementarlo effettivamente;
f.ratificare senza riserve i trattati internazionali e regionali che cercano di eliminare il razzismo e le discriminazioni nei confronti delle minoranze;
g.ratificare e implementare la Convenzione delle Nazioni Unite sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne e il suo Protocollo opzionale;
h.assicurare l’effettiva protezione dei rifugiati e il fondamentale principio del non - refoulement.
In definitiva l’auspicio è che queste raccomandazioni siano adottate da tutti i Paesi dell’Euro mediterraneo nel contesto degli sviluppi degli accordi di Barcellona per dare piena attuazione alla tutela dei diritti dell’uomo in tali Paesi ed aprire una nuova fase di dialogo tra i popoli e le civiltà rivierasche.
Trani, Marzo 2009
**Presidente
Animi
NOTE
(1)Stefano D’Anna, Relazione al Convegno DEMOCRAZIA E DIRITTI UMANI NELL’AREA DEL
MEDITERRANEO dell’ESE- Catania 30 ottobre 1999-
(2) Amb. Mario Alessi Già Presidente del Comitato Nazionale per le Celebrazioni del 50°
Anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
(3) Pasquale Bandiera Presidente della Lega Italiana della Fedération Internationale des Droits
de l’Homme
(4) Luigi Citarella Segretario Generale del Comitato Nazionale dei Diritti Umani
(5) Mario Alessi Segretario Generale della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale