lavoroprevidenza

giovedì 2 aprile 2009

PREVENZIONE E SICUREZZA SUL LAVORO

PREVENZIONE E SICUREZZA SUL LAVORO IN UN CONTESTO UNITARIO E INTEGRATO DI TUTELE APPROPRIATE, AZIONI MIRATE, COMPORTAMENTI POSITIVI E RESPONSABILITA’
Articolo del dr. Fernando SACCO, esperto in organizzazione aziendale
e gestione risorse umane e collaboratore della Redazione di LavoroPrevidenza.com
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Il “rischio” lavoro.
Qualsiasi attività lavorativa, anche la più elementare o la più semplice, racchiude in sé una dose di pericolo che, in modo più o meno accentuato, può variamente incidere nel tempo sulla salute dei singoli e ciò indipendentemente da ogni misura di prudenza o di prevenzione eventualmente adottata.

Il rischio è, infatti, un “accessorio” inevitabile del lavoro. Certamente lo si può ridurre notevolmente o limitarne, per quanto possibile, gli effetti, ma mai abolirlo del tutto in quanto il suo manifestarsi è legato, spesso, a circostanze non sempre prevedibili, spesso contingenti e, in ogni caso, imponderabili.

Chi abitualmente esercita una professione è, pertanto, costantemente esposto a rischi – taluni specifici tal’altri generici – che, qualora si verifichino, comportano sempre situazioni di bisogno tali da richiedere interventi particolari volti o a compensare il danno patito o a favorire il ripristino delle condizioni di salute alterate.

Quando, poi, l’evento è di una dimensione e portata tali da incidere sulla stessa capacità di lavoro del soggetto che ne è colpito il problema che ne consegue assume rilevanza pubblica ed impone comportamenti adeguati dato che il lavoro non è solo lo strumento da cui l’uomo trae il necessario per assicurare a sé ed alla propria famiglia una esistenza libera e dignitosa, ma è anche il mezzo con cui l’uomo stesso concorre al progresso ed alla crescita dell’intera società.

Non a caso la Costituzione, all’art. 38, comma 2, nel sancire in via generale il diritto del lavoratore a fruire di mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di infortunio sul lavoro, di malattia o di invalidità, pone a carico dello Stato l’obbligo di promuovere ogni opportuna azione finalizzata alla “specifica” tutela del lavoro in ogni sua forma o applicazione nonché alla protezione “globale” del lavoratore per fini sociali e di interesse generale.

Tale fine ha natura prettamente pubblicistica in quanto preminente non è tanto il risarcimento del danno eventualmente patito dal soggetto quanto il mantenimento di quest’ultimo nelle condizioni che si appalesino le migliori per la promozione e del singolo e della collettività in cui lo stesso è inserito.






Ne consegue che, nell’ambito di una società rispettosa dei valori fondamentali della vita e protesa al conseguimento di stati di benessere sempre più avanzati, la tutela del lavoro nei suoi molteplici aspetti e contenuti (compresi quelli previdenziali) e della salute in generale assolve un ruolo determinante e decisivo nell’azione di crescita costantemente promossa e si pone prioritariamente costituendo, entrambi, un “bene” da cui tutti non possono che trarre utilità e vantaggi notevoli.

In tale contesto si appalesano, pertanto, di assoluto rilievo le iniziative volte alla:

• tutela della salute nei luoghi di lavoro ed al risanamento dei relativi ambienti;
• ricerca epidemiologica dei fattori di rischio e degli agenti patogeni;
• predisposizione di strumenti atti a fronteggiare, ove necessario ed in modo adeguato, ogni situazione di bisogno eventualmente insorta a seguito del manifestarsi del rischio considerato.

Prevenzione e “tutele” appropriate nei luoghi di lavoro

Infortunio sul lavoro e malattia professionale sono “eventi” che, al loro verificarsi, incidono
non poco sulla capacità lavorativa di chi (il lavoratore) ne è colpito comportando, ogni volta, disagi e situazioni di bisogno non solo personali, ma il più delle volte anche e soprattutto familiari.

Per far fronte a tali situazioni l’ordinamento vigente, in attuazione dell’art. 38, 2° comma, della Costituzione, ha approntato, nel tempo, strumenti appropriati di tutela sanitaria ed economica (vedi, a tal riguardo, l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali di cui al D.P.R. n° 1124 del 30 giugno 1965 e al D.Lgs. n° 38 del 23 febbraio 2000) e promosso, ai sensi dell’art. 32, 1° comma, della Costituzione Italiana (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività…”), una pluralità di interventi essenzialmente mirati alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (vedi, per ultimo, il Decreto Legislativo n° 81 del 9 aprile 2008).

Con tale ultimo decreto il Legislatore, nel recepire diverse direttive comunitarie attinenti la salute e la sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, nel rispetto delle indicazioni di cui all’art. 1 della legge n° 123/2007, ha riordinato e coordinato in unico testo normativo, alla luce anche delle convenzioni internazionali in materia, il complesso delle disposizioni vigenti riguardanti ogni “aspetto” della sicurezza sul lavoro.

Premesso che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera o) del testo unico in interesse, per “salute” si intende uno stato di “completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in una assenza di malattia o d’infermità”, va subito detto che tale definizione assume una connotazione estremamente significativa e, per certi versi, innovativa rispetto alle “indicazioni” precedenti in quanto, lungi dal considerare la salute semplicemente come integrità fisica o psichica o, addirittura come “assenza di malattia”, la stessa viene ora considerata, nel contesto dell’organizzazione del lavoro e della gestione dei lavoratori, come un “bene” non solo individuale, ma anche sociale.

Il “benessere” che, in concreto, connota la salute del singolo, per la nuova dimensione sociale che assume, nel costituire elemento di assoluta novità nel mondo del lavoro, pone il lavoratore stesso in un contesto relazionale all’interno dell’ambiente del lavoro obbligando, di fatto, il datore di lavoro a promuovere, in ambito lavorativo, condizioni in grado di migliorare quella socializzazione dell’individuo che si reputa necessaria al fine di favorire quel “benessere fisico, mentale e sociale” che costituisce l’essenza della salute quale definitiva ora dal Legislatore.

La salute sul luogo di lavoro rappresenta oggi, certamente, uno degli aspetti più importanti ed avanzati della politica sociale. I risultati, però, non si ottengono solo con l’emanazione e l’applicazione di norme e procedure, ma anche, e soprattutto, con l’assimilazione nella cultura di ciascuno di tutti quei comportamenti positivi che possano evitare l’insorgere di malattie professionali o causare infortuni lavorativi.

In tale contesto “prevenzione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali” e “promozione della salute e della sicurezza” vengono indicati, dal citato decreto, quali indiscussi fattori di crescita e di miglioramento perché chiamati, da un lato, a promuovere nel lavoro le iniziative più idonee ed appropriate per evitare o, quanto meno, ridurre in modo significativo i rischi professionali legati all’esecuzione di attività lavorative e, dall’altro, ad attivare, con la partecipazione e il coinvolgimento di tutti (Istituzioni, aziende, lavoratori e parti sociali), programmi ed interventi finalizzati a migliorare decisamente le condizioni di salute e di sicurezza dei lavoratori nel rispetto, rigoroso ed assoluto, della dignità e dei diritti inviolabili di ciascuno.

Non a caso l’art. 15 del decreto n°81/2008, nel fissare le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, prevede una serie di interventi obbligatori ai quali né il datore di lavoro né gli stessi lavoratori possono sottrarsi costituendo, per le parti, obblighi inderogabili ed assoluti.

Nel dettaglio tali misure prevedono:

• la valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza presenti in ambito lavorativo;
• l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico;
• il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e di produzione al fine, in particolare, di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo;
• la riduzione dei rischi alla fonte con la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è o che è meno pericoloso;
• l’utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi di lavoro;
• la priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
• il controllo sanitario dei lavoratori;
• l’allontanamento del lavoratore dall’esposizione al rischio per motivi sanitari inerenti la sua persona e l’adibizione dello stesso, ove possibile, ad altra mansione;
• la formazione e l’informazione adeguate per i lavoratori, i dirigenti, i preposti ed i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (designati questi ultimi dagli stessi lavoratori);
• la partecipazione e la consultazione periodica dei lavoratori e dei loro rappresentanti;
• la programmazione delle misure ritenute opportune per garantire, nel tempo, il miglioramento dei livelli di sicurezza anche attraverso l’adozione di codici di condotta;
• le misure di emergenza da attuare in caso di primo soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave e immediato;
• l’uso di segnali di avvertimento e di sicurezza;
• la regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, impianti con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alle indicazioni dei fabbricanti.



A completamento di quanto in interesse va ricordato anche l’art. 2087 del codice civile che, come noto, pone a carico dei datori di lavoro (pubblici e privati) l’obbligo di “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutela della integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Nel dettaglio si ha, pertanto, che il datore di lavoro è tenuto ad osservare non solo le precauzioni obbligatoriamente imposte dalla legge (e sono tantissime), ma anche quelle dettate dall’esperienza o direttamente suggerite dal progresso della tecnica.


Gli obblighi del lavoratore

A fronte degli obblighi gravanti sul datore di lavoro va anche detto che il successivo art. 20 del decreto citato sancisce, anche, il dovere di ogni lavoratore di prendersi cura della propria salute e sicurezza nonché di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione professionale ed ai mezzi forniti dal datore di lavoro.

In particolare ogni lavoratore deve:

• contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti ed ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
• osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro e dai suoi collaboratori ai fini della protezione collettiva e individuale;
• utilizzare correttamente ed in modo appropriato le attrezzature di lavoro, le sostanze ed i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto nonché i dispositivi di sicurezza e di protezione a disposizione;
• segnalare immediatamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui ai punti precedenti nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui viene a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità;
• non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza, di segnalazione o di controllo presenti in azienda;
• non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non siano di sua competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori;
• partecipare attivamente ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro;
• sottoporsi ai controlli sanitari previsti da disposizioni di legge o, comunque, disposti dal medico competente.


La norma sopra riportata rafforza notevolmente il disposto di cui all’art. 2104 del codice civile per il quale il prestatore di lavoro “deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale” e “osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”.




La sorveglianza sanitaria

La sorveglianza sanitaria, prevista dall’art. 41 del decreto sulla sicurezza, presentandosi quale “insieme di atti medici finalizzati alla tutela dello stato di salute e di sicurezza dei lavoratori in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionale ed alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa”, persegue decisamente tale obiettivo costituendo una delle misure più significative su cui fare affidamento per tenere costantemente sotto controllo le condizioni di salute di chi, in un contesto organizzativo preposto alla produzione di beni e servizi, è chiamato a prestare la propria attività lavorativa.

Tale sorveglianza, basandosi sui principi che disciplinano la medicina del lavoro, relativamente a quanto in interesse, provvede, in particolare, a verificare l’effettiva compatibilità tra le condizioni psicofisiche del lavoratore e gli specifici rischi individuali connessi alla sua destinazione lavorativa ed alle sue mansioni.

La stessa, all’interno dell’azienda e con oneri a totale carico del datore di lavoro, è curata dai “medici competenti” (medici del lavoro) e comprende, nel rigoroso rispetto delle indicazioni di cui all’art. 41 del citato Testo Unico:

a) visita medica preventiva volta a constatare, all’atto dell’assunzione, l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica;
b) visite mediche periodiche per controllare lo stato di salute dei lavoratori stessi ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica;
c) visita medica su richiesta del lavoratore qualora si registri o si temi un peggioramento delle condizioni di salute imputabile all’attività lavorativa espletata;
d) visita medica in occasione del cambio di mansione onde verificare l’idoneità alla “nuova” mansione specifica.

Il medico competente, sulla base delle visite mediche di cui sopra e dell’esito degli accertamenti espletati (esami clinici e biologici, indagini diagnostiche, ecc.), esprime, sempre con riferimento alla mansione specifica espletata dal lavoratore, un giudizio che, a secondo dei casi, può essere di:

• idoneità;
• idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
• inidoneità temporanea assoluta;
• inidoneità permanente assoluta.

Nel caso di giudizio di inidoneità temporanea vanno, altresì, precisati i limiti temporali di validità.

Effettuata la visita ed emesso il relativo giudizio il medico competente informa tempestivamente per iscritto sia il datore di lavoro che lo stesso lavoratore.

Ai sensi del successivo art. 42 il datore di lavoro, in relazione al giudizio espresso dal medico competente, è tenuto ad attuare, con immediatezza, alla luce anche di quanto disposto dalla legge n° 68/1999, le misure indicate dal sanitario e, qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica, adibire il lavoratore, ove possibile, ad altra mansione compatibile con il suo stato di salute.

Qualora il lavoratore venga adibito ad una mansione inferiore lo stesso conserva la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte nonché la qualifica originaria. In caso, invece, di utilizzo in mansioni equivalenti o superiori, a tutela del lavoratore, trovano applicazione le norme di cui all’art. 2103 del codice civile fermo restando, per il pubblico impiego, quanto previsto a tal riguardo dall’art. 52 del D.Lgs. n° 165/2001.

Le responsabilità

Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro in quanto volte ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti occasionali e imprevedibili o derivanti dalla sua disattenzione, ma anche quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al proprio dipendente sia quando ometta di adottare le misure protettive, cui è tenuto obbligatoriamente, sia anche quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del lavoratore.

Il mancato rispetto dell’obbligo ex art. 2087 c.c., qualora determini per il lavoratore una esposizione indebita ad un rischio dal quale derivi per lo stesso un aggravamento delle sue condizioni di salute, un infortunio o una malattia professionale (rapporto causa-effetto), comporta per il datore di lavoro inadempiente specifica responsabilità con l’obbligo per quest’ultimo di risarcire sia i danni patrimoniali (a fronte di una riduzione permanente della capacità lavorativa) che i danni non patrimoniali (danno biologico per la menomazione della integrità psicofisica sofferta ed, eventualmente, anche il danno morale).

Dall’eventuale inadempimento, qualora causa diretta dell’evento insorto (nesso eziologico), deriva per il datore di lavoro una responsabilità anche penale comportante, ove accertata nelle competenti sedi, l’irrogazione di sanzioni e, nei casi di particolare gravità, anche di pene detentive.

La responsabilità del datore di lavoro è contrattuale dal momento che il contenuto del contratto individuale di lavoro, ai sensi dell’art. 1374 c.c. per il quale “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge…”, è integrato, per legge, dalle disposizioni che impongono, per il datore di lavoro, l’obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c. e normative collegate), obbligo di fatto inserito a pieno titolo nel sinallagma contrattuale.

Si ha, così, che al datore di lavoro compete, ad ogni effetto, un dovere di sicurezza la cui violazione comporta inadempimento contrattuale da valere ai fini dei risarcimenti di cui sopra.

Per completezza va, per ultimo, sottolineato che anche il lavoratore può incorrere in responsabilità qualora il danno subito o arrecato a terzi sia stato provocato da una sua condotta atipica, imprevedibile e irrazionale (abnorme, inopinabile ed esorbitante) rispetto al normale procedimento lavorativo e alle direttive ricevute tale, in ogni caso, da costituire causa esclusiva dell’evento lesivo fermo restando che il datore di lavoro non sia incorso, a sua volta, in “inosservanza” del dovere di sicurezza e che abbia adottato, in tempo, nel rispetto delle norme poste a tutela della salute dei lavoratori nei posti di lavoro, ogni opportuna misura protettiva, dettata anche dalla normale prudenza e dall’esperienza, volta ad evitare, per quanto possibile, l’insorgenza di situazioni pericolose o fortemente a rischio.

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