mercoledì 28 gennaio 2009
Il contenimento dei costi nel diritto alla salute
Articolo del Prof. Sergio Sabetta.
Si parla da anni di contenimento dei costi nella Sanità vi è tuttavia un rischio implicito che si corre nel tentativo di rientro dal disavanzo ed è la compressione indiscriminata dei costi relativi alla spesa farmaceutica...
Nel tentativo di ridurre tale ammontare vengono di fatto eliminate le forniture di medicinali non rientranti nei c. d. salvavita, ma tuttavia necessari alla prevenzione di un altrimenti quasi certo stato patologico, basti pensare ai cibi speciali venduti in farmacia per soggetti a rischio di dialisi o la categoria dei farmaci che dovrebbero contrastare la decalcificazione e i correlati rischi di frattura con i conseguenti futuri costi economici e morali di riabilitazione.
Vi sono due ottiche che si contrappongono quale frutto di due contrapposti interessi, l’uno di un risparmio nel breve periodo con un miglioramento immediato del bilancio a scapito di costi trasportati nel medio/lungo termine, l’altro di un rientro più graduale ma con una maggiore sostenibilità nel tempo. Queste due ottiche sono figlie rispettivamente di aspetti strettamente contabili di bilancio e di politiche gestionali.
Vi è tuttavia una ulteriore questione strettamente collegata alla politica sociale ed è la violazione del diritto alla salute così come interpretato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 17461 dell’1/8/2006 SS.UU. Civili.
Il diritto alla salute è riconosciuto come un diritto soggettivo garantito dalla Costituzione (art. 32) e pertanto non suscettibile di affievolimento e compressione, si tratta quindi di una valenza precettiva e non solamente programmatica che ricomprende sia l’integrità fisica che quella psichica del cittadino inerenti tanto alla persona umana che al diritto sociale.
In questo contesto la Suprema Corte fa del principio personalista (art. 2 Cost.) e della solidarietà sociale ed economica ( art. 38 Cost. ) un diritto alla salute che tuteli le fasce più deboli in cui i malati vengano visti innanzitutto come persone e poi come potenziali pazienti, vi è una esigenza di limitare la potestà amministrativa in grado di ridurre di fatto il diritto alla salute in un interesse legittimo, mentre al contrario tale diritto sovrasta l’amministrazione che viene privata al riguardo di potere.
Sebbene vi siano situazioni soggettive a nucleo variabile nelle quali vi è un potere discrezionale della pubblica amministrazione nel bilanciare gli interessi coinvolti, tale potere cede “allorquando si prospettino motivi di urgenza suscettibili di esporli a pregiudizi gravi ed irreversibili”, tuttavia l’acquisita discrezionalità di bilanciamento non può risolversi in danni futuri ai cittadini scaricando interamente su di essi i costi farmaceutici per una sanità preventiva, si ottiene una disparità di trattamento in palese violazione, tra l’altro, dei principi costituzionali di uguaglianza e di solidarietà sociale. L’urgenza, d’altronde, può essere anche vista in termini allargati considerando non solo l’immediato ma le potenzialità in termini di rischi talmente elevati da risolversi in quasi certezza di un danno futuro.
Il sistema privato per eccellenza, gli Stati Uniti, come può leggersi sulla stampa (M. Molinari, il crac della sanità oscura l’Obama day, La Stampa, 14, 15/1/2009), presenta delle grosse problematiche di stabilità economica a causa dell’impossibilità dei pazienti di pagarsi le cure necessarie a seguito della crisi economica, circostanza che fa si che si invochi una riforma sanitaria di cui si è fatto carico il nuovo Presidente appena eletto, appaiono pertanto evidenti le problematiche derivanti da qualsiasi tipo di eccesso e i limiti dei modelli estremizzati.