giovedì 18 dicembre 2008
Cultura e territorio tra grande e piccola impresa
Articolo del Prof. Sergio Sabetta.
Finora si è affrontata la dimensione delle imprese italiane concentrate prevalentemente nelle piccole dimensioni, ossia con meno di 10 addetti, in termini di maggiore flessibilità e quindi di adattamento operativo con una forte tendenza all’internazionalizzazione e all’innovazione che ne consegue, a seguito della propensione alla mobilità e alla creatività posseduta dal piccolo imprenditore.
Il punto debole è dato in gran parte dalla problematicità per i finanziamenti a causa degli elevati oneri finanziari nel ricorso all’indebitamento, altro punto critico è la diffusione dei risultati della ricerca innovativa che le piccole imprese non sono in grado di sostenere da sole, interviene quindi la necessità della diffusione delle informazioni relative a ricerche innovative sostenute da consorzi o da interventi pubblici.
Un ulteriore elemento di sofferenza è dato dal difficile passaggio tra generazioni, come evidenziato da una recente ricerca della Trasversale s.r.l. sul territorio del Lazio e pubblicata su Il Sole 24 Ore, nell’inserto Roma del 3/12/2008 anno 2/n.47 con il titolo “Terza generazione, traguardo per pochi”, il crollo avviene in particolare tra la seconda e la terza generazione in cui vi è un passaggio dal 25% al 3%, mentre solo l’1% arriva alla quarta generazione, questo rientra anche in parte in una logica di consolidamento verso la media impresa che non può mantenere fisiologicamente le percentuali della piccola impresa.
Vi è quindi la necessità, innanzitutto, di affidarsi a manager reclutati al di fuori della cerchia familiare che possano traghettare la società anche verso dimensioni maggiori, favorendo al contempo l’innovazione nel seguire le richieste dei mercati.
Il problema cresce nel momento che il mercato diventa maturo, si potenziano le “strategie di nicchia globale” con l’affermarsi di una differenziazione materiale e immateriale del sistema d’offerta in un ambito competitivo assai ristretto, tuttavia questo deve potere appoggiarsi su relazioni internazionali piuttosto sviluppate di tipo sociale, pertanto fondate più su relazioni durature a base fiduciaria che su reti burocratiche derivanti da accordi contrattuali e formali, anche se possono esservi casi di scambio di capitale nella forma di partecipazione e joint-venture.
Anche per quanto riguarda il prodotto vi è la necessità di un’accrescersi della qualità e della produttività dei processi al fine di una maggiore penetrazione e consolidamento nel mercato ( G. Alberti – S. Sciascia – R. De Vita, Il rinnovamento strategico delle medie imprese in condizioni di maturità settoriale, in “E. & M.”, S. D. A. Bocconi, 65-80, ETAS, 5/2008).
I problemi di crescita, che nell’ultimo decennio hanno investito i sistemi dei distretti, ha portato in alcuni casi alla presenza di imprese internazionali nella rete locale che hanno introdotto nuova tecnologia e cultura organizzativa rompendo il processo autoreferenziale. Lo sviluppo della piccola impresa è stato un agire potente nell’impegno umano ma profondamente atomizzato nel sistema della subfornitura, in cui le relazioni non derivano dal modo di fare impresa ma dal localismo relazionale ereditato, la spinta era la volontà di affermarsi uscendo dalle ristrettezze, con il risultato del permanere di un patrimonio cognitivo provinciale.
Se la rete relazionale locale permetteva di ridurre i rischi di comportamenti opportunistici, favorendo cooperazione e comunicazione sul territorio, altrettanto vincolava alla specializzazione ossessiva la produzione locale rendendola chiusa ad apporti esterni tecnici e culturali.
La riduzione dell’apporto puramente manifatturiero delle sub-forniture ed il crescere degli aspetti intangibili del prodotto legati a marchi, personalizzazioni, reti di clientele a cui fornire servizi aggiuntivi hanno spinto a gestire attività consortili, superando politiche imprenditoriali puramente individualistiche.
Si sottolinea la necessità di recuperare e fare crescere le identità collettive territoriali anche in termini dimensionali, a fronte di uno sfilacciamento del tessuto sociale per nuovi modelli culturali imposti dalla globalizzazione e pressioni esterne di nuove culture immigrate, vi è pertanto l’esigenza e il tentativo di creare logiche interculturali difficili da realizzare senza notevoli attriti ed errori anche pesanti.
Nasce l’esigenza di innovazione non solo tecnologica ma anche culturale, la necessità della formazione di nuovi linguaggi di integrazione, da cui ne deriva un nuovo patrimonio cognitivo territoriale nel quale si misceli la partecipazione democratica con la capacità decisionale. Si tratta di un progetto politico- strategico a cui devono partecipare oltre che le istituzioni intermedie anche le associazioni private, in modo da sviluppare un capitale relazionale sul territorio in cui convergono le differenti risorse pubbliche e private ( S. Salvemini, I neodistretti industriali tra nuova cultura e antico territorio, in “E. & M.”, S. D. A. Bocconi, 3-10, ETAS 2/2008).
Emerge comunque chiaramente la necessità di forti poli atti a creare la catalizzazione culturale e organizzativa, in termini di know-how e finanza, utili al sostegno della piccola impresa, la struttura sociale delle grandi aziende si riflette comunque sul territorio favorendo coesione e ricerca in momenti estremamente dinamici in cui vi è, nonostante la buona volontà, un grosso rischio di frammentazione. La sinergia deve comunque essere tra i due poli del sistema industriale, considerando anche l’enorme mortalità delle piccole imprese come osservato in apertura, per cui la continuità nel tempo e sul territorio quali punti di riferimento culturali e organizzativi non può che essere fornita dalla grande impresa semplificativa di una complessità ambientale in crescita, in cui la stessa viene razionalizzata al proprio interno.
Bibliografia
• F. Nigro, Cultura e territorio. I sistemi culturali territoriali, Carocci Ed. 2006;
• F. Guelfo – S. Micelli, I distretti industriali del terzo millennio. Dalle economie di agglomerazione alle strategie di impresa, Il Mulino 2007;
• F.Malerba, Economia dell’innovazione, Carocci Ed. 2000;
• E. Rullani, La fabbrica dell’immaterialità, Carocci Ed. 2004.