lunedì 1 dicembre 2008
Sul licenziamento per giusta causa per falsa timbratura del cartellino
Cassazione civile , sez. lavoro, sentenza 30.10.2008 n° 26239 con nota del dr. Gesuele Bellini
Farsi timbrare il cartellino di ingresso, rilevatore della presenza, da parte di un altro lavoratore comporta il licenziamento per giusta causa.
Così ha deciso la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza 30 ottobre 2008, n. 26239.
La vicenda ha visto coinvolta una lavoratrice che avvalendosi della collaborazione di altra collega, aveva fatto timbrare la cartolina-orologio di ingresso prima di essere entrata al lavoro e per questo motivo le era stato irrogato il provvedimento disciplinare del licenziamento per giusta causa.
L’interessata aveva proposto ricorso adducendo, tra l’altro, che la società non avrebbe subito un danno economico e che non vi sarebbe stato una lesione dei doveri di lealtà e, quindi, poteva essere irrogata una sanzione conservativa.
Il ricorso è stato respinto in tutti e tre gradi di giudizio. In particolare, la Corte di Cassazione, nella sentenza in esame, ha affermato che nella fattispecie in premessa ricorre senz’altro la lesione del vincolo fiduciario a prescindere dal danno patrimoniale subito dalla società e, pertanto, la sanzione irrogata, attesa la gravità dell´addebito contestato, risulta congrua.
-----------
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Sentenza 30 ottobre 2008, n. 26239
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale di Torino **** ha convenuto in giudizio la s.r.l. **** allo scopo di sentir dichiarare l´illegittimità del licenziamento disciplinare che le era stato irrogato con lettera 15 maggio 2003, asserendo che la motivazione addotta era inesistente.
La domanda veniva rigettata dal giudice adito ed, a seguito di gravame della lavoratrice, la Corte di appello di Torino, con sentenza 18 luglio 2005, ha confermato la decisione impugnata, ritenendo che, alla stregua dell´istruttoria espletata, era risultato che la **** avvalendosi della collaborazione di altra lavoratrice, aveva fatto timbrare la cartolina-orologio di ingresso prima di essere entrata al lavoro. Riteneva ancora giudice di secondo grado che, al caso di specie, andava applicato l´art. 33 punto G del CCNL (alterazione o falsificazione delle certificazioni delle presenze) che legittimava il licenziamento per giusta causa.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre la con due motivi.
Resiste con controricorso la **** s.r.l..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la denunzia violazione e falsa di non meglio specificate norme di diritto, ma in concreto censura la decisione impugnata per avere erroneamente interpretato le risultanze della prova testimoniale, non prestando credito alla teste ma a tutti gli altri, benché legati alla società dal vincolo della subordinazione. In particolare non sarebbe stata acquisita la prova dell´esistenza di un accordo tra essa ricorrente e la compagna di lavoro affinché questa provvedesse a timbrare la cartolina di ingresso.
Aggiunge ancora la ricorrente che la società non avrebbe subito un danno economico, che non vi sarebbe stato una lesione dei doveri di lealtà e che in ogni caso poteva essere irrogata una sanzione conservativa.
Con il secondo motivo sono prospettati vizi di motivazione perche non è stata considerata attendibile la deposizione della teste non più legata da alcun vincolo con la società, a differenza degli altri testi, le cui deposizioni non sarebbero risultate univoche e precise.
2. I due motivi, che per la loro connessione vanno esaminati congiuntamente, sono privi di fondamento.
E´ il caso di premettere che, al di là dell´intestazione del primo motivo, con questo e con il secondo viene censurata la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito, che, al contrario, appare logica e coerente, avendo detto giudice chiaramente spiegato il perché della ritenuta maggiore attendibilità di alcuni testi a differenza della configurabilità nella specie della falsificazione della cartolina orologio all´inizio del turno di lavoro; della lesione del vincolo fiduciario a prescindere dal danno patrimoniale subito dalla società; della congruità della sanzione irrogata attesa la gravità dell´addebito contestato.
In questa situazione, non essendo ravvisabile alcun vizio logico nella motivazione della sentenza impugnata e contenendo il ricorso una inammissibile diversa ricostruzione dei fatti, le censure proposte devono essere rigettate.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento di € 55 per spese, di € 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA.
Cosi deciso in Roma, 7 ottobre 2008.
Depositato in cancelleria il 30 ottobre 2008.