lavoroprevidenza

giovedì 13 novembre 2008

DETRAZIONI FISCALI, RIMBORSO SPESE E BENEFICI ULTERIORI NELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Articolo di Fernando SACCO - collaboratore LavoroPrevidenza.com



L’adozione di minori stranieri è un percorso lungo e impegnativo che si sviluppa, in parte, nel nostro Paese - secondo regole e condizioni previste dal nostro ordinamento - ed in parte nel Paese di origine del bambino da adottare nel rispetto di regole e procedure ivi previste.

Per tali adozioni la norma internazionale di riferimento è data dalla Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 sulla “Tutela dei minori e cooperazione in materia di adozione internazionale” mentre in Italia la relativa disciplina è data dalla legge n° 184/83 “Diritto del minore ad una famiglia” (artt.29-48), dalla legge n° 476/98 di ratifica della Convenzione dell’Aya e dalla legge n° 149/2001 di modifica e integrazione della legge n° 184 del 1983.

Tali adozioni seguono un iter che, nella fase di avvio, non si discosta molto da quello previsto per le adozioni nazionali.

I requisiti richiesti, la disponibilità ad adottare, l’accertamento delle condizioni di “affidabilità” della coppia richiedente sono, infatti, identici. Il percorso, però, si modifica e diventa più articolato allorquando il Tribunale dei minorenni, competente per territorio, alla luce degli accertamenti disposti e dei dati in possesso, rilascia il decreto di idoneità della coppia all’adozione.

A questo punto le strade si diversificano e per proseguire la coppia deve necessariamente rivolgersi, ai sensi dell’art. 31 della legge n° 184/83, ad uno degli Enti (autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali) chiamati, per legge, ad assistere la coppia, a gestire ogni attività finalizzata all’adozione nonché a “dialogare” con enti, organizzazioni ed Autorità operanti nel Paese di provenienza dei minori nel rispetto di regole e di procedure all’uopo specificatamente previste.

Assunto l’incarico l’Ente orienta i coniugi verso un determinato Paese ed organizza incontri, dai contenuti essenzialmente formativi, finalizzati all’acquisizione, da parte dei medesimi di un buon livello di consapevolezza in ordine sia alle molteplici responsabilità che discendono dall’adottare un bambino straniero sia anche in ordine al delicato ruolo genitoriale da assolvere nei confronti di un bambino con un “vissuto” certamente diverso per provenienza, lingua, cultura, etnia e vicissitudini personali.

E’, altresì, compito dell’Ente, preliminarmente, fornire agli aspiranti adottanti dettagliate notizie sulla condizione del bambino segnalato dalla competente Autorità straniera (età, salute, famiglia di origine, esperienze di vita, ecc.) e, successivamente, avuto l’assenso da parte degli interessati, curare, in ogni dettaglio, la fase, molto delicata, dell’incontro fra la coppia e il bambino stesso.

Incontro che ha luogo nel Paese di origine del minore e che richiede la permanenza degli aspiranti genitori in detto Paese per il tempo necessario non tanto per il disbrigo delle pratiche di adozione che, come noto, vengono direttamente curate dall’Ente che ha ricevuto l’incarico, quanto per “conoscere” il bambino prescelto, “socializzare” con lo stesso ed “acquisire” utili indicazioni in ordine a problematiche relazionali, psicologiche ed affettive eventualmente in atto. Problematiche che, se consistenti, potrebbero rendere oltremodo difficoltosa quella corretta integrazione socio-familiare cui essenzialmente mira ogni adozione.

Qualora gli incontri, ai quali partecipano anche “esperti” in grado di fornire ogni utile collaborazione per il superamento delle “difficoltà” eventualmente accertate od insorte, si concludono positivamente, l’Autorità giudiziaria straniera, valutata ogni circostanza, emana il provvedimento di adozione o di affidamento a scopo di adozione che, a cura dell’Ente scelto dalla coppia, sarà prontamente inviato alla Commissione per le adozioni internazionali che, verificatane la validità, rilascia, a sua volta, “l’autorizzazione nominativa all’ingresso ed alla permanenza in Italia del minore adottato o da adottare”.

Sulla base di tale autorizzazione il Consolato Italiano rilascia il “visto d’ingresso per adozione” che viene riportato sul passaporto del minore. Entrato in Italia il minore adottato o da adottare, su richiesta dei genitori adottivi o affidatari, il Tribunale dei minorenni, a completamento della procedura, adotta i conseguenti provvedimenti di competenza e decreta la trascrizione dell’adozione nei registri dello stato civile.

Per quanto riguarda il minore straniero adottato o affidato a scopo di adozione non è più richiesto il permesso di soggiorno che la coppia italiana era prima tenuta a richiedere alla competente Questura al momento dell’arrivo dello stesso in Italia. A stabilirlo è la direttiva finalizzata a tanto siglata in data 21 febbraio 2007 dal Ministero dell’Interno e dal Ministero delle Politiche per la Famiglia.

Ha, così, termine la procedura di adozione ed il minore diventa, ad ogni effetto, cittadino italiano con l’acquisizione dello stato di figlio legittimo della coppia ed assunzione del relativo cognome.

La decisione di adottare un bambino all’estero per la coppia coniugata comporta, sul piano economico, non poche spese, tutte di importo considerevole e, spesso, incomprimibili.

Si pensi, ad esempio, alla traduzione e legalizzazione dei tanti documenti richiesti al tal fine; i diversi tributi da versare alle istituzioni estere; ai costi sostenuti dall’ente che ha ricevuto l’incarico di curare in Italia e nello Stato estero le procedure, non sempre agevoli, finalizzate al perfezionamento dell’adozione stessa. Senza contare, poi, le spese alle quali la coppia va incontro per i viaggi, spesso più d’uno, e la permanenza nel Paese estero per l’espletamento di adempimenti obbligatori per i quali è, espressamente, richiesta in “loco” la loro presenza.

La consapevolezza di costi non indifferenti da sopportare potrebbe indurre non pochi coniugi a rinunciare all’idea di adottare un bambino straniero.

Da qui la necessità di interventi pubblici volti a mantenere alto l’interesse verso un istituto (l’adozione internazionale) dai contenuti particolarmente solidaristici finalizzato, com’è, a favorire, per quanto possibile, condizioni di rispetto e di tutela nei confronti di bambini che si trovano a vivere, nei paesi di origine, in condizione di precarietà, spesso estrema e, pertanto, abbisognevoli di amore e di attenzioni particolari.

Gli interventi di “sostegno” al momento previsti essenzialmente sono due e precisamente:

• la deducibilità, ai fini fiscali, del cinquanta per cento delle spese sostenute dai genitori adottivi per l’espletamento della procedura di adozione;
• il rimborso di parte delle spese a tal fine sostenute, fiscalmente non deducibili in quanto eccedenti la quota massima ammessa al beneficio anzidetto.


Deduzione delle spese ai fini fiscali

L‘art. 10, comma 1, lettera l-bis, del D.P.R. n° 917/86, come modificato dalla legge n° 476/98 di ratifica della Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 per la “tutela e la cooperazione in materia di adozione internazionale”, prevede la possibilità per i genitori adottivi di riportare, in sede di dichiarazione annuale dei redditi, tra gli oneri deducibili anche il cinquanta per cento delle spese da loro sostenute per l’espletamento delle procedure di adozione di minori stranieri.

Tali spese per potere essere dedotte devono necessariamente essere certificate dall’ente autorizzato incaricato dalla coppia a gestire la procedura di adozione.

Tra tali spese vanno incluse non solo quelle direttamente sostenute dall’ente ed allo stesso regolarmente rimborsate dai genitori adottivi, ma anche quelle autonomamente sostenute da questi ultimi purchè debitamente documentate. Perché l’ente certifichi tali ultime spese si richiede, però, il rilascio da parte dei coniugi di apposita dichiarazione di responsabilità attestante che le spese, per le quali si richiede la deduzione, sono riferibili esclusivamente alla procedura di adozione di cui al Capo I del Titolo III della legge n° 184/1983.

La risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n° 77/E del 28 maggio 2004 chiarisce, nel dettaglio, quanto in interesse soffermandosi, in particolare, sulla titolarietà del diritto alla deduzione, sui criteri da seguire ai fini predetti nonché sul contenuto della certificazione probatoria rilasciata dagli enti autorizzati.

Le spese ammesse alla deduzione sono quelle sostenute dagli interessati dal momento del conferimento ad un ente autorizzato del mandato all’adozione fino alla conclusione del procedimento coincidente con la dichiarazione di efficacia in Italia, da parte del Tribunale dei minori, del provvedimento di adozione emesso dalla competente Autorità straniera o, in caso di affidamento preadottivo, del perfezionamento dell’adozione.

Qualora, per qualsiasi ragione, anche per motivi indipendenti dalla volontà dei coniugi, la procedura finalizzata all’adozione si concluda con esito negativo, gli interessati hanno parimenti diritto a dedurre, nella misura indicata, dal reddito complessivo da assoggettare all’IRPEF tutte le spese fino a quel momento sostenute.

La deduzione va operata, infine, con l’applicazione del principio di cassa, con riferimento, cioè, al periodo di imposta in cui le spese sono state effettivamente sostenute prescindendo, in ogni caso, dall’effettiva conclusione dell’iter procedurale, dall’acquisizione dello status di genitore adottivo nonché dall’esito finale.

Ciò naturalmente comporta per l’ente autorizzato, prescelto dalla coppia, a dover certificare annualmente le spese dalla stessa effettuate ai fini predetti.

Rimborso delle spese sostenute eccedenti la quota fiscalmente deducibile

Considerata la necessità di porre in essere concrete azioni in grado di dare all’infanzia aiuto ed assistenza particolari in attuazione del dettato costituzionale e dell’impegno assunto dall’Italia in sede di dichiarazione universale dei diritti e di ratifica della Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993, di recente è stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un “Fondo per il sostegno delle adozioni internazionali” finalizzato al rimborso delle spese sostenute dai genitori adottivi per l’espletamento della procedura di adozione quale prevista dagli art. 29-43 della legge n° 184 del 4 maggio 1983.

Con D.P.C.M. del 27 aprile 2006 sono state dettate le disposizioni attuative per l’utilizzo del Fondo in interesse fissando criteri e procedure da seguire per la fruizione del beneficio.

Tenuto conto che, ai fini dell’individuazione dell’ammontare e dei criteri di rimborso delle spese sostenute dalle coppie adottanti, va considerato solo il cinquanta per cento delle spese effettivamente sostenute e documentate nei modi indicati, dal momento che il restante cinquanta per cento, come noto, è portato in deduzione in sede di dichiarazione annuale dei redditi ai sensi e per gli effetti di cui al citato art. 10, comma 1, lettera l-bis del D.P.R. n° 917 del 1986, il decreto stabilisce che, limitatamente ai minori stranieri per i quali sia stato autorizzato l’ingresso e la residenza in Italia, a seguito di istanza congiunta dei genitori adottivi indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Commissione per le adozioni internazionali - da produrre nei termini e nei modi all’uopo previsti (entro il 31 luglio di ciascun anno e a mezzo raccomandata a/r) e corredata dei prescritti documenti, il rimborso ha luogo, con riferimento alla quota delle spese fiscalmente non dedotte, nei limiti di cui appresso:

• il cinquanta per cento (fino al limite massimo di euro 6.000,00) per i genitori adottivi che abbiano un reddito complessivo fino ad euro 35.000,00;
• il trenta per cento (fino ad un limite massimo di euro 4.000,00) per i genitori che abbiano un reddito complessivo compreso tra 35.000,00 e 70.000,00).

Il rimborso, nei limiti indicati, ha luogo, in ogni caso, previa verifica della congruità della disponibilità del Fondo medesimo. Nel caso in cui l’ammontare dei rimborsi, sulla base delle domande accolte, superi l’ammontare delle risorse a tal fine disponibili il rimborso sarà rideterminato in misura proporzionale alla percentuale in eccesso rispetto alla disponibilità accertata..

L’importo del rimborso ricevuto, attesa la natura risarcitoria che lo contraddistingue, non è soggetto ad imposizione fiscale.

Benefici ulteriori

Si sottolinea, per ultimo, che, in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, il nostro ordinamento riconosce ai genitori adottivi od affidatari gli stessi diritti e privilegi previsti per i genitori naturali.

L’unica differenza - fermo restando la durata di ciascun beneficio (congedo, permesso, sostegno economico, ecc.) - è data solo dalla decorrenza degli stessi atteso che, in caso di adozione o di affidamento preadottivo, la data di “nascita” del bambino adottato, da valere ai fini predetti, non è quella “anagrafica” bensì quella di “ingresso” del minore nel nucleo familiare della coppia adottante o affidataria in caso di adozione nazionale o quella dell’ingresso del minore in Italia per le adozioni internazionali.

In merito il quadro normativo è dato dal D.Lgs. n° 151/2001 e, particolarmente, dagli artt. 26 e 27 per il congedo di maternità (di durata complessiva pari a cinque mesi), dall’art. 31 per il congedo di paternità (fruibile dal padre alle medesime condizioni in alternativa alla madre lavoratrice che non se ne avvale), dall’art. 36 per il congedo parentale (fruibile dai due genitori, anche contemporaneamente, per complessivi dieci mesi), dall’art. 45 per i permessi giornalieri fruibili nel corso del primo anno decorrente dalla data di ingresso del minore in Italia e dall’art. 50 per il congedo per malattia del minore adottato.

Qualora lavoratori dipendenti è, altresì, riconosciuto ai genitori adottivi un congedo non retribuito per tutto il periodo di tempo in cui si renda necessaria la permanenza all’estero dei medesimi per l’incontro con il bambino e l’espletamento degli adempimenti relativi alla procedura adottiva in corso (artt. 26, comma 4, e 27, comma 2).

Ulteriore beneficio è dato, infine, dalla possibilità per la madre o, in alternativa per il padre, di fruire, in parte o per intero, il congedo di maternità o di paternità ancor prima dell’ingresso del minore in Italia durante la permanenza all’estero dei medesimi per le necessità sopra rappresentate (art. 26, comma 3, del D.Lgs. n° 151/2001). Trattasi di beneficio non indifferente atteso che, nel caso specifico, il congedo retribuito viene fruito prima ancora della definizione della procedura adottiva

Ove ricorrano le condizioni, qualora il minore adottato o in affidamento preadottivo sia affetto da handicap in condizione di gravità, i genitori adottivi hanno, altresì, diritto ai benefici quali previsti dall’art. 42 del D.Lgs. n° 151/2001 (congedo straordinario retribuito fino ad un massimo di due anni) e dall’art. 33 della legge n° 104/1992 (permesso mensile retribuito di tre giorni).

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