mercoledì 24 settembre 2008
Il rischio demografico
Articolo a cura del Prof. Sergio Sabetta
La forza lavoro, come viene spesso ricordato, sta progressivamente e velocemente invecchiando in tutti i Paesi economicamente avanzati, causa anche del prolungamento della vita e della forte crescita economica del dopo guerra, circostanza che è aggravata dal taglio del personale per la riduzione dei costi, nascono problemi di avvicendamento con la conseguente necessità di affrontare il cosiddetto rischio di capacità, ossia il perdere la capacità di incrementare produzione e vendita, e il rischio di produttività, per la minore efficienza fisica dei lavoratori anche se in parte compensata dall’esperienza.
Vi è quindi un rischio demografico dovuto al concentrarsi dei lavoratori in alcune fasce di età senza che vi sia una adeguata distribuzione, si deve in tal caso affrontare una redistribuzione della conoscenza attraverso affiancamenti mirati ed una adeguata programmazione delle uscite, nasce inoltre la necessità di gestire le condizioni di salute modificando gli aspetti ambientali del lavoro.
In questi ultimi tempi è nato un certo ripensamento sulle condizioni dell’outsourcing,
specialmente quelli relativi a compiti delicati quali la progettazione, si è formata pertanto una letteratura sui rischi legati a tale scelta ( Zirpoli ), sorge quindi l’opportunità di recuperare all’interno dell’azienda il compito di occuparsi del travaso di conoscenze.
Se questo riguarda l’aspetto strettamente produttivo, vi è anche uno scontro generazionale in atto tra coloro che devono uscire dal ciclo produttivo e coloro che al contrario dovrebbero entrarvi, circostanza che si allarga in particolare per le fasce lavorative superiori alla capacità di accumulo di ricchezza.
In economia vi è una legge di potenza, individuata da Pareto, che regola la distribuzione dei redditi e che comunemente viene conosciuta come principio 80/20, secondo la quale il 20% della popolazione guadagna l’80% del denaro, questo sistema che da oltre un secolo continua a persistere aggravato ulteriormente dal trasferimento generazionale della conoscenza produttiva.
Se da una parte i motivi di bilancio pensionistico allungano la persistenza nell’ambiente produttivo, affiancato da una migliore qualità della vita, dall’altro si creano due problemi complementari, una gerontocrazia di potere ed una riduzione delle occasioni di entrata nel campo lavorativo, la mobilità da parte sua risulta avere una efficacia diversa a seconda se applicata nelle professioni economicamente avvantaggiate o ai lavori economicamente meno remunerativi, nei primi crea ulteriori occasioni di guadagno nel resto un peggioramento delle condizioni, si rinforza di fatto il principio dell’80/20.
Non vi è pertanto solo un rischio demografico di mancata trasmissione delle conoscenze lavorative, ma anche il rischio del congelamento di una generazione con un rafforzamento delle distanze economiche tra fasce già esistenti.
Viene meno il principio di ottimo paretiano per cui non è possibile migliorare la condizione di un individuo senza peggiorare quella di un altro, si ha di fatto una persistente crescita di ricchezza di alcune fasce generazionali e sociali a fronte di un generale regresso.
Quanto finora descritto viene ad inserirsi su una più ampia crisi strutturale del sistema paese che va dalla frammentaria struttura produttiva, flessibile, ma non adeguata per forti investimenti in ricerca e sviluppo, ad una finanza pubblica squilibrata e rallentata nel sostenere grossi investimenti in infrastrutture alternative al sistema su strada, al corporativismo politico- amministrativo di una classe dirigente che invecchia in cerca di sicurezza e ricche prebende in presenza di una riduzione delle risorse pubbliche, favorita in ciò dal sistema di potere delle 4.800 municipalizzate e commissioni varie.
Bibliografia
• A. Costato, Lo Stato, l’impresa e il neofeudalesimo del sistema fiscale, in “Il Sole 24 Ore”, 13,177, 28/6/08;
• R. Strack – J. Baier – A. Fahlander, Gestire il rischio demografico, in “Harvard Business Review”, 66 – 78, 7- 8/2008;
• F. Zirpoli, Il ruolo dell’organizzazione nella gestione strategica dell’innovazione, in “E. & M.”, 53-67, 1/2008.