lavoroprevidenza

giovedì 24 luglio 2008

Rapporto tra flessibilità e gerarchia

Con grande piacere, anche questa settimana, come di consueto, pubblichiamo un altro degli interessanti contributi dottrinali del Prof. Sergio Sabetta - Collaboratore della Redazione di LavoroPrevidenza e Coordinatore della Sezione Management di questa rivista telematica.

Si è da più parti manifestata la necessità di recuperare il concetto di disciplina all’interno della P. A., anche se parallelamente si esprime l’opportunità di abbattere i livelli gerarchici per rendere più flessibile l’organizzazione.
Ma che cosa è un’organizzazione se non semplicemente un “gruppo di caccia”, che comporta una divisione gerarchica del lavoro ? Questo tanto più quanto è vasta l’organizzazione e dotata di un fine preciso esterno a se stessa, come nel caso più semplice di un esercito.
L’uomo porta insito sia il concetto di territorialità che di sicurezza, i quali si esprimono nella difesa di un territorio fisico, nel caso dei corpi militari o di polizia, o economico, nell’azienda, per perseguire tale fine vi è una delega di responsabilità dal basso all’alto, massima nell’esercito, questo comporta un contratto psicologico per cui vi è sicurezza solo se è esercitata e riconosciuta tale autorità, il non saperla esercitare comporta nello Stato insicurezza e ribellione, e la creazione di reti sociali di protezione informali.
Più vi è disciplina maggiore è la delega e la deresponsabilizzazione e minore è la possibilità di un crollo organizzativo per fattori interni, ma solo a seguito di una criticità esterna.
Il mantenere la disciplina acquista sempre più un valore collettivo sia nella punizione che nel premio, infatti è la collettività che deve assistere al rito sia nel bene che nel male e l’azione deve essere portata a conoscenza di tutti.
Il rapporto tra sicurezza territoriale e gerarchia è così forte che la disorganizzazione porta un senso di malessere, se non voluta in quanto sfruttabile da organizzazioni informali interne, viene pertanto a crearsi un sostanziale dinamismo tra organizzazioni precedenti e nuove organizzazioni in formazione e crescita, il passaggio può essere visto o come opportunità di crescita sociale o in termini di disorientamento , dipende dalle relazioni di cui si dispone.
Più una organizzazione è vasta minore è la sua qualità, si che vale la regola del minimo risultato con il massimo sforzo, una organizzazione è intellettualmente vivace solo se di modeste dimensioni, circostanza che permette la migliore selezione e la valorizzazione dell’intelligenza, in un’organizzazione vasta con compiti limitatamente finalizzati minore è la necessità dell’intelligenza individuale, anzi cresce il pericolo dell’inceppamento dell’organizzazione per il non rispetto delle procedure.
Mentre nel piccolo l’iniziativa individuale e le caratteristiche del singolo vengono apprezzate, con il crescere dei grandi numeri il rapporto si inverte e l’iniziativa se non incanalata e limitata entro precisi binari può portare al deragliamento dell’organizzazione, si viene progressivamente ad appoggiarsi sui “minimi” individuali del lavoro prestato, questi minimi possono essere innalzati mediante una adeguata formazione ma non ignorati.
La richiesta di intelligenza viene concentrata al vertice riducendola alla base, secondo le necessità del settore, comunque sempre limitata entro precisi parametri.
Appare evidente la difficoltà di mantenere un giusto equilibrio tra gerarchia e flessibilità organizzativa, ossia uso individuale dell’iniziativa, nelle grandi strutture burocratiche, anche con l’introduzione di nuovi concetti quali forniture di servizi, compenetrazione nel territorio, strutture a matrice.
D’altronde l’intelligenza diffusa comporta una maggiore difficoltà gestionale, la sua non adeguatezza in lavori ripetitivi, ma soprattutto canali comunicativi bidirezionali con conseguente giudizio facilitato sull’operato dei vertici e collegamenti a rete di tipo orizzontale.
La gerarchia e quindi l’autorità di cui ne è espressione può essere vista come una divisione platonica e aristotelica, distinzione naturale fra classi di cui solo alcune sono dotate delle virtù politiche necessarie al comando, ma la gerarchia può essere anche più semplicemente riconosciuta dall’esercizio di una autorità legittimata dall’ordinamento normativo (Kelsen) nato dalle dinamiche politiche e pertanto variabile secondo le esigenze del contesto.
La gerarchia eccessiva è elemento di conservazione per una gestione egemonica, con possibili resistenze a mutamenti di ruoli ma comunque necessaria per il minimo ideale del coordinamento. Vi è la difficoltà di mantenere elastica la struttura rispetto alle esigenze sociali senza che la creatività diventi disorganizzazione, questo in particolare per le grosse strutture organizzative.
Il decentramento di funzioni non è di per se stesso sufficiente, occorre anche la qualità del personale e la presenza continua della leadership che nel decentrare controlli i risultati delle funzioni mantenendo in questo l’aspetto gerarchico.

Bibliografia

• N. Abbagnanao, Dizionario di filosofia, Voce “Autorità”, Utet, 1974;
• J. P. Kotter, Corporate Culture and Performance, New York: Free Press, 1992;
• R. A. Preston e S. F. Wise, Storia sociale della guerra, Mondatori, 1973.



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