lavoroprevidenza

mercoledì 16 luglio 2008

Emozioni e Thanatos nell’ambiente lavorativo

Con grande piacere, anche questa settimana, come di consueto, pubblichiamo un altro degli interessanti contributi dottrinali del Prof. Sergio Sabetta - Collaboratore della Redazione di LavoroPrevidenza e Coordinatore della Sezione Management di questa rivista telematica.

Nel lavoro come in qualsiasi altra sua attività ogni essere umano proietta le proprie necessità e le proprie speranze, necessità economiche, di recuperare risorse, per sé e il suo gruppo familiare, e psicologiche, di auto-realizzazione e riconoscimento sociale.
Nell’attività lavorativa vengono quindi proiettate sia emozioni negative quali rabbia, paura, disgusto e impotenza, che positive, di speranza e di crescita tanto sociale che psicologica. Si possono creare o favorire anche mediante comportamenti quali il mobbing la formazione di impotenze apprese, ossia mancanza di speranza e pensieri negativi che trascinano l’individuo nel vortice della depressione.
Se le funzioni negative, come è stato ipotizzato, hanno la funzione evolutiva originaria di concentrare pensieri ed azioni sulle circostanze che hanno determinato la situazione di pericolo, permettendo una rapida reazione e quindi una maggiore probabilità di sopravvivenza, il loro persistere comporta alla lunga uno stato di depressione con il conseguente sorgere di complicanze psicologiche e fisiche.
Al contrario le emozioni positive, secondo la teoria di “apertura” e “costruzione” ipotizzata da Fredrickson, generano stati d’animo transitori di “apertura mentale” utili a costruire un pensiero più creativo, integrato, flessibile e aperto alle informazioni, che rende più ottimiste e migliori le relazioni sociali con un accrescimento generale delle risorse sia personali che organizzative.
Si miglioreranno sia le risorse intellettuali, con lo sviluppo delle capacità di risoluzione dei problemi e dell’apprendimento, delle risorse psicologiche, di ottimismo e sviluppo del senso di identità e orientamento al traguardo, fino alle risorse sociali, di consolidamento e creazione di nuovi legami.
Si crea una spirale ascendente in continua crescita tra emozioni positive e apertura mentale, un rafforzamento reciproco utile all’organizzazione e al singolo, tale da riflettersi sullo stesso stato di salute fisica dell’individuo, mentre per le organizzazioni sociali si accresce la coesione morale e l’armonia organizzativa.
La leva per permettere la formazione di emozioni positive è la ricerca di un significato positivo da dare all’evento e all’azione, emerge chiaramente il riflettersi dell’azione del singolo e del suo porsi sull’organizzazione, ma anche del clima aziendale sul singolo, ossia della pressione organizzativa.
Ma vi è qualcosa di più che l’uomo talvolta proietta nell’ambito lavorativo, è l’opporsi alla propria fine al “thanatos” che progressivamente si manifesta nella sua vita. Dal ricercare risorse e riconoscimenti sociali vi è con il tempo il transitare verso un fuggire di fronte ad essa, il negare la sua anticipazione emotiva data dall’angoscia mediante l’azione, l’agire contrapposto allo stare, questo soprattutto quando il lavoro non è costrizione ma autorealizzazione.
Come afferma Heidegger sull’esistenza incombe una minaccia di impossibilità radicale la cui coscienza si radica con il trascorrere della vita e a cui il singolo deve dare risposta, una di queste è la negazione lavorativa dell’angoscia, dell’azione o iperazione sullo stare.
La “limitazione dell’esistenza” (Dilthey) che il trascorrere del tempo impone all’uomo costituisce una condizione, situazione-limite (Jaspers) dell’essere finito che lo accompagna nel progredire della vita e a cui si può rispondere anche con l’azione lavorativa se autorealizzativa.
Sebbene Wittgenstein, riprendendo Epicureo, pone la morte come evento esterno alla vita, estraneo ad essa e pertanto elemento di cui non curarsi proprio per la sua alternatività, la minaccia incombente che sempre più pesantemente con il trascorrere del tempo essa pone crea nell’uomo una ribellione esistenziale che non può essere placata dalla sua semplice accettazione come puro decesso, estraneo alla vita (Tolstoi).
Come afferma Merleau-Ponty essa è la minaccia perpetua ai significati eterni in cui l’uomo crede di esprimersi interamente, una minaccia progressiva di cui evitare il pensiero, negandola mediante l’azione e il riconoscimento sociale.
Ma l’angoscia può nascere dalla stessa organizzazione, dal suo progressivo sfaldarsi di cui i suoi membri ne acquistano progressivamente coscienza nelle vicissitudini lavorative.

Bibliografia

N. Abbagnano, Storia della filosofia, vol. III, Utet 1974.
B. L. Frederickson ed altri, What good are positive emotions in crisis ? : A prospective study of resilience and emotions following the terrorist attacks on the United States on September 11th, 2001, in “Journal of Personality and Social Psychology”, Vol. 84, 365 – 376, 2003.
L. G. Aspinwall – U. M. Standinger, A psicology of Human Strenght: Fundamental Questions and Future Directions for a Positive Psychology, in “American Psycological Association”, Washington, 2003.
L. Tolstoi, La morte di Ivan Iljitsch, Garzanti.

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