giovedì 3 luglio 2008
LA NUOVA DISCIPLINA DEL CONTRATTO A TERMINE
ARTICOLO di AMEDEO TEA
SOMMARIO: 1. Premessa: flessibilità fisiologica vs. precarietà patologica - 2. L’influsso dell’intervento comunitario sul nostro ordinamento giuslavoristico: la direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato - 3. L’ambito normativo della riforma: la legge 247/2007 - 4. Trattamento economico: la retribuzione - 5. La disciplina fiscale: aspetti operativi ed esemplificazioni pratiche - 6. Considerazioni conclusive: la decorrenza degli effetti e il regime transitorio.
1. Premessa: flessibilità fisiologica vs. precarietà patologica
La portata innovativa introdotta dalla legge n. 247/2007[1] attuativa del protocollo sul welfare del 23 luglio 2007 manifesta i suoi effetti principalmente nei rapporti di lavoro. Piu’ in particolare le modifiche riguardano gli ambiti normativi quali:
- il lavoro a termine[2]
- il lavoro a tempo parziale[3]
- il lavoro intermittente e la somministrazione a tempo indeterminato[4] .
Una lettura piu’ profonda delle novità che non solo nel nostro Paese ma anche nel resto d’Europa si stanno realizzando ci porta sin d’ora a fare una considerazione introduttiva necessaria come punto di partenza del presente lavoro. In altre parole stiamo assistendo oggi più che mai ad un grande fermento in termini per esempio di innovazioni, aspettative, preoccupazioni che stanno caratterizzando il diritto del lavoro talché non sarebbe del tutto fuori luogo usare un termine quale sollecitazione per spiegare le pressanti risposte a cui il diritto del lavoro è chiamato a dare nei confronti delle mutate condizioni economiche ed occupazionali attuali[5].
Il difficile equilibrio che si vuole mantenere è messo a dura prova dalla volontà di coniugare esigenze di tutela individuale e collettiva e di sicurezza del lavoro con le politiche occupazionali e di flessibilizzazione dei mercati di lavoro. In quest’ottica è riscontrabile ( e giustificabile ) una tendenza alla rivisitazione dei principali istituti allo scopo di “riaffermare l’eccezionalità delle forme temporanee di impiego e favorire percorsi di stabilizzazione atti ad impedire che elementi di fisiologica flessibilità del lavoro si tramutino in fattori patologici di precarietà professionale ed esistenziale”[6]. A tal proposito, giova ricordare qui che le prime linee guida sulla riforma del contratto a termine risalivano al novembre 2006 e prevedevano causali specifiche, rivisitazione del ruolo della contrattazione collettiva e quote di utilizzo con nuovi limiti a proroghe e rinnovi[7] .
A margine di queste brevi considerazioni introduttive appare sicuramente più chiaro l’obiettivo che sottende alla nuova disciplina del lavoro a termine che qui appunto trattiamo. In breve, con l’introduzione dei correttivi che dopo analizzeremo, il legislatore ha voluto neutralizzare o meglio ridimensionare l’utilizzo improprio di questo modello contrattuale limitando gli abusi che si sono verificati attraverso una reiterata apposizione del termine spesso complice di una volontà discriminatoria o fraudolenta del datore di lavoro[8]. A fronte di questo apprezzabile e nobile obiettivo non si sono fatte attendere le osservazioni di coloro che hanno richiamato l’attenzione sulle ripercussioni negative che un simile intervento ha comportato per taluni settori. L’azione del legislatore è stata quella di limitare temporalmente la reiterazione del contratto stesso ancorché sulle causali che permettono il ricorso al contratto a termine. Conseguentemente “nei casi in cui lo strumento sia stato utilizzato correttamente, è da temere che il datore di lavoro, per effetto del tetto imposto dal legislatore, possa rinunciare a nuove assunzioni a termine del lavoratore, non potendo assicurare una opportunità di impiego continuativo e stabile. In tali ipotesi, quindi, il meccanismo individuato dal legislatore per far uscire il lavoratore a termine dalla cosiddetta trappola della precarietà può rappresentare, alla prova dei fatti, un aggravamento della posizione di quest’ultimo, che si vedrebbe pregiudicata la possibilità di prosecuzione, sia pure a termine, del rapporto di lavoro con lo stesso datore di lavoro”[9]. Tale affermazione risulta ancor più vera se riferita a quei settori in cui il turnover dei lavoratori impiegati è alto in virtù del tipo di attività esercitata come le aziende stagionali che pertanto di fronte all’impossibilità di gestire l’intensificazione della propria attività in determinate frazioni dell’anno potrebbero ricorrere alla somministrazione del lavoro o alla esternalizzazione di alcune parti del processo produttivo o di erogazione del servizio.
2. L’influsso dell’intervento comunitario sul nostro ordinamento giuslavoristico:
la Direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato
Vi è unanimità di consensi nel ritenere che la Direttiva Comunitaria n° 99/70/Ce del 28 giugno 1999 relativa all’Accordo quadro comunitario sul lavoro a tempo determinato sia stata fondamentale nel tracciare i principi di base a cui si è inspirato il nostro legislatore. Analogamente alla direttiva in materia di lavoro a tempo parziale, si legge nel Preambolo, le parti sociali hanno voluto dare un ulteriore “contributo in direzione di un migliore equilibrio fra la flessibilità dell’orario di lavoro e la sicurezza dei lavoratori”. Il principio dell’eccezionalità del lavoro a termine rispetto al lavoro a tempo determinato viene ribadito al secondo comma, laddove “le parti firmatarie dell’accordo riconoscono che i contratti a tempo indeterminato sono e continuano ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro fra i datori di lavoro e i lavoratori. Esse inoltre riconoscono che i contratti a tempo determinato rispondono, in alcune circostanze, sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori”. Nelle “Considerazioni generali” vengono indicate quelle premesse necessarie che costituiscono le ragioni giustificatrici delle successive “Clausole”. In particolare meritano attenzione i seguenti punti:
- il considerando punto 6 afferma che “i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori interessati e a migliorare il rendimento”;
- il considerando punto 7 afferma che “l’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato basata su ragioni oggettive è un modo di prevenire gli abusi;
- il considerando punto 8 afferma che “i contratti di lavoro a tempo determinato rappresentano una caratteristica dell’impiego in alcuni settori, occupazioni e attività atta a soddisfare sia i datori di lavoro sia i lavoratori;
- il considerando punto 9 afferma che “più della metà dei lavoratori a tempo determinato nell’Unione europea sono donne, il presente accordo può pertanto contribuire al miglioramento della pari opportunità fra le donne e gli uomini.
La volontà delle parti contraenti raggiunge il suo risultato attraverso l’enunciazione delle 8 Clausole, ed in particolare nella
Clausola 1) Il rispetto del principio di non discriminazione è “obiettivo” dell’accordo, il cui scopo appunto è: a) migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione; b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti a tempo determinato.
Clausola 2) Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro. Gli stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o le parti sociali stesse possono decidere che il presente accordo non si applichi ai: a) rapporti di formazione professionale iniziale e di apprendistato; b) contratti e rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che usufruisca di contributi pubblici.
Clausola 4) Per le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili[10] per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive. Se del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis. Le disposizioni per l’applicazione di questa clausola saranno definite dagli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o dalle parti sociali stesse, viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti collettivi e la prassi nazionale. I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive.
Clausola 5) Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionale, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:
a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
Clausola 8.3) L’applicazione del presente accordo non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo stesso.
3. L’ambito normativo della riforma: la legge 247/2007
In linea con l’indirizzo dottrinario prevalente secondo cui l’apposizione del termine è giustificato da esigenze di carattere temporaneo o, comunque, non stabili[11], l’articolo 1, comma 39, della legge 247/2007 introduce in premessa all’art. 1 del D.Lgs. 368/2001 il nuovo comma 01, secondo cui “il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato”[12]. Tuttavia, la finalità antielusiva, che poi costituisce motivo ispiratore di tutta la riforma introdotta, si riscontra ancor più chiaramente nell’introdotto limite di 36 mesi alla reiterazione e successione di contratti a termine che di fatto rappresenta una nuova ipotesi di conversione del contratto a tempo indeterminato con effetti ex nunc. La principale novità introdotta dal comma 4-bis, inserito dall’art. 1, comma 40, della legge stabilisce che fermo restando i limiti temporali dell’art. 5del D.Lgs. 368/2001, in caso di successione di differenti contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro tra le parti non può superare complessivamente i 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro. In effetti questa importante disposizione costituisce un’integrazione al vuoto della disciplina esistente in quanto se è vero che il decreto 368/2001 consente la proroga per una sola volta a condizione che la durata iniziale del contratto fosse inferiore ai 3 anni[13] è anche vero che non pone limiti alla possibilità di effettuare successive assunzioni a termine nel rispetto dei termini stabiliti dall’art.5. In particolare, i commi 1 e 2 di tale articolo stabiliscono che la proroga possa avere una durata di 30 giorni per i contratti di durata iniziale pari o superiore a sei mesi e 20 giorni per i contratti di durata inferiore. Il datore di lavoro ha l’obbligo di corrispondere per ogni giorno di protrazione dell’attività lavorativa una maggiorazione della retribuzione pari al 20% fino al decimo giorno, al 40% per i giorni successivi. Nel rispetto dei predetti limiti così formalizzati si configura solo una conseguenze pecuniaria. Se il rapporto prosegue oltre i suddetti termini di tolleranza il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei termini stessi. Per quanto riguarda la riassunzione del medesimo lavoratore a tempo determinato, il comma 3 dell’art. 5 prevede che tra la fine del precedente contratto e l’inizio del nuovo rapporto debba trascorrere un intervallo minimo di 20 giorni se il contratto scaduto aveva una durata superiore a sei mesi oppure 10 giorni per i contratti di durata inferiore. Nel caso i predetti termini non vengano rispettati il secondo contratto si considera a tempo indeterminato (conversione ex nunc). Se invece la riassunzione avviene senza soluzione di continuità ossia non trascorre nemmeno un giorno, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato fin dalla data di stipulazione del primo contratto (conversione ex tunc). E’ in questo quadro che appunto si inserisce il comma 4-bis aggiunto dall’art.1, comma 40 della legge 247/2007 che integra, come già detto, la disciplina della reiterazione del contratto a termine introducendo il limite dei 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, nel caso di successione di differenti contratti a termine per il disimpegno di mansioni equivalenti[14]. In deroga alla previsione generale un ulteriore e successivo contratto a termine tra le stesse parti può essere stipulato per una sola volta a condizione che la stipulazione avvenga presso la Direzione Provinciale del Lavoro competente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore risulta iscritto o conferisce mandato, alle quali è demandata anche la determinazione della durata massima possibile di tale ulteriore proroga, attraverso avvisi comuni. Nel caso in cui la procedura descritta non venga rispettata così come nel caso di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato. Tuttavia l’art. 5, comma 4-ter del D.Lgs 368/2001 ridimensiona l’ambito innovativo della riforma escludendo dal campo di applicazione:
- le attività stagionali di cui al DPR 7 ottobre 1963 n 1525[15];
- le attività che saranno individuate dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative[16];
- in caso di rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato instaurato tra dipendente e l’Agenzia di somministrazione che lo assume[17];
- in caso di rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato stipulato coi dirigenti coi quali è consentita la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato purchè di durata inferiore a cinque anni[18].
Si precisa che rimangono esclusi dal presente decreto anche i contratti di lavoro temporaneo di cui alla legge 24 giugno 1997, n. 196 e successive modificazioni, i contratti di formazione e lavoro, i contratti avviati dalle liste di mobilità ai sensi della legge 223/91, i rapporti di apprendistato, nonché le tipologie contrattuali legate a fenomeni di formazione attraverso il lavoro che, pur caratterizzate dall’apposizione di un termine, non costituiscono rapporti di lavoro (stages, tirocini, ecc.) ed i rapporti di lavoro in agricoltura e gli operai a tempo determinato ex art. 12, comma 2, del D.Lgs 375/1993. Un’altra novità introdotta riguarda il diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato a favore dei lavoratori a termine. In particolare il comma 4-quater, art. 5, D.Lgs. n. 368/2001 aggiunto dall’art. 1 comma 40 Legge n. 247/2007 abrogando l’art. 10, commi 9 e 10, del D.Lgs. 368/2001, ha sottratto alla contrattazione collettiva l’individuazione di un diritto di precedenza nella assunzione presso la stessa azienda e con la medesima qualifica mentre ha istituito, al riguardo, una previsione ex lege[19]. In pratica, il lavoratore che nell’esecuzione di uno o più contratti a termine, presso il medesimo datore di lavoro, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate nella esecuzione dei rapporti a termine. Il diritto di precedenza si estingue entro un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro e potrà esercitarsi se il lavoratore manifesta la propria volontà al datore di lavoro entro sei mesi dalla cessazione del rapporto a termine[20]. Infine, è stata modificata la disciplina dei limiti quantitativi che, pur continuando a rimanere nell’ambito della contrattazione collettiva, risulta ridimensionata essendo state soppresse l’esclusione da limitazioni quantitative dei contratti a termine di durata inferiore ai sette mesi, dei contratti stipulati dopo un periodo di tirocinio o di stage[21].
4. Trattamento economico: la retribuzione
Il prestatore di lavoro, assunto a tempo determinato, in base al principio di non discriminazione, ha diritto alle ferie, alla gratifica natalizia o tredicesima mensilità, al trattamento di fine rapporto e ad ogni altro trattamento in atto nell’impresa corrisposto ai lavoratori con contratto a tempo indeterminato, intendendosi per tali quelli inquadrati nello stesso livello, secondo la classificazione prevista dai CCNL, in proporzione al periodo lavorativo prestato, a condizione che non sia incompatibile con la natura del contratto a termine ( art. 6, D.Lgs. 368/2001)[22]. Si precisa, inoltre, che nell’ipotesi in cui vi sia prosecuzione (art. 5 comma 1, D.Lgs. 368/2001) del rapporto si individua un periodo di tolleranza, stabilendo che, nel caso in cui il rapporto continui dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro sarà tenuto a corrispondere al lavoratore , per ogni giorno di continuazione, una maggiorazione della retribuzione pari al 20% fino al decimo giorno successivo, al 40% per ciascun giorno ulteriore.
5. La disciplina fiscale: aspetti operativi ed esemplificazioni pratiche
Nessuna disposizione di carattere particolare è prevista per il calcolo delle ritenute nei rapporti di lavoro a tempo determinato. Pertanto le regole impositive generali si applicano uniformemente sia per le retribuzioni dei lavoratori a tempo indeterminato che per quelle dei lavoratori a tempo determinato (lavoro stagionale). Per rendere piu’ attuale la nostra trattazione vale la pena di ricordare che i redditi 2007 che si dichiarano nei modd. 730/2008 o Unico 2008 seguono le nuove regole reintrodotte dalla Finanziaria 2007 che ha modificato, appunto, le aliquote e gli scaglioni IRPEF e reintrodotto le detrazioni d’imposta per i familiari a carico e le varie categorie di reddito[23]. Come è noto , il sostituto d’imposta che corrisponde somme e valori deve operare all’atto del pagamento una ritenuta a titolo d’acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti con obbligo di rivalsa[24]. L’importo della ritenuta si determinata applicando le aliquote dell’imposta sul reddito delle persone fisiche al reddito imponibile di cui all’art. 51 del Tuir ragguagliando al periodo i corrispondenti scaglioni annui di reddito ed effettuando le detrazioni previste agli articoli 12 e 13 del Tuir[25].
In luogo delle vecchie deduzioni per carichi familiari si è ritornati alle detrazioni dall’imposta che devono essere ragguagliate a mese e competono dal mese in cui si sono verificate le condizioni richieste fino al mese in cui sono cessate. Le detrazioni competono se il percipiente dichiara di avervi diritto ed in quale misura e si impegna a comunicare tempestivamente eventuali variazioni. Le detrazioni per carichi di famiglia si distinguono in :
- per coniuge a carico;
- per figli a carico;
- per altri familiari a carico.
Le detrazioni per coniuge non legalmente ed effettivamente separato[26] sono collegate al reddito complessivo e spettano secondo quanto indicato nel seguente schema:
REDDITO COMPLESSIVO (IN EURO)
DETRAZIONE SPETTANTE (IN EURO)
fino a 15.000,00
800-[110 x (reddito complessivo/15.000)]
- se il risultato del rapporto è pari 1 la detrazione compete nella misura fissa di 690;
- se il risultato del rapporto è pari a 0 la detrazione non spetta.
oltre 15.000 e fino a 40.000
690 detrazione fissa;
- tale detrazione è aumentata secondo le seguenti misure:
- 10 per il reddito oltre 29.000 e fino a 29.200;
- 20 per il reddito oltre 29.200 e fino a 34.700;
- 30 per il reddito oltre 34.700 e fino a 35.000;
- 20 per il reddito oltre 35.000 e fino a 35.100;
- 10 per il reddito oltre 35.100 e fino a 35.200.
Oltre 40.000 e fino a 80.000
690 x [(80.000 – reddito complessivo)/40.000]
Il coefficiente va assunto nelle prime quattro cifre decimali
- se il risultato del rapporto è pari 1 la detrazione compete nella misura fissa di 690;
- se il risultato del rapporto è pari a 0 la detrazione non spetta
Esempi pratici:
Nel caso di un contribuente con un reddito complessivo pari a € 13.000 la detrazione effettiva è pari a € 697,34 poiché:
800 – ( 110x 13.000/15.000) = 800 – (110 x 0,866) = 800 – 95,33 = 704,66
Nel caso di un contribuente con un reddito complessivo di € 34.500 la detrazione è pari a 690 euro piu’ 20 euro per un totale di 710 euro.
Nel caso di un contribuente con un reddito complessivo di 60.000 euro la detrazione effettiva è pari € 345,00 poiché :
690 x [( 80.000 – 60.000)/40.000] = 690 x 0,5 = 345,00
Le detrazioni per figli a carico sono cosi’ rappresentate:
Condizioni
Detrazioni teoriche
Figlio con età inferiore ai 3 anni
900
Figlio con età superiore ai 3 anni
800
Figlio portatore di handicap (L. 104/1992, art. 3)
se inferiore ai 3 anni = 1.120,00
se superiore ai 3 anni = 1.020,00
Nella realtà l’ammontare effettivamente spettante della detrazione varia in funzione del reddito ed è il risultato dell’applicazione della seguente formula:
95.000,00 – reddito complessivo
95.000,00
Se il risultato del rapporto è inferiore o pari a zero, oppure uguale a 1 le detrazioni non spettano. L’importo di 95.000,00 euro va aumentato di 15.000,00 euro per ogni figlio successivo al primo.
Esempio pratico:
Coniugi con 2 figli a carico maggiori di 3 anni e un reddito complessivo di 28.000,00 euro il primo e 23.000,00 il secondo. La detrazione teorica è pari a 2.400,00 cioè 800.00 euro per ogni figlio e quindi 800.00 x 3 = 2.400,00 euro.
Per il primo coniuge la detrazione effettiva sarà pari a:
1200 x [(125.000 – 28.000)/125.000] = 1200 x 0,776 = 931,00
Per il secondo coniuge la detrazione effettiva sarà pari a:
1200 x [( 125.000 – 23.000)/125.000] = 1200 x 0,816 = 979,20
Analogamente alle detrazioni fin qui commentate, la detrazione per altri familiari a carico[27] si sostanzia sullo stesso principio. Più precisamente la detrazione teorica per gli altri familiari a carico è pari a 750.00 euro. Per calcolare la parte che effettivamente compete si moltiplica la detrazione base per il coefficiente che si ottiene dall’applicazione della seguente formula (considerando come per il calcolo delle altre detrazioni le prime quatto cifre decimali):
80.000,00 – reddito complessivo
80.000,00
Se il risultato è inferiore o pari a zero, oppure uguale a 1, la detrazione non spetta.
Anche in questo caso chiariamo quanto appena detto fornendo un semplice esempio.
Esempio pratico:
Coniuge con genitore a carico e un reddito di 27.000,00 euro
750.00 x [(80.000 – 27.000)/80.000] = 750.00 x 0.66 = 496,87
Ricordiamo inoltre che il nuovo articolo 13 del Tuir prevede altre detrazioni spettanti a seconda del tipo di reddito che confluisce nel reddito complessivo. Tralasciamo i redditi di pensione, i redditi di impresa e di lavoro autonomo e analizziamo nel dettaglio la detrazione per reddito di lavoro dipendente ed assimilato. Se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi di lavoro dipendente e assimilati[28] spetta una detrazione rapportata al periodo di lavoro e qui esemplificata nella tabella che segue.
Reddito complessivo (IN EURO)
Detrazione spettante (IN EURO)
Fino a 8.000,00
1.840,00 con le seguenti precisazioni:
la detrazione effettivamente spettante non puo’ mai essere inferiore a 690,00
SE IL RAPPORTO DI LAVORO E’ A TEMPO DETERMINATO, LA DETRAZIONE EFFETTIVA SPETTANTE NON PUO’ ESSERE INFERIORE A 1.380,00.
Oltre 8.000,00 e fino a 15.000
1.338,00 + l’importo derivante dal seguente calcolo: 502,00 x 15.000,00 – reddito compl.
7.000,00
Oltre 15.000 e fino a 55.000
1.338,00 moltiplicato per il coefficiente risultante dal seguente calcolo:
55.000,00 – reddito complessivo
40.000,00
Per il reddito oltre € 23.000 e fino a € 24.000
Per il reddito oltre € 24.000 e fino a € 25.000
Per il reddito oltre € 25.000 e fino a € 26.000
Per il reddito oltre € 26.000 e fino a € 27.700
Per il reddito oltre € 27.700 e fino a € 28.000
Aumento detrazione di € 10.00
Aumento detrazione di € 20.00
Aumento detrazione di € 30.00
Aumento detrazione di € 40.00
Aumento detrazione di € 25.00
Ricordiamo ancora che i sostituti d’imposta devono procedere alle operazioni di conguaglio, entro il 28 febbraio dell’anno successivo o alla data di cessazione in caso di cessazione del rapporto di lavoro, tra le ritenute operate sulle somme ed i valori pagati e l’imposta dovuta sull’ammontare complessivo degli emolumenti corrisposti al lavoratore considerando le detrazioni eventualmente spettanti prima evidenziate.
In conclusione, cerchiamo di riepilogare le considerazioni fin qui esposte con lo schema seguente:
Compensi correnti
Retribuzioni soggette a ritenuta corrisposte nel periodo di paga interessato
-
Ritenute previdenziali ed assistenziali obbligatorie a carico del lavoratore
=
Base imponibile
Applicazione delle aliquote per scaglioni di reddito ragguagliati al periodo di paga
=
Imposta lorda
-
Detrazioni per familiari a carico, per tipologia di reddito, per oneri
=
Imposta netta da trattenere al dipendente (se le detrazioni sono superiori all’imposta, l’imposta è pari a zero).
Mensilità aggiuntive
Ammontare lordo corrisposto
-
Ritenute previdenziali ed assistenziali obbligatorie a carico del lavoratore
=
Base imponibile a tassazione autonoma da non sommare ai compensi correnti
Applicazione alla base imponibile delle aliquote per scaglioni di reddito ragguagliati a mese
=
Imposta da trattenere al dipendente
5. Considerazioni conclusive: la decorrenza degli effetti e il regime transitorio
Certamente affermare quali potranno essere gli esiti di una simile riforma è difficile prevederlo. La realtà aziendale ed imprenditoriale può, al contrario, fornire non poche risposte ai dubbi aperti da molti e lasciati (per ora) soltanto sulla “carta”. Quel che è certo è che considerati i molteplici riflessi pratici che l’introduzione di una simile riforma avrebbe comportato il legislatore ha previsto un’entrata graduale della stessa[29]. I contratti a termine in essere alla data del 1/1/2008 continuano fino alla naturale scadenza anche in deroga al superamento dei 36 mesi. Al contrario il periodo di lavoro già effettuato alla data di entrata in vigore della presente legge si computa, insieme ai periodi successivi di attività ai fini della determinazione del periodo massimo di cui al citato comma 4-bis, decorsi quindici mesi dalla medesima data. Pertanto dal 01/04/2009 e quindi trascorsi i 15 mesi[30] dall’entrata in vigore della legge, alla durata dei contratti conclusi dopo tale periodo si somma quella risultante dai contratti precedenti comportando la possibile conversione a tempo indeterminato del contratto.
[1] Pubblicata sulla G.U. 301 del 29/12/2007 ed entrata in vigore il 1 gennaio 2008.
[2] Contenute nel D.Lgs. 368/2001
[3] Contenute nel D.Lgs. 61/2000 e D.Lgs. 276/2003
[4]Contenute nel D.Lgs. 276/2003
[5]Cfr. Commissione CE, Libro Verde, Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo, Bruxelles 22.11.2006, COM (2006) 708 definitivo.
[6] Iacopo Senatori, Il lavoro a termine tra dinamiche sociali e ripartente legislative, Bollettino ADAPT, newletter in edizione speciale n. 6 del 6 marzo 2007, p. 2.
[7] “La forma normale di occupazione è il lavoro a tempo indeterminato; le tipologie contrattuali a termine devono essere motivate sulla base di un oggettivo carattere temporaneo nelle prestazioni richieste e non devono superare una soglia dell’occupazione complessiva dell’impresa”. In base alle suddette indicazioni del Programma di Governo dell’Unione, il Ministro del Lavoro Cesare Damiano ha emanato le seguenti linee guida per una riforma del contratto a termine auspicando un Avviso comune delle parti sociali in materia:
1. individuazione di sintetiche causali tipicizzate adatte alle odierne esigenze di mercato;
2. affidamento alle parti sociali, attraverso la contrattazione collettiva, del compito di individuare ulteriori ipotesi di contratto di lavoro a termine;
3. affidamento alla contrattazione tra le parti sociali della definizione delle percentuali di ricorso al contratto a termine in proporzione al numero di lavoratori a tempo indeterminato presenti in azienda;
4. definizione di un regime legale antielusivo che definisca il numero massimo e/o il limite temporale delle proroghe e dei rinnovi consentiti.
Qualora le parti non dovessero pervenire ad un Avviso comune entro tre mesi, il Governo, su proposta del Ministro del Lavoro, si riserva di procedere all’adozione di un provvedimento legislativo (Roma, 3 novembre 2006).
[8]Il problema (non di poco conto) sta nelle conseguenze di fatto penalizzanti e restrittive per alcune imprese a seguito di tale riforma. Non sono pochi i dubbi sollevati sul meccanismo con cui il legislatore ha voluto perseguire il seppur nobile obiettivo.
[9] Cfr. G. Proia, Le modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, in M. Persiani, G. Proia (a cura di), La nuova disciplina del Welfare , Cedam, Padova, 2008.
[10] Il termine “lavoratore a tempo indeterminato comparabile” indica un lavoratore con un contratto o un rapporto di lavoro di durata indeterminata appartenente allo stesso stabilimento e addetto a lavoro/occupazione identico o simile, tenuto conto delle qualifiche/competenze (Clausola 3.2).
[11] Piu’ precisamente l’art. 1, comma 1, D.Lgs. 368/2001prevede l’apposizione del termine per esigenze oggettive di carattere:
- tecnico, intendendo per tali quelle ipotesi dovute a situazioni contingenti che rendono necessario l’utilizzo di personale che abbia qualifiche e competenze differenti da quelle dell’organico normalmente utilizzato dall’azienda;
- produttivo ed organizzativo, qualora via sia ad esempio la necessità di far fronte ad esigenze di mercato;
- sostitutive, qualora vi siano lavoratori assenti per qualsiasi motivo con diritto alla conservazione del posto ed il datore di lavoro abbia necessità di utilizzare l’intero organico aziendale.
[12] Come già in precedenza stabilito dalla legge 230/62 radicalmente modificata dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, si ribadisce il principio secondo cui il contratto a tempo indeterminato è la regola e quello a tempo determinato costituisce l’eccezione.
[13] Le condizioni ed i limiti affinché sia possibile prorogare legittimamente detto termine saranno (art. 4 D.Lgs. 368/2001):
- il consenso del lavoratore, quindi è esclusa l’imposizione unilaterale della proroga da parte del solo datore di lavoro;
- la durata iniziale del contratto dovrà essere necessariamente inferiore a 3 anni.
In presenze di tali presupposti la proroga è ammessa una sola volta ed a condizione che:
- sia adeguatamente motivata da cause oggettive ovvero deve trattarsi di un’esigenza reale di prosecuzione del contratto;
- si riferisca alla medesima attività lavorativa per la quale il contratto è stato a suo tempo stipulato anche se non sarà necessario che il lavoratore debba ricoprire esattamente le stesse mansioni che svolgeva inizialmente;
- la durata complessiva del rapporto a tempo determinato non deve superare i 3 anni.
[14] Restano esclusi dalla disciplina riformata i contratti a termine caratterizzati dall’espletamento di mansioni non equivalenti. Il concetto di equivalenza deve essere considerato sia sotto il profilo oggettivo e retributivo sia sotto il profilo soggettivo. Nel primo caso ci si riferisce, per esempio, al medesimo livello di inquadramento mentre nel secondo ci si riferisce alla possibilità per il lavoratore di svolgere le nuove e diverse mansioni con le stesse attitudini e capacità possedute o maturate nell’attuazione delle precedenti.
[15] Elenco delle attività stagionali:
1. Sgusciatura delle mandorle.
2. Scuotitura, raccolta e sgranatura delle pine.
3. Raccolta e conservazione dei prodotti sottobosco (funghi, tartufi, fragole, lamponi, mirtilli, ecc.).
4. Raccolta e spremitura delle olive.
5. Produzione del vino comune (raccolta, trasporto, pigiatura dell’uva, torchiatura delle vinacce, cottura del mosto, travasamento del vino).
6. Monda e trapianto, taglio e raccolta del riso.
7. Motoaratura, mietitura, trebbiatura meccanica dei cereali e pressatura dei foraggi.
8. Lavorazione del falasco.
9. Lavorazione del sommacco.
10. Maciullazione e stigliatura della canapa.
11. Allevamento bachi, cernita ammasso e stufatura dei bozzoli.
12. Ammasso, sgranatura, legatura, macerazione e stesa all’aperto del lino.
13. Taglio delle erbe palustri, diserbo dei canali, riordinamento scoline delle opere consortili di bonifica.
14. Raccolta , infilzatura ed essiccamento della foglia del tabacco allo stato verde.
15. Cernita e condizionamento in colli della foglia di tabacco allo stato secco.
16. Taglio dei boschi, per il personale addetto all’abbattimento delle piante per legname da opera, alle operazioni per la preparazione della legna da ardere, alle operazioni di carbonizzazione nonché alle relative operazioni di trasporto.
17. Diradamento, raccolta e trasporto delle barbabietole da zucchero.
18. Scorzatura del sughero.
19. Salatura e marinatura del pesce.
20. Pesca e lavorazione del tonno.
21. Lavorazione delle sardine sotto’olio (per le aziende che esercitano solo tale attività).
22. Lavorazione delle carni suine.
23. Produzione di formaggi in caseifici che lavorano esclusivamente latte ovino.
24. Lavorazione industriale di frutta, ortaggi e legumi per la fabbricazione di prodotti conservati e di bevande (limitatamente al personale assunto nel periodo di lavorazione del prodotto fresco), nochè fabbricazione dei relativi contenitori).
25. Produzione di liquirizia.
26. Estrazione dell’olio dalle sanse e sua raffinazione.
27. Estrazione dell’olio dal vinacciolo e sua raffinazione .
28. Estrazione dell’alcool dalle vinacce e dalle mele.
29. Fabbricazione del ghiaccio (durante il periodo estivo).
30. Estrazione di essenze da erbe e frutti allo stato fresco.
31. Spiumatura della tiffa.
32. Sgranellala del cotone.
33. Lavatura della paglia per cappelli.
34. Trattura della seta.
35. Estrazione del tannino.
36. Fabbricazione e confezionamento di specialità dolciarie nei periodi precedenti le festività del Natale e della Pasqua.
37. Cave di alta montagna.
38. Montaggio, messa a punto e collaudo di esercizio di impianti per zuccherifici, per fabbriche di conserve alimentari e per attività limitate a campagne stagionale.
39. Fabbricazione dei laterizi con lavorazione a mano o mista a mano e macchina nelle quali si faccia uso di essiccatoi all’aperto.
40. Cernita e insaccamento delle castagne.
41. Sgusciatura ed insaccamento delle nocciole.
42. Raccolta, cernita, spedizione di prodotti ortofrutticoli freschi e fabbricazione dei relativi imballaggi.
43. Raccolta, cernita, confezione e spedizione di uve da tavola e da esportazione.
44. Lavaggio e imballaggio della lana.
45. Fiere ed esposizioni.
46. Lavori preparatori della campagna salifera (sfangamento canali, ripristino arginature mungitura e cilindratura caselle salanti, sistemazione aie di stagionatura), salvazione (movimento di acque, raccolta del sale).
47. Spalatura della neve.
48. Attività svolte in colonie montane, marine e curative e attività esercitate dalle aziende turistiche, che abbiano, nell’anno solare, un periodo di inattività non inferiore a settanta giorni continuativi o centoventi giorni non continuativi.
49. Preparazione e produzione di spettacoli per il personale non menzionato nella lettera e) dell’articolo 1 della legge 18 aprile 1962, n. 230, addetto a singoli spettacoli o serie di spettacoli consecutivi di durata prestabilita.
50. Attività del personale addetto alle arene cinematografiche estive.
51. Attività del personale assunto direttamente per corsi di insegnamento professionale di breve durata e soltanto per lo svolgimento di detti corsi.
52. Conduzione delle caldaie per il riscaldamento dei fabbricati.
[16] Comma 4-ter, art. 5, D.Lgs. n. 368/2001 aggiunto dall’art. 1, co. 40 Legge n. 247/2007.
[17] Art. 22, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003 come modificato dall’art. 1,comma 42, Legge n. 247/2007.
[18] Art. 10, comma 4, D.Lgs. n. 368/2001 come modificato dall’art. 1, comma 41 Legge n. 247/2007.
[19] “Al fine di garantire in qualche modo la stabilizzazione dei lavoratori precedentemente occupati a tempo determinato e la possibilità per gli stessi di vigilare sul datore di lavoro in ordine alle movimentazioni dell’organico aziendale”.
[20] Per le assunzioni a termine nelle attività stagionali, relativamente alle successive assunzioni a termine, per le medesime attività stagionali, effettuate dalla stessa azienda. Il diritto si estingue entro un anno dalla data di cessazione del rapporto e può essere esercitato solo dopo l’esplicita manifestazione di volontà del lavoratore al datore di lavoro entro 3 mesi dalla data di cessazione del rapporto.
[21] Fino al 31/12/2007 era possibile concludere contratti a termine senza limiti nelle seguenti ipotesi tassativamente fissate dalla legge:
a) nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;
b) per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, ivi comprese le attività già previste nell’elenco allegato al decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525 e successive modificazioni;
c) per l’intensificazione dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno (ora abrogato);
d) per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi;
e) per i contratti a tempo determinato stipulati a conclusione di un periodo di tirocinio o di stage, allo scopo di facilitare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro (ora abrogato);
f) contratti stipulati con lavoratori di età superiore ai cinquantacinque anni;
g) contratti conclusi quando l’assunzione abbia luogo per l’esecuzione di un’opera o di un servizio definiti o predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario o occasionale;
h) contratti a tempo determinato di durata non superiore ai sette mesi, compresi la eventuale proroga, ovvero non superiore alla maggiore durata definita dalla contrattazione collettiva con riferimento a situazioni di difficoltà occupazionale per specifiche aree geografiche (ora abrogato).
[22] L’inosservanza del divieto di discriminazione è punita con una sanzione amministrativa da € 25,82 a € 154,94. Qualora l’inosservanza si riferisca a piu’ di 5 lavoratori le sanzioni passano da € 154,94 a € 1.032,91.
[23] Dal 2007 sono abolite le disposizioni sulla NO TAX AREA e sulla FAMILY AREA.
[24] Così l’art. 23 D.P.R. 600/73 secondo cui il soggetto erogatore, ovvero il datore di lavoro, è tenuto ad operare oltre alle ritenute previdenziali una ritenuta fiscale a titolo d’acconto. Il datore di lavoro-sostituto d’imposta si frappone di fatto tra il titolare del reddito sulle cui retribuzioni effettua la ritenuta fiscale (all’atto del pagamento della retribuzione periodica) e l’erario, a cui riversa le ritenute stesse. Naturalmente questo sistema rende pressoché nulla la possibilità di evadere l’imposta corrispondente alle somme erogate la lavoratore dipendente.
[25] Si ricorda che l’Irpef non è dovuta se alla formazione del reddito concorrono solo redditi di pensione non superiori a € 7.500, redditi di terreni non superiori a € 185.92 e reddito dell’abitazione principale e relative pertinenze.
[26] Le detrazioni per i figli è ripartita nella misura del 50% tra i genitori non legalmente ed effettivamente separati. In alternativa, e previo accordo delle parti, si può scegliere di attribuire il 100% della somma spettante al genitore con il reddito piu’ elevato. Conseguentemente in caso di incapienza sull’imposta del genitore con reddito piu’ basso l’altro genitore puo’ godere per intero delle detrazioni.
[27] Si considerano altre persone a carico i soggetti indicati all’art. 433 del C.C. e diversi da quelli menzionati ai precedenti punti , che conviva con il contribuente o percepisca assegni familiari non risultanti da provvedimenti dell’autorità giudiziaria; genitori (in loro mancanza gli ascendenti prossimi), adottanti, generi, nuore, suoceri, fratelli e sorelle germani e unilaterali, nipoti, coniuge separato o divorziato che percepisca alimenti. Genitori adottanti, nonni, generi, nuore, suoceri, fratelli, sorelle, nipoti e figli maggiorenni che non rientrano nei precedenti punti. Ricordiamo ancora che per essere considerati a carico, coniuge, figli ed altri familiari devono possedere un reddito complessivo (al lordo degli oneri deducibili ) non superiore a euro 2.840,51.
[28] Per esempio collaborazioni coordinate e continuative e a progetto.
[29] Cfr. G. Proia, Le modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, in M. Persiani, G. Proia (a cura di), La nuova disciplina del Welfare , Cedam, Padova, 2008 secondo cui il limite dei trentasei mesi fissato dalla legge spingerebbe le aziende a ricorrere alla somministrazione del lavoro o alla esternalizzazione di alcune parti del processo produttivo o di erogazione del servizio con la conseguenza di ottenere l’esatto opposto risultato rispetto a quanto si voleva perseguire.
[30] Il periodo transitorio è dal 01/01/2008 al 31/03/2009.