lavoroprevidenza

martedì 3 giugno 2008

IL MOBBING COME FENOMENO SOCIALE

I dati sul fenomeno risultano ormai numerosi e inquietanti, in Italia colpisce ormai quasi 1,5 milioni di lavoratori e si manifesterebbe con maggior frequenza in determinati settori, quali l’industria, i servizi e la pubblica amministrazione, con punte, rispettivamente del 38 – 22%, rispetto ad altri, quali l’agricoltura, in cui invece non raggiunge il 2%. In Europa (dato relativo al 1998) l’8,1% dei dipendenti avrebbe subito in ambito lavorativo violenze psicologiche di ogni tipo (ossia circa 12 milioni di persone). La nazione più colpita sarebbe la Gran Bretagna, dove il 53% degli occupanti dichiarano di aver subito violenze psicologiche sui luoghi di lavoro e il 78% è stato testimone di questi sopprusi; significativi anche i dati della Svezia (10,2%), della Francia (9,9%) e della Germania (7,3%). Il nostro paese si collocherebbe negli ultimi posti della graduatoria (4,2%), anche se si tratta di un dato verosimilmente sottostimato in quanto, a differenza che all’estero, mancherebbe da parte delle vittime la consapevolezza dell’azione illecita svolta nei loro confronti, con conseguente mancata presentazione della denuncia delle violenze subite.
Sul piano generazionale inoltre il mobbing coinvolgerebbe sia i giovani sia gli anziani, pur coincidendo l’età a maggior “rischio” con quella dei soggetti maggiori di 45 anni, poiché “in genere, i giovani neo-assunti, spinti dal disagio economico e dal bisogno di occupazione, sono più inclini a tollerare i piccoli o grandi soprusi quotidiani, e quindi tendono a denunciare più raramente gli episodi di violenza psicologica di cui restano vittime nei luoghi di lavoro; in secondo luogo perché i lavoratori anziani, costando di più alle imprese, sono i soggetti più a rischio quanto al mobbing verticale, in quanto finalizzato ad ottenerne il prepensionamento o, comunque, le dimissioni per assumere al loro posto giovani con meno pretese economiche “.
Al di là dei dati normativi, ormai numerose e variegate risultano le iniziative assunte a livello di enti pubblici per fronteggiare il fenomeno; sportelli anti-mobbing per dare assistenza ai lavoratori del settore pubblico e privato, verificare il riconoscimento dei disturbi muscoloscheletrici come malattia professionale derivante da mobbing. N
Numerosi progetti di legge sono stati presentati, per completezza di prospettazioni e di soluzioni merita alcune riflessioni il disegno di legge n. 870 Senato della Repubblica “Norme per contrastare il fenomeno del mobbing”.
Nell’art. 1 vengono ricondotti nell’ambito della definizione di mobbing, “tutti quegli atti e comportamenti posti in essere da datori di lavoro, capi intermedi e colleghi, che si traducono in atteggiamenti persecutori, attuati in forma evidente, con specifica determinazione e carattere di continuità, atti ad arrecare danni rilevanti alla condizione psico-fisica del lavoratore, ovvero anche al solo fine di allontanarlo dalla collettività in seno alla quale presta la propria opera”.
La finalità della legge risulta quella di tutelare “tutti i lavoratori che, in qualsiasi luogo di lavoro e a qualsiasi livello, subiscono comportamenti ostili che assumono le caratteristiche della violenza fisica, comprese le molestie anche sessuali, e della persecuzione psicologica, nell’ambito dei rapporti di lavoro”.
Viene tentata inoltre una “tipizzazione” dei comportamenti, elencati quali “atti di ostilità, attacchi alla reputazione, creazione di falsi pettegolezzi, insinuazioni malevole, segnalazioni diffamatorie, attribuzioni di errori altrui, carenza di informative e informazioni volutamente errate, al fine di creare problemi, controlli e sorveglianza continui, minacce di trasferimenti, apertura di corrispondenza, difficoltà di permessi o ferie, assenza di promozioni o passaggi di grado, ingiustificata rimozione da incarichi già ricoperti, svalutazione dei risultati ottenuti”.
E’ peraltro prevista l’emanazione per opera del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di un apposito decreto diretto a individuare le singole fattispecie di violenza e persecuzione ai danni dei lavoratori rilevanti ai sensi della legge.
Non sono mancate le iniziative legislative a livello regionale dirette ad affrontare il problema; si segnala al proposito un progetto di legge della regione Lazio “Disposizioni per prevenire e contrastare il fenomeno del “mobbing” nei luoghi di lavoro”, tradotto poi nella legge regionale 11 luglio 2002, n. 16, individuati nella crescita e nello sviluppo di una cultura del rispetto dei diritti dei lavoratori da parte di tutte le componenti del mondo del lavoro gli elementi fondamentali per il raggiungimento delle finalità della legge nonché per un’ottimale utilizzazione delle risorse umane nei luoghi di lavoro.
dott.ssa Cesira Cruciani

La valutazione medico legale del mobbing

La valutazione del danno psichico conseguente al mobbing non si può ritenere sia oggi consolidata nella realtà peritale, e ciò sia nell’ambito dei procedimenti penali o del lavoro, sia in ambito civilistico, in relazione alla quantificazione del danno biologico che eventualmente ne sia derivato. E’ un dato oggettivo, infatti, che esistano interpretazioni e atteggiamenti assai difformi nei diversi tribunali.
Per il medico legale si tratta di una valutazione viziata alla base, a mio avviso, da una sorta di accettata e taciuta pregiudiziale, cioè l’impossibilità di valutare correttamente il fondamentale dei criteri per l’affermazione del nesso di causalità, ossia quello dell’efficienza lesiva.
Di fatto, quando viene disposta una perizia, molto spesso il medico legale non ha a disposizione il primo degli elementi di valutazione, ossia non sa se la condizione lavorativa ritenuta ingiusta e denunciata dal periziando sia davvero riconducibile al mobbing e, comunque, non ha elementi oggettivi per valutare la idoneità a nuocere della condotta ritenuta ingiusta (indipendentemente dal fatto che lo sia o meno) e, soprattutto, a cagionare l’evento danno.
Punto d’inizio del processo valutativo medico legale non potrà che essere la diagnosi psichiatrica, che non potrà che essere formulata, previo approfondito esame clinico, eventualmente supportato da test psicodiagnostici, da parte di uno psichiatra, con formazione specifica in ambito forense.
Una volta accertata l’esistenza di una malattia e individuatane l’entità clinica, compito del medico legale sarà correrarla causalmente alla condotta mobbizzante patita dal periziando e valutarla in termini di danno biologico.
Si dovrà tener conto di:
- personalità precedente all’evento lesivo;
- analisi del momento e del tipo di cambiamento avvenuto nelle condizioni psichiche del soggetto correlate alla evoluzione della condizione lavorativa;
- individuazione delle linee di compensazione e dei meccanismi di difesa messi in atto dopo l’evento,
- individuazione degli interventi terapeutici (farmacologici o psico-terapeutici) messi in atto;
- valutazione della risposta alla terapia in relazione al tempo trascorso (i disturbi psichici post-traumatici vanno spesso incontro a risoluzione nel tempo);
- descrizione dello stato attuale,
- esame delle abilità e attitudini sociali al momento compromesse (interessi culturali, hobbies, sport, ecc.).
Si dovrà porre molta attenzione allo studio degli eventi riferiti dal periziando come causa della condizione di disagio. In questa attenta anamnesi, nella quale non si dovrà dimenticare che il paziente non può, essere del tutto attendibile, si dovranno scorgere le fasi attraverso le quali si sviluppa il mobbing.
dott. Riccardo Davide Montalbano


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