venerdì 2 maggio 2008
CONTRATTI A PROGETTO: ECCO COSA POSSONO NASCONDERE
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A più di quattro anni dall’entrata in vigore della ‘Legge Biagi’ (che ha introdotto nel nostro ordinamento il contratto a progetto), è sempre più in crescita il numero dei lavoratori a progetto, mentre sono in calo le assunzioni a tempo indeterminato.
L’importanza cruciale del lavoro a progetto nell’attuale Mercato del lavoro è stata sottolineata dal Ministero del Lavoro che, infatti, ha emanato già quattro circolari (l’ultima è la numero 8 del 31 marzo 2008), fornendo chiarimenti e indicazioni operative. Ai sensi dell’art. 61 del d.lgs. 276/2003 (cosiddetta ‘Legge Biagi’), le collaborazioni coordinate e continuative devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro (o fasi di esso). Sono, pertanto, illegittimi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa posti in essere al di fuori di questo schema negoziale tipico, con la conseguenza della trasformazione del rapporto di lavoro a progetto in rapporto subordinato a tempo indeterminato. Il contratto a progetto può essere validamente e legittimamente stipulato per lo svolgimento di un’attività progettuale resa in piena autonomia e sulla base di un mero coordinamento con il committente (nell’ambito del contratto a progetto è più corretto parlare di committente piuttosto che di datore di lavoro). Il contratto a progetto deve tendere al raggiungimento di un risultato predeterminato. La forma scritta del contratto di lavoro a progetto è richiesta soltanto ai fini della prova. In altre parole, essa assume valore decisivo per l’individuazione del progetto o programma di lavoro (o fase di esso). In mancanza di forma scritta, infatti, non sarà facile per il committente dimostrare che la prestazione lavorativa sia riconducibile nell’ambito del contratto (autonomo) a progetto. A tal proposito, nel caso in cui nel contratto manchi totalmente l’indicazione del progetto, il rapporto di lavoro si trasforma automaticamente in lavoro subordinato a tempo indeterminato, a meno che il committente fornisca la prova dell’esistenza di un rapporto di lavoro effettivamente autonomo. Se, invece, il progetto esiste ed è indicato nel contratto, sarà il lavoratore a dovere dimostrare la natura subordinata del rapporto di lavoro e che il progetto, in concreto, non esiste. Il progetto o programma di lavoro (o fase di esso) deve essere specificato ed individuato in modo specifico. Esso può essere funzionalmente correlato all’attività esercitata dall’impresa, ma non può in nessun modo coincidere con essa. Ciò significa che il progetto indicato nel contratto non può limitarsi a descrivere il mero svolgimento dell’attività esercitata dall’impresa né può consistere nella semplice elencazione, seppur analitica, delle mansioni del lavoratore. Se da un lato l’inserimento del collaboratore a progetto nel contesto aziendale non può essere considerato un elemento decisivo per la natura subordinata del rapporto di lavoro, dall’altro è, però, necessario che il collaboratore abbia una autonomia di scelta sulle modalità esecutive di svolgimento della propria prestazione lavorativa. Non si dimentichi, infatti, che il lavoro a progetto ha natura autonoma ed è proprio questo l’elemento che lo differenzia dal rapporto di lavoro subordinato. Deve, dunque, mancare qualsiasi tipo di direzione e controllo, da parte del committente, sull’attività del collaboratore. E’, inoltre, ininfluente il tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa: ciò che conta è la realizzazione del progetto. Si parla, a tal proposito, di obbligazione di risultato e non di durata. Ecco perché il compenso del collaboratore non può essere legato esclusivamente al tempo della prestazione, così come avviene nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato. La non ingerenza del committente nell’attività lavorativa del collaboratore comporta anche che egli non può e non deve attuare alcun potere disciplinare nei confronti dello stesso. Per quanto riguarda le concrete modalità operative con le quali vengono rese le prestazioni lavorative, va detto che una prestazione ripetitiva e predeterminata è assai difficilmente compatibile con una attività di carattere progettuale. Inoltre, il collaboratore non deve essere utilizzato per una molteplicità di generiche attività estranee al progetto. La sua prestazione non deve in nessun caso risolversi in una mera messa a disposizione di energie lavorative in favore del committente. Per quanto riguarda, infine, la proroga del contratto nel caso in cui il risultato indicato nel progetto non sia stato raggiunto entro la scadenza del contratto, si osserva che la proroga ingiustificata – così come il rinnovo del contratto per un progetto identico al precedente – costituiscono elementi particolarmente incisivi per la prova della subordinazione.
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BREVE PROFILO PROFESSIONALE DELL’AUTORE DELL’ARTICOLO
Maximilian Maria Russo, avvocato giuslavorista, è iscritto all’albo degli avvocati di Milano e svolge la professione forense prevalentemente presso i Fori di Milano e Monza.
Giornalista pubblicista iscritto all’albo dei giornalisti della Lombardia, collabora con importati quotidiani, riviste e testate giornalistiche, anche on-line, scrivendo articoli, commenti, pareri e curando rubriche in materia di Diritto del Lavoro.
Laureato in Giurisprudenza presso l’Università Cattolica di Milano, ha frequentato la Scuola di Specializzazione Forense istituita presso l’Ordine degli Avvocati di Milano.
Sin dall’inizio della pratica professionale (nel 2004) presso lo Studio Legale Lino Greco (legale di riferimento della CGIL di Sesto San Giovanni e Cologno Monzese), ha svolto la professione forense nell’ambito del Diritto del Lavoro, studiandone e affrontandone tutti gli aspetti. Ha seguito il contenzioso giudiziale in materia di rapporti di lavoro, licenziamenti individuali e collettivi, demansionamento e dequalificazione professionale, mobbing, etc. Ha curato le fasi di trattativa e consultazione sindacale relative a licenziamenti collettivi, mobilità, cassa integrazione, etc.
Successivamente (dal 2006) ha collaborato con lo Studio Legale Fava & Associati di Milano fornendo consulenza a favore di importanti società italiane ed estere in merito alla gestione e organizzazione del personale e ai relativi contratti di lavoro. Ha seguito il contenzioso giudiziale e stragiudiziale relativo ai rapporti di lavoro subordinato, parasubordinato e autonomo, ai rapporti dirigenziali e impiegatizi, ai rapporti di agenzia, di procacciamento d’affari, di somministrazione di lavoro, etc. Ha curato le fasi dei procedimenti disciplinari a carico dei dipendenti, le operazioni di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale, acquisizione, fusione, cessione di ramo d’azienda, etc. Ha elaborato due diligence legali nell’ambito di operazioni societarie.
Nel mese di febbraio 2008 ha fondato lo studio legale Maximilian Maria Russo con sedi a Milano e Lissone.