lavoroprevidenza

mercoledì 23 aprile 2008

I CONTRATTI A TERMINE NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Oggi pubblichiamo un interessante articolo,sul tema del contratto a termine nel P.I., dopo la circolare del 2008 a firma del dr. Fausto Troilo.


Nel corso degli ultimi due anni, si è assistito ad un notevole mutamento della disciplina sul contratto a termine.
Si è, infatti, passati da una generale applicabilità -sia al lavoro privato che a quello pubblico- del d. lgs. 368/2001 (impianto normativo cardine della disciplina sul lavoro a termine) ad una, direi brusca, fuoriuscita del secondo dall’alveo di applicazione del suddetto decreto legislativo.
Infatti, la legge n. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008), ha modificato, in maniera consistente, l’art. 36 del d. lgs. 165/2001, sottraendo, così, la disciplina dei contratti a termine nella P.A. al regime ordinario contenuto nel d. lgs. 368/2001, anch’esso sostanzialmente modificato dalla suddetta legge finanziaria (si pensi all’art. 1 del d. lgs. 368/2001 nella parte in recita che “…il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato…” e che, pertanto, l’apposizione di un termine è consentita solo al ricorrere di determinate condizioni).
L’art. 36 stabilisce, oggi, che “..le amministrazioni pubbliche assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato e non possono avvalersi delle forme contrattuali di lavoro flessibile previste dal c.c. e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa se non per esigenze stagionali o per periodi non superiori a tre mesi..”.
Prima di passare agli approfondimenti del testo normativo, è necessario risalire alle finalità che il legislatore ha inteso perseguire con la novella dell’art. 36.
Orbene, la legge finanziaria per il 2008 ha previsto ulteriori norme in materia di reclutamento con il proposito di condurre a compimento il processo di graduale stabilizzazione del personale precario già intrapreso con le speciali disposizioni precedentemente dettate dalla legge finanziaria per il 2007.
Disposizioni, queste, di certo derogatorie rispetto alle normali procedure di assunzione (previste dall’art. 35 del d. lgs. 165/2001), ma finalizzate, come detto, a sanare situazioni lavorative precarie, in attesa di tornare ad un regime ordinario fondato sulla regola costituzionale del concorso pubblico, senza riserva di posti, per l’assunzione a tempo indeterminato.
A tal proposito, il Ministro per le Riforme e le Innovazioni nelle Pubbliche Amministrazioni, Luigi Nicolais, ha emanato, nell’aprile 2007, una direttiva al fine di impartire le opportune istruzioni, agli enti interessati, circa la corretta applicazione di 2 o 3 commi dell’art. 1 della legge finanziaria per il 2007 in materia di stabilizzazione e proroga dei contratti a tempo determinato, ricordando, alle amministrazioni pubbliche, la necessità di rispettare determinati punti fondamentali tra cui: l’accertamento della vacanza in organico, l’osservanza del principio dell’accesso tramite procedure selettive, oltre che l’obbligo, per le amministrazioni interessate, di definire, nell’ambito della propria autonomia regolamentare, le procedure di stabilizzazione, in coerenza con i principi sanciti dall’art. 35, d. lgs. 165/2001.
Il rimedio della stabilizzazione, quale procedura di reclutamento speciale di assunzione a tempo indeterminato, per fronteggiare il fenomeno del precariato, è stato quest’anno accompagnato dal preciso obiettivo di prevenire il costituirsi di nuove schiere di lavoratori precari.
Inoltre, le amministrazioni interessate avranno la possibilità di predisporre, nell’ambito della programmazione triennale del fabbisogno per gli anni 2008-09-10, piani per la progressiva stabilizzazione del personale.
La misura della stabilizzazione ben si concilia con il -seppur diverso- regime restrittivo e di rigore sull’utilizzo del lavoro flessibile, introdotto dall’art. 36 in oggetto, che rappresenta lo strumento utilizzato dal legislatore per perseguire la predetta finalità preventiva, esprimendo al contempo un principio importante che è quello dell’assunzione secondo il modello standard a tempo indeterminato; criterio cardine, questo, delle politiche assunzionali delle amministrazioni pubbliche, anche per la definizione delle scelte espresse in sede di programmazione triennale del fabbisogno, il quale si esprime attraverso la definizione delle dotazioni organiche.
Le assunzioni a tempo indeterminato comportano l’immissione in ruolo del personale e, quindi, la copertura della relativa pianta organica realizzando, così, un nesso virtuoso ed effettivo tra dipendenti in servizio e fabbisogno reale delle amministrazioni.
Questo aspetto di prevenzione del formarsi del nuovo precariato rappresenta la chiave di lettura imprescindibile per definire correttamente la portata innovativa dell’art. 36 novellato.
Pertanto, si può affermare che la disposizione nasce come reazione al contesto storico caratterizzato dall’emergenza del fenomeno del precariato causato dal degenerato uso del lavoro flessibile, spesso utilizzato per eludere il principio costituzionale della concorsualità, regola primaria in materia di accesso nella P.A..
Stabilito, dunque, che il fine primario è quello di evitare il ricostituirsi di illegittimità e criticità gestionali, occorre ora dare una lettura coerente del testo riformulato, in una dimensione di salvaguardia dell’interesse pubblico primario e di garanzia del rispetto dei principi di buon andamento e continuità dell’azione amm.va, non disgiunti da quelli di economicità ed efficienza.
Ferme restando le procedure inderogabili di reclutamento previste dall’art. 35 del d. lgs. 165/2001, al fine di rafforzare la natura temporanea del rapporto di a termine e di circoscriverne l’utilizzo, la nuova disciplina è stata costruita intorno alla durata limitata dello stesso che, salve deroghe previste, non può superare i tre mesi.
Rimane ferma la clausola generale, da alcuni definita “causalone”, individuata nel d. lgs. 368/2001, circa le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostituivo” che possono determinare il ricorso al tempo determinato.
La proroga, dunque, è ammessa solo fino al limite massimo di tre mesi e sarà, ovviamente, vietata qualora il contratto abbia un termine iniziale pari al trimestre.
Il rinnovo, invece, che altro non è che la stipula di un contratto a termine per lo svolgimento di una prestazione identica a quella oggetto del precedente contratto (la prestazione si considera identica ogni volta in cui l’assunzione avvenga sulla base della medesima graduatoria) è categoricamente escluso dl comma 2 dell’art. 36. Pertanto, alla conclusione del contratto le amministrazioni dovranno scorrere la graduatoria o, se necessario, avviare una nuova procedura concorsuale, e non procedere al rinnovo del contratto con il medesimo lavoratore.
Il fine è, dunque, quello di evitare un fenomeno in passato assai diffuso: utilizzare il medesimo lavoratore con diverse tipologie contrattuali.
Prassi, questa, che ha favorito il consolidarsi di situazioni di precariato che il legislatore intende ora combattere in quanto tali fattispecie altro non rappresenterebbero che strumenti elusivi delle disposizioni restrittive dettate dal nuovo art. 36.
Rimangono, in ogni caso, fuori dalla nuova disciplina, fino alla scadenza del contratto, i rapporti sorti anteriormente all’entrata in vigore della legge.
Il ricorso al tempo determinato, anche per periodi superiori a tre mesi, è, invece, previsto per esigenze stagionali (ipotesi, questa, sorta i prevalenza nel settore dell’agricoltura). A tal proposito le amministrazioni dovrebbero individuare con atto formale (determina o delibera dell’organo di vertice) un elenco di attività caratterizzate dal carattere della stagionalità.
Si può, altresì, prescindere dal limite temporale (3 mesi) per la sostituzione per maternità, di lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto nonché per i lavoratori cessati dal servizio.
Di non poca importanza sono, poi, le deroghe connesse alla tipologia dell’incarico.
In sostanza rimangono escluse dal limite temporale in parola alcune tipologie di incarichi conferiti a tempo determinato, elencati al comma 7 dell’art. 36, ed in particolare:
-gli uffici di diretta collaborazione del Ministro;
-gli uffici posti alle dirette dipendenze del Sindaco o del Presidente della Provincia o della Giunta regionale;
-gli incarichi dirigenziali.
In riferimento a questi ultimi, sono da ritenervi compresi gli incarichi dirigenziali di cui all’art. 19, comma 6, del d. lgs. 165/2001, nonché quelli di cui all’art. 110, commi 1 e 2, del d. lgs. 267/2000.
Orbene, premesso che, come specificato nella recentissima circolare l marzo 2008 del Dipartimento della Funzione pubblica, la flessibilità nella P.A. non svolge il ruolo di incentivo alla crescita dei livelli occupazionali ma quello di migliorare la funzionalità dell’organizzazione, è doveroso chiedersi se il regime restrittivo contenuto nel novellato art. 36 del d. lgs. 165/2001 sia da riferire a tutte le forme contrattuali di lavoro flessibile, stante il rischio che una lettura letterale dello stesso potrebbe indurre a dare alla disposizione una “valenza assoluta”.
Ed infatti sono da escludere, dalle nuove limitazioni, le forme di flessibilità compatibili con il lavoro a tempo indeterminato.
In primis, il tempo parziale che si sostanzia in un utilizzo flessibile della prestazione lavorativa e non del rapporto di lavoro, la cui durata del contratto rimane assolutamente neutrale rispetto alla tipologia prescelta di riduzione dell´orario o del periodo di lavoro.
Vi è, poi, il telelavoro, anch’esso pienamente compatibile con la tipologia del tempo indeterminato, che si configura come un normale rapporto di lavoro subordinato in cui la flessibilità si esprime nella peculiarità della modifica del luogo di adempimento della prestazione lavorativa.
E’, altresì, importante definire la portata dell´art. 36 del d.lgs 165/2001, rispetto al contratto di formazione e lavoro che si configura come tipologia flessibile, a causa mista, nell´ambito di un rapporto che crea un vincolo di subordinazione a tempo determinato.
In questo caso, pur sembrando più problematico escludere l’applicabilità dell’art. 36 ai contratti di formazione e lavoro, il combinato disposto di questo con l’art. 86, comma 9, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, recante "Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30", spazza via ogni dubbio in merito alla esclusione del contratto di formazione e lavoro dall’ambito della novella. Questo perchè, pur se l´art. 36 esclude l´applicabilità "delle forme contrattuali di lavoro flessibile previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell´impresa", secondo il citato art. 86, comma 9, il contratto di formazione e lavoro non si applica più alle imprese in quanto trova applicazione esclusivamente nei confronti della pubblica amministrazione.
Non solo: le leggi finanziarie degli ultimi anni, inneggiando alla stabilizzazione, hanno mostrato particolare attenzione ai contratti di formazione e lavoro, prevedendo disposizioni di favore volte alla conversione degli stessi a tempo indeterminato. Il tutto, tra l’altro, senza dover attivare ulteriori procedure concorsuali pubbliche per la copertura dei posti a tempo indeterminato, sul presupposto che tali procedure sono già state svolte precedentemente alla stipulazione dei contratti di formazione e lavoro.
Vi è, inoltre, un´altra caratteristica che induce ad escludere l´applicabilità del nuovo art. 36 al contratto di formazione e lavoro. Essa è da collegare direttamente alla causa mista del contratto che associa alla prestazione lavorativa retribuita un obbligo di formazione per un numero minimo di ore che varia in ragione della finalità del contratto. La disciplina prevista per i contratti di formazione e lavoro è finalizzata a combinare in maniera equilibrata, secondo la professionalità da acquisire, i tempi della prestazione lavorativa con quelli della formazione, in armonia con la natura mista del contratto.
Orbene, l´applicazione del limite temporale dettato dall´art. 36 о la causalità della stagionalità non si concilierebbero con il connubio formazione e lavoro che è alla base della tipologia di contratto in questione. Si aggiunge, altresì, che il termine nel contratto di formazione e lavoro non è nella disponibilità delle parti, in quanto la durata dello stesso è fissata ex lege in maniera inderogabile.
È il caso di sottolineare, infine, che anche l´art. 10 del decreto legislativo 368/2001 esclude dal suo campo di applicazione i contratti di formazione e lavoro in ossequio alla specialità del rapporto che lo diversifica da quello a tempo determinato.
L´esclusione del contratto di formazione e lavoro dall´ambito dell´art. 36 novellato comporta, nella sostanza, come già accennato, che di questa tipologia si va a privilegiare la sua vocazione di contratto che andrà verso la conversione al tempo indeterminato.
Non potranno essere avviati contratti di formazione e lavoro se le amministrazioni non potranno garantirne la conversione con le risorse finanziarie previste dal regime assunzionale di settore, fermo restando la relativa procedura autorizzatoria.
Per quanto riguarda il contratto di somministrazione è intervenuto l´ordine del giorno del Senato, del febbraio 2008, accolto dal Governo, nel quale è espresso l´orientamento che la disciplina dettata dall´art. 36 debba riguardare, in ossequio alla ratio sottesa, soltanto i contratti di lavoro stipulati alle dipendenze delle pubbliche amministrazione che sono gli unici sui quali possono insorgere aspettative di stabilizzazione per i lavoratori interessati. Poiché nei contratti di somministrazione il rapporto di lavoro si instaura tra agenzia e lavoratore, non si corre il rischio di innescare situazioni di precariato. Del resto, come evidenziato nell´ordine del giorno, le leggi finanziarie del 2007 e del 2008 non includono tra il personale destinatario di stabilizzazione i lavoratori somministrati.
L´ordine del giorno, tra l’altro, ribadisce la tesi della piena ammissibilità dell´utilizzo del lavoro somministrato da parte delle pubbliche amministrazioni, fermo restando il rigoroso rispetto da parte delle stesse dei vincoli di finanza pubblica, delle procedure e dell´obbligo di motivazione di ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato.
E´ buona regola di amministrazione, infine, accertarsi che il personale somministrato sia selezionato secondo criteri che garantiscano la qualità e la professionalità dello stesso e secondo procedure improntate ai principi di imparzialità e trasparenza.
L’analisi fin qui condotta trova la sua naturale conclusione nella comparazione tra il lavoro flessibile subordinato e quello autonomo.
Ed infatti l’obiettivo, perseguito dalla legge finanziaria per il 2008, di un uso oculato del lavoro flessibile si è espresso tanto per quanto riguarda le tipologie contrattuali riconducibili al rapporto di lavoro di tipo subordinato (nuovo art. 36 d. lgs. 165/2001) quanto per quelle riconducibili al lavoro autonomo (art. 7, comma 6, d. lgs. 165/2001).
E’ opportuno sottolineare, al fine di evitare erronee interpretazioni delle norme, che l’art. 36 disciplina storicamente le forme di lavoro flessibile che hanno comunque alla base un rapporto di lavoro subordinato, come confermato anche dalla sua collocazione nell´ambito di un Capo che è dedicato, tra le altre materie, all´accesso ed al fabbisogno di personale. Si può parlare di accesso solo nel caso in cui si intende procedere ad assunzione, concetto in stretta antitesi con il modello atipico di lavoro autonomo.
Data la natura di contratto esterno che caratterizza il lavoro autonomo il legislatore ha previsto per lo stesso una separata collocazione nell´ambito dell´art. 7, comma 6 e seguenti, dello stesso d. lgs. 165/2001 che contempla le varie forme in cui esso può esprimersi che comprendono il conferimento di incarichi individuali con contratti di natura occasionale o coordinata e continuativa.
Il conferimento dei suddetti incarichi individuali è subordinato alla sussistenza, in capo ai soggetti, del requisito della “particolare e comprovata specializzazione universitaria”.
Il requisito della “particolare e comprovata specializzazione universitaria” consente, unitamente agli altri presupposti previsti dalla normativa al riguardo, di individuare più selettivamente sia le esigenze reali che giustificano il ricorso a tali figure, sia le professionalità a cui si può fare riferimento.
Pertanto, le amministrazioni non potranno stipulare contratti di lavoro autonomo con persone con una qualificazione professionale inferiore (alla laurea specialistica rilasciata dal nuovo ordinamento universitario, ferma restando l’equiparazione prevista per la laurea del vecchio ordinamento; non sono tuttavia da escludere altre specializzazioni, frutto di percorsi universitari didattici universitari completi e definiti formalmente dai rispettivi ordinamenti, in aggiunta alla laurea triennale).
Peraltro, il riferimento all’esperienza ed alla particolarità della competenza, così come la necessità di una procedura comparativa per il conferimento degli incarichi, porta a considerare la necessità di reperire collaboratori che operano da tempo nel settore di interesse.






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