lavoroprevidenza

giovedì 6 marzo 2008

MINORI: ULTIMO RAPPORTO SAVE THE CHILDREN E TUTELA DEL NOSTRO ORDINAMENTO

Approfondimento della dott.ssa Roberta Caragnano
Per ricevere il Rapporto in lingua originale inoltrate la vostra richiesta alla Redazione di LavoroPrevidenza.com (info@lavoroprevidenza.com)

Secondo l’ultimo rapporto Save the children nel mondo sarebbero 191 milioni i minori con meno di 15 anni economicamente attivi, di cui 165 milioni coinvolti in situazioni di lavoro minorile vero e proprio e 75 milioni nelle forme peggiori di sfruttamento; 8,4 milioni di minori, poi, vivono in condizione di schiavitù.
Save the Children ha ribadito il proprio impegno sulla tematica del lavoro minorile, approfondendo una sfera particolarmente complessa, relativa ai minori stranieri che vivono nel nostro Paese, attraverso lo studio “Minori al lavoro. Il caso dei minori migranti”.
In apertura dei lavori dell’incontro di presentazione della pubblicazione, Agostino Megale - Presidente dell’Ires Cgil – ha sottolineato che: “In Italia la stima dei minori di 15 anni che lavorano ammonta tra i 480.000 e i 500.000, di cui circa 70.000-80.000 minori stranieri. Tra i prossimi obiettivi istituzionali, promossi anche dalle parti sociali, emerge la proposta di attivare un monitoraggio sul tema, coordinato dall’Istat e finalizzato a superare l’incertezza sul dimensionamento del fenomeno; questo è anche previsto nella nuova edizione della Carta di impegni per promuovere i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ed eliminare lo sfruttamento del lavoro minorile, che sarà varata nel 2008, a 10 anni dalla prima”.
Il Direttore Generale di Save the Children Italia, presentando la ricerca partecipata realizzata dalla sua organizzazione e basata sul diretto coinvolgimento di un gruppo di minori migranti ha affermato che: “Sono emersi dei nodi cruciali relativi al lavoro minorile e allo sfruttamento del lavoro dei minori stranieri, quali la necessità dei ragazzi di contribuire all’economia familiare, la sovrapposizione che esiste tra lavoro minorile e lavoro nero, il considerare come lavorative attività illegali e, infine, la difficoltà di conciliare il lavoro con la scuola, ma anche con il tempo libero. È su queste problematiche che deve concretizzarsi il nostro impegno, affinché vi sia una ricaduta positiva anche su un altro elemento emerso nelle interviste: la mancanza di un approccio al lavoro basato sui diritti e di una progettualità futura. Il metodo seguito nella ricerca di Save the Children si basa sul diritto alla partecipazione, sancito dalla Convenzione ONU per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza: questo lavoro ha rappresentato senza dubbio un’occasione sia per i ragazzi ricercatori che per quelli intervistati per far ascoltare la propria voce”.
Nella parte dell’indagine condotta dall’Ires Cgil è stata elaborata una matrice dei fattori di rischio associabili al lavoro minorile, ovvero quell’insieme di condizioni di base che tendono a far aumentare la probabilità che un minore si trovi precocemente inserito nel mondo del lavoro. Tra i più esposti al lavoro minorile sono risultati: i minori maschi, in un età compresa tra gli 11 ed i 14 anni, con un’incidenza maggiore all’aumentare dell’età in questo intervallo, di nazionalità straniera, che vivono in una famiglia mono-genitoriale o in un nucleo familiare con più minori, e risiedono in un territorio con un alto tasso di disoccupazione. Altri “indicatori di rischio” sono rappresentati dall’appartenere a famiglie con un solo reddito o, comunque, dal vivere in zone con alte percentuali di famiglie con redditi inferiori al 50% della media nazionale.
Dall’indagine, inoltre, emerge che il tratto principale e più frequente che caratterizza il profilo dei minori che lavorano precocemente è quello dell’intensità dell’esperienza: quando un minore è coinvolto in un’attività di lavoro precoce, la sua non è un’esperienza residuale, ma spesso totalizzante, elemento che il più delle volte determina rischi di marginalità sociale soprattutto tra i minori stranieri.
Tra i minori nella fascia di età tra gli 11 e i 14 anni, ben il 25,5% di quelli stranieri ha avuto un’esperienza lavorativa, di contro al 20,9% dei minori italiani.
Le esperienze di lavoro dei minori migranti si realizzano prevalentemente all’interno del gruppo familiare: quasi tutti i minori cinesi (90%) collaborano con la famiglia, mentre nel gruppo dei minori stranieri di diverse nazionalità la quota di coloro che aiutano i genitori è del 56%, a cui si deve aggiungere un 9% che ha dichiarato di lavorare in casa svolgendo attività di aiuto familiare, per un totale pari al 65%. Al contrario, tra i minori italiani si registra la quota più alta di lavoro presso terzi, segno probabilmente di un maggior legame con il tessuto socio-economico e con il mercato del lavoro locale.
Dal rapporto emerge, inoltre, che la famiglia spesso rappresenta anche il principale canale d’accesso al mondo del lavoro per i minori stranieri, mantenendo un’influenza nell’orientamento al lavoro precoce che assume talvolta, ed in ogni caso più spesso che per quelli italiani, la forma di una collaborazione finalizzata al sostegno economico familiare nel suo complesso, sia esso di supporto alla micro-impresa familiare o di più generale integrazione del reddito dei genitori.
Secondo la ricerca, esiste una forte diversità anche tra i luoghi di lavoro dei minori stranieri rispetto a quelli degli italiani: tra i primi, 1 su 3 lavora in strada come venditore ambulante o in alcuni casi svolgendo attività di accattonaggio, mentre i secondi dichiarano di lavorare prevalentemente in ambienti “più protetti” quali negozi, bar, ristoranti (40%), con un residuale 12% che lavora in strada. Peculiare il caso dei minori cinesi, il 61% dei quali lavora prevalentemente in laboratori artigianali tessili o di pelletteria nelle diverse città italiane e che risultano esposti a condizioni di lavoro a rischio sia per l’utilizzo di macchinari pericolosi che per i ritmi di lavoro intenso.
Una differenza di fondo tra minori italiani e stranieri che lavorano emerge anche in relazione all’entità dell’impegno e alla periodicità del lavoro svolto: il 59% dei cinesi, così come il 42% degli altri minori stranieri lavora tutto l’anno, mentre la maggior parte di quelli italiani lo fa saltuariamente, con un 42% che dichiara di farlo quando capita e un altro 33% solo in alcuni periodi, soprattutto d’estate.
Circa il 20% dei minori italiani che lavorano non riceve alcun compenso per la propria attività, percentuale che sale ad un terzo per i minori stranieri. In ogni caso la mancata retribuzione è quasi sempre legata al supporto che i minori forniscono alla micro-impresa familiare o comunque alle attività lavorative svolte per e con i genitori ed evidentemente percepite come una corresponsabilizzazione dei minori al miglioramento dello status socio-economico familiare.
I minori stranieri che lavorano, il più delle volte, continuano ad andare a scuola, mentre per quelli italiani si nota una maggiore tendenza ad assentarsi da scuola a lungo o addirittura ad interrompere la frequenza. Ciò avviene probabilmente perché le stesse famiglie dei minori migranti cercano di garantire ai ragazzi una frequenza più o meno costante della scuola, affinché possano imparare sempre di più e fungere da mediatori linguistici e culturali, aspetto valido soprattutto per i minori cinesi.
Una frequenza costante, in ogni caso, non assicura una tenuta della qualità del percorso formativo, così come evidenziato dagli stessi minori che riconoscono non solo un peggioramento del loro rendimento quando vengono coinvolti in esperienze di lavoro precoce, ma anche una più generale percezione di ‘fatica’ nel conciliare i due tipi di esperienza; e in questo caso si evidenzia una maggiore difficoltà dei minori stranieri rispetto a quelli italiani.
Ma vediamo quali sono le tutele apprestate, ai minori, dall’ordinamento italiano.
La disciplina italiana del lavoro minorile gravita intorno ad un nucleo di disposizioni tese a salvaguardare i diritti fondamentali della persona quali integrità, salute e sviluppo fisico, psichico, morale, culturale, professionale. Sono numerose, sia in ambito internazionale che interno le norme che predispongono specifiche tutele dirette a disciplinare orari, pause e riposi dei giovani lavoratori, in deroga alla regolamentazione generale dell’orario di lavoro.
Il Patto internazionale ONU del 16 dicembre 1966 relativo ai diritti economici, sociali e culturali, sottolinea la stretta connessione tra lavoro, famiglia, maternità e figli.
L’art. 10 é dedicato al rapporto lavoro-famiglia intesa quale nucleo fondamentale della società , non che alla speciale tutela lavoristica dei suoi componenti più deboli, le madri e i figli minori. In relazione a questi ultimi si afferma che “i fanciulli e gli adolescenti devono essere protetti contro lo sfruttamento economico e sociale” e si proibisce il loro “impiego in lavori pregiudizievoli per la loro salute, pericolosi per la loro vita, tali da nuocere al loro normale sviluppo”.
Sulla stessa linea si indirizzano la Carta Sociale Europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e la Carta Comunitaria dei Diritti sociali fondamentali dei lavoratori firmata a Strasburgo nel 1989 , nonché il Trattato istitutivo della Comunità Europea e il Trattato di Amsterdam.
Il nostro ordinamento interno ha recepito le norme contenute nelle Convenzioni e nelle Direttive europee quali la Direttiva n. 93/104/CE concernete i principi generali in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, pause, riposi settimanali, ferie e lavoro notturno. Il legislatore ha emanato la L. 196/97 sull’orario di lavoro, il D.Lgs. 532/99 sulla disciplina del lavoro notturno; il D.Lgs. 345/99 successivamente corretto ed integrato dal D.Lgs. 262/2000 che ha dato esecuzione, riscrivendola e correggendola alla L. 977/67.
L’art 13, 1° comma della L. 196/97 dando attuazione alla normativa comunitaria ha ridotto il limite massimo dell’orario normale di lavoro a 40 ore settimanali, senza però recepire formalmente le disposizioni sulla durata massima globale dell’orario settimanale e sul riposo giornaliero minimo di 11 ore, le quali, tuttavia, come già osservato dovrebbero considerarsi di immediata applicazione. Pertanto si delineano due diversi regimi di orario. Il primo è applicabile alle imprese non industriali ed è riferito ad un aro temporale di una settimana, entro la quale l’orario massimo giornaliero di lavoro può arrivare sino punte di circa 12 ore globali, comprensive cioè di eventuali straordinari, a condizione di non superare mai, nella settimana, il limite globale massimo consentito.
Alle imprese industriali, invece, si applica il regime multiperiodale che consente, ma solo in presenza di un accordo collettivo, di “riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno” essendo possibile realizzare, sia pure con adeguati riposi compensativi, “periodicità lunghe” , sino ad 1 anno, con orari giornalieri sino a 12 ore e sino a quarantacinque ore settimanali.
L’art 18 della L. 977/97 stabilisce i limiti massimi precisi e differenziati per bambini ed adolescenti. Per i bambini l’orario normale di lavoro non può superarre le 7 ore giornaliere e le 35 ore settimanali. La norma trova applicazione a condizione che i bambini abbiano adempiuto agli obblighi scolastici. Ci sono attività che, in deroga al divieto sancito dalla l. 977/97, sono consentite ai minori sulla base di precisi presupposti. Le attività consentite sono quelle che per il loro carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario, sono riconducibili al settore dello spettacolo, ma, in ogni caso sono legittimamente praticabili solo nei casi in cui non siano pregiudizievoli per la salute e la formazione scolastico-professionale del minore.
Per gli adolescenti i limiti dell’orario di lavoro sono più elevati e vanno dalle 8 ore giornaliere alle 40 ore settimanali. L’orario di lavoro è sottoposto ad altri condizionamenti, quali il divieto di trasporto di pesi per più di 4 ore al giorno, compresi i ritorni a vuoto, il divieto di adibizione a lavorazioni effettuate con il sistema dei turni a scacchi, a meno che tale sistema di lavorazione sia consentito dai contratti collettivi e vi sia la previa autorizzazione della Direzione Provinciale del lavoro.
Ai sensi dell’art. 10, 1°comma, lett. b) della direttiva n. 94/104 CE gli adolescenti fruiscono di un riposo giornaliero di almeno 12 ore consecutive .
Nel caso di lavori svolti dai minori nei settori della navigazione, della pesca, nel settore dell’agricoltura e del turismo o in quello alberghiero o della ristorazione, nonché della attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati nel corso della giornata, è possibile che il suddetto riposo compensativo subisca delle modifiche. L’intervallo minimo assicurato ai bambini addetti ai lavoro di tal genere è, invece, di 14 ore consecutive.
In Italia la L.977/67 disciplina l’estensione massima del periodo di lavoro continuativo e la durata minima dei riposi intermedi nell’arco della giornata. L’orario di lavoro dei minori non può protrarsi senza interruzione per più di 4 ore e mezza e qualora le superi deve essere interrotto da un periodi di riposo intermedio di almeno 1 ora (art. 20 l. 977/67). La durata della sosta non é assolutamente rigida ma può essere prolungata o abbreviata. La riduzione del riposi può avvenire solo in presenza di determinate garanzie: allorché sia prevista dal contratto collettivo, ovvero, difetto e solo se il lavoro non presenti caratteristiche di pericolosità o gravosità, quando sia autorizzata dalla Direzione Provinciale del Lavoro, sentite le competenti associazioni sindacali (art. 20 , 2° comma, nn. 1 e 2L. 977/67).
La nuova disciplina del riposo settimanale introdotta dall’art. 13 del D. Lgs. 345/99, mantenendo il rinvio alle disposizioni vigenti in materia di riposo domenicale e settimanale dei minori, sostituisce integralmente i commi 2° e 3° dell’art. 22 della l. 977/67.
La novità più importante riguarda l’ampliamento della pausa settimanale da 24 ore a 2 giorni possibilmente consecutivi e comprensivi della domenica .
Da quanto scritto emerge che, al pari dei lavoratori maggiorenni , anche per i minorenni il riposo settimanale ha carattere tendezialmente domenicale, anche se tale cadenza è considerata caratteristica non privilegiata a livello comunitario, così come è requisito privo di specifico rilievo costituzionale nell’ordinamento interno.
Sono ammesse deroghe al carattere domenicale del riposo solo nelle ipotesi elencate tassativamente nel 3° comma dell’art. 22 L. 977/67; il riposo settimanale, può essere concesso anche in un giorno diverso dalla domenica ai minori addetti ad “attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo e pubblicitario o nel settore dello spettacolo, nonché, con esclusivo riferimento agli adolescenti nei settori turistico, alberghiero o della ristorazione”.
Per quanto riguarda le ferie annuali l’art 7 della Direttiva n. 93/104/CE garantisce ad ogni lavoratore un periodo di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane, secondo le condizioni previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali, vietandone la surrogazione con un’indennità.
La normativa italiana sulle ferie annuali dei minori (art. 23 L. 977/67) assicura un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a 30 giorni a coloro che non hanno compiuto i 16 anni d a 20 giorni a coloro che li hanno superati.
Un altro problema di fondamentale importanza che ha sempre interessato il legislatore riguarda la tutela della salute del minore lavoratore sui luoghi di lavoro.
L’art 7 della L. 977/67 come modificato dall’art. 8 dl D. Lgs. N. 345/99 prevede un importante integrazione dei contenuti della valutazione dei rischi che il datore di lavoro deve eseguire personalmente , non essendo l’adempimento delegabile, aisensi dell’art. 4 del D.Lgs. 626/94. Prima di adibire al lavoro un minore, e, in ogni caso ad ogni modifica rilevante delle condizioni di lavoro, il datore deve seguire la valutazione dei rischi, con particolare riguardo a:
a) sviluppo non ancora completo, mancanza di esperienza e di consapevolezza nei riguardi dei rischi lavorativi, esistenti o possibili, in relazione all’età;
b) attrezzature e sistemazione del luogo e dl posto di lavoro;
c) natura, grado e durata di esposizione agli agenti chimici, biologici e fisici;
d) movimentazione manuale dei cariche;
e) sistemazione, scelta utilizzazione e manipolazione delle attrezzature di lavoro, specificamente di agenti, macchine, apparecchi e strumenti;
f) pianificazione dei processi di lavoro e dello svolgimento del lavoro e della loro interazione sull’organizzazione generale del lavoro;
g) situazione della formazione e dell’informazione dei minori.
L’art. 9 della L. 977/67 disciplina le visite mediche periodiche ( ad intervalli non superiori ad 1 anno) che insieme alla visita medica preventiva doveva essere effettuata e svolta a cure a spese del datore di lavoro presso l’Azienda Sanitaria locale territorialmente competente. I bambini e gli adolescenti devono, ai sensi dell’art 8, essere riconosciuti idonei alla particolare attività lavorativa cui si intende adibirli, a seguito di visita medica. L’esito delle visite deve essere comprovato da “apposito certificato” .
Ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 626/94 il medico competente, ad intervalli indicati,deve effettuare i controlli inerrnti la sorveglianza sanitaria. Il certificato medico concernente il giudizio “sulla idoneità o sull’inidoneità parziale o temporanea o totale del minore al lavoro” deve essere comunicato per iscritto al datore di lavoro, al lavoratore e ai titolari della potestà genitoriale, i quali ultimi possono richiedere copi della documentazione sanitaria.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale, si deve ritenere che in caso di inidoneità sopravvenuta del minore, il datore di lavoro abbia l’obbligo di spostalo a mansioni equivalenti o anche inferiori,purché evidentemente ,utilizzabili in azienda a compatibili con il suo stato di salute. A riguardo, così dispone espressamente l’art. 4 della L. 68/99 per i lavoratori che diventano inabili allo svolgimento delle proprie mansioni in conseguenza di infortunio o malattia o comunque divenuti inabili a causa dell’inadempimento da parte del datore di lavoro accertato in sede giudiziale, dalle norma in materia di sicurezza ed igiene del lavoro.
Infine il D.Lgs. 262/00 ha aggiunto due disposizioni in merito alla sorveglianza sanitaria dei minori che svolgono mansioni comportanti esposizione a rumore: il nuovo comma 9 dell’art 8 L. 977/67 dispone che il controllo sanitario ex D,Lgs. 277/91 si applica agli “adolescenti la cui esposizione personale al rumore sia compresa tra 80 e 85 decibel. In tal caso il controllo sanitario ha periodicità biennale”. Il nuovo comma 10 dispone che, sempre in deroga alle disposizioni del D.Lgs. 277/91 “per gli adolescenti la cui esposizione personale al rumore sia compresa fra 85 e 90 decibel, gli intervalli del controllo sanitario non possono essere superiori all’anno”. La modifica è stata valutata positivamente come un segno di opportuna preferenza accordata , da parte del legislatore, alle misure preventive e protettive dei lavoratori realizzate attraverso una razionale minimizzazione dei rischi e una sorveglianza sanitaria continua , piuttosto ceb alla fissazione di un parametro “astratto” e fisso come quello degli 80 dbA.




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