lavoroprevidenza

sabato 12 giugno 2004

Divorzio e pensione di reversibilità

Sezione Lavoro

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Cassazione – Sezione lavoro – sentenza 12 giugno-16 ottobre 2003, n. 15516 Presidente Mileo – relatore Picone Pm Finocchi Ghersi – conforme – ricorrente x





Svolgimento del processo





La Corte di appello di Milano ha giudicato infondato l’appello di x e confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva rigettato la domanda proposta contro l’Inps per il pagamento della pensione di reversibilità del mese successivo alla morte del coniuge legalmente separato, avvenuta il 25 aprile 1997.

La separazione legale era stata pronunciata con addebito ad entrambi i coniugi e non era stato stabilito assegno di mantenimento o altra provvidenza di tipo alimentare, nel presupposto della sufficienza dei mezzi economici a disposizione della x.

La Corte di appello ha ritenuto decisivo l’elemento dell’inesistenza di una situazione di bisogno accertata per negare il diritto rivendicato, aggiungendo che, comunque, non era stata fornita la prova che il coniuge avesse in vita provveduto in via fissa e continuativa alla corresponsione di somme finalizzate a sopperire alle ordinarie esigenze di vita della x.

La cassazione della sentenza è domandata da x con ricorso per un unico motivo, al quale resiste l’Inps con controricorso.









Motivi della decisione









L’unico motivo di ricorso denuncia violazione di norme di diritto e vizio della motivazione perché, a seguito della decisione della Corte costituzionale 286/87, la pensione di reversibilità spetta anche al coniuge separato per colpa o con addebito, senza che sia richiesta la sussistenza del diritto al mantenimento; in ogni caso, era stata fornita la prova dello stato di bisogno.

La Corte giudica il ricorso fondato quanto al primo profilo di censura, restando assorbito l’altro profilo.

Con la sentenza 14/1980, la Corte costituzionale giudicò non fondata ‑ in riferimento agli articolo 3 e 38, comma primo e secondo, Costituzione ‑ la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 24 della legge 153/69 il quale dispone, con riguardo al trattamento di reversibilità che non ha diritto alla pensione il coniuge quando sia passata in giudicato la sentenza di separazione per sua colpa.

Gli argomenti a sostegno dell’incompatibilità costituzionale della disposizione erano i seguenti: negandosi il diritto alla pensione al coniuge separato per sua colpa, anche se inabile al lavoro ed indigente, si nega il diritto di ogni cittadino che versi in tali circostanze all’assistenza, garantito dall’articolo 38, comma primo in violazione dell’articolo 38, comma secondo, Costituzione, l’assistenza garantita al lavoratore, ed estesa ai componenti del nucleo familiare, viene a gravare sulla famiglia; ingiustificatamente il regime previdenziale sarebbe differenziato a seconda che il coniuge superstite sia separato o meno per propria colpa, e venuta meno, con la riforma del diritto di famiglia, la separazione per colpa, il coniuge cui la separazione è addebitabile avrebbe diritto alla pensione solo in relazione alla data di pronuncia della sentenza posteriore alla entrata in vigore della nuova disciplina.

Osservò a confutazione dei detti argomenti il giudice delle leggi: che la pensione di reversibilità ha carattere e contenuto diverso dai mezzi assistenziali e previdenziali previsti nell’articolo 38 Costituzione, il quale non impone al legislatore di attribuire siffatto trattamento pensionistico anche in quelle ipotesi di inabilità al lavoro e di indigenza per le quali, con altri appositi mezzi, è garantita l’assistenza del cittadino; e poiché titolare del diritto assistenziale è esclusivamente il lavoratore, la tutela del nucleo familiare resta affidata alla legge ordinaria; la situazione del coniuge superstite, nel sistema della legge, è quella meglio protetta in seno al nucleo familiare del pensionato; l’esclusione del coniuge separato per sua colpa si spiega poiché vi è un più pronunciato allentamento del vincolo matrimoniale, con disaffezione ed estraneità alla vita ed all’attività lavorativa del coniuge deceduto; e del resto, la separazione per colpa rileva, secondo il codice civile, nella sfera dei rapporti patrimoniali, privando il coniuge colpevole del diritto al mantenimento; né è esatto che il coniuge, cui la separazione viene addebitata ai sensi del nuovo testo dell’articolo 151 Cc, e che perde il diritto al mantenimento, abbia diritto alla pensione di reversibilità, mentre la differenza di trattamento che fa capo all’addebitabilità trova la stessa ragionevole giustificazione riconosciuta per la colpa.

Concluse la Corte che i principi costituzionali invocati non esigevano che il coniuge separato per sua colpa ricevesse la stessa tutela pensionistica del coniuge incolpevole. E tuttavia avvertì che spettava al legislatore stabilire come al coniuge colpevole potessero essere corrisposti un assegno o una pensione alimentare (condizionata cioè allo stato di bisogno), così come è previsto in tema di trattamento di quiescenza dei dipendenti dello Stato dagli articolo 81, comma quarto e 88, commi quarto e quinto, del Dpr 1092/79.

Investita nuovamente della medesima questione, con la sentenza 286/87, la Corte costituzionale osservò, da una parte, che il legislatore non aveva affatto accolto l’invito, rivoltogli con la decisione 14/1980, di provvedere con apposita norma a soddisfare l’esigenza, anche allora considerata giusta, di attribuire al coniuge del lavoratore privato, separato per colpa, e poi con addebito della separazione, una pensione o una quota di pensione di reversibilità condizionata allo stato di bisogno, e ciò specialmente quando vi sia il riconoscimento in suo favore del diritto agli alimenti, tenuto conto del fatto che il settore pubblico, già prima della riforma del diritto di famiglia, prevedeva, a favore dello stesso coniuge separato per colpa, l’attribuzione di una quota della pensione di reversibilità; dall’altra, rilevò l’evoluzione dell’istituto della pensione di reversibilità e la più incisiva generalizzazione del principio di solidarietà (articolo 3 e 38 Costituzione), secondo le considerazioni già svolte nella decisione 169/86, l’espansione della linea di tendenza all’unificazione o, quanto meno, all’equiparazione dei regimi pensionistici dei lavoratori pubblici e privati e soprattutto l’evoluzione della disciplina legislativa dei rapporti tra i coniugi in caso di scioglimento del matrimonio.

Sulla base di queste considerazioni, la Corte costituzionale decise di «dichiarare la illegittimità costituzionale delle norme censurate nella parte in cui escludono dalla erogazione della pensione di riversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato» e la pronuncia è stata così espressa nel dispositivo: «dichiara la illegittimità costituzionale: a) dell’articolo 1 del decreto legge luogotenenziale 39/1945 (Disciplina del trattamento di reversibilità delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità e la vecchiaia) nel testo sostituito dall’articolo 7 della legge 1338/62 (Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti) e riprodotto nell’articolo 24 della legge 153/69 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale); b) dell’articolo 23, comma quarto, della legge 1357/62 (Riordinamento dell’ente nazionale di previdenza ed assistenza dei veterinari); nella parte in cui escludono dalla erogazione della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato».

Successivamente, è stata anche pronunciata l’illegittimità costituzionale, sempre per violazione degli articolo 38 e 3 Costituzione, dell’articolo 20, comma primo, lettera a), legge 12/1973, relativo al trattamento pensionistico corrisposto dall’ente nazionale assistenza agenti e rappresentanti di commercio, nella parte in cui esclude dal diritto a pensione di reversibilità il coniuge superstite, quando sia stata pronunziata la sentenza di separazione legale per colpa dello stesso (Corte costituzionale 1009/88).

È certo che, nelle due menzionate decisioni, nucleo essenziale della motivazione è che non è più giustificabile, dopo la riforma dell’istituto della separazione personale introdotta dal novellato articolo 151, il diniego al coniuge, cui è stata addebitata la separazione, di una tutela che assicuri la continuità dei mezzi di sostentamento che il defunto coniuge sarebbe stato tenuto a fornirgli, ed inoltre che sussiste disparità di trattamento rispetto al coniuge del divorziato al quale la pensione di reversibilità è corrisposta quando sia titolare dell’assegno di divorzio, oltre che rispetto al regime della reversibilità operante per il coniuge del dipendente statale separato per colpa.

E tuttavia, il dispositivo delle decisione conforme, del resto, all’enunciato della motivazione, presenta un significato letterale univoco, quanto alla determinazione dell’effetto caducatorio delle norme che sanciscono l’esclusione del coniuge separato per colpa dal beneficio della pensione di reversibilità.

Non si è presenza, quindi, di quelle ipotesi in cui si devono enucleare dai contenuti della motivazione i criteri necessari per il riscontro dell’oggetto della decisione e delle disposizioni con essa caducate (cfr. Cassazione 3756/01), siccome nella fattispecie esiste perfetta coerenza tra la lettera del dispositivo, che non richiama in alcun modo la motivazione al fine di precisare la portata dell’innovazione normativa, e gli stessi contenuti della motivazione, dal momento che la sentenza non assume alcuna posizione in ordine all’applicabilità al coniuge separato per colpa, o al quale la separazione è addebitata, dì uno dei regimi giuridici della pensione di reversibilità considerati come parametri di legittimità costituzionale: quello del coniuge divorziato, ovvero quello vigente per le pensioni statali.

Le considerazioni contenute nella motivazione, invero, se conducono con sicurezza ad equiparare la separazione per colpa a quello con addebito (e ciò anche in base alla decisione 14/1980), non autorizzano minimamente l’interprete a ritenere che sia residuata una differenza di trattamento per il coniuge superstite separato in ragione del titolo della separazione. Se contenuti precettivi ulteriori è possibile individuare, essi riguardano esclusivamente il legislatore, indubbiamente autorizzato a disporre che il coniuge separato per colpa o con addebito abbia diritto alla reversibilità, ovvero ad una quota, solo nella sussistenza di specifiche condizioni.

Né l’attuale assetto normativo, come determinato dall’intervento della Corte costituzionale, può essere sospettato di contrasto con l’articolo 3 Costituzione, atteso che la condizione del coniuge separato non è comparabile con quella del divorziato, mentre il diverso trattamento riservato ai dipendenti statali, potrebbe indurre e semmai a dubitare della legittimità di questo, e non certo del trattamento più favorevole del settore privato.

In conclusione, caducata l’esclusione disposta dalle norme dichiarate, incostituzionali il coniuge separato per colpa, o al quale la separazione sia stata addebitata, è equiparato in tutto e per tutto al coniuge superstite (separato o non) ai fini della pensione di reversibilità, che gli spetta a norma dell’articolo 13 del regio decreto legge 636/39, nel testo sostituito dall’articolo 22, legge 903/65.

Pertanto, la sentenza impugnata è incorsa in violazione di norme di diritto nel rigettare la domanda di x perché la sentenza di separazione con addebito non aveva posto a carico del coniuge obblighi di mantenimento o alimentari e non era comprovato lo stato di bisogno, atteso che, a seguito della sentenza costituzionale 286/87, anche per il coniuge separato per colpa, o con addebito della separazione opera, ai fini del diritto alla pensione di reversibilità, la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte.

La cassazione della sentenza per violazione di norme di diritto consente, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la decisione della causa nel merito, con l’accoglimento della domanda proposta da x nei confronti dell’Inps.

La novità della questione induce a compensare interamente le spese dei giudizi di merito e del giudizio di cassazione.









PQM









La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara il diritto di x alla pensione di reversibilità; compensa interamente le spese dei giudizi di merito e del giudizio di cassazione.





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