lavoroprevidenza

domenica 6 giugno 2004

CONDANNA ALLE SPESE PROCESSUALI EX ART. 152 DISP. ATT. C.P.C. NON APPLICABILE RETROATTIVAMENTE (diritto processual previdenzial-assistenziale)

di Pisa Sezione Lavoro n.617 del 2003: massima e nota del direttore dott. Marco Dibitonto

Massima della sentenza del Tribunale di Pisa -sez.lav.-

n°617/2003.

(a cura del dott. Marco Dibitonto)








L art. 42, 11° comma del d.l. 269/2003 convertito nella legge 326/2003 - oggetto di richiesta di applicazione da parte di una delle parti processuali in un procedimento iniziato in data 28.01.2003- si applica solo dalla data dell entrata in vigore del presente d.l. 269/2003 convertito nella legge 326/2003 e, quindi, non al procedimento in oggetto.

Si applica, dunque, ai procedimenti iniziati, col deposito del ricorso di lavoro, dopo il 30 settembre 2003.

I procedimenti introdotti prima della suddetta data restano assoggettati alla passata disciplina che prevedeva la condanna alle spese, competenze ed onorari a favore degli istituti di assistenza e previdenza del lavoratore soccombente nei soli casi in cui il giudice avesse accertato giudizialmente

la infondatezza e temerarietà della domanda dello stesso.

I procedimenti introdotti dopo il 30 settembre 2003 risultano sottoposti alla nuova normativa di cui all art. 42, 11° comma d.l. 269/2003 convertito nella legge 326/2003; pertanto essi possono concludersi, in caso di soccombenza del lavoratore, con una condanna dello stesso alle spese oltre che in caso di infondatezza e temerarietà della sua domanda, anche se ha un

reddito superiore a certi limiti stabiliti con riferimento alla normativa sul gratuito patrocinio, cioè specificamente, quando non risulti titolare, nell anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante dall ultima dichiarazione, pari o inferiore a due volte l importo del reddito stabilito ai sensi degli articoli 76, commi da 1 a 3, e 77 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 Maggio 2002, n. 115.



Breve note a cura del direttore dott. Marco Dibitonto



La sentenza del Tribunale di Pisa - Sezione Monocratica del Lavoro - n° 617/2003, riportata per esteso in calce, che limita l applicazione della norma contenuta nell art. 42, 11° comma, d.l. 269/2003 convertito nella legge 326/2003 ai soli procedimenti introdotti dall 01.10.2003, è condivisibile.

Detta norma prevede la condanna al pagamento delle spese, competenze ed onorari della parte soccombente quando, nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali, salvo comunque quanto previsto dall art.96, 1° comma, del c.p.c., essa non risulti titolare, nell anno

precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante dall ultima dichiarazione, pari o inferiore a due volte l importo del reddito stabilito ai sensi degli articoli 76, commi da 1 a 3, e 77 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30

Maggio 2002, n. 115.

Infatti, l applicazione della norma ai procedimenti in corso alla data dell 01.10.2003 violerebbe gli articoli 11 e 12 delle preleggi - irretroattività e interpretazione letterale della legge -, e quindi il principio della certezza dei rapporti giuridici, atteso che per il periodo precedente l

01.10.2003 il rischio di sostenere l onere delle spese processuali non sussisteva, e il principio ermeneutico dell interpretazione sistematica, atteso che la connessione delle parole e l intenzione del legislatore indicano senza ombra di dubbio a riconoscere l efficacia della norma ai

procedimenti iniziati a partire dalla sua entrata in vigore.

Pertanto, si ritiene che i procedimenti iniziati prima del

01.10.2003 e non ancora definiti, compresi i gradi successivi - appello e cassazione - non rientrino nel campo di applicazione dell art. 42, 11° comma, d.l. 269/2003 convertito nella legge 326/2003.







Sent. n. 617



Cron. n. 4241



TRIBUNALE DI PISA



sez. monocratica del lavoro




VERBALE EX ART. 281-SEX. CPC.



UDIENZA dell 12. 11. 2003, davanti al Giudice dr. Gaetano Schiavone

assistito dal Cancelliere -3 A. Agonigi nella causa iscritta al n.

61/03-R.G.C. e promossa da:







B.





(Avv. Cerrai - Bartalena)



CONTRO



INPS



(Avv. Perani)



sono comparsi:



Per parte ricorrente: l Avv. P. B. che insiste per il rinnovo della

CTU.



Per l INPS. L Avv. P., la quale si oppone e chiede che il Giudice voglia

applicare l art. 42, com. 11, D. l. n. 269/03.



Replica del ricorrente: Il DL. n. 269/03 è inapplicabile ratione temporis



I procuratori costituiti chiedono che la causa sia decisa.



Repubblica italiana



Il Giudice d. L. del Tribunale di Pisa, visto l art. 281-sex. cpc., udite

dalle parti le rispettive conclusioni sottotrascritte, nonchè i motivi a

sostegno, pronuncia la seguente sentenza, pubblicamente letta,



nel nome del popolo italiano



PARTE RICORRENTE: Per l accoglimento del ricorso, previa rinnovo della CTU,

con vittoria di spese.



PARTE RESISTENTE INPS: Per il rigetto, vinte le spese, sussistendone i

presupposti di legge.



MOTIVI



Petitum del ricorso è la costituzione dell assegno di invalidità

civile.



Nessuna eccezione è stata sollevata in punto di rito.



Costituitosi in lite l INPS insiste nelle determinazioni amministrative e,

quindi, chiede il rigetto del ricorso.



La domanda nel merito va respinta.



Il C.T.U. dr. C., al termine delle proprie indagini e valutazioni e

con motivazione che, per essere immune da vizi logico/giuridici, questo

giudice integralmente recepisce, ponendola a base tecnica della propria decisione (Cass. n. 4817/1987), ha concluso affermando che "la ricorrente deve essere riconosciuta a far luogo dalla domanda e a tutt oggi, non

invalida, non inabile secondo la normativa INPS"







La richiesta di rinnovo della CTU (Cass. n. 1191/1987) è inaccoglibile,

stante la sua immotivazione a fronte della piena coerenza e logicità della

CTU, che la rendono recepibile, così esaurendo l obbligo motivazionale

(Cass. n. 7379/1987) sul punto.







Parte resistente chiede l applicazione dell art. 42, com. 11, del recente

DL. n. 269 datato 30 settembre 2003, volendo significare in sostanza, che il

Giudice è tenuto ad assumere la propria pronuncia in base alla nuova

formulazione dell art. 152 disp. att. cpc.-



Parte ricorrente si oppone ratione temporis.



La domanda è inammissibile.



In verità, con il citato art. 42, com. 11, DL. n. 269/03, è

stato sostituito il contenuto dell art. 152 disp. att. cpc, il quale nella

formulazione originaria, così recitava: "Il lavoratore soccombente nei

giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali non è assoggettato

al pagamento di spese, competenze ed onorari a favore di istituti di

assistenza e previdenza, a meno che la pretesa non sia manifestamente

infondata e temeraria".







La Corte Costituzionale è stata più volte investita della

legittimità, sicchè con sent. n. 85/79 ne ha esteso la portata ai

procedimenti aventi ad oggetto prestazioni assistenziali e con sent. n.

134/94 ha dichiarato incostituzionale l art. 4, com. 2 del DL. n. 384/92

nella parte in cui nell abrogare l art. 152 cit., non ha fatto salva la

situazione dei lavoratori soccombenti.



I più, nella detta norma individuano un attuazione dell art. 38

Cost. poiché un proporzionalmente insopportabile onere nell affrontare le

spese di giudizio, finirebbe con rendere inattuabile la protezione garantita

dalla Costituzione, le volte in cui le singole prestazioni che ne

costituiscono l intimo contenuto fossero illegittimamente rifiutate.



Il legislatore del 2003, forse non molto attento all

insegnamento della Corte ha inteso nuovamente ghigliottinare l art. 152

cit., così riscrivendolo: "Nei giudizi promossi per ottenere prestazioni

previdenziali o assistenziali la parte soccombente, salvo comunque quanto

previsto dall art. 96, primo comma cpc., non può essere condannata al

pagamento delle spese competenze ed onorari quando risulti titolare, nell

anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini

IRPEF, risultante dall ultima dichiarazione, pari o inferiore a due volte l

importo del reddito stabilito ai sensi degli articoli 76, commi da 1 a 3, e

77 D. Lgs. n. 113/02 (ndg.: Sul gratuito patrocinio). L interessato che, con

riferimento all anno precedente a quello di instaurazione del giudizio, si

trova nelle condizioni indicate nel presente articolo formula apposita

dichiarazione sostitutiva di certificazione nelle conclusioni dell atto

introduttivo e si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia

definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell

anno precedente. Si applicano i commi 2 e 3 dell articolo 79 e l art. 88 del

cit. D. Lgs. n. 113/02".



Da una prima lettura della norma risulta, innanzitutto, la

sostituzione della più diretta ed immediata definizione del destinatario

della norma di attenzione come lavoratore soccombente, con la pretesamente

anodina ed equidistante locuzione di parte soccombente, quasi che si

provasse un senso di fastidio ad assegnare l esatta definizione sociologica

dei destinatari delle norme dettate per questo tipo di controversie, salvo,

però, dover implicitamente ammettere che la nuova disciplina si riferisce

proprio al lavoratore (in attività o pensione), posto che non ha senso

parlare di reddito IRPEF per l altra parte del rapporto processuale,

obbligatoriamente un Istituto previdenziale, ovvero il Servizio Sanitario

Nazionale.



Inoltre emerge che, per essere condannati alle spese, non è più richiesta la

coesistenza fra manifesta infondatezza e temerarietà, essendo sufficiente la

seconda delle due condizioni condanna ma emerge pure che, quand anche

mancasse la temerarietà descritta al primo comma dell art. 96 cpc., la parte

soccombente può essere condannato alle spese semplicemente se ha un reddito

superiore a certi limiti stabiliti con riferimento alla normativa sul

gratuito patrocinio.



Ciò detto, e venendo più da vicino al quesito che occupa, si

tratta di vedere, sostanzialmente, se questo complesso articolato sia

applicabile ai giudizi in corso.



Com è noto, in base alle regole generali (art. 11 preleggi) "la

legge non dispone che per l avvenire", sicchè, essendo il processo una serie

concatenata di atti, la nuova legge verrà a disciplinare gli atti ancora da

compiersi, restando, ovviamente, salva la validità di quelli compiuti sotto

l egida della precedente. In base a questo principio, esclusa l ipotesi

della lite temeraria, effettivamente si dovrebbe procedere all acquisizione

dei visti dati reddituali e, quindi, disciplinare l onere delle spese

secondo la regola della soccombenza, per l ipotesi in cui quel limite fosse

superato.



Questo sempre che la legge, come nella presente ipotesi, non

disponga diversamente.



Nel caso in esame, infatti, applicando le regole ermeneutiche,

secondo le quali le leggi si interpretano "secondo la connessione delle

parole e l intenzione del legislatore" (art. 12 preleggi, c.d.

interpretazione sistematica), lo scopo che si prefigge il legislatore è di

tutt altro avviso rispetto a quello indicato dall INPS.



In verità il legislatore ha voluto riferirsi agli atti

introduttivi depositati successivamente all entrata in vigore del decreto

legge e ciò si ricava da una serie di elementi.



Innanzitutto dal fatto che quella dichiarazione reddituale, dice

la legge che deve essere contenuta nelle conclusioni dell atto introduttivo

e, poiché nel rito del lavoro, salvo casi eccezionali (art. 420, com. 1, ult

parte), le conclusioni devono essere assunte nel ricorso (art. 414, nn. 3 e

4 cpc.), ne consegue che quell adempimento è richiedibile solo per le

conclusioni da assumere e non per quelle assunte.



Nella specie le conclusioni furono assunte col ricorso

depositato il 28. 01. 2003, ben nove mesi prima dell entrata in vigore del

DL. n. 269/03.



Inoltre, se fosse vera l interpretazione patrocinata dall INPS si

assisterebbe ad un altra violazione di diritto, in quanto si graverebbe il

ricorrente di un rischio processuale (l eventuale soccombenza) che era

escluso al momento in cui decise di affrontare il processo promovendolo

ovvero resistendovi. Ciò senza dire della difficoltà pratica di richiedere l

adempimento anche per gli anni, a volte numerosi, trascorsi rispetto al

momento dell incipit, posto che il decreto legge fa carico di quell onere

per tutti gli anni di durata del processo fino a quello della pronuncia

(evidentemente anche di secondo grado e di legittimità, posto che la

soccombenza sulle spese non è esclusa per i gradi successivi al primo).







Non ricorrono, dunque, i presupposti per non procedere alla compensazione

integrale delle spese di lite fra le parti.







P. Q. M.



Il Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, RIGETTA il ricorso,

compensa integralmente le spese di lite fra le parti.



IL CANCELLIERE B-3

IL GIUDICE d. L.



A. A.

G. S.





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