lavoroprevidenza

martedì 25 maggio 2004

Giurisdizione nelle controversie relative a procedure concorsuali

di Pisa

TRIBUNALE DI PISA – sentenza 4 dicembre 2003 – G.U. Nisticò, - A.M. (Avv.ti Del Punta, Lovo e Sforza) c. Ministero dell’Istruzione, della Ricerca e dell’Università (Avv. Distr. St.)

Giurisdizione e competenza - Impiego pubblico - Procedure concorsuali - Scorrimento della graduatoria - Controversie - Giurisdizione del Giudice ordinario.



Sussistenza di più graduatorie valide - Principi generali di correttezza e buona fede ex artt.1175 e 1375 cod. civ. - Prevalenza alla graduatoria più remota.



In tema di impiego pubblico contrattualizzato, ai sensi dell’art.63, comma 4 del D.lgs. n. 165/2001 (in precedenza art.68, comma 4 del D.lgs. n. 29/1993, come sostituito dall’art.29 del D.lgs. n. 80/1998) sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo per le controversie relative alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione, che si sviluppano fino all’approvazione della graduatoria.

Le questioni cronologicamente successive all’approvazione della graduatoria, quale lo scorrimento della graduatoria medesima, ricadono nella giurisdizione del giudice ordinario, cui sono attribuite dal comma 1 del citato art.63 tutte le controversie inerenti ad ogni fase del rapporto di lavoro, incluse quelle concernenti l’assunzione al lavoro.

Il datore di lavoro pubblico non è obbligato a ricoprire il posto vacante mediante lo scorrimento della graduatoria, ma qualora si determini a farlo, in presenza di più graduatorie valide, deve dare la prevalenza a quella più remota.





Motivi della decisione



Sulla giurisdizione è opinione del Tribunale che l’eccezione sollevata dal Ministero convenuto sia priva di fondamento. La materia risulta oggi regolata dall’art.63 del t.u. n. 165/2001 il quale dispone da un lato per la sussistenza della giurisdizione ordinaria in tutte le controversie relative a rapporti di lavoro, ancorché vengano in considerazione atti presupposti e dall’altro per la giurisdizione del giudice amministrativo quando la controversia verta su “procedure concorsuali per l’assunzione dei pubblici dipendenti”.

La norma è strutturata secondo lo schema normativo della regola e dell’eccezione ed in tal senso, stante il generale progetto di privatizzazione del rapporto di lavoro del pubblico impiegato e le finalità enunciate (art.1 d.lgs. n. 165/2001) l’eccezione, da leggersi secondo il criterio della tassatività ai sensi dell’art.14 delle Disposizioni sulla legge in generale (“le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”), è costituita dalla previsione relativa alla giurisdizione amministrativa. Se così è, posto che quest’ultima, è limitata ai concorsi per l’assunzione del pubblico impiegato, la mera interpretazione letterale consente subito di escludere che il giudice amministrativo possa interessarsi dei c.d. concorsi interni.

Ovviamente tutto questo ha una sua ratio, perché se è vero che l’assunzione del pubblico dipendente deve obbedire alla regola del concorso dettata a livello di previsione costituzionale (art.97) è altrettanto vero che quando di selezione per l’assunzione non si tratti “le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli argani preposti alle gestione con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro”. Ne consegue che una volta intervenuto fra il datore di lavoro pubblico ed il dipendente il contratto di lavoro e dunque superata la fase selettiva per l’assunzione, ogni diversa determinazione datoriale si configura quale atto di gestione del rapporto del tutto privo di connotati pubblicistici. Ne è conseguenza la devoluzione al giudice del rapporto – che è il giudice ordinario del lavoro, ancorché (art.63 cit.) vengano in considerazione atti presupposti e cioè atti di organizzazione (i quali, se illegittimi, potranno essere disapplicati).

La ricostruzione interpretativa di cui sopra consente, quindi, di ritenere che le vicende relative alla progressione di carriera del pubblico dipendente, ancorché subordinate allo svolgimento di procedure selettive o concorsuali, appartengono sicuramente alla cognizione del giudice ordinario (Cass. 9334/2002, Cass. 128/2001, Cass. 15602/2001).

Anche la richiesta di estendere il contraddittorio ai c.d. controinteressati è da rigettarsi. Si tratta, all’evidenza, di una sorta di contaminazione di derivazione amministrativistica che si risolve nell’ignorare i contenuti privatistici del rapporto di lavoro come strutturato dal t.u. n. 165/2001. Qui, infatti, posto che l’atto datoriale è da qualificarsi come mero atto di gestione del rapporto, la posizione soggettiva dell’aspirante si qualifica secondo i connotati del diritto soggettivo pieno. A fronte di un rapporto di tal genere, dedotto davanti al giudice ordinario, non vi sono dubbi sulla irrilevanza di quanto possa conseguire all’accoglimento della domanda rispetto alla affermazione del diritto. E’, infatti, nel dettato della legge che il giudice ordinario debba disinteressarsi dall’atto amministrativo che sta a monte della vicenda (nel nostro caso, la pianta organica) perché in tal senso si esprime l’art.63 cit. nella parte in cui assegna al giudice del lavoro la controversia “ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti”. Rimane del tutto escluso, quindi, che si possa trattare di una ipotesi di litisconsorzio necessario, proprio perché è la stessa legge che esime il giudice ordinario dal darsi carico delle conseguenze organizzative derivanti dalla sua pronuncia.

Nel merito, osserva il Tribunale che i fatti appaiono non controversi fra le parti e l’unica questione dalla quale dipende l’esito della controversie riguarda la valutazione del comportamento datoriale che, nell’attingere a delle graduatorie valide per la nomina a dirigente degli idonei, in luogo di esaurire prima la più vecchia ha utilizzato pro quota le tre graduatorie. L’atto datoriale che contiene la determinazione che ci occupa non spiega le ragioni della scelta e la circostanza non è stata negata, in sede di discussione orale, dall’Avvocatura dello Stato, che sul punto ha fatto rilevare come la decisione di attingere alle diverse graduatorie avrebbe obbedito all’esigenza di selezionare “i migliori”.

La regola, in regime di diritto privato, è che il datore di lavoro nel compimento di operazioni selettive (quali quella di specie) debba attenersi ai criteri di correttezza e buona fede ex artt.1175 e 1375 c.c. (per tutte, Cass. 2280/2000) e questo, come è noto, a maggior ragione quando egli abbia codificato unilateralmente i criteri di scelta (cosa che, nella specie, si è verificata mediante lo svolgimento di procedure concorsuali).

Correttezza e buona fede significa, poi, che nell’esercizio del potere discrezionale parte datoriale deve dar conto delle ragioni che sottendono l’atto di gestione ed, in definitiva, della scelta; e che poi quest’ultima debba essere coerente con la determinazione datoriale e con gli eventuali criteri predeterminati (non esclusa, ovviamente, la possibilità di controllo da parte dell’aspirante della assenza di atti di discriminazione o di compromissione della professionalità acquisita).

E’ opinione del Tribunale che anche il datore di lavoro pubblico quando pone in essere un atto gestorio del rapporto (come una selezione per la promozione) debba attenersi ai criteri su enunciati e che, in assenza di motivazione esplicita dell’atto, la verifica giudiziale debba necessariamente investire, mediante il ricorso alla ragionevolezza, il percorso utilizzato dal datore di lavoro per operare la scelta.

In tal senso, quanto affermato dal Difensore del Ministero convenuto a proposito della necessità di scegliere i migliori è argomento meramente suggestivo che finisce per legittimare ogni scelta arbitraria datoriale e per porsi in posizione di netta incoerenza con la determinazione di dar corso ad una procedura selettiva. “I migliori”, infatti, li ha già individuati la graduatoria, né è possibile verificare sulla base di quale criterio (se non della scelta ad personam) si possa dire che il terzo dell’ultimo concorso sia migliore del decimo del primo, posto che fra le graduatorie non vi è alcuna possibilità di operare confronti di merito. In realtà la determinazione di attingere da tutte le graduatorie valide e non dalla prima fino al sua esaurimento non obbedisce ad alcuna logica riconducibile alla previsione codicistica (art.1175, 1375 c.c.) e neppure alla previsione costituzionale sul buon andamento della pubblica amministrazione.

E’ opinione del Tribunale, allora, che il criterio dello scorrimento fino ad esaurire la graduatoria valida più remota rappresenti, in mancanza di una diversa determinazione controllabile attraverso l’esame della motivazione (che qui, come si è visto, manca del tutto), si identifichi con quello più rispondente alle esigenze di tutela del lavoratore e sia il più coerente con le premesse. Ed a ben guardare tale principio si ricava dalla affermazione giurisprudenziale secondo la quale se da un lato il datore di lavoro pubblico non è tenuto ad operare secondo lo scorrimento per la copertura del posto, quando si determini a farlo non possa procedere a bandire una nuova procedura concorsuale (da ultimo Cass. 3252/2003); il che vuol dire che i canoni del buon andamento della p.a. (ma anche dei principi civilistici di correttezza e buona fede) impongono di dare priorità alla graduatoria valida e dunque, fra più graduatoria valide, alla più remota. Il criterio dell’esaurimento della graduatoria valida, ritenuto prevalente sulla determinazione di attivare una nuova selezione, si risolve in definitiva nell’affermazione del principio di carattere generale secondo il quale, quantomeno per mere ragioni di coerenza (art.97 Cost.), l’amministrazione non possa non tenere conto dell’idoneo di una graduatoria valida ed attingere all’idoneo di una graduatoria successiva.

In difetto di diverse determinazioni, eventualmente sorrette da adeguata e ragionevole motivazione, quello della anzianità di graduatoria, dunque, rappresenta l’unico criterio che garantisca il lavoratore interessato sulla trasparenza e congruenza della scelta. Ove così non fosse, conseguentemente, si finirebbe per autorizzare il datore di lavoro pubblico ad operare scelte arbitrarie non in linea con l’iniziale determinazione di selezionare il personale da promuovere attraverso la procedura concorsuale e si darebbe corso ad una forma di spoils system che è del tutto estraneo al criterio di buona amministrazione, quando il datore pubblico abbia preventivamente individuato (attraverso la procedura concorsuale) i criteri per la selezione.

Per completezza il Tribunale vuole anche farsi carico di un ulteriore argomento speso dalla Difesa pubblica a proposito della insussistenza del preteso diritto dalla ricorrente ad essere nominata dirigente, fondato sulla constatazione che il d.p.r. 30.3.2001 limiti ad un terzo delle scopertura la mera possibilità (e non l’obbligo) di assunzione. L’argomento è del tutto sfornito di fondamento, poiché qui non è in contestazione che l’amministrazione abbia assegnato i posti e non è in contestazione che, se fosse stato seguito il criterio qui affermato, la dr. A avrebbe avuto diritto alla assegnazione.

La domanda, pertanto, deve essere accolta (avendo parte ricorrente prodotto in giudizio all’udienza di discussione la prova di aver attivato il tentativo obbligatorio di conciliazione). Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. La sentenza è esecutiva per legge.





NOTA DI COMMENTO



Nella sentenza in esame il Giudice del lavoro di Pisa è stato chiamato valutare il comportamento di un’amministrazione pubblica nelle operazioni di copertura di alcuni posti mediante attingimento da alcune graduatorie non ancora scadute.

Il giudicante, anzitutto, afferma la sussistenza della propria giurisdizione, poiché trattasi di questione cronologicamente successiva all’approvazione della graduatoria concorsuale. Infatti, l’art.63, comma 4 del D.lgs. n. 165/2001 (in precedenza art.68, comma 4 del D.lgs. n. 29/1993, come sostituito dall’art.29 del D.lgs. n. 80/1998) attribuisce alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie relative alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione. Tali procedure hanno inizio con il bando, atto amministrativo generale che esprime la decisione di coprire un certo numero di posti e detta la cosiddetta lex specialis del concorso, proseguono con la presentazione delle domande di partecipazione e l’espletamento delle procedure tecniche di selezione e si concludono con l’approvazione della graduatoria, che individua i soggetti da assumere. Come evidenziato in più occasioni dalla Suprema Corte di Cassazione (1), una volta esaurita la procedura concorsuale con l’approvazione della graduatoria, tutte le vicende successive (come quelle relative allo scorrimento) ricadono nella sfera degli atti di gestione e della capacità di diritto privato delle amministrazioni pubbliche e pertanto, ai sensi dell’art.63, comma 1 del D.lgs. n. 165/2001, sono conosciute dal giudice ordinario.

Nella prassi concreta può accadere che l’amministrazione, una volta ricoperti i posti messi a concorso mediante l’assunzione dei vincitori, in relazione a vacanze sopravvenute dei posti in organico decida di procedere ad ulteriori assunzioni, utilizzando la graduatoria esistente. Tale soluzione risponde ai principi di economicità, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa (art.97 Cost e art.1 L. n. 241/1990), poiché evita l’espletamento di un nuovo e costoso procedimento concorsuale e consente di individuare con immediatezza un soggetto da assumere, rispettando nel contempo la regola della scelta del personale mediante concorso. È di tutta evidenza che, trattandosi di vicenda cronologicamente successiva all’approvazione della graduatoria concorsuale, la giurisdizione spetta al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro.

Nel merito della questione il giudice, con una decisione da condividere, ha ritenuto contrario sia al criterio pubblicistico di buon andamento della P.A. che ai criteri civilistici di correttezza e buona fede (artt.1175 e 1375 cod. civ.) la scelta dell’amministrazione di attingere pro quota da diverse graduatorie ancora valide piuttosto che esaurire quella più remota.



Dr. Luca Busico



(1) Cfr. Cass., Sez. Lav., 5 marzo 2003 n. 3252, in Il Lavoro nelle P.A. 2003,607 con nota di BOCCI, Giustizia Civile 2004,I,817; Cass., Sez. Un., 15 maggio 2003 n. 7507, ivi e in Foro amministrativo CDS 2003,1534; Cass., Sez. Un., 29 settembre 2003 n. 14529, ivi,3281 copn nota di GALLO, Giustizia Civile 2004,I,815.



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