sabato 18 dicembre 2004
JOB ON CALL: LAVORO SUBORDINATO O LAVORO AUTONOMO?
della dott.ssa Roberta Caragnano
Il legislatore con la previsione del lavoro intermittente ha inteso regolamentare, a livello legislativo e riportare in un’area di legalità, fattispecie già operative ed esistenti nel nostro Paese ma che erano prive di regolamentazione.
Il contratto di lavoro intermittente (o job on call) é il “contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa nei limiti di cui all’art. 34 del D.Lgs. 276/03”.
Il legislatore ha definito tale tipologia contrattuale anche on il nome di job on call nella duplice versione di con o senza l’obbligo di corrispondere una indennità di disponibilità a seconda che il lavoratore si vincoli o meno in tal senso. Nella Relazione di accompagnamento alla legge delega (L. 30/03) è specificato che il contratto di lavoro in questione non deve essere identificato quale species del genus “lavoro part-time” quanto come ideale sviluppo del lavoro intermittente tramite agenzia da inquadrarsi nello schema del lavoro subordinato. In realtà, però, l’impostazione data nel Libro Bianco prevedeva che il lavoro intermittente non era da inquadrarsi necessariamente nello schema del lavoro subordinato. Nella pratica, però, il legislatore, ammettendo la possibilità, per il lavoratore, di non rispondere alla chiamata ha escluso la sussistenza della subordinazione.
Il contratto di specie può essere concluso per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi.
L’art. 34 del citato decreto, demanda alla contrattazione collettiva nazionale o territoriale il compito di stabilire le esigenze che legittimano il ricorso al lavoro intermittente.
L’operatività di tale nuovo istituto non è immediata per le ipotesi oggettive, ma subordinata alla determinazione delle esigenze individuate dalla contrattazione collettiva. Tale operatività è invece immediata, seppure in via sperimentale, per le ipotesi soggettive di cui al 2° comma dell’art. 34 e cioè qualora il contratto sia concluso da disoccupati con meno di 25 anni o da ultraquaranticinquenni espulsi dal ciclo produttivo e iscritti nelle liste di mobilità e di collocamento.
L’art.40 del D.Lgs. 276/03 rubricato, “Sostegno e valorizzazione della autonomia collettiva”, riprende l’art. 34 e prevede che decorsi cinque mesi senza che i contratti collettivi abbiano stabilito le esigenze che autorizzano il lavoro intermittente, il Ministro del Lavoro convoca le organizzazioni sindacali interessate dei datori di lavoro e dei lavoratori al fine di promuovere l’accordo. Nell’ipotesi in cui, nei quattro mesi successivi a tale convocazione, non intervenga l’accordo, allora scatta l’intervento sostitutivo del Ministero del Lavoro consistente nella determinazione, con proprio decreto, dei casi e dei limiti di utilizzabilità dell’istituto. Il decreto ha tuttavia natura provvisoria, poiché cessa di operare qualora le parti raggiungano un accordo sindacale.
Il potere di intervento sostitutivo del Ministro, presente in forma identica anche nel contratto di inserimento, è stato oggetto di alcune censure, soprattutto da parte sindacale, in quanto considerato un vulnus alla autonomia collettiva. Nelle intenzioni del legislatore, invece, tale potere di decretazione provvisoria da parte del Ministro del Lavoro, rappresenta uno stimolo affinché la contrattazione svolga effettivamente il suo ruolo, sopratutto quando è chiamata a dare contenuto ad un istituto giuridico ai fini della sua operatività.
Da una lettura più attenta delle norme in oggetto, si rileva una discrasia fra quanto previsto dall’art. 34 del provvedimento il quale, come già visto, rinvia ai contratti collettivi nazionali o territoriali la determinazione dei casi legittimanti il ricorso al lavoro intermittente, e quanto stabilito dal successivo art. 40, che fa scattare l’intervento sostitutivo del Ministro del Lavoro in caso di mancata determinazione da parte del contratto collettivo nazionale dei casi di ricorso al lavoro intermittente. Se non si tratta di un mero errore materiale nella scrittura dell’art. 40, potrebbe, quindi, verificarsi l’ipotesi dell’adozione di un decreto ministeriale anche in presenza di una regolamentazione territoriale. Inoltre, è riscontrabile un’altra incongruenza fra la disposizione dell’art. 43, 1 comma, la quale prevede che ove i contratti collettivi non individuino i casi di ricorso al lavoro intermittente, vi provvede il Ministro del Lavoro, in via provvisoria, con decreto da emanarsi dopo sei mesi dall’entrata in vigore del provvedimento, mentre quanto previsto dall’art. 40 disciplina il potere di intervento sostitutivo del Ministro con un diversa procedura sia nelle modalità di intervento, sia nei tempi.
I REQUISITI DI FORMA DEL CONTRATTO
Il contratto di lavoro intermittente è stipulato in forma scritta ad probationem (e non ad substantiam) e contiene i seguenti elementi:
a) indicazione della durata e delle ipotesi oggettive o soggettive, previste dall’art. 34, che consentono la stipulazione del contratto;
b) luogo e modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore e del relativo preavviso di chiamata del lavoratore che in ogni caso non può essere inferiore ad un giorno lavorativo;
c) trattamento economico e normativo spettate al lavoratore per la prestazione eseguita e la relativa indennità di disponibilità, ove prevista, nei limiti di cui all’art. 36 del D.Lgs. 276/03;
d) indicazione delle forme e modalità con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l’esecuzione della prestazione di lavoro, nonché delle modalità di rilevazione della prestazione;
e) tempi e le modalità di pagamento della retribuzione e della indennità di disponibilità;
f) eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attività dedotta in contratto.
Fatte salve previsioni più favorevoli dei contratti collettivi, il datore di lavoro è altresì tenuto ad informare con cadenza annuale le rappresentanze sindacali aziendali, sull’andamento del ricorso al contratto di lavoro intermittente.
Uno dei più rilevanti problemi giuridici posti dal contatto in questione è costituito dalla remunerazione, non tanto delle prestazioni svolte, quanto della disponibilità offerta dal lavoratore.
Ai sensi dell’art. 36 D. Lgs. 276/0 “nel contratto di lavoro intermittente è stabilita la misura dell’indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, corrisposta al lavoratore per i periodi nei quali il lavoratore stesso garantisce la disponibilità al datore di lavoro in attesa di utilizzazione”. La misura di detta indennità è stabilita dai contratti collettivi e comunque non è inferiore alla misura prevista, ovvero aggiornata periodicamente, con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, sentite le associazioni dei datori e dei prestatori d lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. La disciplina legale relativa all’indennità di disponibilità è ritenuta costituzionalmente legittima e necessaria poiché discende direttamente dal principio sancito dall’art. 36 della Costituzione per cui “il lavatore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera ed dignitosa”.
A tal proposito va ricordato che la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sull’apponibilità di clausole cd. elastiche nel part-time nella sentenza n. 210/92, ha affermato la necessità, a pena di incostituzionalità ex art. 36 Cost., di una specifica remunerazione della disponibilità offerta dal lavoratore, il quale si trova nell’impossibilità di programmare ed utilizzare il proprio tempo al fine di svolgere altre attività lavorative. Pertanto la previsione di un obbligo datoriale di compensare economicamente la disponibilità del lavoratore è essenziale ai fini della legittimità costituzionale della disciplina legale del lavoro intermittente, dal momento che tale fattispecie limita, per sua stessa natura, la programmabilità del tempo in cui il lavoratore non è impegnato nell’esecuzione della prestazione.
I contributi alla indennità di disponibilità sono versati per il loro effettivo ammontare, anche in deroga alla vigente normativa in materia di minimale contributivo. L’indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo.
In caso di malattia o di altro evento che renda temporaneamente impossibile rispondere alla chiamata, il lavoratore è tenuto ad informare tempestivamente il datore di lavoro, specificando la durata dell’impedimento.
Nel periodo di temporanea indisponibilità, il lavoratore, non matura il diritto alla indennità di indisponibilità.
Nel caso in cui il lavoratore non provveda a tale adempimento perde il diritto alla indennità di disponibilità per un periodo di quindici giorni, salva diversa previsione del contratto individuale. Le suddette previsioni si applicano solo nel caso in cui il lavoratore si obbliga contrattualmente a rispondere alla chiamata del datore di lavoro; in caso di ingiustificato rifiuto di rispondere alla chiamata sono possibili la risoluzione del contratto, la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo all’ingiustificato rifiuto, nonché un congruo risarcimento del danno nella misura fissata dai contratti collettivi o, in mancanza, dal contratto di lavoro.
Nel caso di lavoro intermittente per prestazioni da rendersi il fine settimana, nonché nei periodi delle ferie estive o delle vacanze pasquali, l’indennità di disponibilità è corrisposta al prestatore di lavoro solo nel caso di effettiva chiamata da parte del datore di lavoro.
Ulteriori periodi predeterminati possono essere previsti dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale.
Il lavoratore con contratto di lavoro intermittente, sulla base del principio di non discriminazione, non deve ricevere, per i periodi lavorati, un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello, a parità di mansioni svolte. Il trattamento economico, normativo e previdenziale del lavoratore intermittente è riproporzionato in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonché delle ferie e dei trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale, maternità, congedi parentali. Per tutto il periodo durante il quale il lavoratore resta disponibile a rispondere alla chiamata del datore di lavoro non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati, né matura alcun trattamento economico e normativo, salvo l’indennità di disponibilità di cui all’art. 36 del D.Lgs. 276/03.
Il prestatore di lavoro intermittente è computato nell’organico dell’impresa, ai fini della applicazione di normative di legge, in proporzione dell’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre.
Al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione di contratti di lavoro intermittente, le parti possono ottenere la certificazione del contratto in base a quanto disposto e contenuto nella leg