sabato 11 dicembre 2004
DALLE QUALIFICHE FUNZIONALI ALLE AREE , TRA CARRIERA PUBBLICA E CARRIERA PRIVATA.
del Prof.re Sergio Sabetta
La recente sentenza del TAR Lazio – Sez. I – n. 12370 in data 4/11/2003 interviene pesantemente sull’annosa questione della privatizzazione del pubblico impiego, avocando tra l’altro con una esauriente motivazione la competenza giurisdizionale finora riconosciuta al giudice ordinario.
Sembra essersi inoltre innescata una reazione agli eccessi degli ultimi anni avvenuti a partire dall’attuazione del CCNL 1998 – 2001, espressione di un dibattito nato dal D. Lgs. 29/93 e successive modifiche.
La necessità di una modernizzazione della P.A. ha condotto a comportamenti fortemente opportunistici in molte strutture, intendendo la privatizzazione quale possibilità di promozioni in massa in cui inserire dei doppi salti verticali e mirati, collegati in alcuni casi a nomine dirigenziali dirette a tempo determinato ai sensi dell’art. 3 della L. 15/7/02, n. 145.Quest’ultima circostanza confermata e di fatto sanata dal recente D.L. 29/11/2004, n.280 che all’art. 4 ha previsto espressamente la possibilità di utilizzare per le nomine relative alla quota del 5% di dirigenti esterni a tempo funzionari laureati dell’area C.
La stessa Corte dei conti, SS.UU. nell’ultima sua relazione sul personale delle regioni ed enti locali (deliberazione 22/7/2004, n. 28/contr.) ha confermato che nel biennio 2000/2001 tutti i dipendenti hanno usufruito di una se non due progressioni orizzontali ed almeno il 30% dei dipendenti di una progressione verticale.
La mancata trasformazione dell’ex ruolo direttivo ( VIII e IX livello per i Ministeri) in una fascia intermedia alta con funzioni parzialmente assimilabili ai quadri, come del resto previsto nel privato dall’art. 2095 cc., che può farsi rientrare nell’istituenda anche se finora mancata attuazione della vice dirigenza (ex art. 17 bis del D. Lgs. 165/2001), ha fatto sì che mancasse un serbatoio qualificato a cui attingere sia per la dirigenza che per le funzioni devolute dalla dirigenza stessa. Inoltre è incontestabile e inarrestabile la spinta del personale verso la funzione di vertice, tale da non permettere un adeguato filtro considerata la necessità dei sindacati di mantenere aperta la strada per progressioni di carriera a favore dei propri iscritti, anche a scapito della qualità organizzativa.
Si sta creando in sostanza una struttura non più piramidale ma neanche a tronco di cono, bensì a cilindro con una sostanziale ingovernabilità e ulteriore appesantimento dei processi. In altre parole la tanto decantata semplificazione amministrativa viene a scontrarsi con la necessità di giustificare la presenza di così tante alte professionalità con il conseguente moltiplicarsi di servizi, anche in rapporto con le presunte esigenze dell’attuata privatizzazione.
Tutto questo in contrasto con il tentativo in atto agli artt. 7 e 16 bis della finanziaria 2005 attualmente in discussione di comprimere i ruoli delle amministrazioni pubbliche per gli anni 2005, 2006 e 2007, inducendo le singole amministrazioni a una rideterminazione delle piante organiche con una riduzione complessiva non inferiore al 5% della spesa relativa agli organici di ciascuna amministrazione.
Parallelamente si è avuta una esplosione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che nel comparto delle autonomie locali si avvicina per il biennio 2000/2001 a oltre 50.000 unità, mentre i lavoratori interinali hanno raggiunto un massimo mensile medio del 7%, con un raddoppio tra il 2000 ed il 2002 dei dirigenti a tempo determinato e della loro retribuzione rispetto alla dirigenza a tempo indeterminato. Tutto questo è avvenuto in nome di una maggiore flessibilità privatistica, ma si è risolto anche in un problema di trasparenza e di difficili rapporti interstrutturali, con il blocco di fatto di qualsiasi assunzione esterna di forze giovani; se questo può avere un beneficio immediato per le casse dello Stato, può risultare dannoso nel lungo periodo in un ottica di risorse umane con un progressivo impoverimento delle stesse.
E’ pur vero che l’eliminazione di qualsivoglia progressione verticale o carriera con la L. 312/80, la quale prevedeva passaggi di livello esclusivamente per concorsi, non ha certamente facilitato la soddisfazione del personale ed una sua corretta gestione, circostanza che si è risolta in una forte spinta tellurica verso l’alto al momento del passaggio alle aree con il primo contratto nazionale, aggravata da un male assorbito concetto di concorrenza meritocratica da parte delle stesse strutture e conseguente pessima attuazione da parte dei responsabili.
La selezione per i medi e grandi enti, tra l’altro, sarebbe dovuta avvenire correttamente per linee esterne attraverso valutatori terzi e non internamente e quindi sottoposta a spinte di vario genere più o meno legittime.
Dobbiamo considerare che attualmente ci troviamo in una privatizzazione a metà, un ibrido tra pubblico e privato, obbligato dalla necessità di contenere la spesa pubblica e dal dovere mantenere un minimo di terzietà delle strutture rispetto ai vari fronti politici e ai loro rapidi rovesciamenti.
Queste circostanze impediscono l’ingresso a pieno titolo di istituti privatistici quali gli avanzamenti di carriera mediante le mansioni superiori e la conversione giuridica e non solo di fatto dei contratti a termine in rapporti a tempo indeterminato.
Già la Corte costituzionale, come ricordato dal TAR Lazio, è più volte intervenuta in materia di reclutamento dei pubblici dipendenti affermando:
1. l’accesso ad una fascia funzionale superiore è comunque una forma di reclutamento e può avvenire solo mediante pubblico concorso;
2. la riserva ad un concorso interno di una percentuale di posti particolarmente elevata è irragionevole ed in contrasto con gli articoli 3, 51 e 97 cost.;
3. contrasta con il principio del buon andamento previsto dall’art. 97 cost. una procedura finalizzata ad uno scivolamento generalizzato verso l’alto;
4. una valorizzazione generalizzata e non motivata dell’anzianità di servizio;
5. la violazione dei principi di eguaglianza e buon andamento della P.A. nel derogare al titolo di studio previsto per l’accesso dall’esterno;
6. l’illegittimità dell’accesso al posto da qualifiche non immediatamente inferiori;
7. la serietà dei criteri di verifica che non possono essere troppo generici.
(Corte costituzionale nn. 274/2003, 517/2002, 373/2002, 218/2002 e 194/2002)
Afferma il TAR Lazio che tali principi “…si atteggiano a veri e propri principi di ordine pubblico che oltre a fungere da parametro di costituzionalità delle leggi costituiscono anche parametro per la verifica della validità dei contratti collettivi, …” infatti deve escludersi che ciò che non è consentito alla legge possa essere consentito al contratto collettivo. Né può essere l’effetto della c.d. contrattualizzazione del pubblico impiego, che altrimenti “… non sarebbero infondati i dubbi di costituzionalità avanzati dai ricorrenti nei confronti delle disposizioni legislative che la contrattualizzazione hanno previsto e attuato (cioè la legge 421 del 1992 e il D. Lgs. n. 165 del 2001)”.
Imponendosi i limiti costituzionali a qualsiasi fonte regolativa della materia in esame, consegue che il giudice amministrativo dovrà verificare incidenter tantum la validità del contratto collettivo.
Prendendo in esame il bando a direttore di cancelleria in cui sono stati trasfusi i contenuti del contratto collettivo il Collegio rileva la riserva esclusiva al personale in servizio dei posti messi a concorso, la mancata previsione del titolo di studio prescritto, l’eccessiva valutazione dell’anzianità di servizio e la possibilità del doppio salto da C1 a C3, ne deduce la “…valutazione di nullità per impossibilità giuridica dell’oggetto e per contrasto con norme imperative (la regola costituzionale del pubblico concorso) e con principi di ordine pubblico sia delle disposizioni del contratto collettivo nazionale del comparto ministeri relativo al quadriennio 1998/2001 -…- sia delle disposizioni degli accordi collettivi che ad esso hanno dato attuazione…”.
Il Collegio tuttavia ammette la possibilità, anche al fine di motivare e valorizzare il personale che si è impegnato, di derogare eccezionalmente al principio del reclutamento mediante pubblico concorso entro limiti rigorosi e per aliquote limitate e comunque per favorire esclusivamente il passaggio a qualifiche immediatamente superiori da parte del personale in possesso del necessario titolo di studio e solo a seguito di una seria, oggettiva e trasparente verifica della professionalità posseduta, questo in accordo con il disposto dell’art. 52, c.1, del D. Lgs. 165/01.
Daltronde deve tenersi presente che le disposizioni disciplinanti la selezione sono nulle per “impossibilità giuridica dell’oggetto” ai sensi degli artt. 1346 e 1418 cc., essendo in contrasto con l’art. 2, comma 1, lett. C) n. 4) della L. n. 421/92 che riserva alla legge la materia della selezione per l’accesso al pubblico impiego o comunque la fissazione dei principi.
Ma la sentenza in esame è importante anche per un ulteriore aspetto relativo alla competenza giurisdizionale.
Rifacendosi alla sentenza a SS.UU. della Cassazione n. 15403/2003 in cui si riservava al giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali non solo per l’accesso dall’esterno ma anche per l’accesso interno da una fascia o area funzionale alla superiore, ribaltando un precedente orientamento delle stesse SS.UU., il Collegio ha affermato la propria competenza trattandosi di un concorso interno per il passaggio ad un’area funzionale diversa (Cass., SS.UU., 26/5/2004, n. 10183). Quanto detto lo si ricava dal fatto che le posizioni economiche C1,C2 e C3 dell’area funzionale C corrispondono alle ex qualifiche funzionali VII, VIII e IX, infatti ogni posizione economica ha proprie mansioni distinte e di complessità crescente come indicato nell’allegato A al contratto, circostanza che fa assimilare qualitativamente le posizioni economiche alle vecchie qualifiche funzionali, oltretutto in presenza di una progressione verticale chiaramente diretta a coprire posti vacanti.