lavoroprevidenza

giovedì 28 ottobre 2004

RIFORMA BIAGI: Riflessioni su lavoro a progetto, collaborazioni intellettuali escluse dal programma e professionisti interessati

del Dott. Mommo

Ringraziamo il Sig. Mommo per l invio del presente contributo a LavoroPrevidenza.com



RIFORMA BIAGI: Riflessioni su lavoro a progetto, collaborazioni intellettuali escluse dal programma e professionisti interessati




Quali professioni intellettuali potranno svolgersi collaborando senza progetto?




In merito all’introduzione nel nostro ordinamento del “lavoro a progetto” (detto anche “lavoro a programma”) è bene chiarire preliminarmente che la principale ed evidente finalità è stata quella di impedire l utilizzo improprio o fraudolento delle collaborazioni coordinate e continuative.

Utilizzo improprio già largamente diffuso quando da ultimo, si può dire che è stato (anche) favorito dalle novità introdotte con l’articolo 34 della legge 21 novembre 2000 n. 342, entrate in vigore dal 1° gennaio 2001.

La suddetta riforma delle collaborazioni avvenuta nel 2000 ha infatti modificato, oltre al regime fiscale e contributivo, anche l’ambito oggettivo per aver fatto venir meno il riferimento ai "rapporti aventi un contenuto intrinsecamente artistico o professionale".

Dal 2001, stando alla locuzione del tutto generica introdotta dal legislatore (“prestazione di attività” svolte senza vincolo di subordinazione) si è in qualche modo legittimato il fatto che i rapporti di collaborazione potessero avere ad oggetto anche attività di lavoro puramente manuali e materiali, che mal si conciliano con la necessaria autonomia che la collaborazione dovrebbe avere.

L’esigenza di evitare un uso non appropriato, ha indotto il legislatore ad intervenire nuovamente sul punto per stabilire che i rapporti di collaborazione, stipulati senza la preventiva individuazione di uno specifico progetto o programma di lavoro o fase di esso, dovranno essere considerati sin dall inizio rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

Il campo di applicazione del “lavoro a progetto” è definito dall’articolo 61 del decreto legislativo 10.9.2003 n. 276, il quale al punto 1 stabilisce che “ferma restando la disciplina per gli agenti e i rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l esecuzione della attività lavorativa”.

Lo stesso articolo 61 individua diversi casi di esclusione prevedendo l’inapplicabilità della previsione sopra riportata:

· per le prestazioni occasionali di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell anno solare con lo stesso committente, per un compenso percepito nel medesimo anno solare non superiore a 5 mila euro;

· per le professioni intellettuali;

· per le collaborazioni coordinate e continuative in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali;

· per i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e i partecipanti a collegi e commissioni;

· per coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia.

Il presente commento vuole prendere in considerazione e soffermarsi sulla prevista esclusione dei soggetti esercenti “le professioni intellettuali per l esercizio delle quali è necessaria l iscrizione in appositi albi professionali, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo”(art. 61 comma 3).

La vastità del problema relativo alle “collaborazioni intellettuali” rende l’argomento meritevole di una analisi in grado di offrire spunti per successive auspicabili riflessioni di approfondimento, trattandosi di una delicata questione interpretativa da risolvere.

Prima, però, per completezza del discorso sulle previste esclusioni, occorre ricordare che restano fuori dal campo di applicazione delle nuove norme sul lavoro a progetto anche i “rapporti di collaborazione intrattenuti con la pubblica amministrazione”.

Infatti, ai sensi dell’art.1, comma 2, le disposizioni contenute nello stesso decreto legislativo “non trovano applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale”.

Quindi, stando alla disposizione sopra riportata, la pubblica amministrazione può continuare a stipulare contratti di collaborazione.

Si può aggiungere che in merito al rapporto di collaborazione coordinata e continuativa con la Pubblica Amministrazione, il Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha emanato una circolare il 15 luglio 2004.

Detta circolare, emanata ai sensi del comma 8 dell art. 86 del decreto legislativo n. 276/03, in sede di armonizzazione dei profili conseguenti all entrata in vigore del decreto legislativo in argomento, definisce i presupposti e i limiti alla stipula dei contratti, unitamente alla corretta gestione degli adempimenti fiscali e previdenziali conseguenti.

A proposito di circolari riguardanti la riforma Biagi nel suo complesso, è bene anche ricordare che:

· con circolare dell 8 gennaio 2004 il ministero del Lavoro aveva fornito chiarimenti sui requisiti del progetto di collaborazione;

· con circolare n. 9 in data 22 gennaio, la Direzione Centrale delle Entrate Contributive è intervenuta a proposito degli esercenti attività di lavoro autonomo occasionale e incaricati delle vendite a domicilio;

· con circolare n. 103 del 6 luglio 2004 è intervenuta l’Inps sempre sulla stessa questione relativa ai soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale e agli incaricati alle vendite a domicilio, per precisare che l esenzione contributiva opera solo per la fascia dei 5.000 euro e, in caso di superamento di questo limite di reddito, i contributi sono dovuti solo per la quota di reddito eccedente.

Da quanto sopra, risulta evidente come in relazione al discorso che si vuole qui sviluppare, le precisazioni fino ad oggi fornite dallo stesso legislatore o da altri enti non hanno chiarito l ambito di operatività dell art. 61, comma 3, per quanto riguarda le collaborazioni professionali.

Opportuni chiarimenti, nella direzione di una più precisa individuazione dei soggetti coinvolti, sarebbero necessari considerata la genericità della formula utilizzata:“le professioni intellettuali per l esercizio delle quali è necessaria l iscrizione in appositi albi professionali, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo”.

Anche perché, stando alla stessa previsione legale, come alle posizioni assunte nel recente passato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, nonché dal ministero delle finanze, per il configurarsi di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa è necessario (può sembrare un controsenso!) che l’attività non rientri nell’oggetto dell’arte, della professione o dell’impresa abitualmente esercitata.

Quando invece, una lettura (non meditata!) della locuzione sopra virgolettata usata dal legislatore, farebbe pensare che soltanto chi sia iscritto in un albo professionale possa beneficiare della possibilità di stipulare un contratto di collaborazione continuativa, senza ricondurlo al tipo contrattuale del lavoro a progetto.

Tuttavia, il fatto che il legislatore non abbia inteso sancire “inequivocabilmente” ed expressis verbis tale obbligo di iscrizione all’albo, ai fini della collaborazione continuativa “senza progetto”, ci consente di fare alcune riflessioni (suffragate da una ricerca), iniziando dalla constatazione che non tutte le attività professionali di tipo intellettuale devono considerarsi protette.

Per usare l’espressione contenuta in una recente sentenza "l art. 2229 c.c. non esaurisce il novero delle professioni intellettuali poiché queste, a loro volta, non si esauriscono nelle professioni cosiddette protette" (Cassazione Civile Sent. n. 6874 del 06-05-2003).

Già in precedenza la Cassazione si era espressa nel senso che “Nella categoria generale delle professioni intellettuali, solo quelle determinate dalla legge ( art. 2229, primo comma, cod. civ.) sono tipizzate ed assoggettate all iscrizione in albi ed elenchi; mentre, all infuori di queste, vi sono non solo professioni intellettuali caratterizzate per il loro specifico contenuto, ma anche prestazioni di contenuto professionale o intellettuale non specificamente caratterizzate, che ben possono essere oggetto di rapporto di lavoro autonomo”. (Cass. Sez. II, sent. n. 9019 del 26-08-1993).

Ciò sta a significare che non sempre l’esercizio di una attività di tipo professionale “è condizionato all’iscrizione in un albo o elenco” ai sensi dell’articolo 2231.

Per altro verso, la giurisprudenza ha chiarito come anche certa attività che “normalmente” viene svolta da chi è iscritto in un albo professionale, può considerarsi non protetta e quindi può essere svolta liberamente da chi ne abbia titolo e competenza.

Per fare l’esempio su uno dei casi più eclatanti e controversi, molto dibattuta è la questione se la consulenza legale stragiudiziale debba considerarsi attività libera oppure protetta e quindi riservata a chi sia iscritto nell’albo degli avvocati.

A tal proposito, già nel 1987 la Cassazione ebbe a stabilire che “nel caso di consulenza legale extragiudiziale svolta in Italia da soggetto, anche straniero, non iscritto all albo professionale forense, la prestazione contrattuale è pienamente lecita e va retribuita, senza che per il compenso possa applicarsi obbligatoriamente la tariffa professionale”.

Il principio sopra riportato segue nella massima l’altro secondo cui “l invalidità dei contratti aventi ad oggetto prestazioni di opera intellettuale, per difetto d iscrizione del professionista all albo, si riferisce soltanto alle attività che la legge prescrive siano poste in essere esclusivamente da professionisti abilitati all esercizio professionale, mentre per ogni altra attività, anche se abitualmente svolta da professionisti iscritti in albi speciali e anche se la relativa tariffa venga indicata in un apposita voce e valutata con un particolare compenso, vige in Italia la regola generale della libertà per ogni soggetto, residente o non residente, di svolgere la propria attività lavorativa”. (Cass. Sez. II, sent. n. 5906 del 07-07-1987).

Ancora più chiara appare una massima molto più recente dove si è stabilito: “La prestazione di opere intellettuali nell ambito dell assistenza legale è riservata agli iscritti negli albi forensi solo nei limiti della rappresentanza, assistenza e difesa delle parti in giudizio e, comunque, di diretta collaborazione con il giudice nell ambito del processo. Al di fuori di tali limiti, l attività di assistenza e consulenza legale non può considerarsi riservata agli iscritti negli albi professionali e conseguentemente non rientra nella previsione dell art. 2231 cod. civ. e dà diritto a compenso a favore di colui che la esercita”. (Cass. Sez. III, sent. n. 7359 del 08-08-1997).

Lo stesso principio è stato ribadito da ultimo dalla Cassazione Penale, la quale ha stabilito che “gli atti rilevanti, ai fini della configurabilità del reato di cui all articolo 348 Cp (Abusivo esercizio di una professione) sono quelli riservati in via esclusiva a soggetti dotati di speciale abilitazione e cioè ai cosiddetti atti tipici, con esclusione delle attività “relativamente libere”, solo strumentalmente connesse a quelle tipiche”. (Cassazione, Sezione VI Penale Sentenza n. 17921 del 15 aprile 2003).

Non si può disconoscere come nel campo legale, esistano laureati in giurisprudenza i quali, pur non interessati all’esercizio della libera professione di avvocato, siano appassionati “giuristi” nel senso di profondi conoscitori della “res legale” ed abbiano specifiche competenze giuridiche che potrebbero essere anche “spese” in collaborazioni.

Del resto, neppure si può disconoscere come l’iscrizione ad un albo, soprattutto se “datata”, non sempre sia sinonimo di “professionalità aggiornata”.

Per quanto riguarda l’iscrizione all’albo degli avvocati, ci sarebbe molto da dire anche sul modo in cui avviene la verifica di professionalità di chi voglia fare il consulente giuridico (più che l’avvocato), ma non è questa la sede.

A proposito di nuove figure professionali emergenti - tra queste - può annoverarsi quella del consulente legale d’impresa (professionista nell’assistenza legale con una specifica conoscenza delle problematiche giuridiche e manageriali) e del giurista internazionale d’impresa (professionista nell’assistenza legale con una specifica conoscenza delle problematiche giuridiche relative alle nuove normative comunitarie e alla complessa gestione delle attività aziendali nel panorama economico internazionale).

Il giurista d’impresa non (necessariamente) deve essere un avvocato interno alla specifica realtà imprenditoriale, anzi, secondo alcuni è meglio che non lo sia per la propensione di molti avvocati al contenzioso.

Quindi, non necessariamente deve aver superato l’esame di stato ed essere abilitato all’esercizio della professione.

Si tratta di un operatore del diritto professionista che mette a disposizione dell’imprenditore la sua conoscenza della legge (per evitare contenziosi), nel senso che collabora e segue l’impresa desiderosa di perseguire i suoi scopi e le sue finalità “legalmente”.

Un professionista che acquisisce (prima) con corsi post laurea e costruisce (dopo) una sua competenza giuridica “specialistica” lavorando all’interno della realtà imprenditoriale.

Riportando il discorso nella sede che ci interessa, si può dire che a chi volesse svolgere l’attività di giurista d’impresa o consulente giuridico specialistico di un ente, non dovrebbe essere preclusa la possibilità di stipulare un contratto di collaborazione coordinata e continuativa senza progetto, per il solo fatto di non essere iscritto nell’albo forense.

Restando nel campo legale, si potrebbe fare anche l’esempio dell’eventuale collaboratore coordinato e continuativo di un grande studio legale che renda prestazioni inerenti l’attività professionale degli avvocati.

C’è da domandarsi perché un laureato in giurisprudenza pensionato (per dire non interessato al rapporto subordinato), che abbia competenze giuridiche specialistiche, non debba avere la possibilità di collaborare continuativamente con uno studio legale.

Nel caso ipotizzato a titolo di esempio, non ci sarebbe nessun dubbio sulla natura intellettuale della prestazione e nessuna plausibile ragione per condizionare ad un progetto tale rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.

Non dovrebbe sussistere alcun problema neppure per qualsiasi studio professionale abbia instaurato o intenda instaurare con un valido praticante (“di lungo corso” ) una “condivisa” e non elusiva collaborazione coordinata e continuativa.

Anche in questo caso, non avrebbe senso condizionare il mantenimento di tale collaborazione alla individuazione di un progetto, programma di lavoro o fase di esso.

A parte quelle che possono essere le posizioni necessariamente “conservative” dei consigli dell’ordine, che devono purtroppo rifarsi alla vecchia legge del 1934 che ancora oggi regola il settore dettando una disciplina rigida e protettiva, si può tranquillamente affermare che i pareri (o la consulenza) di esperti giuristi non possono essere confinati nell’antiquato recinto dell’attività protetta.

In quest’ottica, destinatario dell esclusione (dall’obbligo del “progetto”) deve essere certamente considerato (almeno!) il collaboratore professionale che renda prestazioni professionali “relativamente libere” (per usare la locuzione giurisprudenziale) a prescindere dall’iscrizione nel relativo albo.

Passando ad altre professioni un altro esempio che si potrebbe fare, a sostegno della tesi secondo cui non dovrebbe essere necessaria l’iscrizione all’albo per la collaborazione professionale, è quello del biennio di “praticantato” del pubblicista che, notoriamente, è colui che svolge attività giornalistica “non occasionale e retribuita” anche se esercita altre professioni o impieghi.

Infatti, ai sensi dell’articolo 35 della legge 69/1963 per l iscrizione all elenco dei pubblicisti la domanda deve essere corredata, oltre che dai documenti di cui ai numeri 1), 2) e 4) del primo comma dell art. 31, anche dai giornali e periodici contenenti scritti a firma del richiedente, e da certificati dei direttori delle pubblicazioni, che comprovino l attività pubblicistica regolarmente retribuita da almeno due anni.

Ebbene, al rapporto non occasionale che precede l’iscrizione si addice perfettamente un contratto di collaborazione coordinata e continuativa.

Anche in questo caso, non avrebbe nessun senso la riconduzione ad “uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente ...”, per mancata iscrizione nell’albo.

Dalle premesse fatte, a parere dello scrivente, si può concludere che l’esclusione dall’obbligo del progetto dovrà essere determinata non dall’iscrizione all’albo del professionista collaboratore, ma dalla prestazione di ordine professionale riconducibile ad un albo.

Prestazione che, per la sua natura intellettuale, mal si adatterebbe ad essere eseguita sotto la direzione del datore di lavoro.

Si può ipotizzare che (per questo) il legislatore, nel definire il caso di esclusione in discorso dall’obbligo di riconduzione ad un progetto, volutamente non abbia ritenuto di indicare come essenziale e necessaria l’iscrizione all’albo ma il tipo di prestazione di natura intellettuale.

Anzi, la norma in commento, potrebbe essere sintomatica di una precisa scelta in tal senso (paradossalmente liberalizzatrice!) del legislatore che, ove avesse voluto, avrebbe potuto prevedere la condizione di iscrizione ad un albo (esistente alla data ...... ) del “professionista collaboratore”.

Comunque, a parte una interpretazione particolarmente estensiva in base alla quale si potrebbero escludere dal progetto molte prestazioni professionali relative alle professioni intellettuali, non dovrebbe esserci alcun dubbio sull esclusione (dall’obbligo del “progetto”) del collaboratore che renda prestazioni professionali definite dalla Cassazione “relativamente libere” nel senso sopra specificato: cioè nel senso che si tratta di attività che può ritenersi libera “anche se abitualmente viene svolta da professionisti iscritti in albi speciali”.

Un bel problema da “forum legale”, ove detti spazi, invero utilizzati prevalentemente come “quesitario”e per lo scambio di esperienze pratiche e utili notizie casuali , potessero assumere anche la funzione che gli è propria di luogo di discussione e dibattito on line nel quale i partecipanti possano esprimere, con grande correttezza e rispetto del pensiero altrui, la loro qualificata opinione su “fondamentali questioni” inerenti l’esercizio della professione, oltre che sui più svariati argomenti.

Sarebbe interessante aprire una discussione, per conoscere le diverse opinioni, sulla specifica questione discussa; ma anche su un problema toccato, come quello se sia ragionevole (o meno), nell’attuale società, il fatto che la consulenza legale stragiudiziale sia “riservata” (alla stessa stregua dell’attività giudiziale); quando certa giurisprudenza la considera “libera” e cert’altra “relativamente libera”.

Dopo tutto, sullo scambio di fondate opinioni anche divergenti e contrarie si basa da un lato, la maturazione e la crescita culturale “personale”, dall’altro lo sviluppo professionale individuale e il progresso legislativo, che sia adeguato ad un’evoluzione della società (che si voglia positiva).





  • Hermes
  • Abercrombie
  • Chanel
  • Burberry
  • Moncler
  • Christian Louboutin