martedì 19 ottobre 2004
Part-time – nullità per difetto della forma scritta - disciplina in tema di contribuzione previdenziale
Sezione Lavoro
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CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
SENTENZA 5 luglio 2004, n. 12269
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Trento, G.F. dipendente della ditta F., esponeva di aver
trasformato, a far data dal 1.9.1987 il proprio rapporto di lavoro in rapporto di lavoro
a tempo parziale, e di aver comunicato tale cambiamento all Inps. Sennonchè, questo
Istituto, nel liquidarle la pensione di anzianità, aveva tenuto conto di una base
retributiva media settimanale decisamente inferiore a quella prevista dall art. 5, c. 11
della legge 19.12.1984, n. 863, non essendo stata la ricorrente in grado di esibire il
contratto scritto di part-time.
Ciò premesso la F. chiedeva la riliquidazione della pensione di anzianità e la condanna
dell Istituto al pagamento degli arretrati, con accessori di legge.
La domanda veniva accolta dal Tribunale adito con sentenza a sua volta confermata
dalla Corte di appello di Trento sul presupposto che il contratto part-time intercorso
tra le parti doveva ritenersi nullo, per mancanza del requisito della forma scritta
previsto ad substantiam dal citato art. 5, e che per il periodo durante il quale il
rapporto aveva comunque avuto svolgimento, dovevano conservarsi gli effetti del
contratto invalido, ai sensi dell art. 2126 c.c. sia in relazione agli aspetti retributivi
che a quelli contributivi.
Secondo il Giudice del gravame, la non convertibilità del contratto part-time nullo in
contratto a tempo pieno operava anche nei confronti dell Inps al quale i contributi
spettano in funzione dell effettiva consistenza del rapporto e, quindi, della
retribuzione effettivamente corrisposta (cita Trib. Milano, 7.11.1998, Riv. Crit. Dir.
Lav., 1999, 181).
Avverso la sentenza di appello l Inps ha proposto ricorso per Cassazione articolato in
un unico motivo, cui resiste la F. con controricorso.
Essendosi registrato un contrasto all interno della Sezione Lavoro della Corte, gli atti
del giudizio sono stati trasmessi al Primo Presidente il quale ne ha ritenuto opportuno
la rimessione a queste Sezioni Unite.
Motivi della decisione
Deducendo la violazione dell art. 5 della legge n. 863 del 1984 e dell art. 1 della legge
7.12.1989, n. 389, l Istituto ricorrente rileva - in contrasto con quanto ritenuto nella
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sentenza impugnata - che il principio di proporzione tra retribuzione e contribuzione è
affermato dalla legge n. 863/84 in riferimento soltanto al contratto di lavoro parttime
che soddisfi i requisiti dettati dalla medesima legge, mentre, nel caso di
contratto nullo, l aspetto contributivo torna ad essere disciplinato dalla regola
generale dettata dall art. 1 della legge n. 389/89, che impone di correlare la base
contributiva al minimale di retribuzione giornaliera.
A giudizio dell intimata, invece, pure in caso di contratto part-time nullo, gli effetti
conservativi dei diritti del lavoratore previsti dal citato art. 2126 c.c. si estendono ai
profili contributivi: in sostanza, anche nel caso di contratto part-time privo di forma
scritta, il minimale contributivo dovrebbe essere individuato sulla base della
retribuzione oraria, come previsto dall art. 5 della legge n. 864/84 per il rapporto di
lavoro a tempo parziale che si fondi su un valido contratto scritto.
1. La questione e i termini del contrasto.
In ordine alla questione relativa alla applicabilità o meno, al contratto di lavoro part
time nullo per difetto della forma scritta, della particolare (e più favorevole, per il
datore di lavoro) disciplina in tema di contribuzione previdenziale, dettata, per il
contratto di lavoro a tempo parziale validamente stipulato, dall art. 5, c. 5 della legge
n. 863 /84, si sono delineati due orientamenti contrastanti.
Oggetto del contrasto è l individuazione dei criteri per determinare la base
contributiva, e di conseguenza l ammontare dell obbligo contributivo gravante sul
datore di lavoro, in relazione ad un rapporto di lavoro subordinato che si sia
effettivamente svolto con le modalità del contratto part time, al quale sia applicabile
ratione temporis la regolamentazione dettata dal d.l. n. 726 del 1984, nell ipotesi in
cui il contratto di lavoro sia nullo per difetto della forma scritta, prevista ad
substantiam dall art. 5, comma quinto, del suddetto decreto legge.
Pur essendosi univocamente sostenuto in giurisprudenza che il dipendente, in
applicazione del principio contenuto nell art. 2126 cod. civ., abbia diritto ugualmente
alla retribuzione e a tutti i trattamenti che derivano dallo svolgimento del rapporto
lavorativo, in proporzione alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato,
da una parte si sostiene che, qualora il datore di lavoro si sia sottratto all applicazione
della normativa di garanzia in favore del lavoratore, dettata dal predetto decreto, non
possa usufruire, sul piano contributivo, della disciplina più favorevole in esso
contenuta, con la conseguenza, quanto alla contribuzione, nomerebbero ad applicarsi le
norme ordinarie; dall altra parte si sostiene che sia l aspetto contributivo che quello
retributivo, pur in presenza di una causa di nullità del contratto, devono
regolamentarsi tenendo conto del lavoro effettivamente prestato, sicchè il datore di
lavoro, pur in ipotesi di contratto di lavoro part-time nullo per difetto di forma, non
potrebbe essere obbligato al versamento dei contributi sulla base della disciplina
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ordinaria dettata per il rapporto di lavoro subordinato (in particolare, dall art. 7 della
legge n. 638 del 1983), ma continui a fruire della trattamento contributivo ridotto
dettato per il part- time.
2.- La disciplina del part time.
Il lavoro a tempo parziale ha ricevuto per la prima volta una disciplina specifica con
l art. 5 del d.l. 30 ottobre 1984, n. 726, poi convenite in legge 19 dicembre 1984, n.
863.
Il secondo comma di tale dell art. 5 di tale decreto legge prevede che "Il contratto di
lavoro a tempo parziale deve stipularsi per iscritto. In esso devono essere indicate le
mansioni e la distribuzione dell orario con riferimento al giorno, alla settimana, al
mese e all anno. Copia del contratto deve essere inviata entro trenta giorni al
competente ispettorato provinciale del lavoro".
La disciplina legale detta una articolata previsione legata alla necessaria forma scritta
del contratto e di alcuni suoi contenuti essenziali, ma non indica quali siano le
conseguenze in caso di violazione di tale prescrizione (come è previsto invece, ad
esempio, nella disciplina del contratto a termine).
La giurisprudenza della Suprema Corte si è uniformemente orientata, invece, nel senso
che la forma scritta sia richiesta dalla legge per la validità del contratto, sulla base
della chiarezza del dato letterale e della imperatività della norma, nonchè della ratto
legis, che è quella di fornire una maggior tutela al lavoratore in relazione ad un
rapporto che dovrebbe favorire l espansione dell occupazione (Cass., 26.7.2002, n.
11108; Cass., 28.5.2003, n. 8492 ed altre).
Se, tuttavia è pacifico che il contratto part-time privo di forma scritta sia nullo per
contrarietà a norme imperative, le stesse pronunce non ne ricavano - come la dottrina
prevalente - l automatica conversione del rapporto in rapporto di lavoro a tempo
pieno, ma affermano che il contratto in sè rimane nullo, anche se tale nullità non
produce effetto, ai sensi dell art. 2126, c. 1, cod.civ., per il periodo in cui il rapporto
ha avuto comunque esecuzione, con il conseguente diritto del lavoratore alla
retribuzione, la quale va peraltro rapportata alla attività lavorativa effettivamente
svolta anzichè a quella prevista per il contratto di lavoro a tempo pieno.
Il fenomeno dell avvenuta prestazione di attività lavorativa al di fuori di un valido
contratto viene preso in considerazione dall ordinamento e tutelato come rapporto
contrattuale di fatto, ovvero come rapporto le cui obbligazioni derivano da un fatto
idoneo a produrle in conformità dell ordinamento giuridico, e non dal contratto stesso.
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Nel caso di specie, il fondamento della tutela, che prevede il sorgere in capo al datore
di lavoro di una obbligazione analoga a quella che deriverebbe dal contratto qualora
esso fosse valido, è costituito appunto dalla norma contenuta nell art. 2126 c.c..
L applicabilità al rapporto della tutela dettata dall art. 2126 primo comma offre al
lavoratore la possibilità di conservare non solo il diritto alla retribuzione,
consequenziale al principio della irripetibilità delle prestazioni nei rapporti di durata,
ma anche a tutti i trattamenti economici connessi con lo svolgimento della prestazione
lavorativa, quale il diritto all indennità di fine rapporto.
Nel corso del tempo, il lavoro a tempo parziale si è rivelato sempre più uno strumento
idoneo sia alle esigenze di maggiore duttilità del mercato del lavoro, sia alla necessità
dei datori di lavoro di contenere le spese, retribuendo il lavoratore solo nei periodi o
negli orari di effettiva utilità.
Si sono avuti quindi una serie di interventi normativi atti ad incentivare e facilitare il
ricorso a tale tipo contrattuale, fino alla nuova disciplina organica della materia,
contenuta nel d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, in parte modificato dal d.lgs. 26 febbraio
2001, n. 100, di attuazione della direttiva CE 97/81, relativa all accordo quadro sul
lavoro a tempo parziale, che ha abrogato la disciplina precedente dettandone una
nuova, di più facile applicazione per le imprese.
Nella nuova legge, mentre in precedenza l ipotesi del part-time era ricondotta ad una
disponibilità del lavoratore a prestare la propria opera secondo orari differenti
rispetto al modulo tradizionale, il rapporto di lavoro a tempo parziale acquista pari
dignità concettuale rispetto al lavoro a tempo pieno. L art. 1 del d.lgs. n. 61 del 2000 si
apre infatti con l affermazione secondo la quale il rapporto di lavoro subordinato può
svolgersi a tempo pieno o a tempo parziale. La legge inoltre contiene la definizione dei
tre possibili tipi di part time, orizzontale, verticale e misto.
Per quanto concerne in particolare il problema in esame, la disciplina della forma del
contratto di lavoro a tempo parziale è stata profondamente innovata dal d.lgs. n. 61
del 2000, in quanto, pur essendo sempre prevista la stipulazione del contratto in
forma scritta, si chiarisce che essa è richiesta a fini di prova, con la precisazione che
"qualora la scrittura risulti mancante, è ammessa la prova per testimoni nei limiti di
cui all art. 2725 cod.civ. (art. 8, c. 1).
Pertanto, secondo le disposizioni attualmente vigenti, la forma scritta non è più
necessaria per la validità di tale rapporto di lavoro, e l unica conseguenza si ha sul
piano probatorio, con il divieto di far ricorso alla prova testimoniale, salvo che nel caso
disciplinato dall art. 2725 c.c.. Inoltre, la nuova legge contiene una disciplina di
maggior favore per il lavoratore in caso di part time privo di forma scritta, laddove
prevede la possibilità che egli richieda che sia dichiarata la sussistenza tra le parti di
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un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data in cui la mancanza della
scrittura sia giudizialmente accertata; tale disciplina evita sia le conseguenze
pregiudizievoli derivanti dalla rigida interpretazione giurisprudenziale sia
l automatismo della conversione del rapporto in lavoro a tempo pieno, proposto da
parte della dottrina.
Va, per completezza, rammentato che il ricorso al part-time, come pur ad altre forme
di occupazione alternative rispetto al contratto di lavoro a tempo indeterminato e ad
orario pieno, ha nuovamente richiamato l attenzione del legislatore: la recente legge
14.2.2003, n. 30, contenente la delega al Governo in materia di occupazione e mercato
del lavoro, ispirata all intento di migliorare le capacità di inserimento professionale di
quanti siano in ricerca di una occupazione, contiene all art. 3 una delega specifica al
governo in materia di riforma della disciplina del lavoro a tempo parziale, che è visto
come tipologia contrattuale particolarmente idonea a favorire l incremento del tasso
di occupazione, con facoltà di concedere agevolazioni previdenziali alle imprese che ne
faranno uso, e di estenderlo senza limitazioni nel settore del lavoro agricolo. Il
successivo decreto legislativo 10.9.2003, n. 276, emesso in attuazione della delega,
contiene una nuova disciplina del contratto di lavoro a tempo parziale, accanto ad altre
in parte nuove tipologie di lavoro subordinato tutte caratterizzate da una accentuata
flessibilità.
Deve avvertirsi, comunque, che le nuove norme contenute nel decreto legislativo n. 61
del 2000, tra le quali quelle relative alla forma del contratto, non si applicano ai
rapporti a tempo parziale conclusi prima dell entrata in vigore del decreto stesso, non
avendo esse efficacia retroattiva (questa Corte aveva in precedenza ritenuto non
retroattive le norme contenute nella legge del 1984: sent. 17.11.1994, n. 9724), e
pertanto la questione in esame conserva la sua attualità, per i rapporti ai quali continui
ad applicarsi la disciplina del 1984. 3. La contribuzione previdenziale nel contratto di
lavoro a tempo pieno e a tempo parziale.
Per meglio comprendere l incidenza pratica della scelta interpretativa operata dai due
orientamenti giurisprudenziali, appare opportuno delineare brevemente i due sistemi
di calcolo della contribuzione, da utilizzare nel contratto di lavoro a tempo pieno e nel
contratto di lavoro a tempo parziale.
Il criterio generale per determinare l importo della retribuzione da considerare a
base di calcolo per il pagamento dei contributi nel lavoro a tempo pieno si fonda sulla
regola della commisurazione della contribuzione dovuta ad un minimale retributivo
giornaliero.
Questo minimale era dapprima riferito ad un limite minimo variabile (cfr. legge
21.12.1978, n. 843 art. 20), mentre successivamente, l art. 7 della legge n. 638 del
1983 fissò il limite minimo di retribuzione giornaliera, da utilizzare come retribuzione
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base sulla quale operare il calcolo dei contributi dovuti per il lavoro subordinato,
ancorandolo al 7,50% dell importo del trattamento minimo mensile di pensione a carico
del fondo pensioni lavoratori dipendenti in vigore al 1 gennaio di ciascun anno.
La norma svolgeva la duplice funzione di garantire comunque ai lavoratori dipendenti
una contribuzione minima, anche nel caso di retribuzione inferiore ai minimi o
addirittura mancante, con la garanzia di un costante adeguamento di essa al costo
della vita data dall aggiornamento annuale del minimo contributivo giornaliero.
Successivamente l art. 1, c. 2, del decreto legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito in
legge 7 dicembre 1989, n. 389, ha previsto un innalzamento della percentuale dal 7,5
al 9,5 % a decorrere dal periodo di paga in corso alla data del 1 gennaio 1989.
Prima di una autonoma regolamentazione normativa del rapporto a tempo parziale, la
giurisprudenza si era decisamente orientata in favore della infrazionabilità del
minimale al di sotto della giornata lavorativa anche nel lavoro a tempo parziale,
accogliendo le tesi degli enti previdenziali (in tal senso, cfr. Cass. 27.2.1986, n. 1251;
Cass., 7.7.1987, n. 5910).
La tesi della infrazionabilità del minimale giornaliero nel part time si prestava a
determinare una certa disparità di trattamento tra i rapporti di part-time verticale,
in cui l importo della contribuzione previdenziale dovuta veniva calcolato in relazione
ai giorni di lavoro effettivamente prestato, mentre per il part-time orizzontale il
datore di lavoro, data l infrazionabilità, era tenuto a versare la contribuzione piena.
Tale tesi comportava una onerosità contributiva che scoraggiava un ampliamento
sostanziale del ricorso al part-time da parte delle imprese.
La questione venne sottoposta anche all attenzione della Corte costituzionale, sotto il
profilo della possibile violazione del principio di uguaglianza, ma la Corte, con
ordinanza 21.7.1988, n. 835, la dichiarò non fondata (nei riguardi dell art. 20 della
legge21.12.1978, n. 843, all epoca in vigore), affermando che il sistema allora vigente
era giustificato dalla preminente finalità di assicurare comunque un minimo di
contribuzione datoriale per poter garantire la tutela dei lavoratori sotto il profilo
previdenziale.
Il legislatore del 1984 è intervenuto proprio per eliminare questa incongruenza: l art.
5, comma 5, del decreto legge 726 del 1984 ha consentito il frazionamento del
minimale retributivo in considerazione delle ore di lavoro effettivamente prestate,
sostituendo, nel settore del lavoro a tempo parziale, al minimale retributivo
giornaliero il minimale retributivo orario. Tale comma, nella sua formulazione originaria
stabiliva infatti che: "La retribuzione minima oraria da assumere quale base di calcolo
dei contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale è pari ad un sesto
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del minimale giornaliero di cui all articolo 7 del decreto legge 12 settembre 1983, n.
463, convertito con modificazioni nella legge 11 novembre 1983, n. 638".
La norma dettata per il contratto di lavoro parziale sostituiva quindi al minimo
contributivo giornaliero, previsto per la generalità dei rapporti di lavoro, un minimo
orario, da applicarsi soltanto al rapporto di lavoro a tempo parziale, pari ad un sesto
del minimale giornaliero di cui al predetto articolo 7 della legge n. 638 del 1983: un
sistema di contribuzione più favorevole per il datore di lavoro in ragione del
presumibile minor impegno complessivo del lavoratore a tempo parziale, per cui
l ammontare di contribuzione dovuta si calcolava moltiplicando il valore minimo dovuto
per ogni ora di lavoro (calcolato secondo il criterio anzidetto) per il quantitativo di ore
effettivamente prestato - o dichiarato; il sistema, al tempo stesso, garantiva anche al
lavoratore un trattamento previdenziale non irrisorio, perchè la retribuzione minima
oraria era commisurata a un sesto (non ad un ottavo, a fronte di una durata abituale di
otto ore della giornata lavorativa) della retribuzione minima giornaliera.
Il sistema così introdotto, sebbene generalmente salutato come più favorevole per il
part-time stesso, non andò esente da critiche dottrinarie e da interpretazioni
adeguatici, in quanto penalizzava il part-time verticale. Si osservò, inoltre, che le
prestazioni lavorative effettuate con tempi superiori alle sei ore giornaliere, ma non
per tutte le giornate lavorative, rimanevano gravate da costi contributivi maggiori,
essendo gravate da contributi proporzionalmente maggiori di quanto previsto per il
lavoro a tempo pieno il che accentuava la disparità di trattamento tra lavoratori a
tempo ordinario e parziale.
Per ovviare a tali inconvenienti, con decreto legge 9.10.1989, n. 338, furono introdotte
alcune significative modifiche nel sistema di calcolo della contribuzione nel rapporto
di lavoro a tempo parziale.
L articolo 1, comma 4, del decreto legge indicato sostituì infatti il comma quinto
dell art. 5 del decreto legge n. 726 del 1984 con la seguente formula: "La retribuzione
minima oraria da assumere quale base di calcolo dei contributi previdenziali dovuti per
i lavoratori a tempo parziale si determina rapportando alle giornate di lavoro
settimanale ad orario normale il minimale giornaliero di cuiall articolo 7 del decreto
legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11
novembre 1983, n. 638, e dividendo l importo così ottenuto per il numero delle ore di
orario normale settimanale previsto dal contratto collettivo nazionale di categoria per
i lavoratori a tempo pieno".
Quindi, sulla base del criterio contenuto nell articolo 1, c. 4, del d.l. 9.10.1989 n. 338,
convertito in legge n. 389 del 1989 (poi ripreso dall artìcolo 9, comma 1, del d.lgs. n. 61
del 2000), il calcolo del minimale orario di retribuzione da utilizzare per calcolare
l importo della contribuzione a carico dei datori di lavoro per il rapporto di lavoro a
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tempo parziale si effettua 1) moltiplicando il minimale giornaliero previsto dalla legge
per il numero delle giornate di lavoro settimanale ad orario normale previste dal
contratto collettivo, e 2) dividendo successivamente tale prodotto per il numero delle
ore di orario normale settimanale previsto dal contratto collettivo nazionale di
categoria per il lavoratore a tempo pieno (il procedimento di calcolo del minimale
orario di retribuzione da porre a base di calcolo per determinare l ammontare dei
contributi nel part-time è illustrato nella Circolare del 10.4.1989 n. 68 dell Inps).
L ammontare dovuto di contribuzione si ottiene poi moltiplicando il minimale orario di
retribuzione cosi ottenuto per il numero di ore effettivamente lavorate dal lavoratore
a tempo parziale. In definitiva, il sistema così come modificato nel 1989 avvicina il più
possibile il minimale retributivo orario alla retribuzione oraria effettivamente
percepita. Parallelamente, la stessa legge ha imposto a tutti i datori di lavoro, anche
non aderenti alle associazioni stipulanti i contratti collettivi, il rispetto dei
trattamenti retributivi stabiliti dalla disciplina collettiva per il versamento della
contribuzione.
Inoltre, l articolo 1 del d.l n. 338 del 1989 imponeva di far riferimento, per
determinare la retribuzione imponibile, a quella fissata dalle leggi o dai contratti
collettivi, e, solo se più favorevole, a quella prevista dal contratto individuale.
In sostanza, il sistema per determinare la base retributiva sulla quale calcolare
l ammontare dei contributi dovuti per il part-time rappresentava una sintesi tra il
criterio della retribuzione minimagiornaliera, fissato per il lavoro a tempo pieno, e il
criterio del minimo orario, originariamente previsto per il part-time, più favorevole
per il datore di lavoro rispetto al sistema dettato dalla legge dell 84, in quanto la
retribuzione oraria tiene conto del numero di ore effettivamente previste per quel
tipo di contratto ove a tempo pieno.
Parallelamente a quanto è previsto dal sistema di calcolo della retribuzione, il sistema
di calcolo della contribuzione all interno del part-time regolare è commisurato
effettivamente ora alla qualità e quantità del lavoro prestato.
Il sistema così determinato è apparso adeguato a contemperare le esigenze
contributive con l attuazione del principio di eguaglianza, tanto che è stato
integralmente mutuato dal successivo articolo 9 c. 1, del d.lgs. n. 61 del 2000, che ha
ridisciplinato tutti gli altri aspetti del contratto di lavoro part-time, lasciando
invariato il solo aspetto contributivo.
4.- La giurisprudenza di legittimità.
La giurisprudenza di questa Corte - con riferimento alla disciplina precedente il d.lgs.
n. 61 del 2000 - ha costantemente ritenuto che il requisito della forma scritta del
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contratto di lavoro a tempo parziale sia richiesto ad substantiam dalla legge, mentre
non costituisce condizione di validità del contratto stesso il prescritto invio di copia di
esso entro trenta giorni all Ispettorato provinciale del lavoro (Cass., 24.6.1998, n.
6265).
La mancanza della forma scritta non può dar luogo alla conversione del contratto, con
l automatica instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo pieno, sia per la mancanza
di una norma di leggedestinata a sostituire la clausola nulla (come avviene invece nella
disciplina del lavoro a termine dettata dalla legge n. 230 del 1962), sia perchè
l applicazione d ufficio di un diverso tipo contrattuale presuppone che la volontà delle
parti sia orientata in tal senso, mentre le motivazioni solitamente sottostanti al part
time inducono di norma ad escludere che la volontà delle parti sia quella di sostituire
ad esso un contratto di lavoro a tempo pieno.
Per quanto concerne il diritto alla retribuzione e l entità di essa, in applicazione del
principio contenuto nell art. 2126 cod. civ. non si pone in dubbio che il lavoratore abbia
comunque diritto a percepire la retribuzione per l attività prestata, e che la
retribuzione stessa debba essere commisurata all attività effettivamente prestata e
non corrispondente all orario pieno, sia in riferimento al principio della corrispettività
della prestazioni, sia perchè una retribuzione maggiore, rapportata ad un attività che
non è stata in effetti svolta, costituirebbe un indebito arricchimento per il
lavoratore. Egli avrà diritto poi non solo al pagamento della retribuzione, ma anche alla
salvaguardia di tutti gli altri diritti patrimoniali conseguenti allo svolgimento di un
rapporto di lavoro subordinato, e previsti dall art. 2126 cod. civ. Quanto al
trattamento contributivo da applicare al contratto di part time irregolare, la
giurisprudenza, anche di legittimità, ha registrato una divergenza di opinioni.
Secondo l orientamento prevalente "Al contratto di lavoro a tempo parziale, pur
eseguito ma nullo per difetto di forma, non può applicarsi la disciplina in tema di
contribuzione previdenziale quale posta dall art. 5 quinto comma del decreto legge n.
726 del 1984, convertito in legge n. 863 del 1984, ma deve invece essere applicato il
regime ordinario di contribuzione prevedente anche i minimali giornalieri di
retribuzione imponibile ai fini contributivi, e così anche la più recente disciplina di cui
all art. 1 del d.l n. 338 del 1989, convertito in legge n. 389 del 1989, in tema di limite
minimo di retribuzione imponibile. Ciò perchè la contribuzione previdenziale deve
essere calcolata in rapporto alla retribuzione dovuta, rappresentata nella specie dal
minimale retributivo giornaliero stabilito dalla legge, e non già alla retribuzione
effettivamente corrisposta in relazione alla quantità della prestazione, in quanto la
decurtazione prevista in caso di part-time regolare, siccome norma eccezionale, non
può trovare applicazione al di fuori dei casi tassativamente previste non può essere
estesa al diverso caso di una prestazione di fatto i "(così Cass., 2.12.1999, n. 13445,
Cass., 26.4.2002, n. 6097, Cass., 28.5.2003, n. 8492; Cass., 5.8.2003, n. 11805 e Cass.,
28.1.2004, n. 1589).
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Il secondo orientamento sostiene invece che "Nel contratto di lavoro a tempo parziale
la mancanza della forma scritta comporta nullità per difetto di forma e non anche per
illiceità della causa o dell oggetto. Pertanto, la nullità non produce effetto per il
periodo in cui il contratto ha avuto esecuzione, con la conseguenza che il datore di
lavoro è obbligato alla retribuzione e alla contribuzione secondo la previsione del
contratto part-time" (Cass. 29.12.1999, n. 14692).
Il primo orientamento esclude che, in caso di part-time nullo per difetto di forma, il
datore di lavoro si possa giovare del più favorevole criterio di calcolo della
contribuzione dettato per il part-time regolare, ed afferma che si debba in questo
caso far riferimento ai criteri ordinari per la determinazione della base contributiva
giornaliera dettati per il rapporto di lavoro subordinato, atteso che la contribuzione
previdenziale deve essere calcolata in rapporto alla retribuzione dovuta,
rappresentata, nella specie, dal minimale retributivo giornaliero stabilito dalla legge,
non già dalla retribuzione effettivamente corrisposta in relazione alla quantità della
prestazione, in quanto la decurtazione prevista per il rapporto di part time
regolarmente stipulato e formalizzato costituisce norma eccezionale, non applicabile
come tale fuori dai casi espressamente previsti nè estensibile all ipotesi - diversa - di
prestazione lavorativa di fatto (spec. Cass. 26 aprile 2002, n. 6097 e Cass. 5 agosto
2003, n. 11805).
Tale disciplina, che prescinde dalle ore di lavoro in concreto lavorate, trova la sua
ragione e fondamento nelle finalità di soddisfare esigenze pubblicistiche di mutualità
e solidarietà (espressi da vari istituti, quali l integrazione al minimo delle pensioni, la
rivalutazione automatica delle stesse, l automatismo delle prestazioni).
In definitiva, in caso di part time irregolare, ad avviso della giurisprudenza prevalente
della Suprema Corte, l aspetto contributivo torna ad essere regolato secondo il
principio generale della materia, in base al quale è irrilevante la retribuzione
effettivamente percepita, se inferiore ai minimi della contrattazione collettiva,
edessa diventa rilevante solo se supera tali limiti. Inoltre, si afferma che il più
favorevole trattamento, quanto agli obblighi contributivi, dettato per il part-time
regolare, è una conseguenza non già della prestazione lavorativa a tempo ridotto, ma
del rispetto delle formalità previste dalla legge.
Questa Corte (nella specie, sent. n. 13445 del 1999) ha richiamato anche alcune
pronunce della Corte costituzionale (ord. 21.7.1988, n. 835; sent. 20.7.1992, n. 392)
che, in relazione alla situazione precedente alla introduzione della disciplina legislativa
del part- time del 1984, avevano ritenuto non irrazionale la parificazione del
trattamento riservato ai datori di lavoro in relazione a prestazioni a tempo parziale e
a tempo pieno, in base al quale essi erano tenuti in entrambi i casi alla contribuzione
sulla base del minimo retributivo imponibile, senza potersi differenziare le rispettive
posizioni in considerazione delle ore in concreto lavorate.
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Il secondo orientamento afferma invece che l efficacia del contratto nullo, ex art.
2126 cod. civ. si estenderebbe anche al rapporto contributivo che discende
dall esecuzione di esso, e quindi tale efficacia riguarderebbe non solo i due soggetti
stipulanti ma anche l istituto previdenziale, obbligando al versamento della
contribuzione nei suoi confronti il datore di lavoro secondo quanto previsto per il
contratto a tempo parziale. In definitiva, tale orientamento riconduce anche gli
effetti di natura legale al contratto stipulato dalle parti, ancorchè nullo, e ritiene che
essi siano disciplinati secondo quanto prevede la legge per quel tipo di contratti.
La tesi muove dalla considerazione che la necessità della forma scritta riveste l intero
contratto, in quanto l art. 5 del decreto legge n. 726 del 1984 prevede che esso
debba contenere l indicazione delle mansioni e l analitica distribuzione dell orario per
giorni, settimane, mesi ed anni. Ne trae la conseguenza che l assenza di forma
comporti non la nullità di una singola clausola ma dell intero contratto, non essendo
ipotizzatole una sua parziale validità ex art. 1419 c.c., ed altresì esclude la possibilità
di una conversione di esso in un contratto a tempo pieno, mancandone il contenuto.
Inoltre, pur riconoscendo al requisito di forma la funzione di controllo dei limiti del
lavoro a tempo parziale, e di evitare elusioni (anche contributive), ritiene che la nullità
per mancanza di forma non si traduca in una nullità per illiceità della causa o
dell oggetto, con la conseguenza che tale nullità non produce effetto per il periodo in
cui il rapporto ha avuto esecuzione e con l ulteriore conseguenza che il datore di
lavoro è tenuto alla contribuzione secondo la previsione dettata per il contratto di
lavoro a tempo parziale.
Si può ricondurre alla linea di pensiero della sentenza n. 14692 del 1999 anche la
sentenza n. 6265 del 1998, in cui - all interno di una fattispecie in cui il contratto
scritto esisteva, ed è stato esibito in giudizio - in motivazione si afferma che "così
come, in materia di lavoro, in relazione ai diritti spettanti al lavoratore per la sua
attività lavorativa, deve considerarsi la concreta attuazione del rapporto ( art. 2126
c.c.), indipendentemente dalla validità del contratto, egualmente, sul corrispondente e
parallelo rapporto assicurativo, spiega efficacia il concreto atteggiarsi del rapporto
così come eseguito".
La giurisprudenza minoritaria - che qui non si ritiene di seguire - u ripropone un
problema sistematico in ordine alla divaricazione tra retribuzione rilevante nel
concreto rapporto di lavoro e retribuzione virtuale assunta come parametro ai fini
contributivi, con riferimento al rapporto "di fatto" derivante dall art. 2126 c.c..
Deve osservarsi che l orientamento giurisprudenziale che qui si contrasta, anche se
correttamente ne rileva alcune conseguenze dissonanti derivanti dall applicazione
dell aliquota contributiva su retribuzioni eventualmente non reali, non tiene però conto
che la possibile divaricazione a vantaggio del rapporto previdenziale consente il
tendenziale conseguimento di una migliore tutela assicurativa dei lavoratori, oltre ad
12
un equilibrio finanziario della gestione previdenziale e della parità delle condizioni tra
le imprese, a prescindere dalla loro adesione alle organizzazioni sindacali più
rappresentative.
Nè si può condividere quella parte, pur autorevole della dottrina che, nel manifestare
particolare preoccupazione a causa di questa divaricazione, ritiene che la nozione di
retribuzione contributiva, ai sensi dell art. 12 della legge 30.4.1969, n. 153 e
successive modifiche, dovrebbe ricavarsi, in forza dell interpretazione dei contratti
collettivi ivi indicati, alla stregua dell art. 36 Cost., posto che detto articolo, ben può
qualificarsi innovativo, nel senso che ha aggiunto al principio di "onnicomprensività", ai
fini contributivi, di cui al medesimo art. 12, il criterio del minimale contributivo,
sicchè, in definitiva, deve affermarsi che la necessità di rendere possibile un
confronto tra retribuzioni"concretamente" rilevanti nel rapporto di lavoro e
retribuzioni "virtualmente" rilevanti, ai fini contributivi, nel rapporto previdenziale,
impone che tutto quanto rileva, in denaro e in natura, secondo l art. 12, del pari rilevi
secondo le fonti di cui all art. 1.
D altra parte, la denunciata, possibile divaricazione non solo emerge, per quanto si è
detto, dalla stessa legge (art. 1), ma ha superato altresì il vaglio della Corte
Costituzionale. Invero, l art. 28 DPR 27 aprile 1968 n. 488, nel settore
dell agricoltura, determinava la retribuzione utile ai fini contributivi sulla base delle
retribuzioni di cui ai contratti collettivi vigenti annualmente per ogni provincia, con
possibile divaricazione dalla retribuzione spettante. Orbene, detto sistema, che non
consentiva di tener conto di usi normativi che stabilivano una giornata lavorativa di
durata inferiore a quella fissata dalla contrattazione collettiva di settore, è stato
ritenuto legittimo dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 342 del 1992,
testualmente "in combinato disposto con l art. 1, primo comma, del DL n. 338 del 1989,
convertito in legge n. 389 del 1989", osservandosi che esso consente di effettuare un
bilanciamento d interessi, assicurato dall utilizzazione di contratti collettivi come
modelli generali o parametri validi per la generalità dei datori di lavoro, senza peraltro
conferire ai contratti collettivi medesimi efficacia "erga omnes" per quanto attiene al
rapporto di lavoro, essendo questo del tutto distinto da quello previdenziale.
E , infine, opportuno rilevare (cfr. già in Cass. 28.10.1999 n. 12122) che
l obbligatorietà del minimo contributivo non risulta condizionata all applicazione delle
fonti di cui al più volte citato art. 1, a differenza di quanto enunciato in materia di
fiscalizzazione degli oneri sociali dall art. 6, comma nono, della stessa legge n. 389 del
1989, che prevede l operatività del beneficio solo quando vengano corrisposte in
concreto le retribuzioni determinate da dette fonti. Al riguardo, si distinguono
appunto, rispettivamente, un obbligo, per quanto attiene al rapporto previdenziale, a
prescindere dal contenuto del rapporto di lavoro, ed un onere, per quanto attiene alla
predetta operatività.
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Dalle considerazioni che precedono discende, in particolare, che il principio di cui ora
devesi fare applicazione non è più soltanto quello per cui l imponibile si determina sul
"dovuto" e non su quanto "di fatto erogato" (art. 12 legge n. 153 del 1969).
Invero, quando, dopo la legge n. 389 del 1989, alle regole sull imponibile contributivo
si aggiunge il nuovo ed ulteriore criterio del "minimale" contributivo dell art. 1 legge n.
389 del 1989, la retribuzione "dovuta" in sinallagma nel rapporto di lavoro risulta
rilevante solo se "è superiore" ai minimi previsti dal contratto collettivo, mentre in
caso contrario non rileva e vale la misura minima determinata dal contratto collettivo.
In altre parole, secondo la norma in esame, gli accordi collettivi diversi da quelli
stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (ad es. gli
accordi aziendali o provinciali), ovvero gli accordi individuali, hanno rilevanza ai fini
contributivi solo quando determinino una retribuzione superiore al minimale, mentre,
in caso contrario, restano irrilevanti e la contribuzione va parametrata al minimale (in
tal senso, Cass., SS.UU., 29.7.2002, n. 11199).
Va ancora una volta avvertito che la questione sottoposta all esame della Corte va
delimitata cronologicamente, in quanto è limitato ai soli contratti conclusi entro
l ambito di applicazione della legge n. 863 del 1984, perchè prima di tale legge non
esisteva il minimale contributivo orario, ed anche ai rapporti di lavoro part-time - in
qualsiasi forma instaurati - si applicava, per il calcolo della contribuzione dovuta, il
minimale contributivo giornaliero;
successivamente alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 61 del 2000, tale problema è
superato perchè la nuova disciplina non lascia alcuno spazio per ipotizzare che il parttime
concluso in forma orale sia nullo, e quindi si applica anche al part-time instaurato
in forma orale il minimale contributivo orario.
Così circoscritti i limiti concettuali e cronologici del problema, occorre ancora
considerare che esso è strettamente connesso alla consolidata interpretazione, fatta
propria dalla giurisprudenza di legittimità, in ordine alla nullità del contratto di lavoro
part- time concluso senza la necessaria forma scritta. A questa decisa presa di
posizione in tema di nullità del contratto consegue il possibile riverberarsi del
mancato rispetto della disciplina dettata per la forma del contratto sugli aspetti
contributivi di esso.
Tale problema interpretativo discende anche dal fatto che la Suprema Corte non
abbia mai inteso aderire al diverso percorso ricostruttivo della fattispecie fatto
proprio dalla parte della dottrina che, anch essa, propendeva per la necessità della
forma scritta ad substantiam. Tale corrente di pensiero, come si è già esposto,
percorreva senz altro la strada della conservazione del contratto, e della conversione
del contratto a tempo parziale, nullo, in un valido contratto a tempo pieno.
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Dalla ferma presa di posizione nel senso di nullità totale del contratto, e dalla
considerazione che non esistono elementi per presumere, in via generale, che il
lavoratore a tempo parziale voglia la trasformazione del proprio rapporto in tempo
pieno, e che il contratto a tempo parziale ha per definizione un contenuto diverso dal
contratto di lavoro a tempo pieno, deriva l esclusione della possibilità della
conversione e la nullità totale del contratto di part-time nullo per difetto di forma (e
quindi, stipulato in violazione della norma imperativa che tale onere formale imponeva),
nonchè la necessità di individuare, in questa situazione, secondo quali norme venga
regolamentato l aspetto contributivo.
A giudizio di queste Sezioni Unite l orientamento maggioritario che afferma la
necessità di tornare all applicazione della regola generale in materia contributiva in
caso di part-time irregolare, presentano una maggiore coerenza motivazionale.
A ben vedere, l argomento testuale, posto a base dell orientamento giurisprudenziale
minoritario, secondo il quale il comma 5 dell art. 5 d.l. 726/1984, che introduce la
retribuzione minima oraria quale base contributiva, si riferirebbe ai lavoratori a
tempo parziale in sè, prescindendo dall essere essi legati o meno da un valido
contratto, appare alquanto debole, in quanto la norma è inserita nella disciplina legale
del part-time, che al comma 2 prevede chiaramente l obbligatorietà della forma
scritta, e quindi il riferimento diretto sembra limitato ai contratti validamente
costituiti.
Ulteriori argomenti potrebbero, in via di principio, desumersi da alcune riflessioni
sulla causa del contratto. Se si ritenesse - con la prevalente dottrina - che la causa
del contratto di lavoro a tempo parziale sia la stessa di un normale rapporto di lavoro
subordinato (nel senso, appunto, che le speciali modalità di svolgimento delle
prestazioni lavorative non incidano sulla causa del contratto) non vi sarebbero ostacoli
a che, in caso di inapplicabilità della disciplina normativa dettata per il part-time,
torni ad applicarsi la disciplina generale dettata per il lavoro subordinato, e, dunque,
all interno di essa, il criterio di determinazione del minimale orario giornaliero.
Se invece si dovesse ritenere che il part-time costituisce in realtà, rispetto al lavoro
subordinato a tempo pieno, una autonoma figura contrattuale, dotata di pari dignità
(fondamento normativo ditale affermazione si ha nel disposto dell arti del d.lgs. n. 61
del 2000 e, per il passato, dal comma 2 dell art. 5 d.l. 72671984 che fa entrare nel
contenuto necessario del contratto le modalità temporali della prestazione) potrebbe
ritenersi improprio affermare che, poichè il contratto part-time è nullo per difetto di
forma, cessa di applicarsi la regola speciale e torna ad applicarsi la regola generale,
facendo riferimento all ammontare dell obbligo contributivo previsto per un altro e
diverso contratto, che le parti non hanno mai inteso concludere e che non ha alcun
nesso con il rapporto che ha effettivamente avuto luogo.
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Sennonchè rispetto a quest ultima linea, espressiva di un nuovo "corso" assunto dal
legislatore negli ultimi anni, la disciplina applicabile al caso di specie rimane più
saldamente coerente - anche in conformità con le linee di fondo della normativa
comunitaria - aduna tendenziale preferenza verso il lavoro subordinato a tempo pieno,
quale formula più vicina agli obiettivi di stabilità e di tutela del lavoro
costituzionalmente garantiti dagli artt. 2, 3, 4 e 35 Cost..
Del resto lo stesso principio del minimo retribuivo imponibile da osservarsi in ogni
ipotesi (cioè sia nei casi in cui la retribuzione corrisposta sia inferiore al minimale
perchè il datore di lavoro non osserva, nel rapporto ad orario pieno, i minimi
contrattuali, sia nei casi in cui detti limiti non siano osservati in ragione di una durata
lavorativa inferiore a quella normale) è stata da questa Corte reputato non irrazionale
nè in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza atteso che il sistema della
previdenza, improntato ad esigenze di socialità, non è fondato necessariamente su di
una rigida sinallagmaticità tra contributi e prestazioni.
Non v è dubbio che il summenzionato sistema deve rispondere anche a principi
solidaristici che valgano a legittimare il legislatore ordinario ad imporre ad enti,
comunità e categorie di lavoratori il versamento di contributi, volti a beneficio non
degli stessi destinatari dell obbligo contributivo, ma di altri soggetti, e, quindi, diretti
ad avvantaggiare la collettività o altre categorie di lavoratori o di cittadini (così,
Cass., 24.1.2004, n. 1589).
In base a tali considerazioni, del resto, anche la Corte costituzionale ha dichiarato
non fondate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 39 Cost., le questioni di legittimità
costituzionale sollevate in relazione a normative comportanti obblighi ed effetti
analoghi (cfr. sent. 20.7.1992, n. 342; ord., 5.7.1988, n. 835).
Ciò detto, e tornando al dato normativo in questione, deve rilevarsi che una attenta
lettura dell art. 5 del d.l. n. 726 del 1984 - che prescrive precisi adempimenti tutti
volti al fine di garantire il lavoratore anche attraverso controlli funzionalizzati ad
impedire possibili abusi - induce a ritenere che il sistema contributivo regolato dal c.
5 del medesimo articolo risulti applicabile solo in presenza di tutti quei presupposti
previsti dai precedenti commi e risulti condizionato in particolare dall osservanza dei
prescritti requisiti formali.
Tali conclusioni sono sostenute anche evidenti ragioni logico- sistematiche:
risulterebbe, infatti, privo di razionalità un sistema che imponesse, per esigenze
solidaristiche, a soggetti rispettosi della legge l osservanza del "principio minimale"
con l applicazione ad essi di criteri contributivi da parametrare su retribuzioni anche
superiori a quelle in concreto corrisposte al lavoratore, e nello stesso tempo
esentasse da detti vincoli assicurando loro un trattamento di fatto privilegiato quanti,
nello stipulare il contratto part-time, mostrano, col sottrarsi alle prescrizioni di legge,
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di ricorrere a tale contratto particolare per il perseguimento di finalità non
istituzionali, agevolando così di fatto forme di lavoro irregolare (così Cass. n.
1589/2004 cit.).
Le considerazioni fin qui svolte inducono a confermare in questa sede l orientamento
già espresso da questa Corte in via prevalente, e, dunque, a condividere il motivo di
ricorso dell Inps..In presenza dei presupposti di cui all art. 384, n. 1 c.p.c., che
consentono di decidere la presente causa nel merito, va respinta la domanda della
ricorrente.Ricorrono le condizioni previste dall art. 152 disp. att. c.p.c. per esentare la
soccombente dalle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito,
respinge la domanda di F. G. nei confronti dell Inps. Nulla spese.
Così deciso in Roma, il 20 maggio 2004.
Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2004