lavoroprevidenza

lunedì 4 ottobre 2004

IL NUOVO VOLTO DEL LAVORO COOPERATIVO

dell Avv. Roberta Caragnano



Il 18 marzo 2004 la Circolare del Ministero del Lavoro n. 10 avente ad oggetto le “Modifiche alla disciplina del lavoro cooperativo di cui alla legge 3 aprile 2001, n. 142”, sulla scia della L.30/03 che ha riformato il mercato del lavoro in Italia, ha apportato delle sostanziali modifiche alla disciplina nella materia de quo.

In passato la materia era regolata dalla L.142/01 che aveva codificato il principio dello “scambio ulteriore” e nell’ambito del lavoro cooperativo individuava due rapporti distinti:

1. un rapporto “sociale” finalizzato alla costituzione di un’impresa che procurasse lavoro ai soci e assicurasse una ripartizione dei guadagni;

2. un rapporto di mera prestazione di lavoro retribuito e subordinato del socio alle dipendenze della cooperativa.

Il duplice rapporto che il socio/lavoratore aveva all’interno della cooperativa si configurava come “ulteriore e distinto” e finalizzato al raggiungimento degli scopi sociali. In virtù di tale disciplina il rapporto di lavoro (del lavoratore) costituiva un unicum con il rapporto societario pertanto il lavoratore era ammesso nella cooperativa in quanto socio.

La L.30/03 all’art. 9 ha eliminato il termine “distinto” di cui all’art. 1 della L. 142/01 con la conseguenza che il rapporto di lavoro che si instaura con la cooperativa è solo “ulteriore”. L’obiettivo perseguito dal legislatore è quello di rafforzare e confermare la preminenza del rapporto associativo sul rapporto di “lavoro” in ossequio alla tesi prima citata dello “scambio ulteriore” allontanando ogni interpretazione dottrinale che ribadiva la strumentalità del rapporto di lavoro rispetto al rapporto associativo.

“La norma non fa altro che rafforzare la teoria già proposta da alcuni autori in vigenza della normativa precedente, secondo cui il nesso di derivazione fra i due rapporti renderebbe il rapporto di lavoro, anche successivamente alla sua costituzione, inscindibile da quello associativo – fatte salve ovviamente le ipotesi diverse indicate dalla legge - risultandone, in altri termini, un reciproco nesso non solo genetico, ma anche funzionale, tra i due rapporti” .

L’attuale normativa ha modificato tale aspetto procedendo alla scissione del rapporto suddetto e creando due posizioni:

1. il socio;

2. il lavoratore.

Il socio può essere ammesso in cooperativa in qualità di “socio” in attesa che si presentino delle opportunità di lavoro; in seguito al concreto realizzarsi delle stesse si procederà all’instaurazione dell’ulteriore rapporto di lavoro. Conseguentemente ogni singolo rapporto può essere risolto senza che ciò determini il venir meno dell’altro.

Alla luce di tali modifiche apportate dalla L. 30/03 la portata della norma in questione è cambiata.

L’aspetto più delicato riguarda la disciplina dei diritti e dei rapporti sindacali, l’art. 2 della L. 142/01 sanciva l’applicabilità in toto dello Statuto dei Lavoratori fatta eccezione per l’art. 18 riguardante la reintegrazione per licenziamento illegittimo “ogni qualvolta venga a cessare con il rapporto di lavoro anche quello associativo”. Inoltre, la procedura era regolata dall’art. 5 della L. 142/01 e stabiliva che per le controversie relative ai rapporti di lavoro la competenze funzionale fosse del giudice del lavoro, il quale si esprimeva in ordine alla legittimità dell’esclusione/licenziamento e di altre controversie insorte tra socio e cooperativa. Le controversie inerenti il rapporto associativo rimanevano di competenza del giudice ordinario. Il comma 2 dell’art. 5 è stato sostituito dall’art. 9 della Circolare per cui “le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del Tribunale ordinario”.

La riforma sostanzialmente non ha modificato la norma suddetta ma ha solo aggiunto che l’esercizio dei diritti di cui alla L. 300/70 trova applicazione compatibilmente con lo status del socio lavoratore, secondo quanto determinato da accordi collettivi tra associazioni nazionali del movimento cooperativo e organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.

Nella Circolare, il Ministero ha ribadito che i Diritti sindacali di cui al titolo III dello Statuto dei Lavoratori sono mantenuti nell’ambito del rapporto cooperativo, lasciando alle parti la prerogativa di valutare al compatibilità dell’esercizio di tali diritti con lo status di socio lavoratore. Il potere negoziale è attribuito solo alle Associazioni nazionali del movimento cooperativo e alle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative affinché si possa garantire una sostanziale uniformità degli assetti. Con riferimento alle “associazioni nazionali” si intendono quelle di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo di cui al D. Lgs. Cps., n. 1577/1947.



LA RISOLUZIONE DEL RAPPORTO



La Circolare in oggetto ha aggiunto all’art. 5 della L. 142/01 una nuova previsione:“ il rapporto si estingue con il recesso o l’esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli artt. 2526 e 2527 c.c.”. In seguito alla riforma del diritto societario (D.Lgs. n. 6/03) il riferimento agli articoli suddetti deve essere inteso rispetto agli artt. 2532 e 2533 c.c. In riferimento a ciò la conclusione del rapporto societario comporta la conclusione del rapporto associativo senza che vi sia un atto aggiuntivo. Questa è la medesima conclusione cui si era pervenuti in precedenza in relazione alla preminenza del rapporto associativo su quello di lavoro con la precisazione che la delibera di accettazione del recesso o di esclusione costituisce causa di interruzione del rapporto di lavoro in essere con il socio qualunque sia il tipo di rapporto instaurato nel senso dell’autonomia e della subordinazione.

In tale contesto perde di efficacia pratica l’art. 2 della L. 142/01 che prevede la non applicabilità dell’art. 18 della L. 300/70 solo nel caso in cui venga a cessare il rapporto di lavoro e quello associativo sulla base del principio per cui entrambi i rapporti cesserebbero contemporaneamente.

A conferma di quanto detto la nota ministeriale specifica che in capo alla cooperativa rimane la facoltà di prevedere (nell’ atto costitutivo) che lo scioglimento del rapporto di lavoro sia disgiunto dal rapporto societario. A tal proposito l’art. 2533 c.c prevede che lo scioglimento del rapporto sociale determina anche la risoluzione di tutti i rapporti mutualistici pendenti, fatte salve le disposizioni contenute nell’atto costitutivo. Sulla base di quanto detto, la cooperativa potrebbe inserire nell’atto costitutivo delle clausole di risoluzione del rapporto di lavoro, autonome rispetto a quelle societarie; oppure potrebbe prevedere che lo scioglimento del rapporto sociale non produca effetti sul rapporto lavorativo e viceversa.

Se così fosse sarebbe applicabile l’art. 2 della L. 142/01 in ordine all’applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. La valutazione sulla legittimità della risoluzione del rapporto opererebbe solo sul rapporto di lavoro pertanto, in caso di nullità del licenziamento, sarebbe applicabile l’art. 18 dello S.d.l. ovvero, in caso di mancanza dei requisiti dimensionali dell’azienda, il rimedio di cui alla L. n.604 del 66.

Nell’ipotesi di esclusione/licenziamento l’art. 2 della L.142/01 prevede la competenza del giudice ordinario in quanto questa “attrae tutti gli aspetti del rapporto di lavoro” come conseguenza diretta dello scioglimento del vincolo associativo. Una parte di autorevole dottrina in relazione all’articolo in questione ha interpretato i termini “rapporti mutualistici” in una eccezione piuttosto ampia (soprattutto in relazione alle modifiche del diritto societario) con la conseguenza che, in sede di commento alla legge di riforma, in caso di controversie tra socio e cooperativa riconducibili alla previsione di cui all’art. 409 c.p.c. la competenza sia del giudice del lavoro.



I REGOLAMENTI COOPERATIVI



L’ art. 6 della L.142/01 riguardante la fissazione di un termine per l’approvazione del regolamento interno delle cooperative è stato più volte prorogato, da ultimo al 31 dicembre 2004. L’art. 23 sexties della L. 47/04 ha stabilito che il mancato rispetto del termine per l’approvazione del regolamento interno comporta l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 2545-sexiesdecies c.c., ossia la revoca di amministratori e sindaci e la gestione commissariale in caso di irregolare funzionamento delle società cooperative.

Tale situazione comporta dei problemi di non poco conto dal momento che sorge il problema se, a fronte delle continue proroghe, possono trovare applicazione le disposizioni della L. 142/01 e successive modifiche. Stando a quanto previsto dalle norme, in caso di cooperative inadempienti non troverebbero applicazione, nelle more dell’approvazione del regolamento, gli strumenti riguardanti la dichiarazione dello stato di crisi aziendale e l’assunzione dei provvedimenti conseguenti.

Un problema che è oggetto di varie interpretazioni dottrinali riguarda la qualificazione del rapporto di lavoro dei soci in caso di mancato regolamento. Personalmente ritengo che, in assenza di Regolamento interno, non sia possibile inquadrare i soci con un rapporto di lavoro diverso da quello di tipo subordinato.





LA DISCIPLINA DEL TRATTAMENTO ECONOMICO-NORMATIVO



In ordine alla disciplina del trattamento economico-normativo la L.30/03 ha introdotto delle modifiche con l’introduzione di una nuova disposizione in base alla quale il Regolamento non può derogare in pejus “al solo trattamento economico minimo di cui all’art. 3, c.l.”

Il riferimento al suddetto articolo è ambiguo dal momento che l’art. 6, nella precedente versione, nel sancire la nullità di ogni deroga in pejus non richiamava il trattamento economico così come definito dall’art. 3, bensì i trattamenti economici e normativi dei contratti collettivi di cui all’art. 3, ossia di quelli “nazionali del settore o della categoria affine”.

Da ciò deve dedursi che il trattamento economico e normativo stabilito dalla contrattazione collettiva deve trovare integrale applicazione senza possibilità di deroghe in senso peggiorativo.

Gli istituti retributivi e normativi contemplati dalla legge per la generalità dei lavoratori subordinati (ad esempio il Tfr o le ferie) trovano applicazione nei confronti dei soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato. Per quel che concerne le clausole contrattuali del Ccnl tese a regolamentare gli aspetti normativi, la circolare si limita ad osservare come sia stata eliminata la previsione che impediva al regolamento interno di contenere disposizioni derogatorie in pejus rispetto alle medesime.

Le suddette disposizioni potranno subire delle deroghe anche peggiorative, nell’ambito della potestà regolamentare che deriva alla base sociale.

Ad esempio, per il patto di prova potrebbe essere stabilito un periodo più lungo rispetto a quelle contrattuale, ma più consono a definire l’idoneità di un soggetto che deve entrare a far parte di una compagine sociale.

E’ opportuno sottolineare che, alla luce del richiamo nel regolamento al contratto collettivo applicabile, nello stesso regolamento dovranno essere espressamente indicate le voci retributive contrattuali che la cooperativa intenda escludere in quanto non facenti parte dei minimi di cui all’art. 3, così come dovrà essere espressamente indicato il trattamento normativo in quanto differisca da quello contrattuale.



LE COOPERATIVE DELLA PICCOLA PESCA



Nel caso delle cooperative di piccola pesca, la riforma ha previsto ( in deroga all’art. 3 comma 1) che le stesse posano corrispondere ai propri soci lavoratori un compenso proporzionato all’entità del pescato, sulla base di parametri e criteri stabiliti dal regolamento interno previsto all’art. 6 della L. 142/01. La ratio di tale disciplina si fonda sul principio per cui il socio viene (da sempre) retribuito con un compenso proporzionato all’entità del pescato, cd. retribuzione alla parte.







LE COOPERATIVE SOCIALI DI TIPO b)



Le cooperative sociali di cui all’art. 1, lettera b della L. 381/91 possono, in ordineal dettato della riforma, definire accordi territoriali con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, al fine di rendere compatibile l’applicazione del Ccnl di riferimento con l’attività svolta.





note



1 Dario Verdani in “Lavoro coperativo: chiarimenti sulla nuova disciplina” in Diritto e Pratica del Lavoro n. 14/04

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