mercoledì 29 settembre 2004
Danno biologico INAIL e danno differenziale del lavoratore
dell Avv. Calogero Lo Giudice
Danno biologico INAIL e danno differenziale del lavoratore
Avv. Calogero Lo Giudice
(Avvocatura Inail – Pisa)
I) La questione della inscindibilità dei titoli indennitari (danno biologico, “conseguenze patrimoniali”).
A seguito dell’entrata in vigore del D. Leg.vo n. 38 del 23 febbraio 2000, che ha previsto l’erogazione da parte dell’Inail dell’indennizzo per il danno biologico, è sorto il problema – rilevante in sede di liquidazione e ripartizione tra Inail e danneggiato del quantum risarcitorio, nell’ambito dell’ordinaria responsabilità civile – se l’Istituto previdenziale possa comunque esercitare la propria rivalsa fino alla concorrenza dell’ammontare delle prestazioni ovvero, nel caso di corresponsione di rendita per menomazioni di grado pari o superiore al 16%, debba limitare la pretesa alla quota corrispondente al danno biologico, in assenza di effettivo danno patrimoniale.
In altri termini, nella ipotesi contemplata dall’art.13, c.2, lett.b) del D. Leg.vo n.38/2000, l’Inail che ha indennizzato sia il danno biologico, sia le “conseguenze patrimoniali”, potrà chiedere il rimborso di quanto erogato soltanto nei limiti dell’importo della prima voce di danno, ovvero – pur in mancanza di prova del concreto danno patrimoniale – potrà comunque surrogarsi nel diritto dell’assicurato all’eventuale maggior ristoro del “danno non patrimoniale”?
Il concetto di “danno non patrimoniale” – giova precisare - è da intendere secondo le statuizioni contenute nelle note sentenze della Corte di Cassazione n. 8827 e n. 8828 del 31/5/2003 e della Corte costituzionale n.233 del 11/7/2003.
E’ evidente che le differenti soluzioni al prospettato problema restringono o ampliano l’area del danno differenziale, ma – naturalmente – non del risarcimento, in ossequio al principio secondo cui al danneggiato spetta “tutto il danno e solo il danno”.
La specifica questione non si pone, chiaramente, ove un danno patrimoniale effettivamente esista e venga dimostrato, poiché non si dubita che, in tal caso, l’Inail possa surrogarsi fino alla concorrenza dell’ammontare delle prestazioni, senza necessità di distinzione tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale o - se si preferisce, per il momento e salvi gli argomenti che si esporranno in prosieguo – tra danno patrimoniale e danno biologico.
L’interpretazione letterale dell’art.13, c.2, lett. b) del D. Leg.vo n.38/2000 potrebbe suffragare la tesi della scindibilità dei titoli indennitari (danno biologico, “conseguenze patrimoniali”) e consentire la rivalsa esclusivamente nel (doppio) limite del danno biologico Inail e civilistico.
L’esame della evoluzione del sistema conduce, per contro, a diverse conclusioni.
Le soluzioni:
a) L’argomento della costituzionalità sopravvenuta del sistema.
Sono note le decisioni della Corte costituzionale (n.319/1989; n.87/1991; n.356/1991; n.485/1991) che hanno portato il legislatore a riconoscere il danno biologico nell’ambito del sistema Inail di indennizzo e sostegno sociale.
Prima degli interventi della Consulta non si dubitava della possibilità per l’Inail di surrogarsi nei diritti dell’assicurato verso il terzo responsabile, fino alla concorrenza dell’ammontare dell’indennità erogata, come recita testualmente l’art.1916 c.c.
Una volta riconosciute le prestazioni economiche, l’Istituto agiva nei confronti del responsabile civile, per ottenere il rimborso dell’intero costo dell’infortunio, nel limite del danno reale risarcibile. Non solo, ma l’Ente di previdenza godeva addirittura del c.d. diritto di prededuzione, nel senso che non poteva essere risarcito il danneggiato se non dopo essere stato interamente soddisfatto il diritto di surroga dell’assicuratore sociale.
Una posizione di vantaggio era, dunque, assicurata a favore dell’Inail.
I richiamati interventi della Corte costituzionale hanno determinato la scindibilità del danno risarcibile: l’Inail – sostanzialmente, si diceva – non paga il danno biologico, per cui va separata questa voce risarcitoria e riconosciuta, con priorità, a favore del danneggiato; quel che residua, e se residua, spetta all’ente di previdenza.
Questo ragionamento –riassunto con intenzionale semplicità - presupponeva il mancato riconoscimento del danno biologico nell’ambito del sistema d’indennizzo facente capo all’Inail.
Va da sé che, venuta meno l’incostituzionalità del sistema con l’introduzione dell’art. 13 del D. Leg.vo n.38/2000, deve considerarsi nuovamente operante il principio della indivisibilità del danno risarcibile e l’Inail potrà – così come accadeva in precedenza - surrogarsi nei diritti dell’assicurato, fino alla concorrenza dell’ammontare delle prestazioni erogate.
b) L’interpretazione delle “conseguenze patrimoniali”.
L’argomento della costituzionalità sopravvenuta del sistema non è il solo a sostegno della tesi della inscindibilità dei titoli indennitari (“danno biologico”, “conseguenze patrimoniali”), ai fini della rivalsa dell’Inail.
S’impone – in modo particolare - il superamento del limite costituito dalla lettera dell’art.13, c.2, lett. b) del D. Leg.vo n.38/2000 che fa esplicito riferimento a “conseguenze di carattere patrimoniale”.
Tali conseguenze non sono, certamente, quelle proprie del singolo lavoratore, né possono esserlo, trattandosi di sistema indennitario.
Per rendersi esatto conto del contenuto della menzionata disposizione, occorre chiedersi qual è l’oggetto dell’indennizzo Inail, con un rapido sguardo anche ai precedenti normativi.
L’espressione “attitudine al lavoro”, adoperata dal T.U. n.1124/1965, è stata costantemente intesa, non come capacità di lavoro specifica, bensì generica, riferita a qualunque lavoro manuale medio.
La Corte costituzionale, con sentenza 21 novembre1997 n.350, ha confermato tale interpretazione, assunta in termini di diritto vivente.
La stessa Corte auspicava un intervento legislativo, volto ad adeguare la struttura dell’assicurazione Inail al passo evolutivo della moderna società civile, tenendo in considerazione, in particolare, il fatto che nello specifico settore non appaiono più esaustive le tradizionali classificazioni di massa (agricoltori, operai, impiegati), richiedendosi invece una più dettagliata individuazione delle diverse categorie delle attività lavorative.
La circostanza che il legislatore del decreto n.38/2000 (art.13, c.2, lett.b) abbia fatto riferimento alla “categoria di attività lavorativa di appartenenza dell’assicurato”, non ha certamente comportato l’abbandono del concetto di “attitudine al lavoro”come “capacità lavorativa generica”, conforme, del resto, al tipo di assicurazione che non è sorto con intenti risarcitori.
La conseguenza è che, allorché al lavoratore venga riconosciuta la “ulteriore quota di rendita” di cui all’art.13, c.2, lett.b) del D. Leg.vo n.38/2000, senza che in effetti risulti provato, in ambito civilistico, un vero e proprio danno patrimoniale, non per questo devono tenersi distinti gli importi che compongono il costo dell’infortunio, separando il “danno biologico” dalle “conseguenze patrimoniali”. Di fatto, le “conseguenze patrimoniali”, nel caso appena prospettato, altro non sono che “conseguenze” incidenti sulla generica capacità di lavoro, sul generico modo di essere del soggetto, come tale rientrante nel concetto unitario di danno biologico.
Viceversa, ove un danno di natura economica concretamente esista e sia provato, a maggior ragione non v’è necessità di scomporre il costo Inail dell’infortunio, potendo l’Istituto esercitare la rivalsa fino alla concorrenza dell’ammontare delle prestazioni.
Non è revocabile in dubbio, infatti, la spettanza del danno patrimoniale a favore dell’Inail.
II) La questione ulteriore della inscindibilità del “danno non patrimoniale” civilisticamente risarcibile.
Altra e più interessante questione, incidente sulla consistenza del danno c.d. differenziale, è se debba operarsi la distinzione all’interno dell’area del danno non patrimoniale, civilisticamente risarcibile.
In termini più espliciti, il danno morale e il danno esistenziale saranno di esclusiva spettanza del lavoratore e limiteranno, pertanto, la rivalsa dell’Inail?
Il problema, affrontato in un precedente scritto (“La rivalsa dell’Inail estesa al danno morale e al danno esistenziale” in www.altalex.it 10/12/2003) merita un maggiore approfondimento dal punto di vista sistematico.
a) Il danno morale come componente del danno biologico.
In ordine al danno morale, tanto la Corte di Cassazione ( Sez. III, 20/6/1992 n.7577) che la Corte costituzionale (17/2/1994 n.37) hanno ragionato nei seguenti termini: se il danno morale ex art. 2059 c.c. non è coperto dalla garanzia assicurativa, ad esso non può essere esteso il diritto di surroga e di regresso dell’Inail.
La Corte costituzionale, del resto, nella sentenza 14/7/1986 n.184 ha tenuto ben distinti il danno biologico (danno evento) e il danno morale (danno conseguenza).
L’evoluzione del sistema risarcitorio segna, tuttavia, la strada per l’attuale affermazione del principio di unitarietà del danno non patrimoniale.
In passato, il diritto privato era orientato a tutelare principalmente il patrimonio del soggetto, i suoi interessi economici.
Il fatto menomativo dell’integrità psico-fisica rilevava non di per sé, come lesione del fondamentale diritto alla salute della persona umana, ma per le conseguenze “patrimoniali” che ne derivavano, per gli effetti che si producevano sul reddito (attuale, futuro, potenziale, figurativo) del soggetto.
In breve, il parametro del danno alla persona era, comunque, costituito dal reddito, anche nei casi in cui il soggetto non ne percepiva alcuno.
Il risarcimento del danno di natura non economica costituiva una vera e propria eccezione.
Al danno morale soggettivo (in ciò consisteva il danno non patrimoniale ex art.2059 c.c.) era riservata una tutela assai ristretta (“solo nei casi determinati dalla legge”) e, più che altro, per scopi di prevenzione e repressione di atti delittuosi.
E’ facile comprendere che il risarcimento del danno morale, sia pur limitato, rappresentava il minimo di protezione riferito alla persona in sé considerata, a prescindere dal suo patrimonio.
La svolta vera e propria si è avuta con la rilettura in chiave privatistica della Costituzione e con la contestuale riscoperta dei valori personali, dalla stessa garantiti.
L’affermazione della loro priorità rispetto agli interessi di natura economica ha conferito centralità al danno biologico, quale evento del fatto lesivo della salute, prima che ostacolo alle attività realizzatrici della persona.
In definitiva, il riconoscimento del danno biologico ha ribaltato l’assetto del sistema risarcitorio tradizionale: l’integrità psico-fisica della persona è meritevole di protezione di per sé, prima ed a prescindere da eventuali danni economici.
Posto ciò, non ha più senso distinguere - se non ricorrendo ad inutili artifici- la sofferenza propria del danno morale soggettivo dal danno biologico: tale sofferenza è parte costitutiva ed inscindibile dell’evento di lesione e menomazione della integrità personale.
Significativamente la Cassazione (nn.8827 e 8828/03) ha avvertito che non è proficuo ritagliare all’interno della categoria del danno non patrimoniale specifiche figure, etichettandole in vario modo, stante la “concezione unitaria della persona”, la valutazione unitaria del danno alla persona”, la “funzione unitaria del risarcimento del danno alla persona”.
La Corte costituzionale, nella sentenza n.184/1986, si è preoccupata di tenere distinto il danno morale dal danno biologico, semplicemente per evitare che quest’ultimo soffrisse delle limitazioni poste dall’art.2059 c.c. per il primo.
E’ questa la ragione (l’interpretazione limitativa dell’art.2059 c.c. data dal diritto vivente), per la quale la Corte ha inteso ricondurre il danno biologico alla norma risultante dal combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c.; diversamente il danno biologico sarebbe stato risarcibile soltanto nel caso che l’illecito si caratterizzasse come reato.
“Ricondotto a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona” (Corte cost. n.233/2003), mediante il riferimento del danno non patrimoniale, complessivamente ed unitariamente inteso, all’art. 2059 c.c. (Cass. nn. 8827 e 8828/2003), la distinzione - a fini soprattutto determinativi del quantum risarcitorio - tra danno morale e danno biologico darebbe luogo solamente a ingiustificate duplicazioni risarcitorie, atteso il rilevato rapporto di stretta embricazione tra tali voci di danno.
D’altra parte, se si ritenesse il danno morale ontologicamente diverso dal danno biologico non si comprenderebbe il collegamento, ed anzi, la dipendenza del primo dal secondo, in sede di liquidazione del risarcimento: come è noto i giudici determinano il danno morale in una frazione del danno biologico.
Venute meno le “preoccupazioni” del passato, non può e non deve aversi timore di affermare che il danno biologico amplia, in definitiva, il contenuto del danno morale e si sovrappone ad esso. In presenza di un danno biologico, il danno morale non può essere considerato e liquidato autonomamente ( come raccomandato da Cass. nn.8827 e 8828/2003), trattandosi di componente di un complesso unitario e, sostanzialmente, indifferenziato.
Ritenuto come sofferenza psichica, a prescindere dalla stessa durata, (poiché –come osservato da Cass. n.8827/2003 – alcuni tipi di patemi d’animo hanno un’intrinseca attitudine ad essere ineluttabilmente permanenti), il danno morale soggettivo è da ricondurre, non all’art.2 Cost., bensì all’art.32 Cost. che tutela il benessere psico-fisico della persona.
Se, prima del D. Leg.vo n.38/2000, potevano avere pregio le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza 17/2/1994 n.37, con il successivo riconoscimento, in ambito Inail, del danno biologico, ogni distinzione nell’area civilistica del danno non patrimoniale appare ingiustificata, dal punto di vista logico e sistematico, prima ancora che sotto l’aspetto medico-legale. E’ chiaro che la metodologia valutativa del danno biologico deve tenere conto anche della componente “sofferenza”.
Del resto, se il medico legale è in grado di pronunciarsi sulla incidenza delle menomazioni sulle attività realizzatrici della persona, con maggior competenza potrà descrivere lo stato di “sofferenza” dipendente dalla lesione alla integrità psico-fisica. Ciò permette, altresì, di ricomprendere il danno morale nella stessa definizione di danno biologico contenuta nell’art. 13 D. Leg.vo n.38/2000, secondo cui rientra in tale previsione quel pregiudizio alla integrità personale, se ed in quanto suscettibile di valutazione medico-legale.
b) Gli aspetti dinamico-esistenziali del danno biologico.
Nell’ambito del polo unitario dei danni da lesione di valori inerenti alla persona, rimane da esaminare la componente del danno esistenziale.
Ai fini che qui interessano, giova premettere che la novità del danno esistenziale non è data dalla “invenzione” di una categoria nuova di danno, ma dal riconoscimento di un autonomo risarcimento per tale pregiudizio, indipendentemente dall’esistenza di un danno biologico.
In poche e semplici parole, il “danno esistenziale” faceva già parte e continua a far parte del danno biologico nel suo aspetto dinamico, allorché un danno biologico risulti accertato.
E’ chiaro che possono verificarsi ipotesi in cui si riconosca un danno esistenziale, senza che ricorra un danno biologico. In casi del genere, non sarà –ovviamente- indispensabile l’accertamento e la valutazione medico-legale del danno che, comunque, sarà autonomamente risarcibile.
Se un soggetto lamenta un “danno derivante dalla lesione di ulteriori interessi di rango costituzionale inerenti alla persona” (volendo riportare la definizione limitativa di danno esistenziale, espressa nella sentenza n.233/2003 della Corte cost.), oggi, a differenza del passato, otterrà un autonomo ristoro: ristoro che sarà rapportato alla entità del danno.
La gravità del danno non concorre, però, a configurare e definire il danno esistenziale, come, invece, da taluni sostenuto, allo scopo di evitare l’estensione del risarcimento ai danni c.d. bagattellari : come un danno biologico lieve è pur sempre un danno biologico, anche se il risarcimento non potrà che essere esiguo, così un modesto danno esistenziale rimane tale concettualmente, per quanto il ristoro non sia rilevante.
Nella ipotesi in cui un soggetto subisca, non un danno esistenziale puro (o danno non patrimoniale di tipo non biologico), bensì un danno alla integrità psico-fisica, non può essere accertato, valutato e liquidato un autonomo danno esistenziale, che sia conseguenza del primo.
In altre parole, non sarà configurabile un distinto danno esistenziale che sarà, invece, inglobato nell’aspetto dinamico del danno biologico.
Il D. Leg.vo n.38/2000 ha esteso la copertura assicurativa dell’Inail al danno biologico, comprensivo degli aspetti dinamico-relazionali: profili questi ultimi oggetto di valutazione medico-legale e che difficilmente possono essere distinti da quello che costituisce il contenuto del danno esistenziale.
Lo “stravolgimento dell’agenda” del soggetto, della quotidianità, il “non fare” o il “non poter più fare” o “il dover fare diversamente” sono tutti riflessi degli aspetti personali dinamico-relazionali (rectius, dinamico-esistenziali) della vita del danneggiato: dunque, danno biologico sotto il profilo dinamico.
Posto che l’Inail – come illustrato - “indennizza” l’inscindibile “danno non patrimoniale di tipo biologico” (comprensivo degli aspetti dinamico-esistenziali), non ha senso, ai fini della rivalsa dell’Istituto, ogni distinzione nell’area del danno non patrimoniale, civilisticamente risarcibile.
Le svolte argomentazioni permettono altresì di comporre il contrasto tra la scuola triestina e quella pisana che riconosce esclusivamente il “danno alla salute”, negando il danno esistenziale: il danno alla salute, ove sussistente, è onnicomprensivo dell’aspetto statico e dinamico-esistenziale; ove, invece, non risulti e ricorra il solo danno esistenziale, senza compromissione dell’integrità psico-fisica (tutelata dall’art.32 Cost.) non si comprende perché gli “ ulteriori interessi di rango costituzionale inerenti alla persona” (garantiti cioè da altre norme costituzionali), se violati, non possano essere tutelati mediante il riconoscimento di un autonomo risarcimento.