lavoroprevidenza

giovedì 23 settembre 2004

Problemi del contraddittorio nelle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie.

dell Avv. Lucia De Marco

1) Lezioni di musica: “tema con variazioni”.

Volendo utilizzare una metafora musicale il contenzioso previdenziale è stato concepito dal legislatore come una sorta di “tema con variazioni” ad un tema dato.

Accanto a grandi maestri come Bach, Beethoven, Strauss, Schonberg, Berg, sembra, infatti, collocarsi il legislatore per aver inconsapevolmente utilizzato quel particolare procedimento compositivo, consistente nella progressiva trasformazione di un tema o di un elemento tematico che in musica corrisponde alla “variazione”.

Ebbene, proprio come i grandi maestri che hanno fatto eseguire ad un tema dato un certo numero di variazioni disposte in progressione di complessità, così il legislatore ha voluto “far eseguire” delle “variazioni” al rito previsto per le controversie individuali di lavoro.

L’art.442c.p.c. prevede, infatti, che nei procedimenti relativi alle controversie dallo stesso contemplate si osservino le disposizioni di cui al capo I° del titolo IV del Libro II c.p.c., ma non solo.

Altre norme contenute nel Capo II contengono, infatti, disposizioni specificamente dedicate alle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie, concernenti, in particolare, la rilevanza del procedimento amministrativo , la competenza , la consulenza tecnica , le informazioni ed osservazioni degli istituti di patronato e di assistenza e l’esecuzione provvisoria della sentenza .

L’esigenza di dettare disposizioni proprie per questo rito deriva dal fatto che non tutte le norme del capo I° del tit. IV Libro II sono ritenute compatibili: non possono, infatti, trovare applicazione le norme del Capo primo del Titolo IV° .

Vi sono, poi, disposizioni che a prima vista nulla sembrano avere a che fare con la materia in esame, ma che prevedono istituti i quali, in astratto, ben potrebbero avere ingresso anche nelle controversie in tema di previdenza ed assistenza obbligatoria .

Nonostante tutto, però, le norme di rinvio sono predominanti.

Segue. “L’ispirazione”.

Ogni musicista, maestro di questo particolare procedimento, prima di eseguire le variazioni studia il tema, considera la “tonalità” del brano e le regole dell’armonia; solo a questo punto, lasciandosi ispirare, con una mano sul pianoforte ed un’altra sul pentagramma procede alla composizione.

Anche noi, dunque, improvvisandoci musicisti, dobbiamo considerare il “rito-tema” su cui eseguire le variazioni e l’ambito concreto in cui andrà ad operare il “contenzioso-variazione”; solo dopo aver svolto questi preliminari possiamo mettere le mani sui fogli e “comporre” le dovute variazioni.

E’ doveroso, innanzitutto, chiarire il significato delle ricorrenti espressioni “processo previdenziale” o “processo della sicurezza sociale” che vengono spesso utilizzate per indicare in modo sintetico ed onnicomprensivo le controversie definite dall’art.442c.p.c. come “procedimenti relativi a controversie derivanti dall’applicazione delle norme riguardanti le assicurazioni sociali, gli infortuni sul lavoro, le malattie professionali, gli assegni familiari, nonché ogni altra forma di previdenza e di assistenza obbligatorie”.

L’art.442, secondo comma, richiama, poi, la medesima normativa anche per quanto riguarda le controversie relative alla inosservanza degli obblighi di assistenza e previdenza derivanti da contratti ed accordi collettivi mentre l’art.444 3° comma c.p.c., in tema di competenza territoriale, fa, infine, riferimento alle “controversie relative agli obblighi dei datori di lavoro e all’applicazione delle sanzioni civili per l’inadempimento di tali obblighi”.

Va sottolineato come la distinzione tra previdenza ed assistenza emergente dall’art.442 c.p.c. sia presente innanzitutto a livello costituzionale dall’art.38 : mentre la previdenza rappresenta una tutela di tipo assicurativo in favore dei cittadini-lavoratori ed in relazione a determinati eventi , l’assistenza costituisce invece una forma di tutela estesa a tutti i cittadini in quanto tali, per liberarli da uno stato di bisogno.

2) “Esecuzione” del contraddittorio.

Come Beethoven, quando compone le “33 variazioni su un valzer di Diabelli”, op.120 non altera il nucleo strutturale del pensiero musicale dell’autore, così il legislatore quando “compone” il contenzioso previdenziale non altera lo schema del contraddittorio tipico delle controversie individuali di lavoro ex art.409ss..

Dunque, anche nel contenzioso previdenziale possono sollevarsi le questioni relative alla necessaria partecipazione di più parti al processo ai sensi dell’art.102, 1° comma, c.p.c. o all’ammissibilità dell’intervento, allorché altri sopraggiungano successivamente in un processo già pendente tra altre persone, o di propria iniziativa , oppure perché le parti originarie o il giudice ritengano opportuna o necessaria la loro partecipazione .

Prima di affrontare l’analisi dei problemi del contraddittorio è necessario zumare sulla natura del rapporto sostanziale controverso e dunque sulla struttura del rapporto giuridico previdenziale.

La definizione della questione è rilevante soprattutto ai fini di verificare l’applicabilità nelle controversie previdenziali dell’art.102 c.p.c..

Per molti anni la giurisprudenza, seguendo le indicazioni della più autorevole dottrina giuslavoristica, ha prospettato una configurazione del rapporto giuridico previdenziale come rapporto complesso ma unitario , intercorrente tra il datore di lavoro obbligato all’erogazione delle prestazioni, ed il lavoratore quale beneficiario.

Dall’elemento dell’unicità del rapporto stesso si è dedotta, dunque, la “indiscutibile necessità” del litisconsorzio fra tutti e tre i predetti soggetti.

Dato che il rapporto di previdenza sociale è “uno ed unico con pluralità di parti”, affermava, infatti, con vigore la Corte suprema, “la pronuncia nelle relative controversie non può essere utilmente emessa, se non nei confronti di tutti gli interessati ogni qualvolta debbiassi accertare anche uno solo degli elementi di quel rapporto sostanziale che deve esistere o non esistere egualmente ed in ciascun suo elemento rispetto a tutti i medesimi soggetti ”.

Sulla scia di questo insegnamento, la necessità del processo cumulativo è stata ravvisata sia nelle controversie aventi ad oggetto l’adempimento dell’obbligo contributivo da parte del datore di lavoro, sia in quelle riguardanti la posizione assicurativa del lavoratore.

In certi casi si è voluto vedere la sussistenza di una situazione di litisconsorzio necessario rispetto ai tre soggetti del rapporto di assicurazione sociale anche nel giudizio instaurato dal lavoratore contro il datore di lavoro per responsabilità per danni ex art.13 l.1338 del 1962.

In tempi più recenti la giurisprudenza ha manifestato però le proprie perplessità in ordine alla correttezza e all’opportunità dell’indirizzo menzionato, tanto per ciò che riguarda le controversie previdenziali in genere, quanto per quel che concerne le liti instaurate ai sensi dell’art.13 l.1338 del 1962.

Segni di sgretolamento hanno colpito anzitutto la regola che all’esistenza di un rapporto giuridico previdenziale complesso ricollegava con rigore sillogistico la necessità del litisconsorzio tra tutti i soggetti del rapporto medesimo .

Dubbi e perplessità hanno colpito anche la costruzione del rapporto giuridico previdenziale come rapporto, “unitario ed inscindibile”: si è giunti, dunque, alla conclusione che il rapporto giuridico previdenziale è un “complesso di rapporti” variamente collegati dove, intorno alla relazione fondamentale tra certi enti previdenziale e soggetto protetto avente come contenuto il diritto di quest’ultimo alle prestazioni previdenziali, si raggruppano altre relazioni bilaterali del tutto autonome e distinte dalla prima.

Il riflesso processuale di questo mutato orientamento è stato il sovvertimento della precedente regole del litisconsorzio necessario.

Segue. “I. variazione”: il litisconsorzio necessario.

L’art.102 c.p.c., preceduto dalla rubrica litisconsorzio necessario, dispone: “Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbano agire o essere convenute nello stesso processo”.

In altre parole, la norma stabilisce che in tanto può pronunciarsi una sentenza in quanto siano presenti nel relativo giudizio le parti legittimate ad causam.

Tale ipotesi di necessaria integrazione del contraddittorio si verifica quando il rapporto sostanziale, che forma oggetto della controversia, è uno rispetto a più soggetti, con la conseguenza che la decisione deve essere pronunciata nei confronti di tutti i soggetti legittimati .

Talvolta è la stessa legge che prevede, rispetto ad alcuna ipotesi, la necessità del litisconsorzio ; quando la legge nulla prevede al riguardo, è compito dell’interprete, caso per caso, se il litisconsorzio debba ritenersi, oppure no, necessario .

Secondo la giurisprudenza, fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, si ha litisconsorzio necessario, ogniqualvolta la sentenza emessa in assenza di una determinata parte risulterebbe inutiliter data .

Aggiunge la Cassazione, con decisione 24 maggio 1978, n.2615 che si verifica il litisconsorzio necessario allorquando la sentenza, per la natura del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, è di per sé, inidonea a spiegare i propri effetti anche nei riguardi delle sole parti presenti, in quanto si tratta di un rapporto giuridico plurisoggettivo, nel quale i nessi fra i diversi soggetti, e tra loro e l’oggetto comune, costituiscono un insieme unitario, la cui integrità condiziona una vicenda giuridica del rapporto medesimo, per cui esso risulta immutabile ove non vi sia la partecipazione di tutti i suoi titolari .

Sul piano processuale, si verifica che il giudice di primo grado, qualora accerti la non integrità del contraddittorio, deve ordinare all’attore l’integrazione e che il difetto d’integrità del litisconsorzio è rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo . Evidenti ragioni di economia processuale, impongono che non sia pronunziata una sentenza la quale, a causa del non integro contraddittorio, sia inidonea a produrre effetti.

Rieseguite le “battute” inerenti al litisconsorzio, possiamo, dunque, “comporre” la “I. Variazione”.

La Sez. Lav., 10 gennaio 1994 n.169, ha stabilito che “nei giudizi instaurati dai lavoratori subordinati contro il datore di lavoro per la regolarizzazione del rapporto assicurativo, l’ente previdenziale (nella specie l’INPS) non è contraddittore necessario, dovendosi negare la ricorrenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario ai sensi dell’art.102 c.p.c.”.

Il Supremo Collegio ha costantemente ribadito l’insussistenza in capo all’INPS della qualità di contraddittore necessario, atteso che la controversia, inerendo direttamente al rapporto di lavoro come presupposto che condiziona il rapporto previdenziale, implica un accertamento con forza di giudicato solo con riferimento alla prima relazione giuridica, mentre le conseguenze riflesse sul rapporto assicurativo possono essere risolte incidenter tantum .

D’altronde “l’esigenza di integrità del contraddittorio va valutata in relazione all’oggetto della domanda che, sia di mero accertamento sia di condanna, va proposta unicamente nei confronti del soggetto che ha negato il diritto o che è obbligato al pagamento ”.

L’eventuale intervento in giudizio dell’Istituto per il recupero dei contributi assicurativi e delle relative sanzioni civili a carico del datore di lavoro, pur determinando la necessità di integrazione del contraddittorio nella sua successiva fase di gravame ai sensi dell’art.331c.p.c., dà luogo soltanto ad un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo ex art.103c.p.c., giustificato dal fatto che la domanda proposta dall’interventore comporta una decisione che dipende dalla risoluzione delle stesse questioni proposte con la domanda del lavoratore .

L’istituto assicurativo non riveste la qualità di litisconsorte necessario neanche nel caso in cui la controversia ha ad oggetto l’accertamento dell’omessa o insufficiente contribuzione con conseguente domanda di condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi a meno che il lavoratore non richieda la costituzione di una rendita vitalizia ex art.13 della l.12 agosto 1962 n.1338 .

In ordine alla distinta ipotesi di controversia promossa dal lavoratore nei confronti dell’INPS per ottenere la costituzione a sue spese di rendita vitalizia, a norma del citato art.13, il datore di lavoro deve essere chiamato nel processo quale litisconsorte necessario .

In senso inverso la giurisprudenza ha escluso la necessaria partecipazione in giudizio del datore di lavoro quando si controversa sull’erogazione delle prestazioni assicurative, “poiché, pur essendo il rapporto di lavoro e quello previdenziale connessi, rimangono, comunque, rapporti diversi ed in siffatte controversie l’accertamento con forza di giudicato è chiesto solo con riferimento al rapporto previdenziale per le obbligazioni che ne derivano ”.

Il caso più frequente di litisconsorzio si verifica, però, quando la controversia è promossa dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro perché sia dichiarato il diritto dell’attore a prestazioni aventi rilevanza previdenziale: è il caso, ad es., del dipendente che agisce per l’affermazione del suo diritto a permessi extra feriali retribuiti per le fruizioni di cure idrotermali.

In considerazione della riconducibilità della fattispecie sotto la disciplina dell’art.2110c.c., la domanda deve essere proposta nei confronti del datore di lavoro e dell’INPS, ricorrendo nei loro confronti un’ipotesi di litisconsorzio necessario ex art.102 c.p.c., “tenuto conto che, ai sensi dell’inderogabile disciplina dell’art.1 del d.l.30 dicembre 1979, n.663, (convertito, con modifiche, dalla l.n.33 del 1980), l’INPS è l’unico soggetto obbligato ad erogare l’indennità di malattia – mentre il datore di lavoro è tenuto soltanto ad anticiparla, salvo conguaglio con i contributi e le altre somme dovute all’istituto, ed a versare l’integrazione a suo esclusivo carico ove prevista dalla disciplina collettiva- e che l’obbligo di anticipazione del datore in tanto esiste in quanto la prestazione è effettivamente dovuta dall’istituto previdenziale ”.

Questa sentenza, nell’affermare la necessità dell’integrazione del contraddittorio, si pone in contrasto con decisioni precedenti .

Infatti, era stato affermato che in detta ipotesi le controversie investe il rapporto al lavoro, non quello previdenziale e non comporta la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti dell’istituto previdenziale .

Questa breve analisi della giurisprudenza consente di rilevare che l’orientamento delle decisioni in sede di legittimità sono nel senso di escludere, con palese inversione rispetto ad una più lontana tendenza, il litisconsorzio necessario quando la controversia abbia per oggetto sia il rapporto tra lavoratore e istituto previdenziale, sia il rapporto tra quest’ultimo ed il datore di lavoro: ciò perché il rapporto di lavoro e quello previdenziale sono distinti, anche se connessi per pregiudizialità-dipendenza.

Quando, invece, il lavoratore, chiedendo al giudice l’accertamento di una data qualifica, richiede la condanna del datore di lavoro al pagamento di differenze retributive e di oneri previdenziali a favore dell’istituto stesso all’integrazione del trattamento pensionistico, ricorre la figura del litisconsorzio necessario.

In tal caso, infatti, l’efficacia della sentenza investe direttamente il rapporto previdenziale, senza che il giudice possa limitarsi a decidere, incidenter tantum, sull’antecedente logico-giuridico necessario.

Ciò si verifica, tra l’altro, quando sia richiesta la rendita vitalizio di cui all’art.13 della L.12 agosto 1962, n.1338.

Al riguardo va aggiunto, per completezza, che in tema di omissione contributiva l’azione prevista dal citato art.13 e quella di cui all’art.2116, secondo comma c.c., per il risarcimento del danno nei confronti del datore di lavoro sono non già connesse e dipendenti, ma del tutto autonome, anche se fondate sul presupposto comune dell’omissione contributiva del datore di lavoro e sono quindi separatamente esperibili in due distinti giudizi nei riguardi dei rispettivi soggetti passivi legittimati .

Segue. “II.variazione”: l’intervento dell’ente previdenziale.

La “II.variazione” da “comporre” riguarda l’intervento dell’Ente previdenziale nelle controversie previdenziali.

Quando abbiamo affrontato l’argomento a proposito delle controversie individuali di lavoro, è stata riportata la distinzione che dottrina e giurisprudenza sono soliti fare tra:

1) intervento volontario che può essere principale, adesivo-autonomo o litisconsortile e adesivo dipendente o semplice;

2) intervento coatto su istanza di parte o per ordine del giudice.

Procedendo all’esame dei possibili tipi di intervento consentiti all’Ente previdenziale, nella sua veste di gestore di forma obbligatoria di previdenza sembra doversi escludere la ricorrenza di casi di intervento adesivo dipendente perché non apparirebbe conforme ai suoi compiti istituzionali un intervento per far valere le ragioni dell’una contro l’altra parte, senza che dall’accoglimento di una delle due domande si producano riflessi diretti nella sfera propria sfera giuridica.

Infatti, l’Ente interviene in un giudizio pendente allo scopo di far valere diritti propri, sia pure originati dalle domanda delle parti .

Non si esclude che talvolta possa occasionalmente avere interesse all’accoglimento di una domanda ed alla reiezione dell’altra; ma tale situazione non è certamente configurabile quando l’Ente agisce nella sua veste istituzionale di gestore di forme obbligatorie di previdenza; tale interesse può dunque sussistere nei confronti dell’Ente, solo quando agisce come ente persona, come datore di lavoro, ovvero come gestore del proprio patrimonio.

Di norma, l’Ente previdenziale ha motivo di intervenire in una controversia di lavoro per far valere un diritto proprio e autonomo rispetto a quello del lavoratore.

Tali interventi, provocando un ampliamento della materia del contendere, sono inseribili nel rito speciale del lavoro solo nei termini di decadenza indicati dall’art.419c.p.c., e con le forme e le modalità di cui all’atto introduttivo del giudizio, da depositarsi nei 10 giorni dall’udienza di discussione, e con ricorso al giudice per la fissazione di nuova udienza di discussione nel caso in cui tra la notifica dell’atto di intervento e l’udienza di discussione non persista l’intervallo di almeno 30 giorni .

Non sembra, alla luce di quanto sopra enunciato, consentito all’Ente previdenziale interveniente nei giudizi pendenti oltre il predetto termine, giacché in tal modo si opererebbe una duplice violazione:

1) dell’art.419c.p.c. che detta un termine di decadenza per l’esercizio dell’intervento;

2) dell’art.24 Cost., che assicura alle parti il diritto alla difesa mediante il giudizio .

Diverso, ovviamente, è il caso in cui la chiamata in giudizio sia disposta dal giudice, d’ufficio o su istanza di parte, proprio al fine di consentire all’Ente di far valere nello stesso contesto pretese contributive che altrimenti dovrebbero azionarsi autonomamente, ovvero nei casi di litisconsorzio necessario. In tali casi, infatti, i termini dell’intervento sono regolati dall’art.420, 10° comma .

Ove, però, ove con l’atto di intervento, sia pure a seguito di chiamata ex art.420c.p.c., l’Ente previdenziale ritenga di proporre una domanda di condanna nei confronti di una delle parti, dovrà approfondirsi se tale domanda debba avere i requisiti sostanziali di quella regolata dall’art.414, nonostante il riferimento al solo art.416 in operato, ed in particolare se debba essere semplicemente depositata in giudizio, ovvero notificata a cura dell’Ente la controparte, o quanto meno comunicata dal cancelliere in applicazione dell’art.267, 2°comma, c.p.c.

Dunque, non appare possibile condividere la prassi in atto presso numerosi uffici giudiziari di consentire l’intervento dell’Ente previdenziale oltre il termine di legge, al di fuori dell’intervento coatto o del litisconsorzio necessario e comunque di consentire che l’intervento venga spiegato con semplice memoria depositata in cancelleria e non notificata a cura dell’Ente, mediante nuovo decreto di fissazione dell’udienza di discussione, alle altre parti del giudizio.

Non è infrequente che il lavoratore, nel convenire in giudizio il datore di lavoro, per il riconoscimento di differenze retributive, chieda egli stesso la condanna del convenuto alla regolarizzazione contributiva .

L’ammissibilità di questa domanda esige la partecipazione necessaria in giudizio dell’Ente, legittimato a verificare, nel contesto del giudizio, l’ampiezza dell’obbligazione contributiva e la sua attuale azionabilità, alla luce della preclusione alla regolarizzazione dei periodi prescritti, di cui all’art.55, 2°comma, R.D.L. n.1827 del 1935.

Infine, nei casi in cui il lavoratore abbia già formulato domanda di condanna al versamento dei contributi omessi, l’intervento del litisconsorte necessario appare consentito con semplice memoria ex art.416, in quanto non si verifica un ampliamento della materia del contendere, ma si perfeziona semplicemente il contraddittorio tra tutte le parti, già direttamente coinvolte in relazione alle domande originariamente avanzate dal lavoratore .

3) “III.variazione”: l’istruzione probatoria.

Per comporre la “III.variazione” è necessario fare un accenno all’istruzione probatoria ed in particolare alla posizione del giudice del lavoro, al suo ruolo e ai suoi poteri, “eseguita” nel “tema”.

La S.C. ha definito come rilevante ed efficace l’azione che il giudice deve esercitare nel processo ed ha escluso che egli possa limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio dell’onere della prova.

Al contrario, anzi, con la decisione 15 gennaio 1998, n.310 la Cassazione ha parlato di “potere-dovere” di provvedere d’ufficio agli ulteriori atti istruttori, sollecitati dal materiale di causa ed idonei a superare eventuali incertezze probatorie senza, per di più, incontrare limiti nelle preclusioni o decadenze verificatesi in danno delle parti .

Ora, se tali principi valgono in generale con riferimento alle controversie individuali di lavoro, nel processo previdenziale dovrebbero assumere ancora maggiore pregnanza, considerata la rilevanza pubblicistica e l’ancora maggiore indisponibilità delle situazioni sostanziali deducibili in tali controversie, più volte sottolineata da dottrina e giurisprudenza. Piuttosto, v’è da chiedersi se l’orientamento cui si è appena fatto cenno sia completamente condivisibile e, soprattutto, se lo sia qualora si passi dalle definizioni astratte ai profili più concreti ed operativi.

Per rispondere a questo interrogativo occorre fare delle osservazioni.

Occorre, in primo luogo, tenere presente che la possibilità offerta al giudice di “gestire” l’intero contenzioso previdenziale, complessivamente considerato, può indurre le parti a trascurare la completezza e la cura nella redazione delle difese in favore dell’elemento quantitativo .

In altri termini, cioè, se l’impulso officioso sempre o nella generalità dei casi viene a “porre rimedio all’inerzia, inavvedutezza ed imperizia difensiva delle parti”, queste ultime saranno maggiormente portate a non preoccuparsi della propria inerzia, inavvedutezza ed imperizia, demandando, così, al giudice un ruolo nell’istruttoria sproporzionato alla posizione istituzionale del giudice civile, ancorchè giudice del lavoro.

Inoltre, le controversie previdenziali vengono nella generalità dei casi instaurate tramite i Patronati ed i loro legali: un eccessivo intervento istruttorio del giudice non sembra, quindi, del tutto giustificabile proprio perché, di fatto, molto spesso non vi è tra le parti quella sproporzione di conoscenze e qualificazione giuridica che di frequente viene prospettata.

Da altro punto di vista, occorre pur sempre tenere conto del problema della terzietà dell’organo giudicante e del rischio che la sua “rilevante ed efficace” azione nel processo si risolva, pur in totale buona fede, in danno o a vantaggio di una sola delle parti.

Non bisogna dimenticare, inoltre, che deve essere sempre garantito il diritto di difesa delle parti anche e soprattutto in seguito all’esercizio del poteri istruttori, garanzia che sarà soddisfatta solo con l’instaurazione del contraddittorio.

Si tratta, dunque, di trovare un punto di equilibrio tra l’esigenza di non svuotare di significato l’attribuzione al giudice della previdenza dei poteri istruttori di cui si è detto e quella di non “scaricare” su quest’ultimo oneri che in realtà dovrebbero incombere essenzialmente sulle parti.

E’ difficile fornire una soluzione univoca: tra tutte le opinioni riporteremo quella di Grosso il quale ritiene che “in ogni caso, l’esercizio dei poteri de quibus pare comunque ben poso giustificabile in relazione ad aspetti già noti alle parti sin dal momento iniziale e sui quali, pertanto, queste ben avrebbero potuto dedurre già con gli atti introduttivi i mezzi di prova necessari”.

Segue. “IV.variazione”: la consulenza tecnica.

Una delle poche norme specifiche riguardanti le controversie in materia di previdenza ed assistenza riguarda la consulenza tecnica .

L’art.445c.p.c. dispone, infatti, che, nei processi relativi a domande di prestazioni previdenziali od assistenziali tali da richiedere accertamenti tecnici, i giudice nomini uno o più consulenti tecnici scelti in appositi albi .

La norma richiama espressamente il procedimento di cui all’art.424 c.p.c. e, di conseguenza, il consulente può essere autorizzato a riferire verbalmente oppure può chiedere di essere autorizzato a depositare una relazione.

In tal caso, il termine di 20 giorni di cui all’art.424 può essere prorogato sino a 60 mentre, ex art.145 disp.att.c.p.c., il termine per la nomina dei consulenti di parte non può superare i sei giorni.

A questo punto, occorre sottolineare come sia assolutamente pacifico che tale incombente richiede il rispetto del principio del contraddittorio e come non sia possibile provvedere senza instaurare il contraddittorio tra le parti.

Ora, se la consulenza viene disposta prima dell’udienza di discussione, occorrerà, convocare le parti e il consulente tecnico per un’udienza fissata ad hoc e distinta da quella di cui all’art.415c.p.c..

Una siffatta udienza, è, però, certamente anomala, non essendo prevista dal codice di rito, ed occorre, inoltre chiedersi se vale davvero la pena di attivare un simile meccanismo quando si è ormai in prossimità dell’udienza di discussione.

Tali considerazioni valgono, a maggior ragione, quando il convenuto non si è ancora costituito, caso in cui, per di più, si verificherebbe il contatto tra il giudice ed una parte che non ha ancora una propria legittimazione nel processo, che non ha ancora assunto conclusioni, che non necessariamente è già assistita da una difesa tecnica e che, ciononostante, si trova, tra l’altro, a dover nominare, ex art.145disp.att. e 201c.p.c., un proprio consulente di parte.

Un’ipotesi in cui le esigenze di accelerazione dei tempi del processo potrebbero contemperarsi con il rispetto dei principi di cui si è detto potrebbe, forse, essere quella in cui l’udienza venga fissata in data lontana rispetto a quella di deposito del ricorso, ma la costituzione del convenuto avvenga molto tempo prima.

Una siffatta situazione, tuttavia, è in concreto abbastanza rara e, inoltre, se si tratta di controversia che consente “de plano” la nomina del consulente quale primo incombente, è allora più utile e razionale fissare a minor distanza di tempo l’udienza di discussione, che presumibilmente non sarà impegnativa e si esaurirà nel conferimento dell’incarico.

La tesi opposta è stata avallata dalla S.C. con argomentazioni, peraltro, poco convincenti e non condivise da parte della dottrina nonché da altre pronunzie della Corte medesima.

In particolare, nella sentenza 17 gennaio 1983, n.391 la S.C. ha affermato che dall’art.421c.p.c. si ricaverebbe l’esistenza, in favore del giudice, di un potere di governo del processo più esteso temporalmente rispetto al potere di deduzione delle parti, “esplicabile con sicurezza fin dal decimo giorno anteriore alla udienza di discussione, termine questo che segna il presuntivo momento di avvenuta costituzione anche del convenuto ”.

Il modus procedendi, delineato dalla Cassazione con questa decisione, ispirato probabilmente all’esigenza di accelerazione della procedura in concomitanza con il prevedibile allungarsi dei tempi di fissazione dell’udienza di discussione e favorito nelle controversie previdenziali dalla constatazione del carattere obbligatorio della consulenza, finisce per porsi in radicale contrasto non solo con elementari esigenze di rispetto del contraddittorio, e soprattutto con il principio di oralità che impone al giudice di adottare iniziative anche istruttorie solo dopo l’immediatezza delle deduzioni delle parti, ma anche con quelle stesse istanze, di economia e celerità, che hanno indotto a configurarlo .

La dottrina ha sottolineato tra l’altro come la previsione di poteri istruttori esercitabili in qualsiasi momento non voglia certo consentire la disposizione del mezzo istruttorio prima dell’instaurazione del contraddittorio e, cioè, prima dell’udienza, dovendo l’esigenza di disporre un mezzo di prova nascere da affermazioni in punto di fatto delle parti e comunque dal contraddittorio delle parti medesime .

Inoltre, di contrario avviso sono andate Cass. 24 febbraio 1982, n.1154 e Cass., 13 marzo 1982, n.1650, che hanno invece ritenuto la nullità della consulenza tecnica, peraltro sanabile se non dedotta nella prima istanza o difesa successiva al suo deposito, disposta prima dell’instaurazione del contraddittorio.

L’accertamento tecnico deve, dunque, svolgersi in ordine all’effettivo tema in contestazione, arricchito dalle deduzioni e circoscritto dalle eventuali osservazioni delle parti: ciò che può avvenire dopo la costituzione del convenuto e le attività preliminari da espletarsi in udienza prima della consulenza e di ogni attività istruttoria.

Inoltre poiché nei processi previdenziali non è di secondaria importanza l’acquisizione di informazioni e osservazioni degli istituti di patronato , la nomina del consulente prima della udienza, nella quale deve avvenire la suddetta acquisizione, finirebbe per frustare gli obiettivi perseguiti dall’art.445 e con essi la pienezza del diritto dell’assicurato.

4) Conclusione della “composizione”.

Con la trattazione della consulenza tecnica, termina la composizione delle “variazioni”.

Il terzo tempo della sonata, che solitamente è quello più conosciuto , è rappresentato dalla pronuncia della sentenza.

L’art.447c.p.c. dispone, infatti, nel 1°comma, che le sentenze pronunciate nei giudizi di previdenza e di assistenza obbligatorie, ex art.442c.p.c., sono provvisoriamente esecutive, aggiungendo nel 2° comma, che si applica l’art.431c.p.c. .

L’art.152 disp.att. novellato prevede inoltre che il lavoratore soccombente nei processi instaurati per il conseguimento di prestazioni previdenziali non è assoggettato al pagamento delle spese processuali nei confronti degli istituti di assistenza e previdenza, salvo il caso di pretesa manifestamente infondata e temeraria.

Le implicazioni della fase decisoria non si riducono alle poche da noi evidenziate; la trattazione completa, esula, però, dall’oggetto della nostra indagine.



note



L’articolo è collocato nel Capo II° del Titolo IV del Libro II del codice di rito.

Attraverso il rinvio effettuato dall’art.442c.p.c., trovano applicazione gli istituti dell’interrogatorio libero e del tentativo di conciliazione, dei quali la dottrina ha sottolineato il ruolo di primo piano e che rappresenta la più tipica espressione del contatto tra parti e giudice su cui si è incentrata la riforma del rito del lavoro.

Art.443 c.p.c.. Il vigente art.443 vuole “facilitare al massimo l’accesso alla tutela giurisdizionale”, e pertanto “al principio del presupposto processuale si è sostituito il principio di una limitata rilevanza del contenzioso amministrativo nei termini propri della configurazione dello stesso come condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria, con la conseguenza che il processo, instaurato senza che tale condizione sia soddisfatte, deve essere sospeso” (così il relatore Lospinoso Severini); principio riaffermato dall’art.148 disp.att., con il quale “sono abrogate tutte e disposizioni contenute nelle leggi speciali in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie che, in difformità da quanto stabilito dall’art.443 del codice, condizionano la proponibilità della domanda giudiziaria al preventivo esperimento dei procedimenti amministrativi contenziosi”. L’indipendenza dell’azione giudiziaria dal procedimento amministrativo, poi, è stata consacrata dalla norma per cui “nelle procedure amministrative riguardanti le controversie di cui all’art.442, non si tiene conto dei vizi, delle preclusioni e delle decadenze verificatesi”; norma che non si limita a svincolare i giudizio dalla regolarità del procedimento amministrativo, non impedisco alle autorità che ne sono investite di conoscere nel merito del ricorso”, e, dall’altro lato, che “la procedibilità del giudizio non impedisce di condurre a termine il procedimento amministrativo, viziato oppure no”.

Art.444 c.p.c..

Art.445 c.p.c..

Art.446 c.p.c.. In proposito è da rilevare che la giurisprudenza aveva dapprima ritenuto che la necessaria istanza di parte dovesse essere valutata dal giudice, il quale aveva, sia pure con l’obbligo di fornire adeguata motivazione, il potere di disattenderla (Cass. 7 luglio 1978, n.3392), mentre di recente ha affermato che l’acquisizione al processo delle informazioni ed osservazioni è affidata all’esclusiva iniziativa di parte senza essere condizionata da alcuna valutazione preventiva del giudice (Cass. 6 aprile 1983, n.2387).

Per quanto riguarda, poi, la natura dell’istituto in questione, è opinione sostanzialmente comune quella secondo la quale non si tratta di intervento in senso proprio, non essendo previsto dalla disciplina dell’art.446 (così come da quella di cui all’art.425c.p.c.) alcun atto del genere e non essendo contemplata la possibilità per i patronati di assumere conclusioni o di formulare domande.

Nonostante l’evidente simmetria rispetto alle informazioni ed osservazioni delle associazioni sindacai, tra i due mezzi istruttori vi sono, dunque, significative differenze.

In primo luogo, mentre l’individuazione dell’associazione sindacale avviene in base all’indicazione fatta dalla parte, la legittimazione dei patronati trova la propria fonte nel rapporto di assistenza che unisce la parte medesima ad uno dei suddetti istituti. Da ciò deriva il carattere necessariamente unilaterale delle informative, destinate a bilanciare la prevalenza di competenze tecniche che contraddistingue l’Ente presidenziale ed alle quali può, quindi, accedere solo l’assistito.

In secondo luogo, a differenza di quanto avviene per le osservazioni ed informazioni ex art.425c.p.c., quelle fornite ai sensi dell’art.446 possono essere rese in ogni grado del giudizio, quindi anche oltre le preclusioni di cui agli artt.414, 416 e 420 c.p.c.; e in terzo luogo, soltanto su istanza dell’assistito e nei limiti da lui fissati: l’art.446c.p.c. esclude, infatti, un’analoga richiesta da parte del giudice non contenendo, diversamente da quanto accade per l’art.421 c.p.c., una disposizione espressa in proposito.

Art.447 c.p.c..

Non trovano applicazione o perché concernenti aspetti specificamente regolati nel Capo II° o perché incompatibili con l’oggetto del processo medesimo.

E’, infatti, evidente, che del tutto estranei alla materia in esame sono, ad esempio, l’art.409, che definisce quali siano le controversie individuali di lavoro, e l’art.413c.p.c., essendo la competenza territoriale, per il processo previdenziale regolata dall’art.444 c.p.c..

In particolare la “richiesta di informazioni e osservazioni alle associazioni sindacali” di cui agli artt.421, 2°comma e 425 c.p.c. è certamente destinata ad essere di regola utilizzata nell’ambito delle controversie di lavoro.

Non si può, però, escludere che possa sorgere l’opportunità di dare ingresso a tale strumento anche in cause previdenziali, specie con riferimento a quelle relative alla inosservanza degli obblighi di previdenza e di assistenza di cui al secondo comma dell’art.442c.p.c. anche se, da arte di certa dottrina, si è sostenuta la totale inapplicabilità dell’art.425c.p.c., nelle controversie in esame.

Anche l’accesso sul luogo di lavoro è mezzo di prova applicabile al processo della sicurezza sociale in forza del rinvio di cui all’art.442 c.p.c. anche se in tale ambito la sua rilevanza sarebbe relativa, essendo l’accesso finalizzato a rispondere ad una esigenza specifica, vale a dire quella di accertamento delle condizioni o delle modalità concrete di lavoro quali, ad esempio, il tipo di mansioni effettivamente esercitate ovvero le condizioni di tempo, di luogo o sanitarie nelle quali il lavoro si svolge.

Il codice, poi, non detta norme particolari per quanto riguarda la disciplina dell’intervento e del litisconsorzio: saremo noi, a dover adattare le norme previste dal codice per il rito ordinario di lavoro.

L’art. 38 della Costituzione, infatti, sancisce tanto il diritto dei lavoratori “a che siano provveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” quanto quello, in favore di ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisti dei mezzi per vivere, “al mantenimento e all’assistenza sociale”.

Ad esempio l’infortunio sul lavoro, la malattia professionale, la disoccupazione involontaria, l’invalidità o la vecchiaia.

L’opera fu composta tra il 1819-1823.

La questione si pone quando qualcuno che avrebbe dovuto assumere la veste di parte in giudizio, vi è rimasto estraneo: allora ci si chiede se occorra integrare il contraddittorio ex art.102, 2°comma, c.p.c., ovvero annullare la decisione pronunciata a contraddittorio non integro e rimettere la causa al 1° giudice ex art.354, 1°comma o 383, 3° comma, c.p.c..

Si tratta in questo caso di intervento volontario.

E’ questo il c.d. intervento ad istanza di parte.

Si tratta di intervento per ordine del giudice.

Si veda Costantino, Intervento nel processo. I) Diritto processuale civile, voce dell’Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, XVII.

Si parla di rapporto complesso, riferendosi alla pluralità delle relazioni che si manifestano all’interno di quel rapporto, e di rapporto unitario per la stessa interdipendenza esistente fra quelle relazioni.

Cass. 3 febbraio 1976, n.320.

La Corte di Cassazione riconosce che l’esigenza di partecipazione formale non si commisura e si modella unicamente ala realtà della situazione giuridica sostanziale. Tra rapporto sostanziale e litisconsorzio necessario si inserisce un tramite rappresentato dalla domanda delle parti e dal modo in cui essa deduce il petitum nella sua consistenza obiettiva e subiettiva.

“L’integrità del contraddittorio ai sensi dell’art.102 c.p.c.” avverte ora la Corte regolatrice, “va apprezzata in relazione all’oggetto della domanda”.

E’ questa l’ipotesi della c.d. sentenza inutiliter data, che si verifica quando l’emananda sentenza, agli effetti pratici, non sia di alcuna utilità per le parti presenti nel giudizio.

Si veda l’art.331 c.p.c..

Si veda Costa, Manuale di diritto processuale civile, Torino, 1980, 179.

Cass. 8 marzo 1977, n.957 in Mass. Giust. civ., 1977, 409 e Cass. 12 aprile 1980, n.2330, Mass. Giust. civ., 1980, 1016.

In Giust. civ. 1978, I, 1619 con nota di Finocchiaro.

La partecipazione al giudizio diventa, invece, necessaria quando l’azione tende alla costituzione o al mutamento di un rapporto plurisoggettivo unico oppure all’adempimento di una prestazione inscindibile, incidenti su una situazione giuridica comune a più soggetti, sì da escludere che, senza il contraddittorio di tutte le parti interessate all’esito del giudizio, l’emananda sentenza possa avere alcuna pratica utilità per taluna di esse.

Si vedano artt. 334 e 383 c.p.c..

Tra le tante si vedano Cass. 10 luglio 1991, n.7608, Mass.Giur.Civ., 1991, fasc.7; Cass. 11 giugno 1987, n.5124, Mass.Giust.civ. 1987, fasc.6.

Cass. 15 novembre 1991, n.12248, Mass.Giur.civ., 1991, fasc.11.

Si veda Cass. 14 giugno 1990, n.5802, Mass.Giur.civ., 1990, fasc.6; Cass. 19 maggio 1990, n.4557, Mass.Giur.civ., fasc.5.

Cass. 16 ottobre 1986 n.6070. Questa decisione si ricollega a cass. 22 giugno 1985 n.3782 contenente affermazioni sostanzialmente non diversa.

Cass. S.U. 7 gennaio 1981, n.79 in Riv.Dir.Proc. 1981, 296 con nota di Trocker, In tema di litisconsorzio nelle controversie previdenziali.

Cass. 14 gennaio 1989, n.149, Informaz. Previd.. 1989, 668; in senso conforme Cass. 15 novembre 1991, n.12248, Mass.Giur.civ., 1991, fasc.11; cass. 12 febbraio 1987, n.1557, Mass.Gur.Civ., 1987, fasc .2.

Cass. 10 luglio 1991, n.7607, Giust.Civ., 1991, 1007ss..

Il caso più evidente di questo contrasto si evince dal confronto con la cass.10 marzo 1990 n.1942, secondo cui nella controversia instaurata dal lavoratore contro l’INPS per ottenere la corresponsione dell’indennità di malattia relativa a periodo posteriore ai primi tre giorni d’infermità, non è necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti del datore di lavoro, atteso che tale soggetto, a carico del quale è l’onere di detto trattamento per i primi tre giorni di malattia, riveste, in relazione all’indennità per il periodo successivo, la mera qualità di adiectus solutionis causa, essendo solo tenuto ad anticipare al lavoratore, per conto dell’INPS, l’importo dell’indennità, da porre quindi a conguaglio con i contributi dovuti allo stesso istituto.

Cass. 4 aprile 1979, n.1967, in Mass. Giust.Civ.1969, 889 e Cass. 9 luglio 1976 n.2638 in Mass. Giust.Civ., 1976, n.1136.

In questo senso Cass. 13 giugno 1990, n.5742 e Cass. 9 aprile 1986, n.2488, in Giust.Civ.1987, I, 647, con nota di Sassani, Accertamento di rapporto estinto e integrazione del contraddittorio: un problema di interesse ad agire.

L’Ente è, infatti, portatore di un interesse autonomo che lo legittima all’intervento.

Si tratta di un diritto che trae titolo dalle pretese avanzate dalle parti nel giudizio.

Così la controversia promossa dal lavoratore per far riconoscere come subordinata la prestazione finora regolata come rapporto di lavoro autonomo, fa sorgere nell’Ente previdenziale il diritto-dovere di esigere, all’esito favorevole del giudizio per il lavoratore, la regolarizzazione della posizione assicurativa, nell’ambito del termine prescrizionale; la pretesa del lavoratore diretta a far valere differenze retributive fa sorgere nell’ente previdenziale il diritto-dovere di esigere il pagamento dei contributi per le differenze di retribuzione che, una volta riconosciute dovute, sono anche soggette ad imposizione.

Art.415, 5° comma.

Tale diritto risulterebbe compromesso ove non fosse ad esse consentito di prendere posizioni ed eccepire sulle domande avanzate dall’Ente.

L’Ente previdenziale dovrà, cioè, costituirsi mediante memoria, ai sensi dell’art.416c.p.c., da depositarsi entro dieci giorni dalla nuova udienza di discussione, ove si limiti a chiedere una pronuncia di accertamento dell’esistenza dell’obbligo contributivo in dipendenza dell’accoglimento delle domande del lavoratore, salvo verificare l’esigenza di assegnare un nuove termine alla controparte e formulare e eccezioni sulla domande avanzate dall’Ente.

Di tale ultima formalità la legge non fa cenno con riferimento al rito del lavoro; ma tale silenzio non è di ostacolo per l’applicazione delle norme che regolano il processo ordinario, specie quando la loro osservanza sia resa indispensabile dall’esigenza di garantire il rispetto del contraddittorio ed il diritto di difesa.

Questa domanda, per quanto diretta a far valere un diritto di credito che è proprio dell’Ente previdenziale, viene legittimamente proposta dal lavoratore nell’esercizio di un autonomo diritto all’integrità della posizione assicurativa.

Anche nel caso di giudizio proposto dal lavoratore per ottenere nei confronti del datore di lavoro la costituzione di una riserva matematica equipollente alla contribuzione omessa e prescritta non ampliandosi la materia del contendere, viene soltanto a perfezionarsi il contraddittorio tra tutte le parti coinvolte in via necessaria nella decisione.

Il giudice avrebbe, cioè, il dovere di attivarsi con una iniziativa istruttoria propria, ben potendo l’impulso officioso porre rimedio all’inerzia, inavvedutezza ed imperizia difensiva delle parti.

Le parti sanno, infatti, che ai propri errori, alle preclusioni od alle decadenze viene d’ufficio posto rimedio.

Grosso, Contenzioso previdenziale e rito del lavoro. Istruttoria e poter d’ufficio del giudice, Dir. Lav., 1996, I, p.266.

La formulazione dell’art.445c.p.c., specie se posta a raffronto con quella dell’abrogato art.463c.p.c., lascia desumere l’obbligatorietà della consulenza tecnica, quando le prestazioni previdenziali o assistenziali domandate presuppongono accertamenti tecnici; viceversa, per il giudice d’appello, trova applicazione l’art.441c.p.c. in forza del richiamo delle norme sul rito del lavoro, e quindi la consulenza è facoltativa.

Per quanto riguarda la scelta, l’art.146 disp.att. prevede albi speciali di medici legali e del assicurazioni e di medici del lavoro presso ogni tribunale.

Questa conclusione viene data dopo aver premesso che l’unica udienza prevista dall’art.415c.p.c. è quella di discussione della causa, in riferimento alla quale devono svolgersi tutte le attività di cui all’art.416 c.p.c..

Se si considera infatti che secondo lo schema procedimentale, disegnato dal legislatore del 1973, la delibazione delle istanze istruttore, l’adozione dei relativi provvedimenti e lo stesso esercizio di poteri istruttori del giudice devono seguire l’instaurazione del dibattito processuale ed essere effettuati nell’udienza di discussione, ma solo dopo l’esperimento di fondamentali tappe del giudizio (quali l’interrogatorio libero, che vale a chiarire e a definire il thema disputandum, il tentativo di conciliazione, l’eventuale esercizio dello ius poenitendi, le deliberazioni preventive del giudice circa l’esistenza di questioni attinenti la giurisdizione o la competenza o altre pregiudiziali), ciascuna delle quali potrebbe impedire l’ingresso della consulenza tecnica, è agevole accorgersi come l’opinione che si avversa costituisce grave attentato proprio a quell’economia e rapidità del giudizio, che vorrebbe favorire.

In tal senso si veda Cecchella, Poteri del giudice del lavoro prima dell’udienza di discussione: l’anticipazione della consulenza tecnica, Giust.Civ., 1983, I, 3028.

Per riguardare spesso la situazione sociale ed economica in cui si è svolta l’attività usurante, hanno proprio la funzione di somministrare utili elementi di valutazione al consulente.

Basti pensare alla celebre sonata in La di Mozart, la K.331 (composta nell’estate del 1778 a Parigi) in cui al tema del 1° tempo, “l’andante grazioso”, seguono VI.variazioni, e si conclude con il celebre alle gretto “alla turca”, cavallo di Battaglia di tutti i pianisti dilettanti.

Tale richiamo sembra debba intendersi come riconoscimento al dispositivo della qualità di titolo esecutivo, e come applicabilità dei commi 3° e 4° in materia di sospensione dell’esecuzione; non sembra, viceversa, desumibile dal 1° comma dell’art.431 una limitazione dell’esecutività immediata in ragione del soggetto a cui favore è emanata la sentenza, dal momento che l’esecutività è riconosciuta dall’art.447 a tutte le sentenze “pronunziate nei giudizi alle controversie di cui all’art.442”.













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