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sabato 15 maggio 2004

La presunta illegittimita’ costituzionale dell’art. 23 6° co. della legge 24.11.1981 n° 689 per contrasto con l’art. 111 2° co prima parte della carta costituzionale italiana del dott. Marco Dibitonto


Gli artt. 22 e 23 della L. 689/1981 disciplinano il giudizio d’opposizione all’ordinanza-ingiunzione di pagamento di sanzioni amministrative.



Il giudizio in oggetto costituisce un ordinario processo di cognizione, o meglio, un processo ordinario a cognizione piena ed esaustiva “a rito speciale”. La precisazione non ha carattere terminologico, ma è necessaria per mettere in evidenza il fatto che il legislatore, nella summenzionata legge, ha introdotto elementi di specialità rispetto all’ordinario processo di cognizione. Non è questa, certamente, la sede nella quale soffermare l’attenzione sugli elementi di differenziazione tra il giudizio d’opposizione all’ordinanza-ingiunzione di pagamento e l’ordinario processo civile, non essendo questo, difatti, l’obiettivo del presente scritto.



In questa sede, si discute della legittimità costituzionale dell’art. 23, 6° co., della legge 24.11.1981 n° 689 per presumibile contrasto con l’art. 111, 2° co., prima parte della Carta Costituzionale italiana.



L’art. 23 6° co. della L. 689/1981 statuisce che “nel corso del giudizio il pretore (rectius: il giudice istruttore) dispone, anche d’ufficio, i mezzi di prova che ritiene necessari e può disporre la citazione di testimoni anche senza la formulazione di capitoli”.



Tale disposizione di legge tratta dei poteri istruttori ex officio del giudice civile nel procedimento civile di opposizione ad ordinanza-ingiunzione.



Comunque è bene rilevare che tale norma deroga, nel rispetto delle norme del c.p.c, al principio di disponibilità delle prove, (art. 115, comma 1°, c.p.c.[1]), in quanto il giudice dispone d’ufficio nel corso del giudizio i mezzi di prova che ritiene necessari ed inoltre, deroga al principio – pure generale perché riferito nel codice di procedura civile alla deduzione delle prove testimoniali sia ad opera delle parti che del giudice (artt. 244, comma 1°, e 317, comma 1°) – dell’articolazione della prova testimoniale in articoli separati.



Ciò posto, l’articolo in questione occorre valutarlo alla luce della modifica dell’art. 111 della Costituzione e, in particolar modo, della prima parte del 2° comma dell’art. 111 Cost.



L’attuale art. 111, 2° comma Cost., come modificato dalla L.cost. 23-1-1999 n. 2, prevede che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata “.



Il legislatore ha così introdotto a livello costituzionale i principi del contraddittorio fra le parti, della terzietà e imparzialità del giudice con riferimento ad ogni processo. E’ indubbia, quindi, non solo la riferibilità dei principi in parola al procedimento penale e a quello civile ordinario ma anche ai procedimenti civili speciali, come quello contro le ordinanze-ingiunzione di cui in premessa.



Pertanto, l’art. 23, 6° co., della legge 24.11.1981 n° 689 appare in evidente contrasto con l’art. 111, 2° comma prima parte, là dove esso prevede che il giudice civile ordinario, che istruisce una causa avente ad oggetto l’opposizione ad ordinanza-ingiunzione, può (o deve) nel corso del giudizio disporre, d’ufficio, i mezzi di prova che ritiene necessari, così consentendogli di ingerirsi nel processo e di intervenire direttamente, senza alcuna richiesta di parte o, meglio, di parte interessata, nei fatti di cui v’è causa.



Con l’esercizio di questi poteri istruttori, il giudice civile compromette chiaramente la sua posizione processuale di terzietà e di imparzialità[2] ed il principio della formazione della prova nel contraddittorio delle parti.



1) TERZIETA’. La terzietà rispetto al fatto viene meno perché l’autorità giurisdizionale, potendo disporre d’ufficio nel corso del processo i mezzi istruttori che ritiene necessari, non fa altro che contribuire con l’esercizio di tale potere istruttorio a formare il fatto sul quale è chiamato a decidere ed, inoltre, a porsi sullo stesso piano delle parti processuali. Il giudice non può ritenersi più terzo e corre il rischio di non essere imparziale e, di conseguenza, non si realizza il giusto processo, auspicato dal legislatore.



2) IMPARZIALITA’ E CONTRADDITTORIO. Nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione che applica una sanzione amministrativa parti sono l’autorità amministrativa e le persone assoggettate alla sanzione, rispetto alle quali il giudice deve mantenersi equidistante. Con l’utilizzazione da parte del giudice dei mezzi di cui all’art. 23, 6° co., della L. 689/1981, tale equidistanza non si realizza affatto, dal momento che il giudice si attiva al posto della parte inattiva, disponendo quei mezzi di prova, che dovrebbe chiedere proprio la parte che ne è interessata. Disponendo d’ufficio i mezzi di prova, il giudice contribuisce personalmente alla costruzione della prova, ben potendo, in caso di inattività di entrambe le parti, decidere sulla base di quella sola prova da lui disposta, come in un giudizio di natura inquisitoria. Come già detto, il fatto di causa viene quindi formato anche dal giudice, in contrasto col principio del contraddittorio delle parti.



Peraltro, la disposizione controversa porta con sé gravi rischi per le parti processuali. In particolare, la parte processuale, interessata in linea logica all’esperimento di un mezzo di prova, ma che è rimasta inattiva in tal senso per motivi di opportunità, può vedere ammessi, su disposizione del giudice ex officio, dei mezzi di prova che vanno a compromettere la sua posizione o, meglio, la sua tesi difensiva, con conseguente grave compromissione del principio della disponibilità delle prove ex art. 115 c.p.c. ( judex secundum alligata et probata judicare debet) su cui si fonda l’intero sistema processuale civile ordinario, ivi compresi in tale sistema i procedimenti giurisdizionali ordinari aventi natura speciale come quello di cui trattasi.



A ciò va, in ultimo, aggiunto, che i principi sanciti nell’art. 111, 2° comma, prima parte della Costituzione non possono essere messi in discussione, né compromessi in virtù della specialità del rito civile in oggetto e, quindi, dalla circostanza che in tale giudizio si controverte in ordine alla sussistenza (rectius: commissione) dell’illecito amministrativo.



Note

[1] Ai sensi dell’art. 115 1° comma del c.p.c., salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero. Può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.



[2] Si ricordi che il principio di imparzialità e terzietà del giudice non è solo garantito dalla nostra carta costituzionale ma è altresì previsto dalla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 04. Novembre 1950 e resa esecutiva in Italia, insieme al Protocollo di Parigi il 20.Marzo 1952, con legge dello Stato 04 Agosto 1955 n. 848.



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