CASSAZIONE, Sez. lav., 8 giugno 2005, n. 11936; Mileo Pres. – De Luca Est. – De Augustinis P.M. (concl. conf.) – Rete Ferroviaria Italiana (avv. Maresca) c. Consiglio Giuseppe (non costituito).
Conferma T. Bari 04 febbraio 2002, n. 572.
Ferie – Mancato godimento – Indennità per ferie non godute – condizione in cui essa compete - Natura sia risarcitoria che retributiva.
L’indennità sostitutiva delle ferie non godute ha natura risarcitoria ma costituisce anche erogazione di natura retributiva essendo connessa al sinallagma del rapporto di lavoro a prestazioni corrispettive e costituendo il corrispettivo della attività resa in un periodo che avrebbe dovuto essere destinato al godimento delle ferie annuali. E’ indifferente in tale natura bivalente l’eventuale responsabilità del datore di lavoro per il mancato godimento delle ferie.
Omissis. – Motivi della decisione. – Omissis. Come è stato anticipato, il ricorso incidentale risulta fondato. 3.2. Invero l’indennità sostitutiva delle ferie ha, per un verso, natura giuridica risarcitoria, in quanto è volta a risarcire, appunto, il danno costituito dalla perdita di un bene (il riposo con recupero delle energie psicofisiche, la possibilità di meglio dedicarsi a relazioni familiari e sociali, l’opportunità di svolgere attività ricreative e simili, al cui soddisfacimento l’istituto delle ferie è destinato) e, per altro verso, costituisce erogazione di indubbia natura retributiva – secondo la giurisprudenza prevalente di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze n. 7836, 12032, 12580/2003, 19303/2004, 2455/2000; in senso parzialmente contrario, pare, tuttavia, la sentenza n. 13860/2000, che sembra riconoscere, alla stessa indennità, natura soltanto retributiva, quale “corresponsione, a norma degli artt. 1463 e 2037 c.c., del valore di prestazioni non dovute e non restituibili in forma specifica”) – in quanto non solo è connessa al sinallagma caratterizzante il rapporto di lavoro, quale rapporto a prestazioni corrispettive, ma rappresenta, più specificatamente, il corrispettivo dell’attività lavorativa resa in periodo che, pur essendo di per sé retribuito, avrebbe invece dovuto essere non lavorato perché destinato al godimento delle ferie annuali, restando, comunque, indifferente l’eventuale responsabilità del datore di lavoro per il mancato godimento delle stesse. Omissis.
CASSAZIONE, Sez. lav., 8 giugno 2005, n. 11960; Mattone Pres. – Roselli Est. – Sepe P.M. (concl. conf.) – Fiat Auto Partecipazioni s.p.a. (avv.ti De Luca Tamajo, Bonamico, Borsotti) c. Ruggero Francesco (avv. Giordano)
Conferma C.App. Torino 26 giugno 2002, n. 645.
Ferie – Mancato godimento – Indennità per ferie non godute – computabilità nel tfr - Natura esclusivamente retributiva.
L’indennità sostitutiva delle ferie non godute va inclusa nella base di calcolo del tfr quando la mancata fruizione non è imputabile alla responsabilità del datore di lavoro non essendo, in tal caso, ravvisabile alcun inadempimento e quindi attribuire una funzione risarcitoria alle somme così corrisposte la lavoratore, che assumono natura esclusivamente retributiva.
Omissis. – Motivi della decisione. – Omissis. Circa la funzione, risarcitoria o retributiva, di questa indennità la giurisprudenza della Corte oscilla, esprimendosi nel primo senso in Cass. 13 marzo 1997 n 2231 e 2 agosto 2000 n. 10173 e nel secondo senso in Cass. 13 maggio 1998 n. 4839 e 19 ottobre 2000 n. 13860, in materia di retribuzione imponibile ai sensi dell’art. 12 1. 30 aprile 1969 n. 153. Nella presente controversia non 6 necessario prendere posizione sul contrasto, essendo certo che, quando la mancata fruizione delle ferie sia sicuramente non imputabile al datore di lavoro, a causa della risoluzione del rapporto durante l’anno (in tal caso il contratto collettivo sottoposto alla Corte d’appello prevedeva un compenso proporzionale ai dodicesimi di retribuzione maturati) o anche a fine anno nel caso di ferie posticipate, non è possibile ravvisare alcun inadempimento di obblighi derivanti da legge o da contratto e quindi attribuire alcuna funzione risarcitoria alle somme corrisposte al lavoratore, le quali assumono così natura retributiva (Cass. 6 settembre 1982 n. 4824) (sul necessario legame tra risarcimento e imputabilità cfr. l’art. 1218 c.c.).
Questa interpretazione è corroborata dal secondo comma dell art. 2120 cod. civ., secondo cui, salvo diversa previsione dei contratti collettivi, la retribuzione annua, ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto, comprende tutte le somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese. Disposizione ispirata al criterio di onnicomprensività che è derogabile solo dalla contrattazione collettiva, nel senso che vanno considerate come retribuzione tutte le somme pagate per causa tipica e normale del rapporto di lavoro ed anche non correlate alla effettiva prestazione lavorativa, con esclusione di quelle dovute ad occasione accidentalmente connessa col rapporto (Cass. 10 agosto 1996 n. 7431, 5 giugno 2000 n. 7488). In tal senso si è espressa la sentenza impugnata, la quale, in presenza di una somma corrisposta in connessione e proporzione con le prestazioni lavorative già eseguite ed in difetto contraria clausola contrattuale, ha ritenuto doversi comprendere le dette somme nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto e deve pertanto essere confermata.
Dr. Donatello Garcea
(Direzione Generale - I.N.P.S.)
Pubblicato sul fascicolo 4/05 di Rivista Italiana di Diritto del Lavoro. Si ringrazia il direttore prof. Ichino e l’editore Giuffrè per non essersi opposti alla divulgazione via internet. Ai sensi della circolare MLPS 18 aprile 2004 si chiarisce che il presente scritto è frutto delle personali conclusioni dell’autore e non riflette l’ermeneusi dell’Istituto.
LA NATURA GIURIDICA DELL’INDENNITA’ SOSTITUTIVA DELLE FERIE NEL D.LGS. 66/03
Sommario: 1. – Gli indirizzi in contrasto; 2. – L’effetto della novella; 3. – La critica alle opzioni; 4. – La soluzione di compendio; 5. – Le conclusioni.
1. Con due pronunce curiosamente depositate lo stesso giorno la Cassazione ritorna sul contrasto sulla natura giuridica della indennità sostitutiva per ferie non godute rammentando che “circa la funzione, risarcitoria o retributiva, di questa indennità la giurisprudenza della Corte oscilla” (n. 11960, qui annotata)
Un primo orientamento individua a chiare lettere una natura bivalente della indennità in parola alla cui funzione risarcitoria del danno psicofisico ed esistenziale patito dal lavoratore si associa comunque e sempre anche una natura retributiva. L’indennità “non solo è connessa al sinallagma del rapporto di lavoro a prestazioni corrispettive ma rappresenta anche il corrispettivo dell’attività lavorativa resa in un periodo che, pur essendo di per sé retribuito, avrebbe invece dovuto esser non lavorato perché destinato al godimento delle ferie annuali, restando indifferente comunque l’eventuale responsabilità datoriale per il mancato godimento”.
In tale opzione maggioritaria la prestazione lavorativa resa nel periodo festivo è da considerarsi nulla per violazione degli artt. 36 cost e 2109 cc ragion per cui l’indennità sostitutiva trova il suo presupposto giuridico nel capoverso dell’art. 2126 cc (Cass. 13 marzo 1997, n. 2231 in NGL 1997, 378) e si associa agli eventuali danni “accessori” da usura psico-fisica e da danno alla salute, antipodicamente configurati in tema di presunzione probatoria (Cass. 4 marzo 2000, n. 2455 in q. Riv., 2001, II, 48 con nota M. Palla). In altre parole l’indennità assume “per un verso natura risarcitoria del danno psico-fisico ed esistenziale e per altro verso costituisce erogazione di indubbia natura retributiva” (n. 11936, qui annotata): ad un danno in negativo subito dal mancato godimento delle ferie corrisponde anche una diversa pretesa positiva per il risarcimento della prestazione lavorativa effettuata pur se non dovuta (Cass. S.U. 3 aprile 1989, n. 1607 in LPO 1990, 887).
Una seconda opzione intravede un carattere esclusivamente retributivo quando la mancata fruizione non è imputabile al datore non essendo possibile ravvisare inadempimento di obblighi contrattuali o legislativi e quindi attribuire una funzione risarcitoria alle somme corrisposte al lavoratore (v. anche Cass. 6 settembre 1982 n. 4824 in mass., 1982, 8) che costituiscono solo il valore corrispettivo di prestazioni non dovute. Tale orientamento trae le mosse da una visione sistematica dell’ordinamento atteso il carattere retributivo della indennità ai fini fiscali (Cass. 11 gennaio 2000, n. 206; contra Cass. 2 agosto 2000, n. 10173, entrambe con nota F. Petrucci in Riv. dir. trib., 2000, II, 259 e 2001, II, 285) ovvero il suo assoggettamento contributivo (Cass. 13 maggio 1998, n. 4839 in NGL 1998, 427) ovvero ed inoltre a cagione della lettera legislativa che nell’art. 2126 cc configura espressamente la corresponsione quale “retribuzione” (Cass. 16 febbraio 1989, n. 927 in RGL 1989, II, 261). Diversa però la configurazione del presupposto giuridico poiché seppure in quasi tutti i pronunciamenti si ravvede una prestazione resa ai sensi del capoverso dell’art. 2126 cc, è pure vero che per i motivi di cui si dirà nel proseguio, talune sentenze hanno ritenuto di dovere diversamente ricostruire, ritenendo ad esempio il titolo nel combinato disposto tra gli artt. 1463 e 2037 cc. E’ stato sostenuto, con uno sforzo ermeneutico non indifferente, che la concessione delle ferie deve avvenire entro l’anno lavorativo e che, qualora ciò non avvenga, il datore si trova nella impossibilità giuridica di ottemperare essendosi “consumato” il periodo temporale nel quale questa sua controprestazione avrebbe dovuto esplicarsi. Per tale motivo – ai sensi del combinato prima cennato – il datore liberato della sua controprestazione (la concessione delle ferie) è tenuto a restituire la prestazione ricevuta (il lavoro del prestatore) che, non essendo fungibile, è resa per equivalente (Cass. 19 ottobre 2000, n. 13860 in D&G Dir. e giust., 2000, 39, 71).
2. La riforma ex d.lgs. 66/03 ha sancito espressamente il divieto della monetizzazione delle ferie non godute. Il necessario ritempramento delle energie psico-fisiche del lavoratore corrisponde anche all’interesse generale al benessere della collettività di riferimento (da ultima, C. cost. 19 dicembre 1990, n. 543 in IP 1991, 66) percui il legislatore si preoccupa di impedire un eccessivo sfruttamento, pur se volontariamente assecondato, del lavoratore.
La novella, a ben vedere tuttavia, consente una lettura ambivalente ove si consideri che prevede l’inderogabilità – con il divieto di monetizzazione – solo per un periodo intangibile di quattro settimane che, anche per l’esegeta ministeriale (MLPS, circ. 3 marzo 2005, n. 8, 16), equivalgono ad un lasso temporale pari a 28 giorni di calendario, nel quale il prestatore ritempra le sue energie. Nel periodo così determinato sono ricompresi anche i giorni non lavorati per riposo settimanale che, come è noto, non si computano nel calcolo delle ferie spettanti al lavoratore. Ne consegue che il periodo minimo intangibile di quattro settimane è pari a 24 giorni di ferie (20 se la prestazione si articola in cinque giorni settimanali). Qualora la contrattazione collettiva prevede ferie di durata superiore deve concludersi in ordine alla piena disponibilità e monetizzabilità di tale eccedenza, la cui vulnerazione continua ad essere mera violazione contrattuale.
Inoltre la previsione normativa espressamente deroga al regime di indisponibilità monetaria facendo salvi i casi di intervenuta risoluzione medio tempore del rapporto di lavoro nonché, seppure mediante il velo dell’interpretazione amministrativa prima cennata, consente deroga nel caso di contratti a tempo determinato inferiori all’anno.
La novella, dunque, distingue implicitamente tra un periodo di ferie disponibile e monetizzabile (da ora in poi “ferie ultra minimo intangibile”) e un periodo di ferie pubblicisticamente imposte per finalità di interesse collettivo (“ferie infra minimo intangibile”). Tale differenza, come si vedrà, è rilevante per offrire una soluzione di compendio al contrasto giurisprudenziale.
La norma introduce, tuttavia, anche un altro importante distinguo. Consente la monetizzazione per il caso di risoluzione infrannuale, con ciò tracciando implicitamente una linea discretiva in ordine alla responsabilità del datore di lavoro nell’accadimento. Volendo quindi considerare ammissibile la monetizzazione nei casi nei quali non è ravvisabile alcun inadempimento doloso o colposo. Del resto tale differenza è inconsciamente evincibile in tutto il contrasto giurisprudenziale ove si consideri il curioso fenomeno statistico che vede la Corte ravvisare diversa natura giuridica in tutti i casi nei quali, dal “ritenuto in fatto” si evince un accordo tra le parti, al limite anche sotteso, che esclude responsabilità datoriale nel mancato godimento.
Orbene, nel sistema post-riforma, la disponibilità monetaria delle ferie è implicitamente così congegnata:
a) accordo tra datore e lavoratore (A1) o atto unilaterale del datore (A2) per monetizzare tramite indennità le ferie eccedenti il minimo intangibile di 24 giorni lavorativi;
b) accordo tra datore e lavoratore (B1) ovvero atto unilaterale del datore (B2) per monetizzare le ferie ricomprese nel periodo intangibile di 24 giorni lavorativi;
c) accordo tra datore e lavoratore (C1) ovvero atto unilaterale del datore (C2) relativo alle ferie non godute per caso di forza maggiore in caso di intervenuta cessazione del rapporto di lavoro o durata infrannuale del contratto di lavoro a tempo determinato.
3. Prima di tracciare una ipotesi ricostruttiva alternativa è necessario ritornare sulle opzioni giurisprudenziali. Come cennato in precedenza talune Corti si sono rifiutate di ravvedere nell’art. 2126 cc il titolo giuridico dell’aspetto retributivo della indennità sostitutiva.
L’orientamento maggioritario non considera, infatti, che la contrattazione collettiva ha facoltà di prevedere una quantità di ferie ultra minimo intangibile (nel sistema pre-novella già correttamente individuato da T. Milano 24 gennaio 1990, n. 509, oggetto di ricorso in Cass. 27 aprile 1992, n. 5019 in mass. 1992, 4) e che la disponibilità di tal periodo non può essere ricondotta a nullità per assenza di una qualsiasi norma in tal senso. Per tal ragione talune Cassazioni hanno tentato il complesso ragionamento sul compendio 1463 – 2037 cc già citato in precedenza. Tuttavia anche questa ricostruzione pecca. La impossibilità sopravvenuta alla controprestazione deve essere “oggettiva” (Cass. 9 maggio 1983, n. 3159 in mass. 1983, 5) e non imputabile al datore di lavoro mentre nel caso ipotizzato non è altro che frutto di un accordo soggettivo tra le parti ovvero di un atto unilaterale altrettanto soggettivo ed imputabile. E’ vero che decorso il periodo temporale il datore non ha più la possibilità di concedere le ferie annuali (che avrebbero dovuto essere concesse nel corso dell’anno) ma è altresì vero che tale impossibilità è ben lungi dall’essere oggettiva, avendo una matrice eziologica soggettivamente imputabile alle parti, o ad una di esse.
4. Premesso tutto ciò ed alla luce della novella di cui al d.lgs. di riforma è possibile proporre una opzione ermeneutica alternativa che di fatto compendi i due indirizzi, entrambi validi in relazione alle diverse contingenze fattuali:
- Nella ipotesi di cui in sub A1) datore e lavoratore si accordano per l’effettuazione di una prestazione lavorativa durante un periodo nel quale il lavoratore è libero dalle incombenze derivanti dal contratto di lavoro. Mentre il ragionamento tradizionale della Corte ravvede il titolo retributivo facendo perno sull’art. 2126 cc ovvero sull’art. 1463 cc, è possibile una diversa ricostruzione esegetica considerando tal accordo un autonomo contratto a tempo determinato nel quale l’indennità sostitutiva delle ferie concordata è la controprestazione retributiva. Si instaura, in altre parole, un “contratto nel contratto” (non affetto da vizi di nullità) relativo al periodo in cui il lavoratore non è soggetto alla prestazione lavorativa propria del contratto “principale” pur conservando la disponibilità del periodo (ferie ultra minimo intangibile);
- In sub A2) rileva il ragionamento già acutamente compiuto da Cass. 13860 citata per la quale “il mancato godimento delle ferie costituisce non solo un fatto negativo (danno da ferie non godute, nda), bensì, quale complementare aspetto, un fatto positivo (…) come lavoro in luogo delle ferie (e cioè una, nda) prestazione contrattualmente non dovuta”. Consegue una duplice natura della corresponsione indennitaria per ferie non godute: retributiva per la parte relativa all’obbligo retributivo di periodo e risarcitoria per la quota relativa al risarcimento della violazione contrattuale perpetrata dal datore. In tale ipotesi il titolo retributivo trova comunque fondamento in un sub-contratto relativo al periodo festivo e concluso mediante l’esercizio di un diritto di opzione implicito da parte del datore. Sia la presenza di clausole di monetizzazione nei contratti collettivi (che dunque prevedono implicitamente il diritto potestativo datoriale) e sia la stessa configurazione legislativa in tema di potere di determinazione del momento del godimento delle ferie (che permette mediante l’illecito procrastinamento di costringere il prestatore alla prestazione festiva non voluta) sono argomenti che militano in tal senso;
- Nelle ipotesi di intangibilità del periodo di ferie (sub B) le parti stipulando implicitamente un sub-contratto a tempo determinato eludono la norma imperativa posta a tutela delle ferie nel contratto principale. Il sub-contratto, dunque, è ascrivibile nel novero dei contratti in frode alla legge (art. 1344 cc) con relativa nullità. In tal caso la quota retributiva trova il suo fondamento nel capoverso del 2126 cc e la quota risarcitoria (che si associa nella sola ipotesi di cui in sub B2) nella violazione dell’obbligazione contrattuale principale alle ferie. Residuano, in tali contingenze, le sanzioni amministrative in cui incorre il datore;
- In sub C1) l’accordo sub-contrattuale assume la veste relativa al periodo festivo che ne oggetto. Se la prestazione lavorativa si articola nel periodo di ferie ultra minimo intangibile l’aspetto retributivo è regolato da un sub-contratto valido ed efficace. Al converso se il periodo è infra minimo intangibile l’indennità sostitutiva assume natura di prestazione ex art. 2126 cpv cc. In caso di atto unilaterale di imposizione (C2) la contestuale ed ulteriore natura risarcitoria – che si associa alla natura retributiva (da contratto implicito) – sussiste solo se la cessazione lavorativa era prevista o prevedibile ovvero se deriva da illecito datoriale (licenziamento illegittimo), per l’evidente difetto di responsabilità psicologica in caso diverso.
5. La natura ambivalente e composita della indennità sostitutiva delle ferie permette di quadrare il cerchio e risolvere una serie di problemi ricostruttivi che si manifestano con frequenza come in ordine al termine di prescrizione (quinquennale o decennale), alla computabilità nel trattamento di fine rapporto (Cass. 8 giugno 2005, n. 11960, qui annotata; contra Cass. 5 giugno 2000, n. 7488 in NGL 2001, 121), nella base contributiva (Inps, circ. 7 ottobre 1999, n. 186 e Cass. 13 maggio 1998, n. 4839 in NGL 1998, 427; contra Cass. 27 agosto 2003, n. 12580) o in quella fiscale (Cass. S.U. 26 settembre 1994 n. 7868 contra Cass. 27 gennaio 1989, n. 498 entrambe in Dir. prat. trib., 1995, II, 467 con nota G. Marongiu e 1989, II, 922 con nota A. Paroletti).
Tracciando una linea discretiva tra una quota retributiva (quinquennale e computabile) rispetto ad una seconda quota-parte risarcitoria (decennale e non computabile) in cui si compone l’indennità in parola si ossequierebbe a quella necessità ricostruttiva che si scorge in tutto il contrasto nel quale, come cennato, il Collegio ha sostenuto la natura esclusivamente retributiva (variamente giustificando tale orientamento) proprio in tutti i casi nei quali la prestazione festiva era stata concordata tra le parti e, viceversa, ha individuato anche una contestuale natura risarcitoria in tutti i casi in cui la prestazione lavorativa era imposta da atto unilaterale del datore, facendo proprie – ante litteram ed inconsciamente – le conclusioni estrapolabili dalla novella e testè esternate.