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sabato 17 dicembre 2005

SPECIALE ESAME AVVOCATO: PARERE IN MATERIA REGOLATA DAL CODICE CIVILE TRACCIA 1

DA ALTALEX.COM

Prima traccia in materia civile



Tizia si reca da un legale, al quale espone quanto segue. In sede di giudizio di separazione personale tra coniugi, con provvedimento presidenziale è stato a lei assegnato l appartamento di proprietà di Sempronio e da questi concesso in comodato al figlio Caio, marito di Tizia.


Tizia, nel rappresentare al legale il proprio timore che il suocero possa agire per ottenere la restituzione dell immobile, precisa che al comodato non fu apposta una scadenza e che l appartamento destinato a casa familiare fu concesso per soddisfare, appunto, esigenze abitative della famiglia, composta, oltre che dai coniugi, anche da due figli minorenni, affidati entrambi, in sede di separazione, alla madre.


Il candidato, assunte le vesti del legale - premessi sommari cenni sul comodato - rediga motivato parere, illustrando le problematiche sottese alla fattispecie sottoposta al suo esame.


SVOLGIMENTO


di Dario Colasanti



E’ possibile fugare i timori di Tizia circa la necessità di restituire l’appartamento a lei assegnato in sede di separazione ai sensi dell’art. 155, comma 4° Cc, in caso di eventuale richiesta del comodante Sempronio, qualora


non sia supportata dai motivi ex artt. 1804 o 1809, comma 2° Cc.


A tal fine, dopo aver accennato alla disciplina dettata dal Codice con riferimento alla cessazione del rapporto di comodato, sarà necessario individuarne il tipo specifico che ricorre nel caso di specie. Inoltre si provvederà ad illustrare la questione del coordinamento del titolo di godimento rappresentato dal provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare con il diritto del proprietario comodante, che aveva concesso in godimento l’immobile al coniuge non assegnatario. Sul punto si sono di recente espresse le Sezioni unite, propendendo per la “concentrazione” in capo al coniuge assegnatario della medesima posizione vantata dall’originario contraente.



Il comodato ha ad oggetto la concessione gratuita in godimento di un bene, attraverso la sua consegna da parte del cosiddetto comodante a favore del cosiddetto comodatario. Si tratta quindi di un contratto reale a forma libera.


La durata del rapporto può essere determinata attraverso l’espressa fissazione di un termine oppure può essere dedotta dallo specifico uso per cui la cosa è data al comodatario. In questo caso il comodante può ottenere la restituzione prima del termine solo nelle ipotesi tassativamente specificate dal Codice. Alcune di esse dipendono dal venir meno del rapporto di fiducia tra comodante e comodatario (l’inosservanza degli obblighi di conservazione, custodia e destinazione ex art. 1804, comma 3° e la morte del comodatario ex art. 1811 Cc). Altri sono collegati al prevalere dell’interesse del comodante, in ragione della gratuità del rapporto, nei casi di suo bisogno urgente ed imprevedibile ai sensi dell’art. 1809, comma 2° Cc.


Viceversa, se il termine non è stabilito, né è deducibile da un uso specifico, allora la durata indeterminata del rapporto consente al comodante di richiedere la restituzione in ogni momento. Si parla, così, di comodato precario in cui il comodante è titolare di un vero e proprio diritto di recesso ad nutum. In questi casi l’unico temperamento all’obbligo di restituzione immediata gravante sul comodatario, secondo parte della giurisprudenza consiste nel potere invocare la fissazione giudiziale di un termine congruo entro il quale adempiere ex art. 1183 Cc.


Nella fattispecie illustrata nella traccia, il contratto intercorso tra Sempronio ed il figlio rientra palesemente nella prima categoria, dovendosi così escludere la configurabilità di un comodato precario. Infatti risulta che al godimento dell’immobile era stata data la destinazione di soddisfare le esigenze abitative della famiglia di Caio. Di conseguenza era stato pattuito un uso specifico del bene, dal quale trarre la durata del rapporto, la cui prova, in assenza di atti scritti o testimoni, è comunque deducibile dal contesto complessivo della vicenda, nonché dalla natura dei rapporti tra le parti.



Chiarito ciò, è però necessario valutare quale sia l’impatto sul rapporto anzidetto del provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare a favore del coniuge non contraente.


In generale si deve notare che, data la lacunosità della disciplina relativa all’istituto dell’assegnazione della casa familiare, la giurisprudenza è dovuta più volte intervenire per risolvere i problemi di coordinamento di tale titolo giudiziale con quelli di altri soggetti interessati al godimento del bene.


Con riguardo al diverso conflitto tra il coniuge assegnatario ed i terzi acquirenti dall’altro coniuge proprietario, di recente le Sezioni unite (sentenza n° 11096 del 2002) si sono espresse nel senso di interpretare l’ambiguo testo dell’art. 6, comma 6° L. 898/1970, a favore del coniuge che abbia precedentemente trascritto il provvedimento o comunque, in assenza di tale tempestivo adempimento, per la durata di nove anni.


Ma tale dictum, estendibile anche alla separazione, non è evidentemente applicabile al caso di specie, in cui si tratta di dirimere il contrasto tra coniuge assegnatario ed originario proprietario del bene concesso in godimento. Favorire indiscriminatamente le pur rilevanti esigenze della famiglia significherebbe comprimere in modo iniquo le ragioni del proprietario che, avendo concesso il proprio bene per un determinato tempo od uno specifico uso, se ne veda inaspettatamente privato per tempi o usi diversi, sulla base di vicende cui è rimasto totalmente estraneo.


Si comprende quindi perché le Sezioni unite, con la sentenza n° 13603 del 2004, abbiano affermato che in ipotesi del genere il provvedimento di assegnazione della casa coniugale non restringe né ampia i diritti derivanti dal precedente titolo di godimento, che continuano a favore del coniuge assegnatario con le stesse prerogative e limiti.



Applicando quanto fin qui affermato al caso di specie, si può concludere che Tizia, in ragione del provvedimento di assegnazione, abbia assunto gli stessi diritti e doveri prima spettanti al comodatario Caio. Questo significa che Sempronio potrebbe ottenere immediatamente la restituzione dell’immobile solo ed esclusivamente nell’ipotesi di bisogno urgente ed imprevedibile o di violazione degli obblighi di custodia, conservazione e destinazione cui è tenuto il comodatario.


Il padre di Caio non potrebbe nemmeno sostenere che l’uso originariamente pattuito si è estinto a causa della separazione tra il figlio e la nuora. Infatti le esigenze abitative della famiglia non si esauriscono certo con il verificarsi della crisi coniugale ma perdurano con riferimento alle necessità dei figli, che subiscono incolpevolmente le conseguenze di separazione e divorzio. Di conseguenza, fino a quando i nipoti saranno minorenni o comunque convivranno con la madre perché economicamente non autosufficienti, Sempronio non potrà pretendere la restituzione dell’appartamento ai sensi dell’art. 1809, comma 1° Cc.


Infine è solo il caso di accennare che Tizia non deve temere nemmeno l’eventuale alienazione dell’immobile da parte di Sempronio. Infatti potrebbe prevalere sui terzi acquirenti alle condizioni chiarite dall’accennata sentenza del 2002.




BREVI RIFLESSIONI SULLA TRACCIA



L’assegnazione della casa familiare, con particolare riferimento al coordinamento di tale titolo di godimento con quello di altri soggetti interessati, era tema “caldo” e piuttosto pronosticato, non fosse altro perché sull’argomento si sonoo pronunciate ben 2 sentenze delle Sezioni unite negli ultimi 3 anni. Di conseguenza nei migliori libri per la preparazione all’esame ne è stato contenuto almeno un accenno.


Nonostante la generalizzata conoscenza dell’argomento o comunque la facile reperibilità della massima utile sul codice commentato, la traccia presentava alcune insidie.


Innanzitutto era necessario selezionare accuratamente i cenni teorici su cui soffermarsi. Un’eccessiva dilatazione delle premesse potrebbe aver appesantito eccessivamente l’elaborato a scapito della intelligibilità dell’iter logico-argomentativo seguito. Per questo si è ritenuto di ridurre i richiesti cenni al comodato (non per altro da farsi “sommariamente”) ai soli aspetti riguardanti la durata e l’obbligo di restituzione. Allo stesso modo si è trattato dell’assegnazione della casa familiare solo con specifico riferimento al problema dell’opponibilità a soggetti con titoli contrastanti.


Con riguardo al comodato, la questione di fondo concerneva la distinzione tra comodato a termine e comodato precario, con particolare riferimento alla concessione in godimento di un bene immobile per esigenze abitative (per approfondimenti sull’argomento mi sia consentito rinviare a “Lo studio e la redazione del parere di diritto civile”, Colasanti - Di Punzio, cap. 19, p. 259, Maggioli, 2005). In assenza di un termine espresso, la giurisprudenza esclude che la durata del rapporto possa desumersi dalla mera enunciazione generica dell’utilizzo in conformità alla destinazione abituale del bene. Di conseguenza l’attribuzione del godimento di un immobile affinché il comodatario “vi abiti” viene di regola considerata come comodato precario, da cui il comodante può in ogni momento recedere. Le cose cambiano però quando l’immobile è destinato a che “il comodatario vi abiti con la sua famiglia”. In questo caso il rapporto si colora di un fine specifico cosicché la giurisprudenza prevalente ritiene che il comodante non possa legittimamente chiedere la restituzione finché le esigenze abitative della compagine familiare non siano venute meno.


Nella pratica le controversie si incentrano specialmente sull’effettiva sussistenza di tale destinazione, tenuto conto che ciò avviene spesso nell’ambito di rapporti informali tra parenti stretti. Le Sezioni unite, nella sentenza n° 13603 del 2004 che ha deciso un caso in tutto simile a quello della traccia (per altre considerazioni vedi “Lo studio e la redazione del parere di diritto civile”, cap. 35, p. 533 e ss.) hanno precisato che la pattuizione di un tale uso specifico non può essere automaticamente accertata per il semplice fatto che un padre conceda in godimento al figlio sposato un immobile di sua proprietà. Comunque è possibile dedurre tale intenzione delle parti dal contesto complessivo delle circostanze e dei rapporti tra le parti. Ai fini d’esame la destinazione era già indicata dalla traccia, così che ai problemi probatori era possibile dedicare non più di un veloce accenno.


Con riguardo all’assegnazione della casa familiare, l’insidia era rappresentata dalla possibile sovrapposizione e confusione della questione del rapporto tra comodante e coniuge assegnatario con quella inerente al conflitto tra quest’ultimo ed i terzi acquirenti dal proprietario, anch’essa affrontata da una recente sentenza delle Sezioni unite (sentenza n° 11096 del 2002, su cui, per una approfondita trattazione, vedi “Lo studio e la redazione del parere di diritto civile”, cap. 35).


Ai fini di un corretto svolgimento del parere era necessario tenere ben distinte le due ipotesi, in quanto l’interesse di Tizia a non restituire l’appartamento a Sempronio non richiedeva assolutamente una trascrizione tempestiva, risolvendosi con le ricordate regole in materia di comodato. L’opponibilità per trascrizione prioritaria o quella provvisoria infranovennale avrebbero potuto interessare la fattispecie in questione solo in caso di alienazione di Sempronio successiva all’assegnazione. Di tale eventualità è stata fatta menzione nelle conclusioni del parere. Ma l’omissione di riferimenti ad essa non comprometterebbero il raggiungimento della sufficienza. Allo stesso modo avrebbe raggiunto agevolmente la sufficienza l’elaborato che avesse saltato ogni citazione alla sentenza del 2002 (come invece è stato fatto per completezza nello svolgimento del parere) concentrandosi essenzialmente su quella del 2004.




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