PRIME CONSIDERAZIONI SULLA RECENTE RIFORMA DEL TFR
( Prof. Sergio Sabetta )
Tanto tuonò che alfine piovve, la riforma del tfr approvata nella seduta del 24 u. s. dal Consiglio dei Ministri risulta, come già evidenziato dai primi fondi apparsi sulla stampa, un compromesso al fine di dare attuazione ad una riforma necessaria ma delicata per l’enorme massa di liquidità su cui viene ad incidere calcolata approssimativamente sui 15 miliardi di euro.
Lo spostamento al 1° gennaio 2008 dell’entrata in vigore del provvedimento con il contemporaneo spostamento dell’età pensionabile dagli attuali 57 anni a 60, appare un compromesso con una doppia valenza, da una parte in qualche modo avvia una riforma su cui sono accentrati molti interessi permettendo al governo di incassare il placet per qualcosa di necessario ai fini dell’equilibrio del sistema finanziario e richiesto più volte dall’ U. E. in apprensione per la tenuta dei nostri conti, come del resto ricordato dall’Economist che ha prospettato ,tra l’altro, in mancanza di incisive riforme strutturali, tra cui la previdenza, l’avvio verso un lento declino del paese. Dall’altra rinvia alla prossima legislatura l’attuazione non chiudendo i giochi, nella prospettiva di una ulteriore possibile modifica che eviti di contrapporsi rigidamente agli interessi assicurativi delusi.
In effetti il provvedimento approvato attuativo della legge delega n. 204 del 2004 è il massimo che il ministro del welfare potesse ottenere nella situazione attuale mantenendo l’impianto proposto, come si evince dalle astensioni avvenute nel consiglio dei ministri al momento del voto.
La caratteristica principale, da una prima sommaria disamina, è il prevalere dei fondi contrattuali chiusi attraverso il meccanismo del silenzio – assenso se il lavoratore non deciderà tra il 17/1/2008 e il 30/6/2008, con l’ulteriore rafforzativo del divieto della portabilità del contributo del datore di lavoro ai fondi aperti e ai pip. Vi è inoltre una ulteriore proroga, probabilmente di 12 mesi ossia fino al 1/1/2009, per le piccole e medie imprese in considerazione della difficoltà ad accedere al credito per la loro scarsa capitalizzazione, questo non toglie la possibilità dopo due anni di scegliere una forma complementare diversa.
E’ stato evidenziato che le imprese, non fidandosi dei meccanismi di compensazione proposti dal governo ma non del tutto chiariti, hanno preferito assicurarsi un accesso facilitato al capitale riversato nei fondi, attraverso le linee guida di indirizzo politico che guideranno i fondi chiusi. Rientrano peraltro in queste misure incentivanti le deduzioni di imposte del 4%, innalzate al 6% per le imprese sotto le 50 unità, per il versato ai fondi integrativi, nonché un accesso al credito con tasso Euriber del 2%.
Facilitazioni ed incentivazioni sono state previste anche per i lavoratori con possibili anticipi fino al 75% per gravi motivi di salute o dopo 8 anni per la prima casa, riscatti totali o al 50% in caso di disoccupazione rispettivamente oltre i 12 o i 48 mesi o nel caso di invalidità, infine imposte ridotte dal 15% fino al 9% dopo i trentacinque anni di contributi sulle prestazioni integrative.
La convenienza o meno dell’adesione al fondo complementare deriva anche dalla tipologia di gestione attuata in rapporto all’età del lavoratore e comunque, come in varie occasioni sottolineato, dall’andamento del tasso di inflazione in relazione all’andamento dei tassi di interesse delle obbligazioni pubbliche, le quali dovrebbero aumentare nei prossimi anni almeno al 3%, secondo quanto prevedibile a seguito dell’operato della Banca americana e degli ultimi interventi previsti dalla BCE, si deve considerare tra l’altro che attualmente il trattamento di fine rapporto è pari al 75% dell’inflazione più l’1,5% fisso.
Dobbiamo comunque tenere presente che due anni per quanto apparentemente brevi da un punto di vista finanziario sono abbastanza lunghi, come del resto vi è l’alea di possibili aggiustamenti normativi a seguito della modifica degli equilibri di forza nella futura legislatura.