I contratti collettivi di diritto comune operano esclusivamente entro l ambito temporale concordato dalle parti, costituendo manifestazione dell autonomia negoziale degli stipulanti; conseguentemente, le clausole di contenuto retributivo non hanno efficacia vincolante diretta per il periodo successivo alla scadenza contrattuale, operando peraltro sul piano del rapporto individuale del lavoro la tutela assicurata dall art. 36 Cost., in relazione alla quale può prospettarsi una lesione derivante da una riduzione del trattamento economico rispetto al livello retributivo già goduto.
Con questo il principio le Sezioni Unite la Cassazione, con la sentenza n. 11325 del 30 maggio 2005, abbracciano l indirizzo giurisprudenziale prevalente in tema di efficacia dopo la scadenza delle clausole dei contratti collettivi relative al trattamento retributivo.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
SENTENZA 30-05-2005, n. 11325
Svolgimento del processo
Francesco C. e Pasquale T., ex dipendenti delle Ferrovie dello Stato, collocati in quiescenza dall ottobre al dicembre 1993, chiedevano al Pretore di Cosenza la condanna della s.p.a. Ferrovie dello Stato il pagamento della indennità c.d. una tantum prevista dal C.C.N.L. del 1994, o in subordine delle voci stipendiali integrative soppresse a decorrere dal gennaio 1993 e maturate fino alla data del loro collocamento a riposo.
Il Pretore adito rigettava la domanda principale ed accoglieva quella proposta in via subordinata, con decisione che il Tribunale di Cosenza confermava con la sentenza oggi impugnata. Secondo il giudice dell appello, la previsione del punto 5-7 del nuovo contratto collettivo (relativo alla cessazione della efficacia, a partire dal 1 gennaio 1993, di tutte le clausole relative al trattamento economico previsto a titolo di salario integrativo, premio risultato quadri ecc.) dimostrava l intento delle parti stipulanti di disporre retroattivamente la cessazione dell efficacia delle clausole relative ai compensi premiali. Peraltro, ad avviso del Tribunale, il diritto dei lavoratori a tali prestazioni derivava dalla previsione dell art. 33 del C.C.N.L. del 1990 - che includeva tra gli elementi aggiuntivi della retribuzione l integrativo di cui all accordo del 19 maggio 1990 - e non dalla contrattazione integrativa annuale, alla quale l art. 3 dello stesso C.C.N.L. demandava solo il compito di stabilire l ammontare dei compensi anno per anno e i criteri di riparto.
Il giudice dell appello affermava quindi che il diritto ai compensi per l anno 1993 non era escluso dall avvenuta scadenza del C.C.N.L. del 1990, dovendosi applicare il principio secondo cui la scadenza del contratto collettivo non determina l automatica cessazione delle clausole a contenuto retributivo; il nuovo contratto collettivo non poteva incidere sui diritti già acquisiti al patrimonio dei lavoratori.
Avverso questa sentenza la s.p.a. Rete Ferroviaria Italiana, già Ferrovie dello Stato, propone ricorso per Cassazione affidato a unico complesso motivo e illustrato da memoria. Gli intimati non si sono costituiti.
La causa è stata assegnata a queste Sezioni Unite per l esame della questione, oggetto di contrasto in giurisprudenza, della perdurante efficacia anche dopo la scadenza delle clausole dei contratti collettivi relative al trattamento retributivo.
Motivi della decisione
1.1. Con l unico complesso motivo si denunciano i vizi di violazione e falsa applicazione "dei principi in tema di efficacia e validità dei contratti di lavoro e della loro interpretazione", violazione degli artt. 1362 e seguenti cod. civ., 1 e seguenti l. 8 agosto 1992 n. 359 e dell art. 7 legge 14.1.1992 n. 438, difetto di motivazione su punti decisivi della controversia.
Per un primo profilo, la censura investe la ricostruzione dell assetto negoziale compiuto con la sentenza impugnata, che ha ravvisato nella previsione dell art. 33 del C.C.N.L. 1990/1992 la fonte degli istituti premiali ai quali si riferisce la pretesa azionata. Si osserva che l art. 3 dello stesso C.C.N.L. non enunciava il diritto dei dipendenti a percepire trattamenti premiali, ma solo la possibilità di introdurre in sede di contrattazione integrativa, con dati limiti, componenti della retribuzione aventi funzione premiante. Il richiamato art. 33, esprimendo la nozione di retribuzione, collocava testualmente tra gli "elementi aggiuntivi della retribuzione" anche l "integrativo di cui all accordo 19 maggio 1990"; ma il Tribunale, fondando su tale richiamo il diritto dei dipendenti al trattamento premiale, non ha considerato che tale accordo era antecedente alla stipula del contratto collettivo; nè ha indicato le ragioni in base alle quali l accordo del 1990, di efficacia circoscritta nel tempo, potesse fondare un diritto alla percezione non solo di trattamenti premiali, ma anche di emolumenti diversi da quelli indicati nella medesima pattuizione, contenuti in separati accordi di durata annuale: l accordo del 19 maggio 1990 non menzionava neppure uno dei trattamenti che il C. e il T. avevano reclamato con la domanda subordinata.
Si sostiene quindi che, individuata la fonte del diritto all emolumento aggiuntivo solo nei limiti della contrattazione integrativa e della sua efficacia temporale, non poteva prospettarsi alcuna situazione soggettiva tutelabile per il 1993, anno nel quale non vi era stato un accordo.
Si osserva anche che il comportamento delle parti contrattuali si era allineato alle previsioni normative della leggi nn. 359/1992 e 438/1992, che avevano vietato per le pubbliche amministrazioni e per le società di gestione di pubblici servizi variazioni del costo del lavoro superiori al tasso programmato di inflazione, ed avevano quindi introdotto un blocco della contrattazione collettiva.
1.2. Sotto un secondo profilo, si critica la decisione del Tribunale che ha attribuito carattere di ultrattività alle pattuizioni del C.C.N.L. del 1990, secondo una tesi che contrasta con i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte; il giudice dell appello non ha del resto considerato che gli emolumenti in questione, in quanto non stabili ma legati nella loro previsione ad una particolare modalità della prestazione lavorativa, non potrebbero comunque godere di protezione ai sensi dell art. 36 Cost.
Con l esclusione dell ultrattività del C.C.N.L. del 1990 cade anche la tesi secondo cui le organizzazioni sindacali avrebbero disposto di un diritto dei lavoratori in assenza di specifico mandato.
2.1. Il motivo merita accoglimento per le seguenti considerazioni.
Le censure della ricorrente investono entrambi gli aspetti esaminati nella sentenza impugnata, che attengono sia alla identificazione del fondamento della pretesa nelle previsioni del C.C.N.L. del 1990, con conseguente riconoscimento di diritti già acquisiti al patrimonio dei lavoratori nel vigore di tale disciplina, sia alla operatività di un principio di ultrattività delle clausole contrattuali a contenuto economico anche dopo la scadenza del contratto collettivo, in base al quale la disposizione del successivo C.C.N.L. del 1994 - che ha stabilito la cessazione dell efficacia, a far data dal 1 gennaio 1993, delle clausole relative ai compensi premiali- non poteva incidere su tali situazioni soggettive.
Appare opportuno esaminare anzitutto il secondo profilo, che attiene ad una questione su cui si è registrato un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte.
Secondo un consolidato e risalente orientamento, la disposizione dell art. 2074 cod. civ. - sulla perdurante efficacia del contratto collettivo scaduto, fino a che non sìa intervenuto un nuovo regolamento collettivo - non si applica ai contratti collettivi post- corporativi che, costituendo manifestazione dell autonomia negoziale privata, sono regolati dalla libera volontà delle parti cui soltanto spetta stabilire se l efficacia di un accordo possa sopravvivere alla sua scadenza (Cass. 16 gennaio 1969 n. 79, 19 maggio 1979 n. 2892, 29 agosto 1987, n. 7140, 14 luglio 1988 n. 4630, 13 febbraio 1990 n. 1050, 6 giugno 1990 n. 5393, 16 aprile 1993 n. 4507); la cessazione dell efficacia dei contratti collettivi, coerentemente con la loro natura pattizia, dipende quindi dalla scadenza del termine ivi stabilito (Cass. 9 giugno 1993 n. 6408, 24 agosto 1996 n. 7818). Non può ritenersi definitivamente acquisito al patrimonio del lavoratore un diritto nato da una norma collettiva che ormai non esiste più, perchè caducata o sostituita da una successiva contrattazione collettiva: ciò perchè le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, dando luogo a diritti quesiti sottratti al potere dispositivo delle organizzazioni sindacali, ma operano invece dall esterno sui singoli rapporti di lavoro come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicchè, nell ipotesi di successione fra contratti collettivi, le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (che attiene esclusivamente, ai sensi dell art. 2077 cod. civ., al rapporto tra contratto collettivo ed individuale), restando la conservazione di quel trattamento affidato all autonomia contrattuale delle parti collettive stipulanti (cfr. Cass. 24 agosto 1990 n. 8640, 6 maggio 1991 n. 4947, 28 novembre 1992 n. 12751, 20 gennaio 1995 n. 651, 26 ottobre 1995 n. 11119).
Dall indirizzo secondo cui le clausole collettive operano esclusivamente entro l ambito temporale concordato dalle parti stipulanti si discosta Cass. 21 aprile 1987 n. 3899, con cui si è affermato che il termine finale apposto ad un contratto aziendale o collettivo attiene all impegno (programmatico più che giuridico) di astensione da ulteriori rivendicazioni fino alla data concordata, ma non già alla durata dei diritti, dai singoli lavoratori acquisiti in applicazione del contratto stesso.
Questa impostazione è richiamata da Cass. 22 aprile 1995 n. 4563, secondo cui la scadenza contrattuale non determina l automatica cessazione dell efficacia delle clausole a contenuto retributivo.
L enunciazione di tale principio non si fonda sull applicazione ai contratti collettivi di diritto comune della regola posta dall art. 2074 cod. civ., nè sulla tesi della incorporazione del contratto collettivo in quello individuale, ma sulla considerazione che nel rapporto di lavoro la prestazione retributiva assume un suo rilievodi carattere costituzionale, in relazione alla garanzia fornita dall art. 36 Cost.; sicchè la quantità di retribuzione pattuita a mezzo della contrattazione collettiva, rappresentando la misura dell adeguatezza al precetto costituzionale e assicurando il conseguimento di un livello di esistenza libero e dignitoso, "diviene un entità oggettiva che fuoriesce dalla normale serie effettuale di un comune contratto acquistando una sorta di intangibilità e rimanendo perciò sottratta alla disponibilità delle parti"; la ultrattività della pattuizione retributiva scaduta dipende dunque - secondo questa decisione - dalla sua inerenza ad un bene di rango costituzionale.
L orientamento prevalente è stato successivamente riaffermato da Cass. 5 maggio 1998 n. 4534, 5 febbraio 2000 n. 1298, 15 febbraio 2000 n. 1576, 10 aprile 2000 n. 4534, 2 giugno 2000 n. 7393, e più recentemente da Cass. 17 gennaio 2004 n. 668; anche Cass. 5 novembre 2003 n. 16635 ribadisce che i rapporti di successione temporale tra contratti collettivi sono regolati dalla libera volontà delle parti stipulanti.
Nella linea seguita da Cass. n. 4563/1995 si colloca invece la sentenza n. 5908 del 14 aprile 2003, che conferma l esistenza di un principio di ultrattività dei contratti collettivi, fondato sia su una regola di "relativa intangibilità" del livello economico raggiunto dal lavoratore, sia sulla funzione di regolamentazione di una serie di rapporti di lavoro, tipica del contratto collettivo di diritto comune, la quale fa escludere che la mera scadenza del termine di efficacia possa provocare un vuoto di disciplina pregiudizievole del livello di tutela del rapporto di lavoro già raggiunto e lesivo della centralità della dignità umana del lavoratore.
2.2. La Corte ritiene di dover riaffermare l indirizzo prevalente, con il riconoscimento della temporaneità dell efficacia dei contratti collettivi, corrispondente alla espressione dell autonomia negoziale. Posto che la consolidata prassi delle relazioni industriali, caratterizzata dalla predeterminazione della durata dei contratti collettivi, risulta correlata alla dinamica degli assetti di interessi raggiunti con le pattuizioni, può ritenersi che anche il venir meno di determinati emolumenti dopo un certo termine sia stato riconosciuto conforme agli interessi dei contraenti, secondo una valutazione riservata all autonomia collettiva. Come è stato osservato da Cass. 12751/1992 cit., la stessa durata di un contratto collettivo rientra tra gli elementi disponibili da parte del sindacato, atteso che allo stesso è rimessa la valutazione collettiva della preesistente corrispondenza della norma contrattuale agli interessi dei lavoratori associati e, mutata la situazione contingente, ben può decidere di non conservarne ulteriormente l efficacia; del resto, il nuovo contratto può risultare "peggiorativo" in alcuni aspetti, ma evidentemente rispetto ad una situazione preesistente, mentre la nuova disciplina è corrispondente agli interessi degli associati rispetto a quella sopravvenuta (spettando sempre all autonomia collettiva l adozione di misure idonee ad evitare conseguenze sfavorevoli per i lavoratori della successione di contratti).
In questo sistema, l applicazione di un principio di ultrattività del contratto oltre la sua naturale scadenza, in contrasto con l intento espresso dagli stipulanti, si pone obiettivamente come un limite della libera volontà delle organizzazioni sindacali, e prospetta un contrasto con la garanzia posta dall art. 39 Cost. Ove si configuri - secondo l orientamento espresso delle sentenze nn. 4563/95 e 5908/2003 - una regola che sottrae alla disponibilità delle parti contraenti la quantità di retribuzione pattuite in sede collettiva, attribuendo a tale elemento un carattere di intangibilità oggettiva tale da estendersi anche - come ritiene la seconda decisione citata - oltre alle clausole relative alla retribuzione, fino alla regolamentazione negoziale nel suo complesso.
Si deve invece rilevare che la tutela derivante dall art. 36 Cost. - su cui si fonda questa impostazione - opera sul piano del contratto individuale, e non su quello del contratto collettivo, in relazione al quale si prospetta la questione dell ultrattività oltre la scadenza: ed è su questo piano, come è stato osservato puntualmente in dottrina, che si pone il quesito se il datore di lavoro, non comeparte del rapporto individuale, ma in quanto aderente all accordo collettivo, possa essere costretto a rispettare il contratto collettivo oltre il termine pattuito di efficacia.
La ricostruzione proposta con l indirizzo qui disatteso sembra presupporre che la scadenza del contratto collettivo, con il venir meno della vincolatività negoziale delle clausole retributive, determini di per sè una lesione della tutela dell art. 36 Cost. Al contrario, bisogna affermare che tale protezione opera comunque nell ambito del rapporto di lavoro, indipendentemente dal carattere direttamente vincolante delle clausole collettive (sotto il profilo dell efficacia temporale come quello dell efficacia soggettiva, comunque limitata agli aderenti alle associazioni stipulanti).
In questo ambito, sul piano del rapporto individuale di lavoro,risulta garantito il trattamento economico goduto dal lavoratore, che può certamente far valere la violazione di tale tutela, derivante dall eventuale riduzione dei livelli salariali, indicando come valido parametro di determinazione della retribuzione equa e sufficiente il contratto collettivo scaduto; spettando poi al giudice, secondo i noti criteri di adeguamento della retribuzione al precetto costituzionale, stabilire se a tal fine debba tenersi conto anche di trattamenti aggiuntivi previsti dalla contrattazione collettiva di riferimento.
4. L esame dell altro profilo di censura coinvolge l applicazione di un diverso principio di intangibilità, che preclude alla contrattazione collettiva (in assenza di specifico mandato, o di una successiva ratifica dei soggetti interessati) di incidere su diritti soggettivi già entrati nel patrimonio dei lavoratori.
La sentenza impugnata ha ritenuto operante nella fattispecie tale principio, ritenendo che il diritto agli emolumenti premiali fosse già attribuito dal C.C.N.L. del 1990. La decisione appare affetta, sotto questo aspetto, dai denunciati vizi di difetto di motivazione e violazione dei canoni ermeneutici legali, perchè non indica le ragioni su cui si basa il convincimento espresso in ordine alla identificazione di questi compensi nel disposto dell art. 33 del medesimo contratto nazionale. In effetti, la clausola richiamata prevede l inclusione nella retribuzione dell integrativo di cui all accordo del 19 maggio 1990; ma la pretesa azionata nel presente giudizio riguarda compensi premiali diversi, che non sono contemplati nel predetto accordo. La motivazione della sentenza impugnata non da conto degli elementi su cui si basa la ricostruzione compiuta, che non risulta conforme ad un criterio di interpretazione del significato letterale delle clausole esaminate.
3. In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio della causa ad altro giudice, che procederà a nuova indagine sul contenuto e sulla efficacia vincolante della disciplina collettiva applicabile attenendosi al seguente principio di diritto: "I contratti collettivi di diritto comune operano esclusivamente entro l ambito temporale concordato dalle parti, costituendo manifestazione dell autonomia negoziale degli stipulanti;
conseguentemente, le clausole di contenuto retributivo non hanno efficacia vincolante diretta per il periodo successivo alla scadenza contrattuale, operando peraltro sul piano del rapporto individuale del lavoro la tutela assicurata dall art. 36 Cost., in relazione alla quale può prospettarsi una lesione derivante da una riduzione del trattamento economico rispetto al livello retributivo già goduto.".
Il giudice del rinvio, designato come in dispositivo, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Catanzaro.
Così deciso in Roma, il 17 marzo 2005.
Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2005.