Cala definitivamente il sipario sui co.co.co. Lunedì 24 ottobre scadrà infatti l’ultima delle proroghe concessa dalla legge Biagi a queste figure per far sì che rientrino nell’ambito del lavoro a progetto o in altre forme di lavoro parasubordinato.
A due anni dall’entrata in vigore delle riforma del mercato del lavoro che porta il nome del giuslavorista ucciso dalle Brigate Rosse (attuata con il decreto legislativo 276 del 2003), e ad un anno dalla ulteriore proroga concessa dal decreto 251 del 2004, escono dunque di scena i collaboratori coordinati e continuativi, variegata categoria in cui in passato sono confluiti migliaia di figure professionali, con le mansioni più diverse.
Le vecchie co.co.co, tuttavia, non spariranno definitivamente. Oltre che nella Pubblica amministrazione (dove, va ricordato, la riforma Biagi non è stata recepita), i vecchi contratti continueranno a “sopravvivere” per alcune specifiche categorie di lavoratori. Anzitutto potranno essere inquadrati come co.co.co i lavoratori che già percepiscono una pensione di vecchiaia, gli sportivi dilettanti, i titolari di cariche sociali (amministratori e sindaci di società), gli iscritti agli albi e, comunque, tutti coloro che presteranno la loro opera a favore di un committente, per un tempo non superiore a 30 giorni, ovvero, nel caso di superamento di detto termine, per un compenso annuo massimo di cinquemila euro.
Va ricordato come il decreto 276/2003 ha previsto che i contratti di collaborazione coordinata e continuativa siano “riconvertiti” in contratti di collaborazione a progetto, vale a dire che per poter stipulare un contratto di collaborazione è necessario che allo stesso sia allegato un progetto o un programma o fasi di esso. L’art. 86 del suddetto decreto prevedeva, però, una sorta di “periodo transitorio”, con cui si consentiva la prosecuzione dei vecchi contratti conclusi sotto la previgente disciplina. In seguito, (anche per effetto della circolare del ministero del lavoro n° 1 del 2004), con il decreto 251 del 2004, il termine è stato prorogato, in via perentoria, fino al 24 ottobre 2005.
Tuttavia, al fine di portare i vecchi co.co.co verso altre forme contrattuali sono state previste e stipulate alcune intese tra i datori di lavoro e le parti sociali. Tra le varie intese possiamo ricordare quella del 2 marzo 2004 riguardante i lavoratori dei call centers, intervenuta tra Assocallcenter e Cgil, Cisl e Uil. Quest’ accordo, che ha interessato oltre 4mila lavoratori, è giunto al capolinea, dal momento che scadrà il prossimo 31 ottobre.
Un altro importante accordo è stato quello siglato il 24 maggio 2004 dall’Atesia, il call center che fa capo a Telecom Italia, e che riguarda 4350 collaboratori. Progressivamente la maggior parte dei contratti di collaborazione è stata trasformata in contratti di lavoro parasubordinato, ricorrendo ai nuovi strumenti di flessibilità introdotti dalla stessa riforma Biagi (in primis il nuovo apprendistato ed il contratto di inserimento). Un’ulteriore parte è stata ricondotta al contratto a progetto.
Nonostante la riforma, però, la situazione attuale non appare così rosea per i nuovi collaboratori a progetto. Da più parti si lamenta un precariato diffuso e una forte instabilità dei posti di lavoro. Secondo alcune recenti indagini, le politiche della flessibilità hanno creato, di fatto, solo posti di lavoro all’insegna della precarietà, lavoratori che vivono e producono con garanzie minime dal punto di vista previdenziale, creditizio e professionale.
Proprio per far fronte a tale stato di cose, la Nidil-Cgil insieme all’Arci , ha organizzato una giornata di lotta contro la precarietà per il prossimo 24 ottobre, lo stesso giorno in cui scade l’ultima proroga per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
Nello stesso giorno si svolgeranno anche dibattiti e incontri su tutto il territorio nazionale con politici e rappresentanti delle istituzioni locali. Sarà poi presentata una ricerca condotta dall’Ires, l’Istituto di ricerca della Cgil, ricerca da cui emerge, secondo alcune anticipazioni, che la gran parte dei collaboratori si sia trasformata in contratti a progetto, mentre solo una piccola parte è riuscita ad ottenere un contratto di lavoro dipendente. |