ANCHE LA MOGLIE RIPUDIATA HA DIRITTO AL RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE
di Mario Pavone ***
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Un innovativa sentenza della Cassazione ha riconosciuto il diritto della moglie ripudiata,di religione islamica,ad ottenere il ricongiungimento familiare se lavora in Italia con i figli minori benché esclusa in base al diritto islamico dalla tutela degli stessi.
E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione,sezione I civile, con sentenza n. 12169 del 09/06/2005.
Una cittadina del Marocco,pur avendo ottenuto il ricongiungimento familiare con i propri figli, si vedeva negare il visto di ingresso in Italia per gli stessi dalla Ambasciata Italiana a Rabat atteso che con l’atto di ripudio del 25 settembre 1992, il primo marito dell’istante, aveva escluso la ricorrente dalla tutela dei minori, riservandola a se stesso, come consentito dalla normativa interna
del Paese.
Il Tribunale di Perugina accoglieva il ricorso, perche’, ai sensi della lett. b) del citato art. 29 T.U., i minori dovevano ritenersi a carico dell’istante, che provvedeva al mantenimento dei figli, ai quali doveva quindi rilasciarsi il visto d’ingresso.
Avverso tale provvedimento veniva prroposto reclamo dal Pubblico Ministero in base alla considerazione che secondo la Moudawana, ossia il codice dello stato delle persone vigente in Marocco, applicabile come legge nazionale del figlio ex art. 36 della Legge 31 maggio 1995 n. 218, la rappresentanza legale dei minori compete al solo padre, spettando alla madre solo in caso di morte dell’altro genitore.
Rigettando il reclamo, la Corte d’appello perugina ravvisava una evidente disparita’ di posizione dei genitori rispetto ai figli nella normativa del Marocco, stante la sua contrarietà all’ordine pubblico internazionale e al principio costituzionale della parita’ dei coniugi oltre che al loro obbligo comune di mantenere i figli (art. 29 Cost.).
In conseguenza sanciva l’applicabilità al caso della legge italiana, ex art. 16 della Legge n. 218 del 1995.
Stabiliva,inoltre, che,stante il mantenimento dei figli da parte della madre, in base all’art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989 ratificato in Italia dalla Legge 27 maggio 1991 n. 176, occorreva tenere conto,ai fini della decisione, del superiore interesse dei minori che in Marocco erano affidati ad una zia nel disinteresse del padre, che aveva dichiarato di consentire al loro espatrio per il ricongiungimento alla madre.
Pertanto, il diritto all’unita’ familiare dei minori imponeva il rilascio del nulla osta e il reclamo delle Amministrazioni doveva essere rigettato.
Avverso tale provvedimento ricorrevano in Cassazione le Amministrazioni interessate sostenendo la contraddittorietà della motivazione.
Nel rigettare il ricorso,la Corte ha sostenuto che le diverse tradizioni culturali del mondo islamico rispetto a quelle occidentali giustificano pienamente la disciplina positiva del diritto di famiglia che attribuisce compiti diversi ai due genitori ma non viola l art. 29 della Costituzione ne’ l ordine pubblico internazionale.
In conseguenza, anche se la "Moudawana" - ossia il Codice dello stato e delle persone e delle successioni vigente nel Regno del Marocco - non lo consente, in base all ordinamento giuridico italiano,la madre ha diritto di ottenere il ricongiungimento con i figli per curare meglio la loro crescita ed educazione, ancorché provvedendo da sola al loro sostentamento e mantenimento, nel disinteresse del padre.
Secondo la Corte,lo stesso art. 29, lett. b- bis), del T.U., introdotto dalla Legge 23 agosto 2002 n. 189, impone, con riferimento ai figli maggiorenni ai quali lo straniero ha diritto a ricongiungersi che gli stessi siano a suo carico, nessun rilievo avendo nel caso la potestà genitoriale, prevedendosi solo che detti figli non possano per ragioni oggettive provvedere al proprio sostentamento.
Se per i figli maggiorenni il concetto di carico e’ connesso a uno stato di salute che comporti invalidita’ totale, per i minori lo steso concetto, sia nel diritto interno che in quello internazionale, integra sempre e solo quello del collegamento tra due soggetti per il quale uno ha l’onere del sostentamento dell’altro, che non e’ in grado di provvedere al proprio mantenimento.
Ostuni, ottobre 2005
Fonte: Litis
** Presidente
ANIMI
CASSAZIONE CIVILE, Sezione I, Sentenza n. 12169 del 09/06/2005
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE CIVILE
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
M. J, cittadina del Marocco dotata di permesso di soggiorno, ottenuto il nulla osta della Questura di Perugina al ricongiungimento al suo secondo marito e ai figli minori C. M. e C. M. nati dal suo primo matrimonio rispettivamente nel 1986 e nel 1988, ricorreva al Tribunale di Perugina ex art. 30, 6° comma, D.Lgs. 25 luglio 1998 n. 286 (T.U. sull’immigrazione, da ora T.U. n.d.e.), contro il diniego del visto di ingresso in Italia ai figli da parte dell’Ambasciata italiana a Rabat.
Secondo il Consolato generale in Rabat competente al rilascio del visto, in base alla documentazione esibita dall’istante ai sensi dell’art. 29, comma 1, lett. a) e b), del T.U. e dell’art. 6 del d.p.r. 31 agosto 1999 n. 394 (Regolamento di attuazione del T.U.), con l’atto di ripudio del 25 settembre 1992, il primo marito dell’istante, aveva escluso la M. dalla tutela dei minori, riservandola a se stesso, come consentito dalla normativa interna, senza fare alcun cenno alla minore M., nata durante il ma trinomio, essendo la esclusione della tutela limitata al solo M.
Ad avviso dell’autorita’ consolare, pur essendo agli atti una dichiarazione di una sorella della istante che dichiarava che i figli erano mantenuti dalla madre, il visto non poteva rilasciarsi, perche’ solo al padre spettava l’esercizio della potesta’ genitoriale, secondo il diritto marocchino.
Il Tribunale di Perugina accoglieva il ricorso, perche’, ai sensi della lett. b) del citato art. 29 T.U., i minori dovevano ritenersi a carico dell’istante, che provvedeva al mantenimento dei figli, ai quali doveva quindi rilasciarsi il visto d’ingresso.
Il reclamo dei due Ministeri, ai sensi dell’art. 739 c.p.c., era rigettato, con decreto del 25 marzo 2004, dalla Corte d’appello di Perugina, che condannava i reclami alle spese del grado.
Secondo i reclami, per la Moudawana, cioe’ il codice dello stato delle persone vigente in Marocco, applicabile come legge nazionale del figlio ex art. 36 della Legge 31 maggio 1995 n. 218, la rappresentanza legale dei minori compete al solo padre, spettando alla madre solo in caso di morte dell’altro genitore.
Ad avviso della Corte territoriale, tale disparita’ di posizione dei genitori rispetto ai figli, di cui alla normativa del Marocco, e’ contraria all’ordine pubblico internazionale e al principio costituzionale della parita’ dei coniugi oltre che al loro obbligo comune di mantenere i figli (art. 29 Cost.); di conseguenza, al caso va applicata la legge italiana, ex art. 16 della Legge n. 218 del 1995.
Poiche’ la M. provvede al mantenimento dei figli, ai sensi dell’art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989 ratificato in Italia dalla Legge 27 maggio 1991 n. 176, occorre tenere conto dell’interesse superiore dei minori, che in Marocco erano affidati ad una zia nel disinteresse del padre, che aveva dichiarato di consentire al loro espatrio per il ricongiungimento alla madre; pertanto, il diritto all’unita’ familiare dei minori imponeva il rilascio del nulla osta e il reclamo delle Amministrazioni doveva essere rigettato.
Per la cassazione di tale decreto hanno proposto ricorso, con quattro motivi, il Ministero dell’Interno e quello degli Affari Esteri e la M. si e’ difesa con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso deduce violazione degli artt. 29, comma 1,lett. b), del T.U., e 136, 147, 148 e 149 della Moudawana (Codice dello Stato e delle persone e delle successioni vigente nel Regno del Marocco), da applicare in Italia ai sensi degli artt. 36 e 16 della Legge 31 maggio 1995 n. 218, oltre che dell’art. 29 Cost., pure per insufficiente e contraddittoria motivazione.
In ordine alla posizione di disuguaglianza della madre rispetto al padre nella legislazione marocchina, il decreto impugnato confonde il concetto di carico familiare con quello di obbligo di mantenimento dei figli nell’applicare il limite dell’ordine pubblico.
Erroneamente la Corte di merito afferma infatti che la normativa del Marocco contrasta con l’art. 29 della Cost., fondamento del principio d’ordine pubblico internazionale della parita’ dei coniugi, e quindi ostavano, ai sensi dell’art. 16 della Legge n. 218/95 all’applicazione in Italia della normativa straniera.
La norma della Costituzione citata, pur ponendo a base del matrimonio l’uguaglianza giuridica e morale dei coniugi, chiarisce che quest’ultima e’ disciplinata nei limiti della legge ordinaria, la quale ha attribuito fino al 1975 la potesta’ genitoriale al solo padre, senza violare la Carta fondamentale.
In sostanza, riconoscere al solo padre la potesta’ sui figli minori, non viola l’uguaglianza tra i coniugi e la diversita’ di compiti dei due genitori, propria del diritto islamico e di quello del Regno del Marocco, non contrasta con tale uguaglianza.
Le diverse tradizioni culturali del mondo islamico e del Regno del Marocco rispetto a quelle occidentali, giustificano pienamente la disciplina positiva del diritto di famiglia di quel paese, che attribuisce compiti diversi ai due genitori, ma non viola l’art. 29 della Cost. e l’ordine pubblico internazionale.
Il concetto di carico dell’art. 29, comma 1, lett. b), T.U. non va inteso in senso materiale, ma comprende quello della rappresentanza legale del minore, per il quale, nelle ipotesi come quella oggetto di causa, nella quale la madre richiedente il nulla osta provvede al mantenimento dei figli minori, questi non possono considerarsi a suo carico, se l’istante non sia la loro rappresentante legale come titolare della potesta’ genitoriale, perche’ nel caso il mero consenso del padre all’espatrio dei figli comunque non conferisce alla madre il potere- dovere di esercitare una potesta’ che la legge le nega.
La potesta’ genitoriale di entrambi i genitori non e’ principio d’ordine pubblico internazionale, che corrisponde cioe’ alle esigenze di diversi ordinamenti interni, potendosi attuare in modi diversi nei diversi paesi in conformita’ alle loro tradizioni e culture.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta ancora violazione dell’art. 29, comma 1°, lett. b), del T.U. e delle norme sopra citate del Regno del Marocco, in rapporto all’art. 36 della Legge n. 218 del 1995 oltre che della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989, ratificata in Italia dalla Legge 27 maggio 1991 n. 176, pure per insufficiente motivazione, ex art. 360, 1° comma, nn. 3 e 5, c.p.c.
Erroneamente la Corte territoriale ha presunto, in base ad un atto notarile, che i figli della istante fossero affidati ad una zia materna, deducendo dal consenso all’espatrio dato dal padre una situazione di fatto, per la quale vi sarebbe stato un interesse superiore dei minori a ricongiungersi con la madre.
Solo se la M. avesse avuto la potesta’ genitoriale sui minori, ella avrebbe potuto avere l’affidamento dei figli, che hanno diritto all’unita’ familiare con il padre che su loro esercita la potesta’ di legge, per cui devono restare in Marocco.
Il terzo motivo di ricorso, lamentando le stesse violazioni di legge e insufficienze motivazionali del secondo, deduce che, pure in difetto della potesta’ genitoriale, la M. deve mantenere i figli minori, ma che e’ errato che il concetto di carico familiare di cui al T.U., possa tradursi nei soli obblighi di mantenimento, potendosi in tal modo eludere la normativa locale e internazionale.
Con il quarto motivo d’impugnazione si lamenta violazione dell’art. 92 c.p.c., pure per insufficiente motivazione, sussistendo nel caso ragioni per compensare le spese del secondo grado, non considerate in alcun modo dalla Corte d’appello.
Il ricorso e’ infondato.
Lo stesso art. 29, lett. b- bis), del T.U., introdotto dalla Legge 23 agosto 2002 n. 189, impone, con riferimento ai figli maggiorenni ai quali lo straniero ha diritto a ricongiungersi che gli stessi siano a suo carico, nessun rilievo avendo nel caso la potesta’ genitoriale, prevedendosi solo che detti figli non possano per ragioni oggettive provvedere al proprio sostentamento.
Se per i figli maggiorenni il concetto di carico e’ connesso a uno stato di salute che comporti invalidita’ totale, per i minori lo steso concetto, sia nel diritto interno che in quello internazionale, integra sempre e solo quello del collegamento tra due soggetti per il quale uno ha l’onere del sostentamento dell’altro, che non e’ in grado di provvedere al proprio mantenimento.
Il c.d. carico integra nel T.U. una fattispecie nella quale colui che chiede il ricongiungimento e’ il soggetto che provvede e dovra’ provvedere al sostentamento del familiare al quale chiede di riunirsi, tanto che deve dimostrare l’esistenza di un alloggio idoneo e di redditi sufficienti (art. 29, comma 3, lett. a) e b), funzionali all’adempimento del carico esistente anche dopo la materiale riunione del gruppo familiare in Italia.
Nel caso di specie la M. e’, secondo il decreto impugnato, l’unico genitore che vuole convivere con i figli ai quali chiede di ricongiungersi per curare meglio la loro crescita ed educazione, gia’ provvedendo da sola al loro sostentamento e mantenimento, nel disinteresse del padre.
Nessun riferimento specifico ad altri concetti, come quello di potesta’ sui minori dei genitori, esclusiva o concorrente, puo’ avere rilievo per negare il diritto dello straniero extracomunitario a riunirsi ai figli minori, quando al loro sostentamento egli provveda in via esclusiva, non contribuendovi l’altro genitore, il cui assenso e’ necessario (art. 29, 1° comma, lett. b)), proprio per assicurare comunque l’esercizio della potesta’ genitoriale in Italia al soggetto che richiede il ricongiungimento.
Nella legislazione interna la qualifica di minore a carico e’ sempre collegata alla convivenza e al sostentamento di lui dal soggetto che deve ottemperare all’onere di mantenimento, vi sia tenuto da solo o con altri (cfr., di recente, Cass. 6 agosto 2003, n. 11876, 2 aprile 2003 n. 5060), tanto che, anche in sede di revoca della potesta’ genitoriale, e’ possibile porre a carico del genitore privato di tale potesta’, il figlio minore, imponendogli di contribuire al suo mantenimento (Cass. 4 novembre 1997 n. 19779).
Perfino sul piano fiscale, la detrazione per carichi familiari si collega al sostentamento del soggetto il cui carico per il contribuente e’ attestato dallo stesso con apposita dichiarazione (Cass. 24 luglio 2003 n. 11492).
Sul piano sopranazionale, la Convenzione di diritti del fanciullo di New York, se individua nelle figure dei genitori i responsabili legali del minore (art. 5), chiarisce che gli Stati firmatari si impegnano a riconoscere il principio per il quale entrambi i genitori hanno comuni responsabilita’ in ordine all’allevamento e allo sviluppo del bambino (art. 18), prevedendo la figura eventuale di un responsabile finanziario, in modo che il fanciullo goda di un livello di vita atto a garantire il suo sviluppo psico- fisico e sociale (art. 27, commi 1 e 4).
Sia in sede interna che internazionale il concetto di figlio minore a carico si identifica con quello di fanciullo il cui sostentamento e’ garantito dal genitore che subisce detto onere, indipendentemente da ogni connessione con il concetto di potesta’ genitoriale e quindi, per detto profilo, il ricorso e’ certamente infondato.
In tale contesto, piu’ dell’art. 29 rileva l’art. 30 della Cost., per il quale entrambi i genitori hanno il dovere di mantenere, educare e istruire i figli, cioe’ di averli a loro carico, in conformita’ a quanto sancito dall’art. 18 della Convenzione di New York sopra citata.
In relazione ai principi esposti e al fatto che il visto per l’ingresso in Italia e’ dato previo accertamento dell’esistenza di sufficienti garanzie in ordine alla convivenza nel territorio nazionale dei minori con oil genitore che ivi soggiorna e chiede il ricongiungimento, quest’ultimo, come si e’ accennato, deve dimostrare l’esistenza di un alloggio idoneo ad ospitare le persone per le quali e’ chiesto il ricongiungimento redditi sufficienti a mantenerli, come previsto dall’art. 29 del T.U., che quindi non da rilievo ostativo all’ingresso in Italia ai problemi che sorgono dall’esigenza di rappresentanza legale dei minori, ritenendoli risolti dal consenso del genitore che resta all’estero all’espatrio dei figli al fine di unirsi al genitore che li mantiene.
In sostanza, analogamente a quanto accadeva prima della riforma del diritto familiare in Italia del 1975 e accade ancora oggi, puo’ ritenersi che il legislatore abbia distinto la titolarita’ della potesta’ genitoriale dall’esercizio di essa (artt. 315 e ss. c.c.), che spetta di regola al genitore convivente e non a quello che non abita con il figlio minore, il quale con il suo assenso all’espatrio dei figli ha consentito pure all’esercizio della potesta’ da parte della madre.
Quando, come nel caso, il padre che, per il diritto del Regno del Marocco e’ unico titolare della potesta’ di genitore, incontestatamente non vive con i figli minori che, in base a quanto accertato dalla Corte territoriale, sono mantenuti dalla sola madre, che non coabita con loro solo perche’ emigrata in Italia per ragioni di lavoro, non sussiste ragione per il rifiuto del visto sul passaporto all’ingresso in Italia dei minori, dato che l’assenso all’espatrio del padre titolare della potesta’ e’ incompatibile con la pregressa revoca della tutela per la madre di cui all’atto di ripudio, e in concreto la annulla.
Nel sistema della legge del minore, applicabile ai sensi dell’art. 36 della Legge 218 del 1995, la titolarita’ esclusiva della potesta’ genitoriale in capo al padre, non appare ostativa al fatto che lo stesso consenta la convivenza dei suoi figli con la madre, alla quale in tal caso e’ delegato l’esercizio concreto della potesta’, della quale, di regola, ella puo’ divenire titolare solo dopo la morte del marito in base alle norme vigenti nel Regno del Marocco.
Risulta chiaro allora che i primi tre motivi di ricorso sono inammissibile in ordine ai vizi motivazionali dedotti comunque insussistenti ai sensi dell’art. 135 c.p.c., essendo irrilevanti nel ricorso straordinario ex art. 111 Cost., perche’ solo la totale mancanza di motivazione comporta violazione di legge rilevante in via esclusiva in tale tipo di impugnazione.
Le denunciate violazioni di legge non sussistono, perche’ emerge chiaro dalla ,motivazione il sostanziale disinteresse del padre verso i figli minori che sono a carico della madre che provvede al loro sostentamento mentre essi convivono in Marocco con una zia materna; risulta dimostrata dal provvedimento impugnato la piena rispondenza all’interesse dei minori del ricongiungimento alla madre, che, riunendosi ai figli e con loro convivendo, potra’ provvedere oltre che al loro sostentamento anche alla loro educazione e crescita, esercitando su loro la potesta’ genitoriale in assenza del padre, che ne e’ e resta il titolare in base alla legge marocchina.
Il diritto dei minori a non restare separati da quello dei genitori che li mantiene e prova la concreta volonta’ di occuparsi di loro e di abitare con loro, cioe’ nel caso della controricorrente, e’ garantito dalla stesa Convenzione di New York (artt. 9 e 10) e corrisponde all’interesse dei minori e peraltro, pure per detto profilo, l’impugnazione non puo’ che essere rigettata.
Inammissibile e’ poi il quarto motivo di ricorso che censura la corretta applicazione della regola della soccombenza in sede di appello, regola che dovra’ applicarsi anche in questa fase, ponendosi a carico dei ricorrenti le spese del presente giudizio di cassazione nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rimborsare alla controricorrente le spese di questa fase del processo, che liquida in Euro 5100,00 dei quali Euro 5000,00 per onorari ed Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali e accessorie come per legge.
Cosi’ deciso nella Camera di consiglio del 14 aprile 2005.
Depositata in Cancelleria il 9 giugno 2005.