si ringrazia la dott.ssa Francesca Romana Pucci per l invio della seguente sentenza in materia di
PROGRESSIONE ECONOMICA ORIZZONTALE ED ENTE LOCALE
N________/_______ Reg. Sent
N________/_______ Reg. Cron
N_______/_______ Ruolo Cont
Oggetto: Controversia di Lav / Prev
Decisa il 21.4.05
Depositata il _____________
TRIBUNALE DI CROTONE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Dott.ssa Francesca Romana Pucci, in funzione del giudice del lavoro, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa promossa da
X
Con il proc. Dom. Avv. Salvatore Girimonte in Verzino V. Nazionale 13
RICORRENTE
Contro
COMUNE Y in persona del sindaco pro tempore;
Con il proc. Dom. Avv. Vincenzo Scalera del servizio legale dell’ente
RESISTENTE
Oggetto: progressione economica
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 2.5.03, la ricorrente, premesso di essere dipendente dell’ente di cui in epigrafe, con qualifica funzionale D2 e di essere adibita alla responsabilità del servizio biblioteca, ha impugnato la determinazione dirigenziale del settore affari generali n. 309 del 25.3.03 nella parte in cui non attribuiva alla dipendente la superiore posizione economica D3, sulla scorta delle schede di valutazione relative agli anni 2001/02 elaborate dal medesimo dirigente.
A sostegno della domanda, la ricorrente assume l’illegittimità della valutazione resa dal dirigente e del relativo punteggio attribuito, considerato l’inadempimento dell’ente al disposto di cui agli artt. 5 e 6 CCI 31.9.99 e la violazione dei criteri di buona fede e correttezza attesa l’assenza di ogni motivazione in merito al punteggio attribuito. Ha inoltre assunto il diritto al conseguimento della superiore posizione economica in considerazione dell’impegno profuso, della professionalità specifica e degli obiettivi raggiunti.
Ha pertanto concluso per la declaratoria di nullità delle schede di valutazione relative agli anni 2001/02, nonché per l’accertamento del diritto all’attribuzione della posizione economica D3 a decorrere dal 2002, con la condanna dell’ente alla corresponsione dei connessi benefici economici.
Si è costituito tempestivamente l’ente che ha contestato l’avversa domanda della quale ha chiesto il rigetto.
Riassunto il giudizio a seguito della sospensione disposta dal giudicante ai sensi dell’art. 412 bis c.p.c., all’udienza del 21.4.05, invitati i procuratori alla discussione, la causa è stata decisa come da separato dispositivo pubblicamente letto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La presente controversia concerne la progressione economica della dipendente comunale in relazione agli anni 2001/02. La ricorrente contesta infatti la valutazione resa dal dirigente affari generali, sulla scorta della quale, l’ente ha negato il conseguimento della superiore posizione economica D3.
La ricorrente, in particolare, deduce la nullità della citata valutazione, in quanto resa in violazione dei criteri contrattualmente previsti dagli art. 5 e 6 del CCNL 31.9.99, nonché in violazione dei criteri di buona fede e correttezza attesa l’assenza di motivazione dei giudizi espressi dal dirigente in merito alla professionalità della dipendente.
Ebbene, il sistema delle valutazioni ai fini della progressione orizzontale è disciplinato contrattualmente.
In particolare, il CCNL 31.3.99 (revisione del sistema di classificazione professionale) disciplina, all’art. 5, la progressione economica all’interno di ciascuna categoria - che si realizza nel limite delle risorse disponibili nell’apposito fondo di cui al successivo art. 14 – individuando specificatamente i criteri di valutazione di competenza dirigenziale.
L’art. 4 del CCNL 1.4.99 (comparto Regioni ed autonomie locali) demanda poi alla contrattazione decentrata integrativa le fattispecie, i criteri, i valori e le procedure per la individuazione e corresponsione dei compensi relativi agli incrementi retributivi collegati alla progressione economica di cui all’art. 5 CCNL 31.3.99.
Conformemente, l’art. 16 CCNL 31.3.99, demanda alla contrattazione decentrata il completamento e l’integrazione dei criteri per la progressione economica all’interno della categoria, di cui all’art. 5 comma 2 citato.
Ciò posto, la ricorrente deduce la nullità delle valutazioni rese dal dirigente competente in quanto elaborate sulla scorta di criteri difformi rispetto a quelli individuati dall’art. 5 CCNL 31.3.99, con specifico riferimento al parametro dell’arricchimento formativo.
La doglianza non appare fondata. Risulta invero che l’ente con delibera della G.C. n. 294 del 23.9.02, ha approvato, sulla scorta delle specifiche richieste delle R.S.U., il modello di scheda di valutazione adottato per la progressione economica per cui è causa, che individua dei criteri di valutazione, semplificati rispetto a quelli indicati dall’art. 5 CCNL 31.3.99.
Orbene, ritiene il giudicante che detta semplificazione non possa determinare alcuna illegittimità della relativa disposizione integrativa.
La questione concerne invero il rapporto esistente fra contrattazione nazionale e contrattazione decentrata per come disciplinato dall’art. 40 comma 3 D.lvo 165/01, a mente del quale la contrattazione integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dalla contrattazione nazionale (omissis), le p.a. non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai CCN o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausola difformi sono nulle e non possono essere applicate.
Ritiene il giudicante che detta norma debba interpretarsi non già nel senso che ogni e qualsiasi difformità del contratto integrativo rispetto a quello nazionale determina la nullità della disposizione integrativa, bensì in senso restrittivo, e cioè che la nullità è prevista solo in relazione alle clausole integrative che contrastano con vincoli risultanti dal CCN ovvero che comportino oneri economici non previsti dalla programmazione annuale o pluriennale dell’ente. Per aversi nullità, in sostanza, è necessaria non già una mera difformità, bensì un vero e proprio contrasto fra le disposizioni contrattuali nei termini sopra specificati.
Ebbene, accedendo a tale impostazione, è evidente che la mera semplificazione dei criteri di valutazione dettati dalla contrattazione nazionale, mediante accorpamento degli stessi, non determini alcuna nullità, dovendosi appunto escludere ogni contrasto. La scheda di valutazione approvata in sede decentrata, riassume infatti, nei tre criteri della “esperienza acquisita”, “impegno” e “qualità delle prestazioni”, tutti i criteri specificatamente indicati dall’art. 5 CCNL cit. come emerge chiaramente dalla comunicazione del 26.7.02 inviata dalle RSU alla direzione dell’ente (depositata in atti al fascicolo di parte resistente).
Nè l’omessa previsione in sede decentrata dell’autonomo criterio valutativo della formazione professionale può determinare un contrasto con l’art. 5 comma 2 CCNL cit., considerato che tale disposizione collettiva prevede che la partecipazione alla formazione ed all’aggiornamento non costituisce un criterio autonomo di valutazione, ma concorre alla valutazione della qualità delle prestazioni rese, al pari della contrattazione decentrata in cui “la professionalità raggiunta in termini quali-quantitativi” concorre alla determinazione del criterio relativo “all’esperienza acquisita”.
Del pari infondata l’eccezione di nullità della valutazione dedotta dalla ricorrente sotto il profilo della violazione del disposto di cui all’art. 6 CCNL 31.3.99, per non aver l’ente attuato il sistema di valutazione permanente, ivi previsto.
Tale inosservanza, infatti, si risolve in un inadempimento contrattuale dell’ente che tuttavia non può determinare alcuna nullità della valutazione dirigenziale comunque resa nel rispetto dei criteri di cui all’art. 5 comma 2 CCNL 31.3.99 per come integrati e/o completati in sede decentrata.
E’ evidente, tuttavia, che detto inadempimento comporta comunque dei maggiori oneri motivazionali in capo al dirigente competente ad esprimere la valutazione, tenuto conto che l’adozione da parte dell’ente di metodologie permanenti per la valutazione dei dipendenti, offre maggiori garanzie di coerenza ed uniformità delle valutazioni stesse.
Infine la ricorrente deduce la illegittimità della valutazione dirigenziale sotto il profilo della violazione dei principi di correttezza e buona fede cui deve informarsi il comportamento datoriale, attesa l’assenza di motivazione relativamente al giudizio conclusivo reso dal dirigente nell’ambito delle citate schede di valutazione e, l’incongruenza di tale giudizio a fronte dei risultati conseguiti dalla ricorrente, dell’impegno profuso, e dell’esperienza raggiunta.
La censura è fondata.
E’ noto l’orientamento giurisprudenziale espresso dalla S.C. in tema di note di qualifica cui sono correlati benefici economici - mutuabile nel caso di specie, attesa l’identità di ratio e la natura privatistica degli atti datoriali di gestione del rapporto di lavoro -, secondo cui le valutazioni del datore di lavoro, per quanto insindacabili nel merito, sono comunque soggette ai limiti posti da eventuali criteri oggettivi previsti dalla contrattazione nonché dagli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede, sicchè il datore di lavoro ha l’obbligo di motivare il giudizio reso al fine di consentire la verifica circa il rispetto di tali criteri. E’ evidente, peraltro come l’obbligo motivazionale debba essere tanto più adeguato laddove il giudizio complessivo sia negativo, come appunto nel caso di specie, in cui il punteggio attribuito non consente l’utile progressione orizzontale, al fine di verificare l’assenza di intenti discriminatori ovvero di motivi illeciti o irragionevoli.
Ebbene, dall’esame delle schede di valutazione relative alla ricorrente emerge proprio la violazione dell’obbligo citato, non avendo il dirigente espresso alcuna motivazione, neppure sintetica, della valutazione conclusiva relativa alla professionalità della dipendente e dell’attribuzione del relativo punteggio.
Al riguardo non può certo ritenersi che la mera riproduzione dei criteri di valutazione individuati in sede decentrata possa costituire – ex sé – idonea motivazione del giudizio espresso nei termini sopra precisati. In sostanza, dall’esame delle schede di valutazione, emerge chiaramente che il dirigente si è limitato ad esprimere un giudizio assolutamente apodittico, nei termini di: sufficiente, buono o nella norma, con specifico riferimento ad ogni singolo criterio di valutazione conglobato nelle tre più ampie categorie dell’“esperienza acquisita”, “impegno” e “qualità della prestazioni”. Tale modus operandi, se consente di accertare che la valutazione dirigenziale è stata resa con riferimento a tutti i criteri oggettivi indicati dalla contrattazione, non consente tuttavia di verificare il rispetto dei principi di correttezza e buona fede essendo stata omessa ogni motivazione circa il giudizio finale di sufficiente, buono o nella norma.
Detta omissione risolvendosi nell’impossibilità di valutare l’iter logico seguito dal dirigente nell’esprimere la valutazione, determina la illegittimità della stessa.
Si osserva peraltro come nel caso di specie, dalla documentazione depositata dalla ricorrente nel corso del giudizio emerga, prima facie, l’incongruenza e l’irrazionalità del giudizio espresso dal dirigente sia con riferimento al parametro dell’”esperienza acquisita”, giudicato “accettabile”, a fronte della specifica formazione professionale della ricorrente proprio nell’ambito del servizio biblioteca di cui è responsabile, sia con riferimento al parametro della “qualità delle prestazioni” giudicate “nella norma”, a fronte dei risultati raggiunti proprio con riferimento al citato servizio, per come attestati dallo stesso ente nella relazione al bilancio pluriennale 2003 ove si evidenzia “come i risultati raggiunti nell’afflusso dell’utenza indicano chiaramente un trend in crescita costante e continua, a dimostrazione della qualità delle iniziative intraprese”.
Da ultimo, non può non evidenziarsi come l’omessa motivazione delle valutazioni dirigenziali sulla professionalità della ricorrente determini la violazione dei criteri di correttezza e buona fede a fronte, non solo della citata incongruenza dei giudizi espressi rispetto ai risultati raggiunti ed all’esperienza acquisita, ma altresì rispetto alla circostanza, emersa nel corso del giudizio, che la ricorrente è l’unica dipendente di posizione D2 che non ha, allo stato, mai beneficiato della progressione economica.
Alla declaratoria di illegittimità della valutazione dirigenziale non può tuttavia conseguire l’accoglimento della domanda attorea circa l’attribuzione della negata progressione economica, dovendosi al riguardo ribadire l’insindacabilità nel merito delle valutazioni datoriali. Consegue invece il diritto della ricorrente a fruire di una nuova valutazione della propria professionalità adeguatamente e congruamente motivata.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano, in considerazione del valore della controversia, in complessivi € 500,00 (di cui € 242,00 per onorari) oltre i.v.a. e c.p.a., da distrarsi in favore del procuratore costituito ai sensi dell’art. 93 c.p.c..
P.Q.M.
Dichiara l’illegittimità della valutazione relativa alla progressione orizzontale della ricorrente per gli anni 2001 e 2002;
condanna l’ente resistente alla rifusione delle spese di lite in favore della ricorrente liquidate in complessivi € 500,00 oltre i.v.a. e c.p.a. da distrarsi in favore del procuratore costituito ai sensi dell’art. 93 c.p.c..
Crotone 21.4.05
Il G.L.
Dott.ssa Francesca Romana Pucci