lavoroprevidenza

sabato 24 settembre 2005

IL TRASFERIMENTO PER ASSISTENZA A PORTATORI DI HANDICAP

del Prof. Sabetta




IL TRASFERIMENTO PER ASSISTENZA A PORTATORI DI HANDICAP


(art. 33, legge 5/2/1992, N. 104)



di


Prof. Sergio Sabetta







Con la riduzione delle prestazioni sanitarie al fine di contenerne i costi gravanti sulle casse pubbliche accompagnata dalla parallela crescita della popolazione anziana, pertanto necessaria di una continua assistenza, si è venuto a scaricare in parte sulle famiglie l’onere dell’assistenza sia in termini economici, basti pensare al crescente fenomeno delle “badanti” attività in molti casi riservata a personale extracomunitario, sia in termini di impegno di tempo personale nell’assistenza diretta.


Uno dei problemi nati dall’applicazione dell’art. 33, l. n. 104/92 è la possibilità dell’avvicinamento ai fini assistenziali da parte del dipendente, circostanza che ha dato luogo a contrasti interpretativi. Vengono infatti a scontrarsi due opposti interessi, quello del lavoratore al trasferimento ai fini assistenziali e quello dell’Amministrazione a permettere tale trasferimento solo in determinati casi costituiti dalla presenza del posto in pianta organica e dalla possibilità di coprire in qualche modo le funzioni che rimarranno scoperte.


A riguardo una recente sentenza del T.A.R. per il Lazio della Sezione I Quater, n. 2387/2005 ha preso in esame un caso riguardante il Ministero della Giustizia nel quale si è contestato un provvedimento di rigetto per eccesso di potere per carenza di istruttoria, illogicità e contraddittorietà, in quanto la lontananza fra la sede di lavoro del dipendente e il domicilio del disabile non potrebbe essere ritenuta in assoluto ostativa per il riconoscimento della continuità dell’assistenza, quanto meno sotto il profilo psicologico ed affettivo.


L’Amministrazione contesta tale affermazione in quanto la continuità dell’assistenza implicherebbe “una effettiva e regolare presenza del dipendente presso l’abitazione del familiare disabile, per attendere alle necessità quotidiane di quest’ultimo”.


Osserva preliminarmente il Collegio che la norma in questione ha come scopo primario quello di ampliare la sfera di tutela del portatore di handicap, salvaguardando situazioni di assistenza in atto al fine di evitare rotture traumatiche e dannose ( Corte Cost. , 29/7/1996, n. 325). In un primo tempo è stato riconosciuto il diritto solo nel caso di convivenza del dipendente con l’invalido, successivamente ampliato con la legge n. 53/00 anche al di fuori di tale circostanza, pur che comunque sussista il requisito attuale della continuità dell’assistenza.


L’Amministrazione ha individuato con una propria circolare i requisiti a seguito dei quali la legge attribuisce al dipendente un diritto condizionato o interesse legittimo ad ottenere la sede desiderata comunque entro un raggio di 90 Km, pur che non ostino a tale assegnazione superiori esigenze organizzative per lo più identificabili con la disponibilità di posti in organico.


Il concetto di assistenza è piuttosto ampio e il Collegio lo identifica con la circostanza che il dipendente “…sia il fondamentale punto di riferimento per l’assistenza del disabile, quanto meno sotto il profilo della costante organizzazione e supervisione delle cure necessarie, delle buone condizioni di vita e delle relazioni affettive, anche senza assumere necessariamente in proprio l’intera effettuazione materiale dell’assistenza stessa. La situazione sopra descritta non può, comunque, prescindere da una frequente presenza fisica del dipendente, a fianco del congiunto portatore di handicap, e da un suo attivo coinvolgimento in ogni esigenza di vita del medesimo, di modo che non può ritenersi sufficiente la mera intenzione di instaurare il rapporto di assistenza, una volta ottenuto il trasferimento…”


Conclude il Collegio che una interpretazione come quella sostenuta dall’Amministrazione per cui si richiede una effettiva e regolare presenza presso l’abitazione del familiare disabile è eccessivamente restrittiva, potendo detta presenza, anche saltuaria, risultare compensata da una oggettiva , assidua supervisione dell’assistenza ( medica, infermieristica e morale) da prestare al familiare infermo.


Tale interpretazione è senz’altro condivisibile considerando quanto osservato preliminarmente sulla riduzione dell’assistenza nazionale e dal cambiamento sociale che ha trasformato le famiglie estese in famiglie mononucleari con notevoli difficoltà di rapporti interni a causa della pressione sociale esterna e del mutare dei valori primari di riferimento.





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